POLVERE. Traduzione di Annamaria Biavasco e Valentina Guani

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2 Il libro Kay Scarpetta è finalmente tornata a casa sua a Cambridge, dopo l ultimo difficile caso, quando riceve una telefonata dal suo storico compagno di lavoro, Pete Marino, il quale la informa che il corpo di una giovane donna è stato ritrovato sul campo da baseball del Massachusetts Institute of Technology. Ben presto si scopre che si tratta di Gail Shipman, un ingegnere informatico che ha in corso una causa milionaria contro una società di intermediazione finanziaria che l ha mandata sul lastrico. Kay Scarpetta dubita fortemente che si tratti di una coincidenza e ha anche il timore che questo caso sia in qualche modo collegato alla sua geniale nipote, Lucy. A un primo sguardo, la causa della morte di Gail Shipman non è chiara: il suo cadavere è avvolto in un telo color avorio ed è stato composto in una posa particolare. Questo fa pensare che chi l ha uccisa non sia un killer alle prime armi. Sul corpo vengono inoltre ritrovate tracce di polvere fluorescente rosso sangue, verde smeraldo e blu zaffiro. Tutti questi elementi collegano il fatto a una serie di omicidi a sfondo sessuale perpetrati a Washington da un serial killer soprannominato Capital Killer, di cui si sta occupando Benton Wesley, il marito di Kay. La famosa anatomopatologa e i suoi collaboratori si ritrovano ben presto di fronte a uno scenario molto più inquietante di un semplice caso di omicidi seriali, un mondo sinistro che ha a che fare con le droghe sintetiche e la nuova tecnologia dei droni, che vede coinvolti il crimine organizzato e le più alte sfere governative. Polvere è il ventunesimo caso di Kay Scarpetta, protagonista icona di un autrice che da molti anni non smette di stupire e appassionare i lettori.

3 L autore Patricia Cornwell è una delle più famose autrici di best seller internazionali. I suoi romanzi sono tradotti in trentasei lingue, in più di cinquanta paesi. È tra i fondatori del Virginia Institute of Forensic Science and Medicine e della National Forensic Academy, e membro del Comitato consultivo del Forensic Sciences Training Program presso l OCME di New York, nonché del McLean Hospital s National Council, dove è sostenitrice della ricerca psichiatrica. Nel 2008, con Il libro dei morti, Patricia Cornwell ha conseguito il Galaxy British Book Award, nella sezione Crime Thriller. Il suo primo romanzo, Postmortem, è l unico ad avere vinto nello stesso anno cinque dei premi più prestigiosi. Insolito e crudele è stato insignito del Gold Dagger Award come miglior romanzo giallo del Tutti i romanzi di Patricia Cornwell sono pubblicati in Italia da Mondadori. L autrice vive tra New York e la Florida. Visitate il suo sito

4 Patricia Cornwell

5 POLVERE Traduzione di Annamaria Biavasco e Valentina Guani

6 Questo libro è un opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell autrice e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

7 POLVERE Come sempre, a Staci (sei il meglio di tutto)

8 In una manciata di polvere vi mostrerò la paura. T.S. ELIOT, La terra desolata, 1922

9 1 Cambridge, Massachusetts Mercoledì 19 dicembre, ore 4.02 Lo squillo del telefono profana il rumore incessante della pioggia che batte sul tetto come un rullo di tamburi. Mi tiro su a sedere sul letto e il cuore mi fa un balzo nel petto come uno scoiattolo spaventato quando lancio un occhiata allo schermo illuminato per vedere chi sta chiamando. «Cosa succede?» La mia voce non lascia trapelare emozioni mentre saluto Pete Marino. «A quest ora, nulla di buono, immagino.» Sock, il levriero abbandonato che ho accolto in casa nostra, mi viene vicino e gli accarezzo la testa per tranquillizzarlo. Accendo l abat-jour, prendo un bloc-notes e una penna dal cassetto e intanto ascolto Marino che mi parla di un cadavere rinvenuto all MIT, il Massachusetts Institute of Technology, a qualche chilometro da qui. «Nel fango, in fondo a uno dei campi sportivi, il Briggs Field. È una donna. L hanno trovata mezz ora fa» dice. «Ora faccio un salto dove pensiamo che fosse quando è scomparsa e poi vado sul luogo del rinvenimento. Lo stanno mettendo in sicurezza in attesa che arrivi tu.» Mi parla con il suo vocione come se non fosse successo niente fra noi. Stento a crederci. «Non capisco perché hai chiamato me.» Non avrebbe dovuto, ma so per quale motivo l ha fatto. «Teoricamente, non sono ancora rientrata in servizio. Sarei in malattia.» Glielo dico educatamente, con la voce calma e appena un po roca. «Dovresti chiamare Luke o...» «Ti conviene occupartene personalmente: fidati, Kay. Sarà un incubo, dal punto di vista mediatico. Come se non ti bastasse quello che è già successo.» Allude al weekend che ho passato nel Connecticut, e che è finito su tutti i giornali. Non vedeva l ora di parlarne, evidentemente. Ma io non intendo dargli corda. Mi ha chiamato perché può farlo. Mi sonderà e cercherà di estorcermi informazioni per mettere bene in chiaro che, dopo essere stato ai miei ordini per dieci anni, adesso i ruoli si sono invertiti. Adesso comanda lui, non io. È questo il mondo secondo Pete Marino. «Per chi sarà un incubo dal punto di vista mediatico? Io non mi occupo di pubbliche relazioni.» «Un cadavere nel campus dell MIT è un incubo per tutti. Ho un brutto presentimento. Sarei venuto con te se me l avessi chiesto. Non ci saresti dovuta andare da sola.» Sta di nuovo parlando del Connecticut, ma io faccio finta di niente. «Me l avresti dovuto dire, sul serio.» «Non lavori più per me. Ecco perché non te l ho detto.» Non intendo aggiungere altro. «Sarà stato terribile per te. Mi spiace.» «È stato terribile non solo per me, ma per il mondo intero.» Ho un accesso di tosse e allungo la

