Il momento gramsciano: passato, presente, futuro. Peter D. Thomas

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1 Il momento gramsciano: passato, presente, futuro Peter D. Thomas I Quaderni del carcere di Antonio Gramsci sono oggi riconosciuti come uno dei documenti più importanti del pensiero del ventesimo secolo. I concetti centrali di questa officina dialettica costituiscono ormai un punto di riferimento in ambiti disciplinari diversi come gli studi letterari, i cultural studies, la storia, la sociologia, l antropologia, le relazioni internazionali e la teoria politica. Egemonia, rivoluzione passiva, intellettuali organici e tradizionali, rapporti di forza: questi sono i concetti della teoria italiana più discussi a livello internazionale. Come sostenuto da Eric Hobsbawm, Gramsci oggi è diventato un classico, non solo della tradizione marxista rivoluzionaria, cui egli dedicò la sua vita, ma anche delle scienze umane e sociali più in generale. La sua capacità durevole di affascinare i giovani e i meno giovani, da una generazione all altra, conferma anche il suo status di classico in un altro senso, quello proposto dal filosofo torinese e appassionato lettore di Gramsci, ossia Norberto Bobbio. Quest ultimo definiva classico quel pensatore o quella pensatrice cui si può continuamente tornare per riscoprire dimensioni nuove, non viste in precedenza; un compagno o una compagna con cui non cessiamo mai di dialogare perché le loro parole sono diventate parte di noi. Eppure, come compresero bene sia Hegel che Oscar Wilde, ciascuno a suo modo, «il noto in genere, appunto perché noto, non è conosciuto». La storia delle varie interpretazioni dei Quaderni del carcere appare come una galleria di ritratti di Gramsci molto differenti tra loro; tanti Gramsci uno dissimile dall altro, un po come accadeva con il suo nome, la cui incomprensione gli era capitato di incontrare durante i suoi viaggi attraverso il sistema carcerario fascista: «Gramasci, Granusci, Grámisci, Granísci, Gramásci, fino a Garamáscon, con tutte le forme intermedie più bizzarre». Il suo nome è stato invocato in difesa di posizioni spesso contraddittorie e da correnti politiche molto diverse; dalle tradizioni marxiste libertarie a quelle cosiddette ortodosse, dalle correnti militanti rivoluzionarie a quelle riformiste. Il tentativo di dialogo con Gramsci oggi, perciò, deve fare i conti con un interrogativo iniziale complicato: quale Gramsci? Gramsci il giovane intellettuale impegnato nel movimento rivoluzionario dei lavoratori e delle lavoratrici torinesi, militante della Terza Internazionale e poi dirigente di quello che sarebbe diventato il più grande partito comunista d Occidente? O il Gramsci profeta disarmato, che si sarebbe perso in un labirinto di frammenti di sua creazione, sconfitto dalle pressioni gemelle della prigione fascista e della ortodossia staliniana emergente nel movimento comunista internazionale? Gramsci il rivoluzionario politico della tradizione marxista classica, o il pioniere delle questioni cosiddette culturali e perciò, sostengono alcuni, non politiche: di un più modesto marxismo occidentale? Era forse Gramsci quasi un post-marxista, com era di moda sostenere nel mondo anglofono quasi trent anni fa, e come si sostiene talvolta oggi anche qui in Italia? O, infine, è Gramsci semplicemente una voce del passato, una traccia del grande novecento a cui oggi si può tornare solo con uno spirito nostalgico o addirittura malinconico, come consolazione per le nostre sconfitte? Il mio libro, Il momento gramsciano: filosofia, egemonia e marxismo, fu scritto nella convinzione che il Gramsci con cui abbiamo urgente bisogno di dialogare oggi sia il Gramsci che, pur distrutto fisicamente dalle condizioni della prigione fascista, non fu mai sconfitto; il Gramsci che continuò fino alla fine della sua vita a pensare la possibilità di un rinnovamento dei movimenti di liberazione delle masse,

2 fatti di donne e uomini tra loro diversi; il Gramsci che non indietreggiò mai di fronte alle sfide reali della politica, ma che tentò sempre di trovare il potenziale per una politica rivoluzionaria in tutti gli ambiti, inclusi quelli culturali, della società moderna. Insomma, il Gramsci teorico e militante di una grande politica di trasformazione reale del nostro modo di vivere insieme, di un altra modernità. Il mio studio si propone di contribuire alla rivalutazione dell eredità gramsciana, sia filosofica sia politica, nella prospettiva della rivitalizzazione odierna del marxismo. Vorrei sottolineare entrambi questi aspetti, da una parte come contenuto e dall altra parte come orizzonte del mio lavoro. Da una