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1 DALLE TERRE DELL'UTOP I A Premessa Nell'ombra che consuma il tempo E fuori, un rigno di gallo Interludio laico Verrà il melograno e un seme I Bassora 4 Il consumo del tempo II. E fuori, un rigno di gallo Il sogno di Claudia 13 La lugubre follia Canto della morte propria 16 Interludio laico 17 Canzone di Horph e Rudye 18 Canzone del Consiglio d'amministrazione III. III.. III.. III.. III.. III. Verrà il melograno e un seme 19 Canto della metropolitana 20

2 Errore. L'origine riferimento non è stata trovata. Se accade che un agitatore s'aggiri tra le pieghe d'un racconto, pensiamo che non sia necessario affannarsi più che tanto per identificarlo e affibbiargli un nome. Diverso è il caso, quando egli stia percorrendo, come si suol dire: in carne ed ossa, sentieri di paesi di per sé turbolenti, territori ribelli e città sediziose. D'altronde egli è certo ben noto agli organi preposti al controllo dell'identità dei sospetti e, comunque, noi stessi, sebbene non s'intenda farne esplicita menzione, abbiamo indizi sufficienti per individuarlo: per esempio, l'esistenza d'un procuratore dell'esercito imperiale di Roma, la sorte d'un misero uomo di Kiriat. E così come non ha importanza chi egli di fatto sia, assai poco rilievo assume anche il tempo e il luogo, teatro delle sue non riprovevoli imprese, si tratti di Urushalim, come la chiamano alcuni popoli del deserto, o Jerushalajim, secondo la pronuncia di genti più evolute, sia che spirino venti che non battono dal deserto o che soffi il khama sin delle sabbie: potrebbe trattarsi, in definitiva, di qualunque altro vento e di qualunque altra terra, specialmente fra quelle più oppresse. E allora altri uomini incontreremmo vicino ad un pozzo o dentro una metropolitana, pronti a pronunciare inusitate parole. E' un sobillatore e con sé porta un'utopia. Di essa sentiremo parlare. Come delfini dagli abissi del mare, risaliremo alla superficie del tempo, dove visibili sono i macchinari della storia. La minaccia e la morte non saranno per questo meno incombenti o più lontane. Ma la partita è di proporzioni ben più grandi; ciò nonostante, la preziosità del tempo dell'utopia non verrà percepita: quel tempo sarà consumato in

3 vano. Anche nel proscenio che a noi appare piuttosto come il profondo della storia, come un periodo che non si ricorda più chiaramente, quell'attimo apparve privo d'importanza e sfuggì alla coscienza. E dietro le quinte, dove si può ancora riferire delle sofferenze e delle tetre riflessioni di un procuratore di Roma, proprio come spesso sui prosceni, si preparerà il tradimento, che è "consegna dell'uomo", inganno per denaro, venir meno dell'amore. I.. 1 Intorpidita, raccolta nei cespugli di gelsomino, un sole obliquo che rade i contorni e dissopisce sul segno rosato le immagini dei ricordi l'alito del deserto sulla casa la sua febbre Urushalim! il popolo delle dune che s'avvicina e carovane portano annunci lontano polveroso fremito che passa con un alito di rose, un sinedrio ripiega in manti di turbamento 2 Quanta strada l'inverno ci colse nel deserto raccolti nei caftani sotto una diafana luna smisurata che ordiva sulle forre

4 giochi d'ombre, idiomi egizi e ricordi abbrancati alle nostre spalle; sognammo primavere coi colori del tamarisco, disfatte nel profumo del gelsomino. Pasqua tenera e crudele di presentimenti rendi la voce che soffoca in un singhiozzo di sgomento sugli habri e su hebri dovrà salire la parola su quel popolo che s'assiepa fra contrade prive del giorno, ascosa terra oltre i suoli di Dio 3 BASSORA Artigliano cinghie d'acciaio accecano, lampi d'un sole radente sui tumuli rosa verso est, carichi di tecnologia. Stendardi colorati vessilli classificatori esadecimali contro il furore di Allah. 4 IL CONSUMO DEL TEMPO Ostentazioni stravaganti mosse studiate eleganti sapienti dita da pianisti occhi ombrosi seguono pensosi irrimediabili percorsi in attese sicure d'effetti stupefacenti; da coni d'ombra affiorano biglie con bagliori improvvisi