10 mano per prendere l acqua. «L avete identificata?» Mi sistemo i guanciali dietro la schiena. Sock mi appoggia il muso allungato sulla coscia. «Potrebbe essere una studentessa di ventidue anni, Gail Shipton.» «Studentessa dove?» «All MIT. Ingegneria informatica. Ne è stata denunciata la scomparsa intorno a mezzanotte. L ultima volta che è stata vista era allo Psi Bar.» Il locale preferito di mia nipote. Questo pensiero mi sconcerta. Lo Psi Bar è vicino all MIT ed è frequentato da artisti, studenti di fisica e geni dell informatica come Lucy. Lei e Janet, la sua compagna, ogni tanto mi ci portano per il brunch, la domenica. «Lo conosco» mi limito a dire a Marino, l uomo che mi ha abbandonato. A livello razionale so che è meglio così. Peccato che i miei sentimenti la pensino diversamente. «A quanto pare ieri pomeriggio Gail Shipton era lì con una sua amica. Questa ragazza dice che verso le cinque e mezzo Gail ha ricevuto una telefonata, è uscita dal bar perché dentro non si sentiva niente e non è più tornata. Non saresti dovuta andare da sola nel Connecticut. Avrei potuto accompagnarti io in macchina, se non altro» insiste Marino. Non mi chiede come vanno le cose al CFC, ora che lui se n è andato per ricominciare daccapo. Perché Marino si è licenziato dal Cambridge Forensic Center per tornare in polizia. Sembra contento della sua scelta. Non gliene frega niente di come l ho presa io. Vuole solo sapere del Connecticut. Come tutti, peraltro. Ma io non ho rilasciato nemmeno un intervista. Non ne voglio parlare. Mi irrita che Marino abbia sollevato il discorso. È stata un esperienza orribile, a cui cerco di non pensare. E lui me l ha fatta tornare in mente. «E non l ha trovato strano? Non si è preoccupata che la sua amica fosse uscita a telefonare e non si fosse più fatta vedere?» Ho inserito il pilota automatico: vado avanti con il lavoro cercando di non badare a Marino. «So solo che, quando ha visto che Gail non rispondeva né al telefono né ai messaggi, ha pensato che le fosse successo qualcosa.» Ormai questa ragazza scomparsa, e forse morta, è Gail per Marino. C è un legame tra loro. Lui ha affondato gli artigli nel caso e non se lo lascerà scappare. «A mezzanotte, non avendola più sentita, ha cominciato a cercarla» mi comunica. «Si chiama Haley Swanson.» «E cosa sai di questa Haley Swanson? Che genere di amica era?» «Era solo una chiamata interlocutoria.» Vuol dire che non sa quasi niente perché la denuncia di Haley Swanson lì per lì non è stata presa molto sul serio. «Non ti pare strano che abbia cominciato a preoccuparsi solo a mezzanotte?» gli chiedo. «La sua amica sparisce alle cinque e mezzo e lei chiama la polizia sei o sette ore dopo?» «Sai come sono gli studenti: sbevazzano, incontrano uno, vanno via con lui... Non ci fanno manco caso.» «E Gail lo faceva d abitudine?» «Sono tutte domande che andranno fatte, se quello che temo risulterà fondato.» «Sappiamo poco o niente, quindi.» Non avrei dovuto dirlo, ma ormai mi è sfuggito. «Non mi sono dilungato molto con Haley Swanson» si giustifica Marino, sulla difensiva. «Ufficialmente le denunce di scomparsa vanno presentate di persona, non per telefono.»

11 «Come mai le hai parlato, allora?» «In un primo tempo ha chiamato il 911 e le hanno detto che doveva venire da noi e riempire i moduli del caso. Perché è così che bisogna fare denuncia. Per telefono non si può.» Ha alzato la voce, tanto che ho dovuto abbassare il volume del telefono. «Poi ha richiamato e ha chiesto di me. Io le ho parlato due minuti, ma non l ho presa tanto sul serio. Cioè, se fosse stata veramente preoccupata, si sarebbe precipitata qui a sporgere denuncia, no? Siamo aperti giorno e notte.» Marino è tornato a lavorare in polizia da poche settimane soltanto: mi pare incredibile che una sconosciuta abbia chiesto di lui alla centrale di Cambridge. Mi vengono immediatamente dei sospetti su Haley Swanson, ma evito di dirglielo perché sarebbe inutile. Non mi starebbe neanche a sentire. Penserebbe che voglio insegnargli a fare il suo lavoro. «Ti è sembrata agitata?» gli domando. «Hanno tutti la voce agitata quando chiamano la polizia. Non vuol dire che ci sia davvero da preoccuparsi, però: novantanove su cento, gli studenti scomparsi non sono scomparsi per niente. Riceviamo parecchie chiamate del genere, da queste parti.» «Sappiamo dove abita Gail Shipton?» «In uno dei condomini eleganti vicino all hotel Charles.» Mi dà l indirizzo e io lo scrivo. «Sono case di lusso.» Si tratta di palazzi molto belli, di mattoni, vicino alla Kennedy School of Government e al fiume Charles, non distanti dalla sede del CFC. «Probabilmente pagano i genitori, come spesso accade qui nel regno dell Ivy League.» Marino non prova molta simpatia per gli abitanti di Cambridge. Dice sempre che da queste parti se non sei un cervellone ti fanno la multa. «Avete controllato che non sia a casa e semplicemente non risponda al telefono, vero?» Prendo appunti, adesso sono concentrata, distratta da una tragedia diversa, l ultima in ordine di tempo. Ma anche mentre sto lì sul letto a parlare al telefono, non riesco a dimenticare quello che è successo, quello che ho visto. I cadaveri, il sangue, i bossoli di ottone sparpagliati come monetine sui pavimenti di una scuola elementare di mattoni rossi. È come se avessi ancora davanti agli occhi quelle immagini, tanto sono vivide. Ventisette autopsie, per lo più bambini. E, quando mi sono tolta il camice tutto macchiato di sangue e mi sono infilata sotto la doccia, ho deciso di smettere di pensarci. Mi sono imposta di cambiare canale. Ho imparato molto tempo fa che è meglio vivere per compartimenti stagni, che devo smettere di pensare ai corpi straziati e martoriati appena finisco di sezionarli. Mi sono sforzata di lasciare quelle immagini lì dove le ho viste, nella scuola e nella sala settoria, fuori dei miei pensieri, ma non ci sono riuscita. Quando sono tornata a casa, sabato sera, avevo la febbre e dolori dappertutto, come se il male mi avesse contagiato. Le mie consuete difese avevano ceduto. Mi ero offerta io di dare una mano ai colleghi dell Istituto di medicina legale del Connecticut e si sa che le buone azioni finiscono sempre per essere punite. Cerchi di fare la cosa giusta? Stai sicuro che la pagherai. Le forze oscure non apprezzano, lo stress ti farà ammalare. «Dice di esserci andata per assicurarsi che Gail non fosse rientrata» mi risponde Marino. «Pare abbia chiesto al portinaio di controllare il suo appartamento e non c era traccia di lei, sembrava non fosse più tornata a casa dopo il bar.» Gli faccio notare che Haley Swanson deve essere ben conosciuta nel condominio di Gail Shipton, perché altrimenti non le avrebbero aperto la porta dell appartamento e, mentre lo dico, mi cade l occhio sulla pila esagerata di pacchi sul divano, che mi sono stati consegnati dalla FedEx e non ho