parte, il mio tentativo è quello di lavorare sui testi di Gramsci a partire dai risultati della ricerca filologica e storica più avanzati che sono oggi disponibili, nella convinzione che solo comprendendo il significato degli scritti in carcere nel loro contesto storico saremo in grado di comprendere il suo possibile significato nel nostro tempo; infatti, come ritengo, qualche volta è proprio la distanza del pensiero di Gramsci dalle correnti principali del presente ciò che rende più urgente confrontarsi con le prospettive critiche che esso ci fornisce. In questo compito mi fu d immenso aiuto l incredibile fioritura recente di studi filologici e storici del pensiero gramsciano a livello internazionale, ma soprattutto qui in Italia. Soggiorni di studio e ricerca in Italia mi misero in condizione di apprezzare appieno questo filone di studi, in gran parte prodotto da giovani ricercatori i cui lavori, scandalosamente, spesso non ricevono il riconoscimento istituzionale che meritano nelle università italiane. L immagine di Gramsci che sta emergendo da questi studi, a mio avviso, é molto più ricca di quanto non lo fosse in precedenza, perché beneficia dei risultati filologicamente e storicamente più precisi degli anni recenti. In particolare, stiamo iniziando ad apprezzare quanto il pensiero di Gramsci rappresenti una meditazione profonda sui grandi temi affrontati durante i primi anni della Terza Internazionale, ancora fondamentalmente inscritti in una prospettiva di rivoluzione mondiale. Per Gramsci si trattava di affermare la possibilità delle masse di donne e uomini nel mondo di trovare, attraverso la loro attività collettiva, le forme e modalità di una modernità radicalmente differente da quella prodotta dalle contraddizioni del modo di produzione capitalista. Il mio libro ha cercato di apportare un contributo modesto nell ambito di questa rivalutazione e di rendere accessibile a un pubblico non italiano i suoi contributi più significativi. Dall altra parte, il mio studio assume anapologeticamente una posizione partigiana nei dibattiti contemporanei sul futuro del marxismo e sulla relazione di Gramsci con esso. Il pensiero di Gramsci si nutriva continuamente del confronto critico con la tradizione marxista precedente e contemporanea al suo lavoro. Lungi dall abbandonare le tradizioni marxista e comunista, come si sostiene talvolta anche oggi, la proposta gramsciana di sviluppare il marxismo come una filosofia della prassi esprimeva il tentativo di rinnovare la tradizione rivoluzionaria in una forma che fosse adeguata ai difficili compiti politici del suo tempo. A mio avviso, una lettura produttiva di Gramsci oggi, ossia una lettura che sia capace di dialogare non solo con i suoi testi con rigore filologico, ma anche e soprattutto, con lo spirito che animava il lavoro della sua vita, deve necessariamente essere condotta in una prospettiva simile. Gramsci ci ricorda che il marxismo non fu mai solo dato come teoria finita, completa, che poteva essere semplicemente confermata o rigettata dal corso delle esperienze storiche. Al contempo, Gramsci era ben consapevole che non fu solo Marx ad aver contribuito alla formazione e alla crescita di quella concezione del mondo chiamata marxismo. Piuttosto, il marxismo era la forma di un contenuto sociale concreto, in cui si sono condensate storicamente le lotte e le speranze delle classi

3 popolari per una nuova civiltà. In quanto tale, chiamarsi marxista per Gramsci significava rapportarsi alle tradizioni delle classe subalterne, imparare da loro, in particolare dalle loro contraddizioni, come presupposto per un progresso storico reale. Il mio libro cerca di argomentare che anche oggi ad orientarci dovrebbe essere uno spirito simile, uno spirito, cioè, che vuole ereditare e insieme trasformare il marxismo come concezione del mondo. Il mio studio prende le mosse dalle critiche di Gramsci prodotte negli anni sessanta e settanta da parte di pensatori influenti come Louis Althusser in Leggere il Capitale e Perry Anderson nel suo Ambiguità di Gramsci. A prima vista, questa selezione potrebbe sembrare un po particolare per le lettrici e i lettori italiani, che hanno il vantaggio di beneficiare più direttamente di una tradizione ricca e articolata di discussioni del pensiero di Gramsci rispetto a ciò che è disponibile nel mondo anglofono. Tuttavia, a mio avviso queste letture, nonostante siano passati molti anni dalla loro pubblicazione, continuano ad avere un impatto profondo su molte interpretazioni di Gramsci, al punto che la combinazione di queste prospettive e le loro critiche di Gramsci potrebbero essere considerate rappresentative di un