5 su rettangoli verdi rassicuranti falene dove sfolgorano luci sfavillano vetrine e spengono smorfie di malumore fra barbagli di mercanzie scrosci di pioggia fermano l'incanto ombrelli iridati arcobaleni affiorano da chiazze oleose. Schiarite versano colate di luce e impallidiscono scintille, elettriche nella sera ai bar s'affrettano, raccolti sui lunghi bicchieri consumano con gesti artificiali colorati aperitivi (crepitano carte stagnole come fremiti d'impazienza) Abili alla cavezza trattengono lucide kavasaki balzano in sella alle loro imposture cavalcano in un lampo vanaglorie di teppisti senza importanza. 5 Mattino che sfolgora nel vento insegne eliomorfe e labari tesi, lingue e orifiamme sui pennoni vibranti. Segnali marziali rauchi scoppi di comandi, smagliante un mattino che taglia il respiro, tra vortici di folla rutilante sfarzo militare e Cesarea spalancata sul mare,

6 porta, tallone dei Cesari. Urushalim! voci corrono corre un nome nel tuono che squarcia un limpido mattino (più intensa la luce!) e profezie predicono rovina. Primavere l'han visto implacabile nel sacro recinto nel gesto d'alzare la mano a fermare il tempo, lo sguardo che ora si piega sull'uomo di Kiriat, fissità di pietra. 6 Insofferenza la vampa che fiacca e dissolve in barbagli lontani zampilli di fontane. Consuma il riverbero vibranti miraggi di statue. Impietrisce il solleone. Equorei mosaici degradano, dissolti in lontani cerchi di desiderio (il tormento anche del cauto passo di guardia). Arretrano le voci in un recesso lontano della memoria e pulsa un occhio enfio di sangue: terra infìda l'altra faccia coltivi dell'anima oscuro crocevia di religioni. Dov'è l'atenaica ragione solare dallo sguardo immobile, dove il pragma romano?

7 7 Si spegne un giorno sui monti del Moab chiari alla ultima luce al di là del Mare morto oltre la città del sale, affonda il sole dietro monti oscuri di Giudea nei cipressi e negli olivi. Alta nei pergolati città sopra la valle dei cedri, scivola sul raggio di luna una lama E sale ancora la notte lungo le mura notte che scende in orfici arbitri. Stretti nei mantelli, escono gli uomini delle tende, calata la fascia sulle fronti assassine. Cani ricurvi e lontano un fragore di risacca. Si rifrange il silenzio 8 E' ora d'andare ai resti d'un antico frantoio adagiare il corpo ranicchiato nella miseria tace un sobillatore nei poderi all'ombra del pozzo

8 9 Geme la corda sul pozzo nel profondo regno delle immagini si perde specchio di arcane lune e dei freddi desideri che ripiegano in impossibili abbracci. Oscilla: meditabonda disapprovazione, dove ordisce l'intrigo ove si dà la fine ingiusta nell'ombra che consuma il tempo in fatui giochi di dame e di dadi (un volo di gru dal collo disperatamente teso indietro lascia come naufragi segni di violenta morte) Un sobillatore che ha parole capaci di cambiare il mondo e non maneggia intrighi sottili e sangue per conservare palazzi e poteri che si disfano, deve sempre pagare di quelle parole ogni lettera con una goccia di paura, indifferenti i più alla sua morte, ognuno chiuso nel suo misero quotidiano, anche se, occorre dirlo, a volte e nel profondo, uno stesso desiderio accomuna esseri distanti e diversi e li spinge a desiderare la vicinanza di chi semina quelle parole, già cariche di pesanti frutti. C'è speranza che questo accada ad altri? A tutti gli altri? Qui possiamo riferire soltanto di un sogno, che porta sollievo dove l'inquietudine scava molto a fondo, ma non serve a sventare la sterminata morte. Ancora una volta accade, invece, come poi tante volte ancora, che un nome venga usato per giustificare delitti segnati dai mistici antichi rituali del capro espiatorio. E un procuratore, in seguito a questi eventi, ancor più strettamente si stringe al ricordo di lontane terre, vicine alla sua raffinata cultura. Chi tradisce e tesse trame non regge il tremendo peso e siamo costretti a udire quel ch'è stato chiamato, per abbellirne un po' l'orrore, il Canto della morte propria. Parole cominciano a volare lontano quando un sobillatore cade e la grande nostalgia della vita