12 ancora aperto. Rifletto che non mi fa bene restare sola troppi giorni di seguito, specie se non ho la forza di lavorare, cucinare e uscire, e mi spaventa isolarmi con i miei pensieri. Sento il bisogno di distrarmi e lo faccio nel modo sbagliato. La fibbia a forma di teschio e il giubbotto di pelle vintage della Harley-Davidson sono per Marino, la colonia di Hermès e i braccialetti di Jeff Deegan per Lucy e per Janet; per mio marito Benton ho preso invece un orologio Breguet fuori commercio, di titanio con quadrante in fibra di carbonio. Compie gli anni domani, cinque giorni prima di Natale, ed è difficile fargli un regalo perché non ha bisogno di niente e ha già praticamente tutto. Ci sono doni in abbondanza anche per mia madre e mia sorella, per la nostra domestica, Rosa, per il personale del CFC, per Sock, per il bulldog di Lucy e per il gatto del mio assistente. Non so cosa mi sia preso in questi giorni in cui sono stata a letto malata, ma ho comprato un sacco di cose su internet. Colpa della febbre. Sono sicura che mi prenderanno in giro tutti quanti: la sobria e assennata dottoressa Kay Scarpetta quest anno si è data allo shopping sfrenato. Lucy non mi darà requie. «Gail non risponde al cellulare, alle , agli SMS» continua Marino, mentre la pioggia batte sui vetri. «Niente post su Facebook, Twitter o altro. Ma, soprattutto, la descrizione corrisponde a quella della morta. Insomma, secondo me l hanno rapita, l hanno portata da qualche parte, l hanno uccisa e poi hanno avvolto il corpo in un lenzuolo e l hanno abbandonato lì. Non ti avrei disturbato, date le circostanze, ma ti conosco e...» Sì, mi conosce, e non andrò né all MIT né da nessun altra parte. Manco dal CFC da cinque giorni e sono virtualmente in quarantena. Glielo comunico. Uso un tono brusco e seccato con il mio ex investigatore. Sì, ex, ribadisco dentro di me. «Come stai adesso? Te l avevo detto di non farlo, il vaccino antinfluenzale. Scommetto che è stato quello» dice. «È un virus morto: non ti puoi ammalare.» «Be, io le uniche due volte che l ho fatto mi sono ammalato. Eccome. Sono stato male come un cane. La voce ti è migliorata, comunque.» Fa il premuroso perché ha bisogno di me. «È tutto relativo: potrei stare meglio, ma potrei stare anche peggio.» «Sei arrabbiata con me, vero? Be, tanto vale che ne parliamo.» «Veramente mi riferivo al mio stato di salute.» Non sono solo arrabbiata. Provo emozioni ben più complesse e stratificate. Marino non ha minimamente pensato a cosa la sua decisione di cambiare lavoro avrebbe comportato per me, che dirigo il Cambridge Forensic Center e l Istituto di medicina legale del Massachusetts. Da dieci anni Marino era responsabile del reparto investigativo e posso solo immaginare le illazioni che faranno, o avranno già fatto, soprattutto in polizia, riguardo a questo improvviso divorzio. Prevedo già come verrò trattata sulle scene del crimine, al CFC, in tribunale. Metteranno in dubbio la mia professionalità, cercheranno di capire cosa ho fatto di male. In realtà, io non c entro assolutamente niente. La scelta di Marino di cambiare lavoro è stata dettata prevalentemente da una crisi di mezza età che lo affligge da che lo conosco. Se fossi indiscreta, potrei dire al mondo che Pete Marino soffre di problemi di identità e di bassa autostima da quando è nato in una zona malfamata del New Jersey, da un padre alcolizzato e violento e una madre debole e sottomessa. Io sono una donna fuori della sua portata, forse il grande amore della sua vita, di sicuro la sua migliore amica. Per questo mi punisce. Lo fa in maniera inconscia, ovviamente. Non ne è consapevole quando mi telefona nel cuore della notte pur sapendo che ho l influenza e che sono stata

13 talmente male che a un certo punto ho creduto di morire e mi sono detta: Ecco, è così che succede.

14 2 In un epifania causata dal febbrone, mi è parso di capire il significato ultimo della vita, frutto di una collisione tra le particelle divine che stanno alla base della materia nell universo, e della morte, processo perfettamente inverso. Quando ho sfiorato i quaranta gradi, mi è sembrato tutto chiarissimo, illuminata com ero dalla presenza di una nera signora incappucciata ai piedi del letto. Se solo avessi scritto quello che mi diceva, la formula elusiva della natura che produce massa e della morte che la elimina, il mistero della creazione dal big bang a oggi misurato attraverso i prodotti del decadimento! Ruggine, sporcizia, malattia, follia, caos, corruzione, bugie, marcescenza, rovina, cellule morte e atrofizzate, tanfo, sudore, lordume, polvere alla polvere... Tutto questo interagisce a livello subatomico, dando origine a nuova massa in un ciclo senza fine. Non vedevo il volto della nera signora, ma so che era bonario e irresistibile, mentre mi parlava con un linguaggio scientifico e poetico al tempo stesso, davanti a un fuoco che emanava luce ma non calore. Per qualche istante di straordinaria lucidità, ho capito che cosa vogliamo dire quando parliamo di frutto proibito e peccato originale, di avanzare verso la luce, lungo strade lastricate d oro, di extraterrestri, aura, spiriti, paradiso, inferno e trasmigrazione delle anime, guarigione, resurrezione, reincarnazione sotto forma di corvi, gatti, gobbi, angeli. Mi è stato rivelato il mistero di questo riciclo continuo, di una precisione cristallina e di una bellezza prismatica, il piano di Dio Fisico Supremo, misericordioso, giusto e divertente. Un Dio creativo, parte di ognuno di noi. Ho visto, ho conosciuto, ho toccato con mano la Verità perfetta. Poi la vita ha riaffermato la propria supremazia e mi ha privato della Verità. E così sono ancora qui, trattenuta su questa terra dalla forza di gravità. Immemore. Non ricordo più, o comunque non so esprimere quello che finalmente avrei potuto spiegare ai parenti disperati dei morti che sottopongo ad autopsia. Do risposte cliniche alle loro domande, che sono sempre le stesse. Perché? Perché? Perché... Come hanno potuto fare una cosa del genere? Non ho mai saputo dare una risposta valida a questi interrogativi. Ma la risposta c è, e io l ho afferrata, anche se solo per un istante. L ho avuta sulla punta della lingua, ma poi sono tornata in me e mi è sfuggita dalla mente, sostituita dal lavoro che avevo appena finito, da immagini inconcepibili, che nessuno dovrebbe mai vedere. Sangue e bossoli lungo corridoi pieni di disegni e decorazioni natalizie. E dentro l aula... i bambini che non sono riuscita a salvare, i genitori che non sono riuscita a consolare, le rassicurazioni che non sono riuscita a dare. Hanno sofferto? È stato rapido? Quanto tempo c è voluto? Mi dico che è colpa della febbre. Non c è nulla che io non abbia già visto, che io non sia in grado di gestire, e mi sento invadere dalla collera, che si risveglia come un drago dentro di me.