immagine più generale di Gramsci sia nell ambito del marxismo sia nell ambito culturale più generale. Inoltre, nei loro presupposti essenziali, a me sembra che queste letture catturino anche dimensioni che sono egualmente presenti nella discussione accademica italiana in generale, se non in quella specialistica gramsciana, sebbene in forme diverse. La lettura di Althusser ha orientato il dibattito generale intorno all idea per cui, sebbene Gramsci abbia apportato contributi importanti in vari campi storici, sociologici e culturali, il suo pensiero mostri un certo grado di indeterminazione teorica, se non di vera e propria incoerenza filosofica, forse dovute alla natura frammentaria della sua produzione. La lettura di Anderson, dall altra parte, sebbene sia stata disconfermata filologicamente in modo definitivo da Gianni Francioni qui in Italia più di venticinque anni fa, riflette un giudizio più generalmente condiviso, secondo il quale il pensiero politico di Gramsci resterebbe intrappolato nell impasse delle esperienze rivoluzionarie passate, a cui lui non poteva proporre soluzioni o vie d uscita credibili. Con la sua proposta di concepire la politica rivoluzionaria come il lavoro paziente di espansione della capacità di agire delle classi subalterne, dell immensa accumulazione di forze egemoniche necessarie per abolire lo stato capitalista non solo come macchina di dominio ma anche come rapporto sociale, Gramsci, secondo questa interpretazione, infine sarebbe rimasto indietro rispetto alle dinamiche più avanzate dei primi anni della terza internazionale. Attraverso una lettura critica di queste interpretazioni e dei loro limiti storici e filologici, il mio studio cerca di riaprire la discussione sulle dimensioni sia politica che filosofica del progetto gramsciano, cercando di comprendere entrambe le dimensioni come campi integralmente legati l uno all altro. A cosa fa riferimento, allora, il momento gramsciano che si trova nel titolo del libro? In primo luogo, si riferisce all annus mirabilis 1932, l anno in cui Gramsci approfondisce e articola tre elementi decisivi del suo progetto di ricerca interdisciplinare. Sostengo che le nozioni di storicismo assoluto, immanenza assoluta e umanesimo assoluto possano esser considerate come le tre componenti fondamentali della filosofia della prassi, per parafrasare un classico modo di dire marxista, o, in termini spinoziani, come tre attributi per mezzo dei quali possiamo cogliere la sostanza del contributo di Gramsci allo sviluppo di una teoria e pratica di auto-liberazione delle classi subalterne.

4 La formulazione gramsciana della filosofia della prassi come storicismo assoluto offre la possibilità di concepire la pratica filosofica come pratica di traduzione razionale delle prospettive filosofiche e concettuali nei termini dell organizzazione egemonica dei rapporti sociali. La storia stessa del marxismo, secondo Gramsci, deve essere sottoposta a tale tipo di traduzione nei termini dello sviluppo del progetto egemonico delle classi popolari, nei suoi successi, fallimenti e nuovi inizi. Inoltre, la critica duale di Gramsci sia all orientamento speculativo di Croce sia alla ricaduta di Bukharin in un materialismo di tipo metafisico, raccoglie la sfida di Labriola di storicizzare il regno stesso della concettualità nella forma di una grammatica filosofica alternativa. Con la nozione di una Diesseitigkeit del pensiero, o immanenza assoluta, Gramsci propone di sviluppare una filologia dei rapporti di forza, ossia, uno studio della intensità differenziale e della specificità delle pratiche sociali nel loro divenire storico. Questa prospettiva ha come risultato una definizione del pensiero come momento di organizzazione concettuale immanente per determinare i rapporti sociali, o come teoria, nel senso specifico marxiano. Di più, il concetto di immanenza assoluta della filosofia della prassi implica l identificazione progressiva di teoria e pratica, consentendo così di analizzare i rapporti sociali di conoscenza nei termini della loro costituzione di coerenza. La filosofia della prassi cerca di rendere la pratica più coerente; essa deriva i suoi problemi dagli sforzi del senso comune di rendersi coerente, precisamente perché la filosofia della prassi riconosce in quegli sforzi le condizioni della sua propria costituzione coerente. Come pedagogia dialettica di mutua implicazione, la relazione tra teoria e prassi qui è concepita da Gramsci in termini immanenti e produttivi. Infine, la nozione di filosofia della prassi come umanesimo assoluto, seguendo la lettura gramsciana delle Tesi su Feuerbach, abbozza un programma di analisi del