9 passa fugace nei suoi stanchi occhi. II. E fuori, un rigno di gallo 10 Palazzi cinerei di dominio e dell'arbitrio livida lampada delle attese e sciatte impronte di noia nel ticchettio indolente di macchina per scrivere. Disinteresse pigro trasmuta le cose in immagini viscose. Fetido alita sul verbale stentato un notturno concilio d'aguzzini, parti inventariare frammenti d'un delitto terree grinte ghigni spenti ceffi che non conoscono sorriso. E fuori, un rigno di gallo rauco nunzio maligno in un lentissimo sbatter d'ali ultimo ringhio della notte, prima dell'alba. Allora scendi in pozzi d'ombre dove non specchia l'acqua 11 sbiancando in volto agli orrendi ferri ribelle giusto come un giglio al duro sgabello del dolore.

10 Scendi la via di Davide attraversi il Kisto volti verso oriente le braccia alzate recitano il She'ma. 12 IL SOGNO DI CLAUDIA Nel lampo d'un sogno che spazia lontano curva ad incantesimi d'alchimie occulte tra bronzee croci e indifferenti madonne copte Claudia, le labbra sbiancate, dispera di fermare la sterminata morte insostenibile simbolo d'ogni altra croce il braccio sulla fronte aggrappata al sogno sprofonda 13 LA LUGUBRE FOLLIA Karabàs dal nome sacro coi segni d'un altro destino lugubre follia il gesto alto che da Caligola sale sullo splendore d'alessandria memoria della cultura ad immolare l'oscuro re fantoccio (1) nel tempo d'un altro si rinnova il rito col segno fenicio della morte per schiavi ferale insania ritorna

11 in un basso gioco di nomi l'ombra dai sentieri angusti del ricordo scivola e sulle case sparisce il sole (1) Erode Agrippa Secondo 14 Scivola il sole fra bianchi spruzzi del gelsomino un'iride fosca lambisce e porta improvviso il ricordo lontano: diletta Siviglia patio degli ozi dalle mille fontane gutturale voce di beduino e sudari bianchi di smania lasciano onde ostinate un luogo, un attimo stagnante basileus! rex! melèch! sia scritto ed urlato torme sotto antiche porte fino al ruscello, che scendono gradinate scoscese nel silenzio del tardo mattino. Implacabile quiete, assai lontana la sera 15 CANTO DELLA MORTE PROPRIA E una luna interroga cespugli d'ombra

12 col suo inerte raggio, tra scomposti olivi dai tragici gesti, dietro fichi osceni carichi di sciagura altra notte scende da antri d'ansia sulla pupilla inquieta e scava dalle ombre della memoria al barlume astrale Perché inganni ordire con profumo di nardo a chi ti bacia e con lieve dito lenisce ancestrali stimme Desiderio dell'ora ormai lontana il rimpianto s'è fermato. Una fitta è il ricordo spina di rovi rotolata nel vento tarlo che morde nell'odoroso benformato legno. Pesa il rimorso come anni d'una vita sperperata. Prigioniero di malinconia un uomo di Kiriat catturato dal ricordo, lo sguardo sospeso (come in attesa) obliquamente tempo per sempre impigliato riaffiora dall'orto della memoria quanto faticoso! un ombroso sentiero fra viti dal grappolo pesante violaceo cerchio che scorta un frettoloso passo e nuvole fuggitive abbuiano (macchie traversanti nell'occhio assente)

13 sotto un albero di fico scivola la luce dell'alba sul viso, pietosamente schiarisce un livido segno. 16 Il tormento grava piega di piombo a sollevare il volto. S'estende l'orizzonte sulla battuta terra scivola l'iride, risale al pozzo allo stormo di ragazze a quel'alito teso trasale (una mano che stringe la tempia, fragranza dolce che s'indovina) Scendiamo alle origini del nostro ricordo, così profondamente da toccare la terra dei miti e approdare in luoghi che stanno al di là del nostro teatrino del tempo. Da laggiù si vede immagine fra le più belle e difficile a comprendere che Dio muore dove la necessità regna e che necessaria è la Sua morte, perché è l'esempio che spalanca terre d'utopia. Dio: mito ed utopia che si fanno storia, dove perfino il male semina, sebbene la stoltezza dell'uomo tolga capacità d'apprendere dal passato. Ma per quanto indietro si torni, ricordo e mito resistono all'oblio e all'usura; speranze e desideri fanno fronte allo sconforto e alle sazie abitudini che abitano le colline del quotidiano. Ancora una volta si ripete qui un basso gioco dei nomi e, dietro le quinte, un altro Bar a bàs viene sacrificato e altri agitatori raccolgono antiche parole. Interludio laico