15 «Credimi: non vorrai che se ne occupi qualcun altro. Non è ammessa la minima cazzata, te lo dico io.» Marino continua imperterrito a parlare e, per essere sincera, devo ammettere che mi fa piacere udire la sua voce. Non voglio sentire la sua mancanza come in quest ultimo periodo. È l unica persona che porterei con me in un inferno mediatico di quelle dimensioni, di portata incomprensibile: strade bloccate per chilometri dai mezzi di innumerevoli televisioni, antenne satellitari, elicotteri che sorvolavano la zona senza posa, nemmeno stessero girando un film. Hanno sparato da vicino o da lontano? Il drago si riscuote di nuovo, ma non posso permettermi di lasciare che la collera mi travolga. Meno male che Marino non è venuto con me. Non volevo che venisse. So che cosa è in grado di gestire e cosa no. Sarebbe crollato come un vetro che si spezza in mille frammenti a causa di vibrazioni troppo intense per l udito umano. «L istinto mi dice che questo è il primo di una lunga serie, Kay» mi confida Marino. Ha la stessa voce di sempre, ma più sicura, più assertiva. «Qualche psicopatico deve aver preso spunto da quello che è appena successo.» «Quello che è successo a Newtown?» Non vedo come faccia a saltare a una conclusione simile e vorrei che la piantasse di tirare fuori il Connecticut. «È così che funziona» insiste. «Uno psicopatico prende spunto da un altro psicopatico che fa una strage in un cinema o in una scuola per attirare l attenzione.» Lo immagino che guida per le strade buie di Cambridge sotto la pioggia. Sono sicura che non ha allacciato la cintura, ma evito di dirglielo, ora che è di nuovo in polizia. Ricade nelle vecchie, brutte abitudini con grande facilità. «Le hanno sparato?» Glielo chiedo perché smetta di divagare, tornando continuamente su un argomento di cui non voglio parlare. «Non sei nemmeno sicuro che sia stata assassinata, dico bene?» «Non pare che le abbiano sparato» conferma Marino. «Cerchiamo di non confondere ulteriormente le cose facendo inutili confronti con quello che è successo nel Connecticut.» «Non tollero che sti coglioni ricevano tanta attenzione dai media.» «Su questo siamo tutti d accordo.» «Peggiora le cose. È un istigazione a delinquere. Non dovremmo nemmeno dire come si chiamano. Dovremmo seppellirli senza lapide.» «Parliamo del caso, per cortesia. Il cadavere presenta lesioni o ferite visibili?» «A prima vista, no» risponde Marino. «Ma non credo proprio che si sia avvolta da sola in un lenzuolo per andare scalza nel campus a morire nel fango, sotto la pioggia.» Se Marino sta bypassando il mio vice, Luke Zenner, e gli altri medici legali del CFC, non è perché pensa che io sia più qualificata di loro a gestire il caso, anche se è vero che lo sono. Ha chiamato me perché vuole tornare ai vecchi tempi, riappropriarsi del ruolo che aveva quando ci siamo conosciuti. Non lavora più per me. Adesso mi chiama quando decide lui. Mi ricorderà che i ruoli sono questi tutte le volte che potrà. «Comunque, se non te la senti...» comincia. Forse lo fa per invogliarmi a dire di sì. O forse la sua è una sfida. Non so. Non sono in grado di giudicare, in questo momento. Sono stanca e ho lo stomaco vuoto.

16 Non riesco a pensare ad altro che a uova sode con burro e una macinata di pepe, pane appena sfornato e caffè espresso. Cosa non darei per una spremuta di arance rosse. «No, no. Il peggio è passato.» Prendo la bottiglietta sul comodino. «Dammi il tempo di prepararmi.» Bevo un sorso d acqua soltanto: non ho più una sete inestinguibile, le labbra secche e la lingua asciutta come carta vetrata. «Ho preso lo sciroppo per la tosse prima di dormire. Codeina.» «Beata te.» «Sono un po annebbiata, ma sto bene. Non mi sento di guidare, però; soprattutto con questo tempo. Chi ha trovato il corpo?» Forse me lo ha già detto. Mi premo una mano sulla fronte: non ho febbre. Sono abbastanza sicura che mi sia passata e che non sia solo effetto dell Advil. «Una studentessa dell MIT e un tipo della Harvard che stavano andando verso la camera di lei alla residenza universitaria. Hai presente la Simmons Hall? Quel palazzo enorme che sembra costruito con il Lego di là del campo da rugby e del campo da baseball dell MIT?» mi chiede Marino. Sento che ha il ricevitore scanner acceso. È nel suo elemento. Armato e pericoloso, con il distintivo appeso al cinturone, al volante di un auto della polizia senza contrassegni ma con luci, sirena e chissà cos altro ancora. Ai vecchi tempi, truccava i mezzi della polizia come fa tuttora con le sue Harley-Davidson. «Lì per lì hanno pensato che fosse un manichino con una toga steso nel fango dietro la recinzione che separa il campo dal parcheggio» mi informa Marino, tornato a essere il detective di una volta. «Quando poi si sono avvicinati, entrando da un cancello aperto, e si sono accorti che era una donna avvolta in un lenzuolo, che sotto non aveva niente addosso e che non respirava, hanno chiamato il 911.» «È nuda?» In realtà gli sto chiedendo di dirmi se qualcuno ha toccato il cadavere, e chi. «I due ragazzi giurano di non aver toccato niente. Il lenzuolo è fradicio ed è abbastanza evidente che è nuda. Machado gli ha parlato e dice che secondo lui non c entrano niente. In ogni caso, per sicurezza, gli fa fare un tampone per il test del DNA e controlla se hanno precedenti. La solita trafila.» Poi mi spiega che Sil Machado, investigatore della polizia di Cambridge, sospetta si tratti di un overdose. «Potrebbe essere la stessa roba, tagliata male, che gira in questo periodo causando un sacco di problemi» dice Marino. «Come lo strano suicidio dell altro giorno.» «Quale strano suicidio?» Purtroppo ce ne sono stati diversi mentre ero fuori città e poi a casa malata. «La stilista che si è lanciata dal tetto del suo palazzo di Cambridge e ha imbrattato le vetrate della palestra al pianoterra mentre la gente faceva ginnastica» mi spiega. «Sembrava che fosse scoppiata una bomba di spaghetti al pomodoro. Comunque sia, pensano che potrebbe esserci un collegamento.» «Non vedo quale.» «La stessa droga. Qualche schifezza di cui si faceva.» «E chi è che lo pensa?» Non ho fatto io l autopsia alla suicida, ovviamente. Prendo i dossier che ho impilato sul pavimento vicino al letto. «Machado e il suo sergente, il suo vice» mi risponde Marino. «Il caso è stato subito sottoposto all attenzione dei sovrintendenti e del commissario.» Poso i dossier sul letto. Devono essere almeno una dozzina di fascicoli, referti autoptici e foto che il mio assistente Bryce Clark mi ha portato tutti i giorni, lasciandoli fuori della porta. Insieme al