soggetto, o individuo, come insieme di rapporti sociali storicamente determinati, come Kampfplatz di rapporti egemonici in lotta. Con la nozione di filosofo democratico, Gramsci avanza una critica non solo della filosofia politica in senso stretto, ma anche della funzione politica della filosofia in quanto tale, come apparato egemonico, come meccanismo di conformismo e condensazione dei rapporti sociali di organizzazione in rapporti politici di comando speculativo. L alternativa di Gramsci è l elaborazione di una pratica filosofica come rapporto dialettico-pedagodico di egemonia; in altre parole, egli propone la nozione di una nuova forma di filosofia come uno degli elementi essenziali nello sviluppo di un apparato egemonico alternativo di democrazia proletaria. Di fronte alle forme ancora oggi troppo diffuse di marginalizzazione e denigrazione accademica della tradizione marxista, non dovremmo mai smettere di insistere sugli avanzamenti qualitativi di Gramsci nel campo della conoscenza umana durante i suoi lavori in carcere, in questo momento gramsciano datato Presi nel loro insieme, come programma di ricerca di una filosofia della prassi, questi avanzamenti costituiscono una teoria innovativa dell organizzazione politica che non solo rinnova «da cima a fondo il modo di concepire la filosofia stessa», ma che ci aiuta anche a pensare la complessità dei nuovi processi e pratiche politiche necessarie allo scopo di riorganizzare profondamente le società in cui viviamo. Inoltre, a mio avviso, non dovremmo sentirci in imbarazzo nell insistere sul fatto che la teoria gramsciana dell egemonia e della filosofia della prassi come organizzazione dei rapporti sociali della trasformazione rivoluzionaria, esprimeva il tentativo di riattualizzare i dibattiti e le dinamiche più produttive dei primi anni della terza internazionale, come i Quaderni del carcere attestano ampiamente. Nell isolamento

5 della sua cella, e contro le correnti principali del movimento comunista del suo tempo, Gramsci cercava di ereditare le dimensioni più vivaci di questi dibattiti e di teorizzarle in una forma che potesse essere appresa e sviluppata nell ambito delle lotte a venire. Si trattava di un messaggio in bottiglia, gettata nell acqua contro la corrente del suo tempo. Tuttavia, per momento gramsciano intendo anche indicare qualcos altro; vale a dire, la forma in cui questo messaggio in bottiglia arriva a noi oggi, come considerazioni inattuali, che attendono attualizzazione storica. Nel 1932 Gramsci integrava da una parte la ricerca sulla natura dello stato moderno, e dall altra quella sulla sovra-determinazione sociale e politica della filosofia. Ne risultava un nuovo concetto di egemonia concepita come quel punto in cui teoria e pratica si annodano. Intesa in questo senso, l egemonia costituisce una nuova teoria politica e al contempo una nuova pratica politica della teoria, che si configura non più come contemplazione ma come intervento attivo nella realtà. Il momento gramsciano perciò indica la transizione da una concezione dello stato come evento metafisico verso la elaborazione di una nozione di egemonia come fatto filosofico. Esso rappresenta quel momento catartico di cui Gramsci parla come transizione «dall oggettivo al soggettivo» e dalla «necessità alla libertà»: «La struttura smette di essere una forza esterna che opprime le donne e gli uomini, che li assimila e rende passivi, ed è trasformata in uno strumento di liberazione per creare un nuova forma etico-politica e una risorsa di nuove iniziative» (Q 10ii, 6). Secondo Gramsci, nelle Tesi su Feuerbach Marx aveva messo a disposizione gli strumenti concettuali che resero possibile comprendere il rapporto sempre dialettico fra teoria e pratica, fra la politica e la cosiddetta non politica, ossia fra organizzazione e associazione. In altre parole, Marx aveva animato una concezione del mondo che aveva il potenziale per comprendere criticamente le condizioni della sua attività come istanza di pratica sociale e politica, nel processo concreto che portava dal sapere al comprendere al sentire e, elemento cruciale, viceversa, dal sentire, al comprendere al sapere. Per Gramsci, era questo a costituire il marxismo come filosofia vera e propria della prassi, come progetto di ricerca che ambisce alla creazione di nuove forme espansive di pratica democratica attraverso cui l autoliberazione delle masse di donne e uomini possa essere intrapresa. Trascurato, o deformato, durante buona parte del ventesimo secolo, con alcune ovvie eccezioni, questo momento gramsciano si pone di fronte a noi oggi non solo nella forma di nuovi studi filologici e storici di altissima