14 17 CANZONE DI HORPH E RUDYE amabile affonda nei suoi cuscini Pepsy Phoebe pop corn insaziabile. Noia sospesa fra le ciglia un fremito che vibra sulle spalle. La chitarra lambisce dalle nove corde, blandisce, la sua parola s'insinua il bel tenebroso Horph the Dark the rocker's star. Corteggio di morfinomani scorta d'assassini il coro riverente dei lenoni, Horst l'affianca lo stupratore (assai capace goffo altrimenti e pur maldestro). Di Rudye la dolce nuotatrice s'un bordo di piscina ha già abusato. E' giunto Horph a prender Rudye e senza speranza lotta: non c'è più tempo per risalire i giorni; evanescenti lumi ubriacanti trasmutano ai suoni. Pepsy Phoebe ora a Horph concede che torni Rudye a casa, puoi farlo, ma attento alla tua chitarra foriera di morte epilettica. Ma non può fermare Horph la sua chitarra

15 e suona si ferma Sisyp the barman da forze oscure incatenato non beve Thornton the boozer il liquido sull'orlo pietrificato e cade Rudye ancora in mortale svenimento (PRIMO CORETTO: TEOLOGICO) dio che muori e soffri più dell'uomo resurrezione non ha chi muore per mano d'uomo (e la tua rinnova) 18 CANZONE DEL CONSIGLIO D'AMMINISTRAZIONE Araldica di cravatte e giachi grigio fumo è schierato il consiglio d'amministrazione. Trincee di carte scritture e atti allegati, tutti contro tutti stretti ai cuoi pesanti delle cartelle. Stilografiche d'oro strepitano, impennate, nell'imminenza dello scontro. Intestazioni potenti come mortai battono sul libero mercato. Si snocciolano le voci dell'ordine del giorno crepitano cifre ordita è la fine d'un re improvvisato. Sir Bar a bàs era re del caffè che ora va in fumo senza un aroma come profumo: nudo fantoccio, un capro alla Bancarotta immolato.

16 Corruzione decide, l'urto decisivo avviene lontano: "operazioni", han nome, nel tempio della Borsa e basta comprare (per poi rivendere) le azioni quotate e la terra è tolta da sotto i piedi (SECONDO CORETTO: MORAL POLITICO) Nelle terre lontane dell'utopia un seme ho potuto vedere già nel segno del Capricorno. Il chicco giace sotto la terra nelle piane remote dell'illusione (s'attenua il ricordo e frinisce soltanto una cicala) Il pozzo è immagine di delitto e suicidio: figura di morte; a volte un tunnel, che unisce proscenio e quinte del tempo, come qui accade, in questo accorato Canto della metropolitana, dove anche un soggetto passionale e irragionevolmente entusiasta può venire sopraffatto dalla disperazione, come accadeva in tempi più lontani, davanti alle brulle colline del quotidiano. Ma noi siamo portati a credere che, nel momento in cui l'infinita angoscia prende possesso dell'ultimo istante, di quel lunghissimo tempo che è di bilanci e di riscontri, il ricordo di quell'uomo si sia fermato invece sul suo presagio: una predizione, o presentimento o semplice augurio, per tempi di grande sconforto, di nuove fioriture di speranza; nel crederlo siamo avvalorati da questo: che, nel mezzo d'una straordinaria tempesta d'acqua e vento, sopraggiunta la sua fine, mentre gli uccelli erano in fuga dal cielo, quella figura, la pallida sembianza della speranza, rimase. Come pur doveva accadere, riaffioriamo di nuovo alla fine sullo specchio del tempo. Nulla invero troviamo di cambiato, ma forse la speranza è ultima a morire.