17 lavoro, mi ha portato anche provviste e generi di conforto. «Si teme che sia metamfetamina tagliata con chissà cosa o qualche altra droga sintetica, una versione recente dei sali da bagno che gira a Cambridge in questo periodo. Forse anche la donna che si è suicidata era sotto l effetto di questa droga» mi dice. «Una possibilità è che Gail Shipton, sempre che il cadavere sia il suo, si sia drogata con qualcuno che, quando lei è andata in overdose, l ha portata nel campus.» «È una teoria tua?» «No, no. Se ti vuoi sbarazzare di un cadavere, perché lo porti nel campo sportivo di un università, come se volessi metterlo in mostra per scioccare la gente? Il punto secondo me è questo, il pericolo maggiore da cui ci dobbiamo guardare in questo periodo: compi un gesto sensazionale e finisci su tutti i giornali e attiri l attenzione persino del presidente degli Stati Uniti. Io credo che chi ha messo quel cadavere al Briggs Field sia uno così. Uno che vuole attirare l attenzione, insomma, finire sui giornali.» «Potrebbe essere. Ma non è tutto.» «Ti inoltro le foto che mi ha mandato Machado per SMS.» La voce profonda di Marino è insistente, sgarbata, brusca. «Non usare il cellulare mentre guidi.» Prendo il mio ipad. «Tranquilla: dopo mi faccio la multa.» «Ci sono solchi per terra, o altri segni da cui si possa capire come ha fatto il cadavere ad arrivare fin lì?» «Dalle foto vedrai che c è un casino di fango e purtroppo, se anche c erano, impronte, solchi o segni di qualsiasi tipo sono stati cancellati dalla pioggia. Ma io non sono ancora stato sul posto. Non ho ancora visto niente.» Apro le foto che Marino mi ha appena spedito via e osservo l erba bagnata e il fango rossastro di un campo da baseball delimitato da una recinzione. Zumo sulla donna avvolta in un telo bianco. È snella, supina, con i lunghi capelli castani disposti ordinatamente intorno al viso giovane e grazioso, inclinato leggermente verso sinistra e imperlato di pioggia. Ha il lenzuolo avvolto sul petto, sotto le ascelle, come un telo da bagno. Sembra una signora alle terme. È un immagine familiare e mi colpisce la somiglianza con alcune foto che mi ha fatto vedere Benton qualche settimana fa, prendendosi un rischio notevole. Senza l autorizzazione dell FBI, mi ha chiesto infatti un parere sul caso che sta seguendo a Washington. Le vittime di cui mi ha mostrato le foto, però, avevano un sacchetto di plastica sulla testa, fissato intorno al collo con del nastro adesivo fantasia e un fiocco. È la firma del serial killer, e qui non c è. Non sappiamo neppure se è stata assassinata mi dico. Non mi sorprenderei se fosse morta improvvisamente e chi era con lei si fosse lasciato prendere dal panico, l avesse avvolta in un lenzuolo, magari del dormitorio universitario, e l avesse portata fuori in maniera che venisse ritrovata in tempi brevi. «Potrebbero essere entrati nel parcheggio con un auto, essersi fermati vicino alla recinzione, aver aperto il cancello e averla portata lì a braccia, oppure trascinandola» prosegue Marino mentre io guardo l immagine sul mio ipad, che mi turba a livello profondo, viscerale. Cerco di scacciare quella sensazione, ma non ci riesco. A Marino non posso dire niente. Benton verrebbe licenziato se l FBI sapesse che ha svelato a sua moglie informazioni secretate. Poco importa che io sia un medico legale che ha competenza su casi federali e che aveva un senso

18 consultarmi. L FBI mi chiede spesso consulenze, ma in questo caso non l ha fatto. Il capo di Benton, Ed Granby, non mi vede di buon occhio e sarebbe più che felice di gettare fango su Benton e farlo licenziare. «Uno dei cancelli non era chiuso» mi informa Marino. «I due ragazzi che hanno trovato il cadavere dicono che quando sono arrivati loro era solo accostato. Gli altri, invece, sono chiusi con catene e lucchetti in maniera che fuori orario non entri nessuno. Chi ha portato lì il corpo, dunque, sapeva che quel cancello era aperto, oppure aveva la chiave o ha usato un tronchese.» «Il corpo è stato messo deliberatamente in quella posizione.» Ho la testa pesante, l eco di un emicrania cronica. «Supina, gambe unite, dritte, un braccio sul ventre, l altro teso e con il polso piegato. Sembra una ballerina, o una dama d altri tempi che ha un mancamento e chiede i sali. Non c è niente fuori posto, il lenzuolo è sistemato con cura... In realtà non sono nemmeno sicura che sia un lenzuolo.» Ingrandisco il particolare più che posso senza che l immagine si sgrani. «Un telo bianco, comunque. È una posizione simbolica, rituale.» Ne sono sicurissima, e la stretta che provo allo stomaco è paura. E se fosse la stessa mano? E se l assassino fosse arrivato qui? Mi dico che ho in mente i casi di Washington perché se ne sta occupando Benton, in trasferta proprio per questo motivo. E poi non è passato molto tempo da quando mi ha fatto vedere quelle foto, i referti autoptici e degli esami di laboratorio. Un cadavere avvolto in un telo bianco, in una posizione aggraziata e pudica, non significa che l assassino sia lo stesso. Me lo dico e me lo ripeto. «Lo stronzo l ha messa così apposta» dice Marino «perché per lui ha chissà quale significato.» «Come si fa a portare lì un cadavere senza farsi vedere?» Cerco di concentrarmi sui problemi più importanti. «In un campo sportivo dentro l MIT, in mezzo a dormitori e residenze studentesche? Probabilmente chi l ha fatto conosce bene la zona. Potrebbe essere uno studente o un dipendente, uno che vive o lavora nel campus.» «Il posto dove l ha lasciata non è illuminato di notte» replica Marino. «Dietro i campi da tennis coperti. Hai presente quei palloni bianchi vicino ai campi di atletica? Ti vengo a prendere tra mezz ora, quaranta minuti. Sono davanti allo Psi Bar. È chiuso, ovviamente. Non c è nessuno e le luci sono tutte spente. Ma faccio un giro per vedere dove può essere andata a parlare al telefono. Poi vengo a casa tua.» «Sei solo, immagino.» «Affermativo.» «Sta attento, mi raccomando.» Seduta sul letto, sfoglio i dossier nella camera padronale della nostra casa d epoca, costruita nel diciottesimo secolo da un noto trascendentalista. Comincio con il suicidio a cui accennava Marino. Tre giorni fa, domenica 16 dicembre, Sakura Yamagata, ventisei anni, si è lanciata dal tetto del palazzo di diciannove piani in cui abitava, a Cambridge. La causa della morte è quella che mi aspettavo, date le circostanze: traumi contusivi multipli, lacerazioni a cuore, fegato, milza e polmoni, cervello avulso dalla scatola cranica. Fratture estese a volto, coste, braccia, gambe e bacino. Guardo le foto venti per venticinque scattate prima della rimozione del cadavere, in cui si vedono persone scioccate, molte in tenuta da palestra, infreddolite, e un distinto signore con i capelli grigi, in