qualità, ma anche come sfida ad elaborare pratiche politiche che siano adeguate ad incorporare questa prospettiva nel processo storico reale dei nostri tempi; vale a dire, che ci mettano in condizione di pensare la relazione tra storia, filosofia e politica nei termini della loro mutua e produttiva traducibilità. Nel movimento continuo tra filologia e politica si potrebbe elaborare quella filologia vivente che Gramsci vedeva come il cuore e l anima di una grande politica autentica, capace di cogliere in tutti i suoi dettagli la ricchezza infinita degli sforzi delle classi subalterne per produrre forme nuove di vita collettiva. Oggi, ora che una nuova generazione di militanti, ricercatrici e ricercatori scopre la ricchezza delle varie tradizioni del marxismo nel suo senso più ampio, il rinnovamento di questo aspetto del momento gramsciano costituisce un compito teorico e politico urgente. In questi termini, Gramsci è un classico non semplicemente perché continua a parlarci dal e del passato, ma anche perché ha qualcosa di nuovo da dirci riguardo ai tentativi di cambiare il presente. C è un futuro per il momento gramsciano? Il tema centrale della teoria politica sviluppato nei Quaderni del carcere è l idea che la politica può essere rimossa o ignorata ma non evitata. La società civile che si suppone non politica è essa stessa,

6 secondo Gramsci, una forma di organizzazione politica, che viene sovra-determinata dalla società politica esistente e che rafforza lo stato borghese integrale. Così come la politica è un momento necessario nell elaborazione di un progetto da parte di un gruppo o classe sociale, se non vuole restare confinato come esistenza meramente corporativa all interno del progetto di un altra classe, così la filosofia l elaborazione della filosofia come concezione del mondo, concepita come un insieme di concetti o rapporti sociali di conoscenza per afferrare e trasformare la realtà collettivamente costituisce anche un momento ineludibile nella formazione e nello sforzo per la coerenza di un gruppo sociale. Se le classi subalterne non elaborano il loro apparato egemonico capace di sfidare i rapporti di forza condensati nella società politica data dello stato integrale borghese, esse rimarranno subalterne alle sue sovradeterminazioni. In modo simile, senza l elaborazione della loro propria filosofia, o concezione concreta del mondo elaborata entro istituzioni adeguate alla specificità del loro progetto, le classi oppresse e sfruttate della società capitalista rimarranno subalterne alla concezione dominante. Nell ultimo anno, abbiamo assistito a rivoluzioni e movimenti di resistenza in tutto mondo, dalla primavera araba, al movimento degli Indignados, a Wisconsin e a Occupy. Gli ultimi due decenni del pensiero unico e del nuovo ordine mondiale sono arrivati al capolinea, nella misura in cui le persone comuni hanno dimostrato la loro capacità, anche nelle circostanze più inattese, di dare avvio a progetti di resistenza e di trasformazione radicale. Nuove concezioni del mondo, sebbene ancora fragili e incoerenti, si aggirano per i continenti. Nuove sfide si impongono, sfide che fondamentalmente rimettono a tema le vecchie questioni insolute delle grandi tradizioni rivoluzionarie della modernità e delle lotte per fondare una società giusta. Ciò di cui questi movimenti hanno bisogno sono teorie in grado di far crescere la loro capacità di agire, ossia di orientare la pratica politica critica che è immanente ai movimenti stessi. In tal senso, il momento gramsciano, come uno dei tentativi più raffinati di pensare il rapporto fra organizzazione e liberazione nel pensiero moderno, sarà sempre di attualità là dove le masse riavviano la ricerca della rivoluzione come forma adeguata e unico terreno di una democrazia vera, in grado di allargare le possibilità di autodeterminazione e convivenza democratica. La filosofia della prassi, per Gramsci, non ambisce ad una risoluzione pacifica delle «contraddizioni esistenti nella storia e nella società, anzi è la stessa teoria di tali contraddizioni; non è lo strumento di governo di gruppi dominanti per avere il consenso ed esercitare l egemonia su classi subalterne; è l espressione di queste classi subalterne che vogliono educare se stesse all arte di governo e che hanno interesse a conoscere tutte le verità, anche le sgradevoli e ad evitare gli inganni (impossibili) della classe superiore e tanto più di se stesse» (Q 10ii, 41xii). In questo senso concreto, possiamo dire, per, riprendere un famoso detto di Ernst Bloch: ubi la lotta per la liberazione, ibi il momento gramsciano.

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