L evoluzione dei diritti degli individui nel XX secolo

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1 IL NASCENTE DIRITTO DI INGERENZA UMANITARIA ALLA LUCE DEI CONFLITTI PIÙ RECENTI TEN. COL. MARIO TARANTINO L evoluzione dei diritti degli individui nel XX secolo Come noto, secondo l insegnamento tradizionale, i principali soggetti di diritto internazionale sono gli Stati. In quest ordine di idee non godrebbero di personalità internazionale né gli individui in quanto tali, né le associazioni di individui. Nel diritto internazionale classico (1), peraltro, gli individui in quanto tali non appaiono di regola nemmeno come i materiali beneficiari di norme internazionali intese a proteggerne gli interessi. La libertà degli Stati incontrava dei limiti, essenzialmente per quanto riguardava il trattamento degli stranieri. (1) Per diritto internazionale classico intendiamo il diritto internazionale esistente in epoca anteriore alla prima guerra mondiale. Tale nozione dovrebbe contrapporsi a quella di diritto internazionale contemporaneo, che si sarebbe affermato dopo la seconda guerra mondiale. Si veda in proposito G. Napoletano, Violenza e trattati nel diritto internazionale, Milano 1977, p

2 La situazione appare tendenzialmente diversa nel diritto internazionale contemporaneo e la prima autorevole testimonianza, in questo senso, è offerta dallo Statuto delle Nazioni Unite (entrato in vigore il 24 ottobre del 1945). Nel secondo capoverso dello Statuto, infatti, si afferma la fede nei diritti fondamentali dell uomo e nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne. Analogamente, l art. 1 par. 3 della Carta sottolinea nuovamente, fra i fini delle Nazioni Unite, quello di conseguire la cooperazione internazionale... nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell uomo. Questi programmi hanno trovato parziale esecuzione attraverso la Dichiarazione universale dei diritti dell uomo, approvata dall Assemblea Generale il 10 dicembre 1948, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali ed il Patto internazionale sui diritti civili e politici. Sul piano regionale, infine, è necessario ricordare l importante Convenzione europea sui diritti umani. Pertanto, il diritto internazionale si è evoluto, modificando la situazione esistente in epoca anteriore alla prima guerra mondiale, col riconoscere gli individui, tutti gli individui, degni di tutela. È evidente che non sono soltanto gli interessi materiali degli Stati ad apparire degni di tutela, bensì anche quelli degli individui in quanto tali. A loro volta gli Stati, che hanno ratificato i trattati internazionali, sono destinatari degli obblighi previsti dai relativi accordi, anche se bisogna riconoscere che questo obbligo non è contemplato dallo Statuto delle Nazioni Unite. Nello Statuto delle Nazioni Unite vengono presi ripetutamente in considerazione anche gli interessi materiali di una terza entità, che si distingue dagli Stati e dagli individui: i popoli. Le Nazioni Unite, infatti, sono state create per:... salvare le future generazioni dal flagello della guerra, riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell uomo, promuovere il progresso sociale.... Il Preambolo indica come titolari di queste esigenze non gli Stati, ma i popoli. Anzi, il soddisfacimento di queste esigenze, ad opera dei popoli, si pone come presupposto primo della successiva stipulazione dello Statuto. Al tempo stesso, il Preambolo individua chiaramente nei Governi (e cioè negli Stati) i destinatari delle relative norme. Nell ambito dello Statuto, un particolare rilievo è attribuito agli interessi e ai diritti di quei popoli che si trovano in stato di subalternanza rispetto ad uno Stato membro delle Nazioni Unite. La norma parla di territori la cui popolazione non abbia ancora raggiunto una piena autonomia. È evidente il riferimento ai Paesi i quali, nel corso della storia, sono stati soggetti alla dominazione coloniale che, nella generalità dei casi, è sfociata ineluttabilmente nella concessione di una piena autonomia (2). Nonostante tale processo sia