19 giacca e cravatta, con l aria sconfitta e sconcertata. In una foto, l uomo è accanto a Marino, che indica e parla. In un altra, è accucciato vicino al cadavere e piega la testa di lato, con la stessa espressione sconfitta e scioccata sul volto. È ovvio che conosceva Sakura Yamagata. Immagino lo spavento delle persone in palestra che, guardando fuori, hanno visto sfracellarsi il corpo. Deve aver fatto un tonfo terribile, come un pesante sacco di sabbia, come lo ha descritto un testimone in un articolo di giornale allegato al fascicolo. C erano sangue e tessuti su tutta la vetrata e denti e frammenti sparsi nel raggio di quindici metri. Testa e volto erano sfigurati, irriconoscibili. Associo le morti con simili mutilazioni alla psicosi o all effetto di droghe e, mentre sfoglio il rapporto dettagliato della polizia, penso a quanto mi fa impressione leggere il nome di Marino e il suo numero di matricola. Verbalizzante: investigatore P.R. Marino (D33). Non leggevo verbali scritti da lui da quando è andato via dalla polizia di Richmond, una decina di anni fa. Guardo il suo resoconto di quello che è successo domenica scorsa a Cambridge, in un condominio di lusso in Memorial Drive.... Intervenivo sul luogo dell incidente e interrogavo il dottor Franz Schoenberg, il quale dichiarava di esercitare la professione di psichiatra presso il proprio studio privato di Cambridge e di avere come paziente Sakura Yamagata, stilista di moda. Il giorno dell incidente, alle 15.56, la donna gli mandava un SMS comunicandogli la propria intenzione di volare fino a Parigi dal tetto del palazzo in cui era residente. Alle circa il dottor Schoenberg giungeva all abitazione della donna e veniva accompagnato sul tetto, a cui accedeva da una porta di servizio. Il dottor Schoenberg dichiara che la donna era in piedi sul cornicione, oltre la bassa ringhiera di protezione, nuda e con le braccia aperte, girata di spalle rispetto al dichiarante. Il dottore l ha chiamata una volta, dicendo: Suki, sono qui io. Andrà tutto bene. La donna non gli ha risposto, né ha dato altrimenti segno di averlo sentito e subito si è lasciata cadere in avanti, intenzionalmente, come se volesse tuffarsi ad angelo... A farle l autopsia è stato Luke Zenner, che ha mandato al laboratorio di tossicologia campioni di fluidi e tessuti: cuore, polmone, fegato, pancreas, sangue... Accarezzo il dorso sottile di Sock, le coste che si alzano e si abbassano a ogni respiro, e di colpo mi sento di nuovo stanchissima, come se parlare con Marino mi avesse succhiato tutte le energie che avevo. Faccio fatica a non riaddormentarmi, ma mi impongo di guardare di nuovo le fotografie, soffermandomi sull uomo con i capelli grigi, che sospetto sia il dottor Franz Schoenberg. Per questo la polizia lo ha lasciato avvicinare alla morta. Per questo è insieme a Marino. Non riesco a immaginare che effetto debba fare veder volar giù da un tetto un proprio paziente. Come farà a superare un simile trauma? Vaglio i pensieri che affiorano fugaci alla mia mente e mi chiedo se ho già incontrato da qualche parte lo psichiatra. Certe cose non si superano penso. Non è umanamente possibile superare certe cose... Mi torna in mente che Marino ha accennato alle droghe tagliate male o sintetiche che circolano nel Massachusetts da un annetto a questa parte. Ha nominato i sali da bagno, che sono stati causa di molti incidenti e suicidi inconsueti. Abbiamo riscontrato un preoccupante aumento di omicidi e di reati contro il patrimonio, specie nei quartieri degradati di Boston, quelli che la polizia chiama le case popolari. Spacciatori e membri delle gang affittano immobili a poco prezzo in periferia, e in breve tempo il quartiere si degrada. Penso a quello che devo fare e mi collego alla casella di posta

20 dell ufficio per scrivere al laboratorio di tossicologia di dare la priorità alle analisi di Sakura Yamagata e cercare eventuali sostanze psicoattive sintetiche. Mefedrone, metilendiossipirovalerone, anche detto MDPV, e metilone. Luke non ha pensato di estendere i test agli allucinogeni, ma io credo che vadano cercate tracce anche di LSD, metilergometrina, ergotamina... I miei pensieri vanno e vengono. Gli alcaloidi dell ergot possono causare ergotismo, una malattia nota anche come ignis sacer o fuoco di Sant Antonio, con sintomi neuroconvulsivi che si pensa possano essere stati alla base dei processi alle streghe di Salem. L intossicazione da segale cornuta provocava infatti convulsioni, spasmi, psicosi e allucinazioni. A tratti mi si annebbia la vista e mi cade la testa sul petto. Mi riscuoto sentendo la pioggia che batte sul tetto e sui vetri. Avrei dovuto dire a Marino di raccomandare agli agenti già sul posto di montare una specie di tenda con una cerata sopra il cadavere, per proteggerlo dalla pioggia, oltre che dagli sguardi dei curiosi. E per proteggere me, che non devo prendere freddo e infradiciarmi, ed è meglio che resti lontano dalle telecamere. C erano furgoni delle televisioni ovunque e abbiamo dovuto tirare tutte le tende. La moquette era marrone, intrisa di sangue scuro e secco che stava cominciando a decomporsi, si capiva dall odore, e restava appiccicato alle suole quando ci si camminava sopra. Era tantissimo e, anche se cercavo di non passarci sopra per non contaminare la scena, era impossibile. Come se non contaminare la scena servisse a qualcosa, poi. Non c è nessuno da punire e nessuna punizione sarebbe adeguata. Seduta sul letto, con i cuscini dietro la schiena, taccio e sento la collera ferma nel suo angolino buio, che guarda fuori con occhi di citrino. Ne sento la grandezza, il peso in fondo al letto. L avrà detto Marino che bisogna mettere al riparo il cadavere. La collera si sposta, pesantemente. Il volume e il ritmo dell acquazzone passano da fortissimo a pianissimo... Marino sa fare il suo mestiere. Fuga da adagio a furioso...