17 III.. III.. III.. III.. III.. III. Verrà il melograno e un seme 19 CANTO DELLA METROPOLITANA S'inoltra il métro nel pozzo tra lampi di rotaie e sussulti di danze allucinate. Scoppi d'allegria, fasci di luce piombano e ruotano come sogghigni, sberleffi che s'allontanano forsennatamente: velocità di lampade, comete strappate nel buio. Traballa la moltitudine del viaggio assorta e smemorata vociante nel baccano: città d'emigrazioni senza arrivi un traino di bisogni, corre sotto leggi di selezione naturale fisso all'assioma malthusiano bambini precoci imparano la vita e belve che si coricano sul fianco a morire l'uomo dagli occhi spenti i capelli nel vento dei rimpianti, avanti le mani, a frugare speranze Palazzo città senza uscite, sotterraneo labirinto di geometrie

18 (le regole dei siri) e astronomie di cavità senza spiragli. Un minotauro s'aggira nutrito del tributo imposto dal simbolo lunare. Desideri di luce sprofondano in acque d'oblio dove naufragare con un nibbio nello sguardo è un ritorno e pace senza destino. Tutto cancella baccano e crono, costellazione del drago. In terre di follia non c'è donna che uccida e salvi città. Sfrontate ragazze ridono, ora la lingua sulle labbra e una mano sul pube. Non suona la siringa flautata della vergine guerriera una scimmia sulla spalla nello scrigno lo scorpione il serpente al guinzaglio dentro il sogno vado senza illusioni e suono siringhe di veleni 20 Brulla collina dai bagliori obliqui nel ronzio d'insetti grondano i volti nelle clamidi evapora madore. Alzato il braccio exactor mortis arabi e afri dal gesto smodato e molle il Nilo dai suoni gutturali greci e asi lontani oltre le porte di Jerushalajim un'orda s'avvia verso il tramonto e prendono il volo

19 avvoltoi. 21 Pende sulle croci l'agonia nell'ora sesta e ruba l'ultimo soffio di tempo. Offuscato lo sguardo indugia all'orizzonte Qui io sono. Non mi volto da chi attende ancora, rivolto indietro proteso il volto a guardare sbigottito il colpo che l'abbatte. Qui sono, a confutare con dissimulate forze, non più parole. In fondo al mio sentiero un presagio ho lasciato sconforto verra nel buio di sogni di parole sole e ancora il sonno della ragione, l'infelicità del tempo e chi non sopporta il sole. Dal pozzo affiora la felce alligna gelsomino di speranza torna nuova stagione a dare un'ala sulle terre della disperazione 22 (Concertato) Gravano silenzi segnati dall'immenso respiro sopra un colle, assetato contro il cielo e s'oscura sulle ore dell'agonia

20 Non sanno... bisbiglio perduto nell'alito nero che s'alza e striscia mulinando una serpe di sabbia (il buio che avanza dal khama sin) Ecco tuo figlio... le insane ebbre parole dal senso smarrito in un sibilo di polvere! Convulse dita di dune s'eclissa il monte il giorno è spento sulle radure del supplizio Eloi, eloi... un urlo strozzato nel rombo dell'uragano 23 Venne prima il vento, una lunga mano scarna, diafano strappo improvviso sulla lacera terra. S'alzò l'onda sabbiosa, cavo ventre di polvere che ingoia l'orizzonte, e s'impresse la paura nell'iride. Prese l'occhio sgomento a salire s'impietrì in un punto, nel nero portento che s'espande in cerchio e rovina in basso. Grigia si strinse la luce in un tumulo crepuscolare, occhio malvagio di tempesta. Scalfitture velenose di elettrico viola, gialle strie di perfidia, feritoie sottili il tuono eruttarono, lungo, sordo nel fondo del cielo. Saette aprirono crepe nell'aria, occhi divini senza pietà.

21 Piccoli uccelli fuggiaschi dal cielo, bassi i grandi, in fuga verso l'alto, solo, smisurato prese il nibbio a roteare tracciando segni per scomparire dentro la belva. E venne allora l'acqua, ribollente palude con un brivido di serpe Nuvole sfioccano bianche come spari di contraerea gonfio il sole oltre Giaffa nel mare che freme di scintille (esultanza trasparente di caleidoscopi e rosari di rubino) Gerusalemme! Un flauto davanti agli altari muoiono utopie. Serrati dai secoli sordi profili di mercanti habri si mescolano ad hebri. Predicatori fermati al tempio nascono utopie punta la vedetta cannoni alla striscia di Gaza 25 A oriente sale la costellazione della Vergine, madre di nascita e morte. Verrà il melograno e un seme che attraverserà la caduta del sole.

22 Tempo di dissoluzione, punta sagittario l'arco alle stelle

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