concepito dalla stessa norma come graduale e diluito nel tempo, bisogna comprendere che, nel 1945, esistevano ancora vasti imperi coloniali, che non sarebbe stato possibile smantellare in breve tempo senza mettere in pericolo la pace. Ed è chiaro che la conservazione della pace è l obiettivo predominante dello Statuto (3). Analogamente, il principio dell autodeterminazione dei popoli deve essere inquadrato nella medesima ottica, ovvero subordinato al principio della conservazione della pace e della sicurezza internazionale. Il diritto dell autodeterminazione I diritti dei popoli nello statuto delle Nazioni Unite Da quanto precede, si può dedurre la ragionevole supposizione che nel diritto internazionale generale siano accolte delle norme giuridiche che tutelano gli interessi di questi popoli, entità prive di personalità giuridica, che si distinguono tanto dagli individui che dagli Stati. Vediamo di esaminare quale sia la natura della tutela giuridica accordata agli interessi dei popoli (4). Sembra innanzitutto utile precisare (2) Virally, Droit international, p. 517: Le principe dominant l évolution de tout territoire non autonome est celui du droit des peuples à disposer d eux-memes. La période de non-autonomie a essentiellement pour fin de créer les conditions nécessaires à un exercice libre et coscient de ce droit. Le choix exprimé par la populations sera, normalement l indépendence (3) G. Calogeropoulos-Stratis, Le droit des peuples, p. 105: La Charte de l ONU vise un objectif principal, le mantien de la paix et la sécurité internationales... La primauté est reconnue à l obbligation du maintien de la paix et de la sécurité... Devant cet objectif majeur, les autres buts de la Charte acquièrent une importance secondaire (4) Mosconi, Diritti dei popoli, minoranze e diritti dell uomo, in Il politico, 1979, pp. 353 ss. 33

3 che in un determinato Stato possono essere presenti uno o più popoli. Né è impossibile pensare ad un popolo che sia distribuito in vari Stati. In linea generale, credo si debba partire dall idea che gli interessi di un popolo e gli interessi dello Stato, a cui questo popolo appartiene, coincidano fra loro o, perlomeno, siano interdipendenti. Pertanto, la tutela dell interesse dell uno, si riflette, tout court, su quello dell altro. Può avvenire, tuttavia, che gli interessi di un popolo siano talmente in contrasto con gli interessi dello Stato a cui il popolo stesso appartiene, che l unico modo di sanare questo conflitto è di concedere al popolo di costituirsi separatamente a Stato sovrano. È questo, in sostanza, il contenuto del diritto all autodeterminazione dei popoli, già riconosciuto dallo Statuto delle Nazioni Unite e anche da numerosi altri strumenti internazionali. Non si può dire che il diritto all autodeterminazione venga riconosciuto indiscriminatamente a tutti i popoli. E non è certo facile, allo stato attuale delle cose, definire con esattezza i limiti di applicazione di tale diritto. Tutto ciò che si può dire oggi è che il diritto all autodeterminazione, inteso come diritto ad erigersi a Stato sovrano, è stato riconosciuto senza riserve ai popoli che erano sottoposti a dominazione coloniale. Nei confronti degli altri popoli, il diritto all autodeterminazione è spesso interpretato nel senso più blando (ma anche più insidioso) di un diritto al godimento di istituzioni democratiche (il che evidentemente pone il difficile problema di stabilire esattamente quali istituzioni siano democratiche e quali non lo siano). Questo orientamento appare chiaro nella Dichiarazione universale dei diritti dei popoli, approvata ad Algeri il 1 luglio 1976 da una conferenza di uomini politici e di cultura (5). La Sezione 2^ di tale Dichiarazione è infatti intitolata Diritto all autodeterminazione politica. Vi si riscontra che, quando non si tratta di dominazione coloniale o straniera, assume i contorni di un diritto al godimento di istituzioni libere e democratiche. (5) Su tale Dichiarazione si legga l acuto studio di P. Fois, La Dichiarazione universale dei diritti dei popoli di Algeri, in La comunità internazionale, 1976, pp. 491 ss. 34