21 3 Dieci anni prima Richmond, Virginia La pioggia scroscia sul vialetto allagando le lastre di granito, il cielo è rabbioso e il temporale estivo scuote gli alberi della città che sto per lasciare. Taglio una striscia di nastro da imballaggio. Sono nel mio garage, sudata e un po brilla. L alcol mi rende disinibita. L investigatore Pete Marino, del dipartimento di polizia di Richmond, sta cercando di farmi ubriacare per abbassare le mie difese e vincere le mie resistenze. Forse dovrei dargliela e farla finita. Scrivo con il pennarello sugli scatoloni il nome delle varie stanze della mia casa di Richmond, quella che ho costruito con pietra e legname di recupero e che speravo fosse un sogno destinato a durare: SALOTTO, BAGNO PRINCIPALE, CAMERA DEGLI OSPITI, CUCINA, DISPENSA, LAVANDERIA, STUDIO... Lo faccio per facilitarmi le cose nella prossima casa, che non so ancora dove sarà. «Detesto i traslochi.» Chiudo un altro scatolone. La pistola nastratrice fa un rumore come di stoffa strappata. «Perché continui a cambiar casa, allora?» Marino mi corteggia con una certa aggressività e, in questo momento, lo lascio fare. «Continuo a cambiar casa, secondo te?» Rido, perché è un affermazione ridicola. «Nella stessa città, piuttosto che niente. Da un quartiere a quello vicino.» Si stringe nelle spalle, inconsapevole di quello che sta accadendo fra noi. «Non ti si tiene dietro...» «Se trasloco, è per fondate ragioni.» Parlo come un avvocato. Lo sono: ho una laurea in giurisprudenza e una in medicina. E dirigo l Istituto di medicina legale della Virginia. «Scappa, scappa più veloce che puoi.» Gli occhi rossi di Marino mi inchiodano nella sua teca emozionale. Sono una farfalla. Una Limenitis arthemis. Una Papilio glaucus. Una Actias luna. Se ti lasciassi fare, mi rovineresti le ali. Sarei un trofeo di cui ti stancheresti presto. Restiamo amici. Perché non ti basta? Chiudo un altro scatolone, confortata dall acquazzone fuori della porta aperta del mio garage. Vento forte, cento per cento di umidità, afa: sembra di essere in un bagno turco. O in un grembo materno. Un corpo caldo che mi avvolge, scambio di fluidi tiepidi sulla pelle e nel profondo di recessi solitari. Ho bisogno di lasciarmi abbracciare da calore e umidità, di sentirmeli addosso come i miei vestiti umidi, mentre Marino mi osserva dalla sedia pieghevole su cui è seduto, pantaloni della tuta tagliati al ginocchio e camicia senza maniche, faccia rubizza per l eccitazione, la fregola e la

22 birra. Mi chiedo chi sarà il prossimo investigatore di polizia prepotente con cui dovrò rapportarmi. Non ho voglia di scontrarmi con qualcun altro. Dovrò educarlo, imparare a rispettarlo e a detestarlo, a stufarmi di lui e sentire la sua mancanza, e ad affezionarmici, in un modo o nell altro. Mi dico che potrebbe anche essere una donna. Una poliziotta grintosa, che darà per scontato di essere pappa e ciccia con la nuova direttrice dell Istituto di medicina legale, che darà per scontate un sacco di cose. Me la immagino simile a un lupo, sempre presente sulle scene del crimine e durante le autopsie, che piomba nel mio ufficio a bordo di un pick-up o in moto, come Marino. Abbronzata, piena di tatuaggi, con giubbetti di jeans senza maniche e bandana, pronta a sbranarmi. Sono irrazionale e ingiusta, prevenuta e ignorante. Lucy non è competitiva e prepotente con le donne che desidera. Non porta la bandana e non ha tatuaggi. Non è affatto così. Non ha bisogno di fare la predatrice per ottenere quello che vuole. Non sopporto questi pensieri ossessivi e invadenti. Che cosa è successo? Il dolore mi attanaglia gli organi cavi nel ventre e nel petto, mi toglie il respiro. È troppo quello che sto lasciando, e non parlo della casa, di Richmond o della Virginia. Benton non c è più, è morto cinque anni fa. Lo hanno ammazzato. Ma finché resterò qui sentirò la sua presenza in queste stanze, lungo queste strade, nell afa opprimente dell estate e nel gelo dell inverno, come se vegliasse su di me, sapesse che sono qui, conoscesse ogni più piccolo particolare della mia vita. Lo sento nella brezza e nei profumi, percepisco la sua presenza nelle ombre scure come il mio umore, in una voce dentro di me che mi dice che non è morto per davvero, che sta per tornare. Che sto vivendo un incubo da cui mi sveglierò. E allora lo troverò lì, accanto a me, i suoi occhi nocciola nei miei, le sue lunghe dita affusolate sulla mia pelle. Sentirò il suo calore, le linee perfette di muscoli e ossa, che riconoscerò non appena lui mi abbraccerà. E allora mi sentirò più viva che mai. A quel punto non dovrò più trasferirmi altrove, verso un altra esistenza sfiorita, dove avvizzirò centimetro dopo centimetro, cellula dopo cellula. Penso ai boschi oltre la mia proprietà, al canale e alla ferrovia. Al di là del terrapieno scorre il fiume James, in una zona senza tempo della città alle spalle di Lockgreen, un enclave di villette appena costruite in cui abitano individui danarosi e amanti di privacy e sicurezza. Vicini che non incontro praticamente mai. Privilegiati che non mi fanno domande sulle tragedie che approdano sui miei tavoli di acciaio inossidabile. Sono un italiana di Miami, una di fuori. La vecchia guardia del West End di Richmond non sa come etichettarmi. Non mi salutano con la mano, non si fermano a scambiare due chiacchiere e guardano la mia casa come se fosse abitata dai fantasmi. Ho camminato per le strade da sola, oltre il bosco, lungo il canale e i binari arrugginiti, dove il fiume è poco profondo e scorre fra i massi, immaginando la Guerra di secessione e, prima ancora, la colonia più a valle, a Jamestown, il primo insediamento inglese. Circondata dalla morte, ho trovato conforto in un passato che filtra nel presente, in principi imperituri, perché credo che tutto accada per un motivo e uno scopo e che alla fine il bene trionfi. Come mai allora sono a questo punto? Appiccico una striscia di nastro adesivo su un cartone e sento la morte di Benton, alito di vento umido sul collo. Ho un vuoto incolmabile dentro, con cui non riesco a convivere. La pioggia mi consola perché fa rumore. «Ti viene da piangere?» Marino mi guarda con attenzione. «Piangi? Perché?»