4 La sovranità: dominio riservato dello Stato L ampliamento della sfera dei diritti, dovuto soprattutto alla proliferazione delle dichiarazioni emanate da enti internazionali di rilievo, si accompagna spesso al timore di intromissioni di organi di enti internazionali, preposti alla delicatissima materia del rispetto dei diritti umani negli affari esterni degli Stati. Inoltre, malgrado le preoccupazioni degli Stati e dei Governi, bisogna riconoscere che le concezioni della sovranità e del dominio riservato dello Stato, della non-ingerenza e del non-intervento negli affari interni, sono andate modificandosi in misura, per molti versi, rilevante. In proposito, occorre ricordare che l art. 2, par. 7, dello Statuto delle Nazioni Unite ribadisce che nessuna disposizione dello Statuto medesimo può autorizzare l Organizzazione ad intervenire in questioni che appartengono eccezionalmente alla competenza interna di uno Stato ; l art. 56 dello Statuto precisa, però, che gli Stati membri si impegnano ad agire, collettivamente o singolarmente, in cooperazione con l organizzazione, per raggiungere i fini indicati all art. 55 ; il quale ultimo, tra l altro, espressamente contempla il rispetto e l osservanza universale dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione. Il rispetto dei diritti umani sembra configurare, quindi, un obbligo dello Stato membro delle Nazioni Unite non solo verso i suoi propri cittadini, ma nei confronti dell intera comunità internazionale. Malgrado ciò, non è infrequente il caso in cui uno Stato definisca come indebite intromissioni nei suoi affari interni, le esortazioni rivoltegli nelle sedi internazionali al rispetto dei diritti di questa o quella categoria di suoi cittadini. Anche se la giurisprudenza che disciplina l applicazione di misure adeguate nello specifico campo, è in costante evoluzione, occorre riconoscere, dandone il giusto peso, l ampio consenso a favore del rispetto dei diritti umani affermatosi nell opinione pubblica internazionale e le conseguenti possibilità di esercitare pressioni di vario genere nei casi più gravi. Esempi di questo genere non sono mancati prima degli anni 90, durante e continuano oggi, sempre di più, a caratterizzare la scena mondiale. Occorre considerare, tuttavia, che l attenzione dell opinione pubblica - non sempre correttamente informata dai mezzi di comunicazione di massa - tende spesso ad accentrarsi su episodi particolarmente toccanti riguardanti singoli individui, a torto o a ragione molto noti, piuttosto che su vicende che coinvolgono un maggior numero di persone, considerate meno meritevoli o meno bisognose di protezione. Si suole distinguere, al riguardo, tra gruppi minori (ai quali appartiene tipicamente la famiglia), gruppi intermedi (a base etnica, economico razziale, religiosa, linguistica, ecc.) e gruppi maggiori (nazioni, popoli, Stati e, al limite, la stessa comunità internazionale). Le specifiche facoltà e funzioni di ciascuno dei gruppi, che si sono ora citati, non sempre vengono individuate e descritte con la necessaria accuratezza nelle molteplici dichiarazioni in materia di diritti. In particolare, la definizione dei popoli, e conseguentemente dei loro diritti, si presenta tutt altro che agevole. Il dovere d ingerenza umanitaria e la tutela dei diritti fondamentali di un popolo Come accennavo, non mancano, specialmente nella più recente prassi internazionale, numerosi esempi di intervento, anche armato, negli affari interni di determinati Stati in nome del rispetto dei diritti umani e, più in generale, dei principi umanitari. In molti casi, come noto, sono stati singoli Paesi, quelli più sensibili a queste problematiche, a procedere all intervento o a promuoverlo, mentre più cauta e lenta è stata, per motivi evidenti, l azione delle organizzazioni internazionali. Dico per motivi evidenti, in quanto interventi di questo tipo richiedono un organizzazione di Comando e Controllo ben rodata, nonché Forze Operative ben addestrate e in grado di sostenere uno sforzo prolungato, sebbene di intensità non elevata. Se da una parte, l uso di mezzi violenti da parte di gruppi che rischiano di essere sopraffatti o addirittura eliminati, all interno di un determinato Stato, è generalmente ritenuto legittimo, dall altra, vi è un bisogno di fare chiarezza, sulla base delle innumerevoli esperienze internazionali, circa la legittimità di un intervento armato esterno, al fine dichiarato di 35

5 prestare soccorso a un popolo in pericolo. In effetti, in presenza di un intervento umanitario bisogna riconoscere che non è sempre facile valutare dove inizia la violazione del diritto di non ingerenza negli affari interni del Paese sul cui territorio si realizza l intervento. Al riguardo, occorre precisare che le Forze Armate di uno o più Stati sono soltanto strumenti delle volontà governative, competendo loro non già la decisione su dove e cosa andare a fare, ma sul come tecnicamente e operativamente realizzarlo. Ciò, evidentemente, presuppone che i comandanti e i quadri devono avere chiaro lo scenario internazionale ed i problemi sul tappeto, per meglio svolgere la missione di pace affidata. Va, inoltre osservato, che la giurisprudenza in merito non trova facile ed immediata comprensione ove si rifletta che la medesima contiene in sé una contraddizione in termini. Un intervento di carattere umanitario, infatti, che implichi l uso delle armi da parte di uno Stato sul territorio di un altro Stato, ancorché serva a far cessare gravi violazioni del diritto umanitario a danno delle popolazioni locali, dei cittadini stranieri, ecc., non troverebbe posto nel sistema di sicurezza internazionale previsto dall ONU. Infatti, nel moderno diritto internazionale è consentito l uso della forza solo in caso di legittima difesa. Si è molto discusso, per esempio, a proposito dell illegittimità dell intervento di umanità (vds. Risoluzione 36/103 del 1981 delle Nazioni Unite) che è stata poi ribadita dalla sentenza della Corte internazionale di giustizia del 1986, nel caso Nicaragua Stati Uniti. Tra l altro, questa tipologia d intervento, a differenza di quello di protezione dei cittadini all estero, comporta una prolungata presenza in territorio altrui ed un mutamento di regime nello Stato territoriale. Malgrado la citata Risoluzione e la successiva sentenza, occorre considerare che la Guerra del Golfo, in quegli anni ha segnato 36

6 una svolta significativa, quanto meno perché: il Consiglio di Sicurezza ha potuto svolgere la sua funzione di Direttorio Internazionale su aperte violazioni di diritto attraverso l unanimità di parere dei cinque membri permanenti; con la risoluzione 688/1991 si è scalfito il monolito su cui poggiava il principio della non ingerenza; per la prima volta, motivi connessi con l applicazione del diritto umanitario sono entrati nella prassi delle Nazioni Unite. Detta nuova situazione naturalmente non è occasionale, ma deve le sue cause ad una serie di crisi, tutte riconducibili alla dissoluzione dell Impero sovietico ed al tramonto della logica bipolare di confrontazione. Da allora, si è iniziato a parlare con maggiore consapevolezza del diritto o dovere di ingerenza umanitaria in relazione alle operazioni di assistenza alle popolazioni curde e sciite in Iraq immediatamente dopo la fine della guerra del Golfo (1991), oppure allo scopo di chiedere l apertura di corridoi umanitari per l evacuazione di popolazioni ed altre operazioni di soccorso nei territori della ex Jugoslavia dopo la dissoluzione di questo Stato. Lo stesso problema si è presentato in Somalia, in Ruanda, in Kosovo, ecc.. Il cosiddetto dovere d ingerenza umanitaria, come dovere di uno Stato o di un gruppo di Stati, di intervenire in territorio altrui senza il consenso dello Stato territoriale, allo scopo di porre fine ad una grave violazione dei diritti umani, è giuridicamente implicito nell art. 30 della più volte citata Dichiarazione universale dei diritti dei popoli; detto articolo afferma che il ristabilimento dei diritti fondamentali di un popolo, quando essi sono gravemente violati, è un dovere che si impone a tutti i membri della comunità internazionale. D altra parte, in caso di conflitto armato internazionale sono ammissibili azioni di soccorso in favore della popolazione civile, anche mediante l invio di 37