23 «È il sudore che mi fa lacrimare gli occhi. Fa un caldo bestiale qua dentro.» «Potresti chiudere il portellone e accendere il condizionatore.» «Mi piace sentire la pioggia.» «Come mai?» «Non la sentirò più così come adesso.» «Gesù! La pioggia è sempre pioggia.» Guarda fuori, come se la pioggia potesse essere diversa dal solito, di un tipo mai visto prima. Aggrotta la fronte come fa sempre quando riflette e si morde il labbro, passandosi la mano sul mento. È grande e grosso, rude, e trasuda aggressività. Non doveva essere un brutto uomo, ma vizi e disgrazie hanno avuto la meglio su di lui: ha i capelli ingrigiti e un riporto che non ammetterebbe mai di avere, così come non ammette di perdere i capelli. Quasi un metro e novanta, ossatura grossa, spalle larghe, ha le gambe e le braccia dell ex pugile che non ha bisogno di armi per uccidere. «Non so proprio perché ti sei offerta tu di dare le dimissioni.» Mi guarda senza batter ciglio. «Per poi restare quasi un anno in attesa che quei cretini trovassero qualcuno che ti sostituisse. Hai fatto una fesseria, secondo me: non avresti dovuto spianare la strada a quei bastardi. Avresti dovuto mandarli a cagare.» «Mi hanno licenziato, Marino. Guardiamo in faccia la realtà. Se metti in imbarazzo il governatore, poi cosa fai? Te ne vai, no?» Sono più calma adesso. Recito una parte imparata a memoria. «Non era la prima volta che facevi incavolare il governatore.» «E probabilmente non sarà l ultima.» «Perché non sai dire basta, a un certo punto.» «Mi sembra di aver appena dimostrato il contrario.» Marino osserva ogni mio movimento come se fossi una persona sospetta che potrebbe sparargli da un momento all altro. Io, nel frattempo, continuo a scrivere sugli scatoloni SCARPETTA, poi la data di oggi e la destinazione: ARMADIO PRINCIPALE. Vado a stare in una casa in affitto in Florida, dove non ho nessuna voglia di trasferirmi perché mi sembra una sconfitta apocalittica tornare nella terra dove sono nata. Vivo il ritorno al paese natio come il peggiore dei fallimenti, la prova che non sono stata capace di migliorare il mio status, di essere migliore di mia madre, che pensa soltanto a se stessa, e di mia sorella Dorothy, narcisista mangiauomini che ha trascurato in maniera criminale la sua unica figlia, Lucy. «Qual è il posto dove sei stata per più tempo, nella tua vita?» Marino continua a interrogarmi senza requie, azzardandosi a entrare in luoghi a cui non l ho mai lasciato neanche avvicinare. Si sente in diritto di farlo ed è colpa mia, che ho bevuto birra con lui, che gli ho detto addio in un modo che sembrava un ti prego, non mi lasciare. Si accorge di quello che mi sta passando per la testa. Se cedo, forse per te non sarà più così importante. «A Miami, penso» rispondo. «Ci sono stata finché non sono partita per la Cornell, a sedici anni.» «All università a sedici anni. Siete proprio dei piccoli geni tu e Lucy, eh? Fatte della stessa pasta.» Mi tiene addosso gli occhi arrossati, senza provare nemmeno a dissimulare le sue intenzioni. «Io sono sedici anni che sto a Richmond. E ho voglia di andarmene.» Chiudo l ennesimo scatolone, questo con la scritta RISERVATO perché contiene referti autoptici, dossier, segreti che devo conservare. Marino mi spoglia con il pensiero. O forse mi sta soltanto

24 tenendo d occhio perché teme che sia un po matta, che quello che è successo alla mia carriera stellare mi abbia reso un po squilibrata. La dottoressa Kay Scarpetta, prima donna a dirigere l Istituto di medicina legale della Virginia, è stata anche la prima a venire invitata a lasciare la sua posizione... Se lo sento dire ancora una volta in qualche altro telegiornale... «Mollo anch io la polizia» dice Marino. Non faccio la faccia sorpresa. Non reagisco e basta. «Sai perché lo faccio, vero? Te lo aspettavi. È quello che vuoi, no? Perché piangi? Non dirmi che è sudore perché non ci credo. Cosa ti prende, eh? Se non me ne andassi dal dipartimento e da Richmond insieme a te, ti dispiacerebbe: ammettilo. Dài, non fare così.» È dolce, premuroso: mi sta fraintendendo come al solito. Ma il suo tono affettuoso ha un effetto pericolosamente consolatorio su di me. «Non ti libererai di Pete Marino.» È vero, ma non mi piace il modo in cui lo dice, e continuiamo a parlare due lingue diverse. Prende due sigarette dal pacchetto e si alza per porgermene una. Mi sfiora con il braccio nel farmi accendere. Poi sposta l accendino e mi accarezza con il dorso della mano. Io non mi muovo. Aspiro una boccata di fumo. «E io che volevo smettere...» Parlo del fumo. Non mi riferivo a Marino, al fatto che vuole licenziarsi per seguire me. Lo farà comunque, indipendentemente da quello che dico io, e non occorre essere dei veggenti per sapere come andrà a finire. Nel giro di poco tempo si deprimerà, si arrabbierà con me, dirà che l ho castrato. Sarà frustrato, geloso, scompenserà. E un giorno si vendicherà, facendomi del male. Tutto ha un prezzo, nella vita. Di nuovo il rumore della pistola nastratrice, quando strappo lo scotch che mi serve per chiudere un altro cartone. Ormai sono circondata da muri di scatoloni bianchi, che puzzano di chiuso e di polvere. «Ho sempre desiderato vivere in Florida. Andrò a pescare, farò dei bei giri sulla mia Harley. Niente più neve, finalmente. Sai quanto odio l inverno.» Butta fuori il fumo e torna a sedersi, appoggiandosi allo schienale. Il suo odore, forte, intenso, se ne va con lui. «Non mi mancherà per niente Richmond.» Butta la cenere per terra e si infila sigarette e accendisigari nel taschino della camicia bagnata di sudore. «Se smetti di fare il poliziotto, ti deprimi.» Gli dico la verità. Ma non lo fermerò. «Non è solo il tuo mestiere, è la tua identità» aggiungo. Sono sincera. «Tu hai bisogno di arrestare i cattivi, di sfondare porte a calci, minacciare castighi e arrivare fino in fondo. Di portare i delinquenti in tribunale e farli sbattere in galera. È la tua raison d être, Marino. La tua ragion d essere.» «So cosa vuol dire raison d être. Non è necessario che tu me lo traduca.» «Hai bisogno di avere il potere di punire la gente. Vivi per questo.» «Merde de bull. I grossi casi che ho seguito?» Scrolla le spalle. Il rumore della pioggia cambia, più piano, più forte, fortissimo. Marino ha dietro di sé la strana luce grigia del pomeriggio di maltempo. «So scegliere da solo.» «E cos avresti scelto?» Mi siedo su uno scatolone e butto la cenere.

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