7 non poteva, in alcun caso, portare a rimettere in discussione l esistente assetto politico-istituzionale dello Stato medesimo. La sovranità di medicamenti e di materiale sanitario, nonostante la prescrizione secondo la quale l azione necessita del consenso dello Stato territoriale e dello Stato che controlla il territorio dove è stata stanziata la popolazione beneficiaria del soccorso (6) e, ove ragioni contingenti lo consigliassero, è possibile condurre le operazioni su autorizzazione delle Nazioni Unite. Infatti, l intervento può aver lecitamente luogo in virtù del capitolo VII della Carta dell ONU, con la conseguenza che gli Stati possono intervenire su autorizzazione delle Nazioni Unite o che operazioni di mantenimento della pace possono essere intraprese dall organizzazione mondiale. La determinazione, da parte di Stati stranieri, di quelli che sono gli autentici diritti e interessi di un popolo ha trovato, in passato, per quel che riguarda i regimi marxisti-leninisti di ispirazione sovietica, una giustificazione politica e dottrinale con la teoria, detta comunemente in occidente, della sovranità limitata. Secondo tale concezione, il diritto di autodeterminazione del popolo di uno Stato socialista quest ultimo poteva, quindi, essere violata dagli altri Stati della comunità socialista, in nome di un interesse generale, destinato a prevalere sull interesse particolare di questo o quel popolo. A fronte di situazioni così singolari, le organizzazioni internazionali si potevano limitare soltanto a ratificare interventi già effettuati. In conclusione, fermo restando il principio generale di non-intervento nelle guerre civili, è ormai largamente ammessa la liceità dell invio di soccorso alle popolazioni, che si trovano in condizioni di particolare necessità, a seguito di conflitti all interno di uno Stato. L ineluttabilità di questa prassi, che è ormai entrata a far parte della coscienza collettiva, prima ancora che del diritto internazionale, sancisce e rafforza il dovere dell intervento di umanità da parte di quei membri della comunità internazionale o di quelle organizzazioni internazionali, che siano in grado di farlo, e il corrispondente (6) Artt. 23 della IV Convenzione di Ginevra del 1949 e 70 del I Protocollo addizionale alle quattro Convenzioni di Ginevra. La risoluzione A/45/587 (1990) dell Assemblea generale delle Nazioni Unite, relativa al Nuovo Ordine Internazionale Umanitario, precisa come lo stabilimento di corridoi umanitari debba essere negoziato con gli Stati interessati prendendo in considerazione le esigenze delle rispettive sovranità 38

8 diritto delle popolazioni coinvolte a ricevere detto soccorso (7). La proliferazione delle dichiarazioni e l esigenza di un riordino e di una armonizzazione normativa Sin dall opera di Hugo Grozio De jure belli ac pacis, del 1625, la dottrina del diritto internazionale raccolse il principio per cui le relazioni tra i sovrani, potendo essere sia pacifiche che ostili, dovessero essere sottoposte a regole giuridiche attinenti alla pace e alla condotta delle ostilità. Nel Settecento, il secolo del diritto naturale, vengono in luce, con il richiamo a norme non scritte, le esigenze del rispetto dei diritti umani. È proprio in questo periodo, agli albori del diritto internazionale, che studiosi famosi e teorici del rispetto dei diritti fondamentali dell uomo si richiamano al diritto delle genti in tempo di guerra, per costringere i sovrani ad un generale rispetto delle leggi umanitarie. Nel secolo successivo si affermano, invece, le regole che impegnano gli Stati e che vengono approvate, con apposite convenzioni, dalla metà dell Ottocento in poi. In relazione al diritto umanitario ricordiamo la Convenzione di Ginevra del 22 agosto 1864; le Convenzioni di Ginevra del 17 luglio 1929; le quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949; i due Protocolli aggiuntivi dell 8 giugno Per quanto riguarda le principali regole sulla condotta delle ostilità, vennero invece codificate: le Convenzioni dell Aja del 29 luglio 1899; le Convenzioni dell Aja del 1907; il Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925; la Convenzione dell Aja del 14 maggio 1954; la Convenzione dell ONU del 10 dicembre 1976; la Convenzione del 10 ottobre Nonostante la consolidata tradizione giuridica in materia, il diritto internazionale presenta qualche lacuna, o meglio non riesce a disciplinare efficacemente le esigenze dei popoli coinvolti, direttamente o indirettamente, nei conflitti di vario genere e portata, nell ambito del teatro mondiale. Ecco perché, da più parti, si auspica e non a torto, una riforma delle Nazioni Unite, finalizzata all interesse generale di migliorare lo stato di gestione degli affari mondiali, con la convinzione che solo una direzione politico-strategica delle operazioni, condotte in nome della pace, possa rappresentare la chiave di volta del rispetto dei Diritti dei Popoli e del Diritto internazionale. D altra parte, è bene ricordare che le solenni enunciazioni, anche quando emanano da enti internazionali di grandissimo rilievo e prestigio, non foss altro che per il numero elevatissimo di Stati che ne fanno parte, rivestono, agli effetti concreti, un valore più morale e pragmatico che specificamente giuridico. Spesso si agisce unicamente facendo ricorso a raccomandazioni (8) e ad altri atti privi di valore obbligatorio e che, perciò, hanno limitate possibilità di incidere efficacemente sulla vita interna e sul comportamento di quegli stessi Stati che pur contribuirono ad adottare, o successivamente accettarono, dette disposizioni (9). Inoltre, la proliferazione delle dichiarazioni dei diritti, mentre testimonia un indubbia accresciuta sensibilità delle diverse componenti della comunità internazionale, non è scevra di pericoli anche gravi. Potrebbe, forse, essere opportuno accantonare, nelle sedi competenti, ulteriori tentativi di approfondimento e di catalogazione dei diritti, per concentrare gli sforzi su una più efficace tutela internazionale dei diritti stessi (10). (7) Cfr. i rilievi al riguardo di M. Bennouna, Le consentement à l ingérence humanitaire dans les conflits internes, Librarie générale de droit et de jurisprudence, Parigi, 1974 (8) La raccomandazione è l atto tipico che gli organi delle Nazioni Unite (e delle organizzazioni internazionali in generale, Comunità europee a parte) hanno il potere di emanare. Si è anche più volte detto che la raccomandazione non è vincolante e precisamente non vincola lo Stato o gli Stati, a cui si dirige, a tenere il contegno raccomandato. Resta però da chiedersi se essa sia proprio del tutto improduttiva di conseguenze giuridiche o se invece alcuni effetti, sia pure secondari, le siano ricollegabili. Si ritiene che la raccomandazione produca un effetto che può chiamarsi di liceità. Si ritiene cioé che non si commetta illecito se uno Stato, per eseguire una raccomandazione di un organo internazionale, tiene un contegno contrario ad impegni precedentemente assunti mediante accordo oppure ad obblighi derivanti dal diritto consuetudinario. L effetto di liceità è da ammettere solo nei rapporti fra gli Stati membri, ed è da ammettere solo in ordine alle raccomandazioni legittime, cioè alle raccomandazioni che non fuoriescano dalle competenze proprie degli organi e da ogni altro limite che il trattato istitutivo ponga all azione degli organi medesimi (9) Vedi le osservazioni di G. Sperduti, La persona umana e il diritto internazionale, in Comunicazioni e Studi, Istituto di diritto internazionale e straniero dell università di Milano, Milano 1960 (10)La lettura delle tante dichiarazioni dei diritti può generare, non di rado, perplessità ed amari interrogativi e fornire argomenti sostenitori della tesi che considera il rispetto pieno dei diritti e delle libertà fondamentali un lusso riservato agli abitanti dei Paesi economicamente più progrediti 39

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