«Aiutateci, ci massacrano»

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1 DOMENICA 10 AGOSTO 2014 ANNO N In Italia EURO 1,40 Milano, Via Solferino 28 - Tel Roma, Piazza Venezia 5 - Tel Fondato nel 1876 Servizio Clienti - Tel mail: servizioclienti@corriere.it Oggi Disordine globale I canyon inesplorati della nuova geopolitica Letteratura Perché leggere Proust? Anche per rimorchiare Con il Corriere Agatha Christie la regina del giallo di Danilo Taino nel supplemento di Alessandro Piperno nel supplemento In edicola a 6,90 euro più il prezzo del quotidiano LO STATUS QUO DI UN PAESE GUARDANDOCI ALLO SPECCHIO di ANGELO PANEBIANCO Iraq Obama: i raid dureranno a lungo. Nel Nord circondati e minacciati 4000 yazidi «Aiutateci, ci massacrano» A Erbil, tra i cristiani in fuga dagli estremisti islamici Roma LE SCRITTE DELL ODIO SUI NEGOZI DEGLI EBREI Agiudicare dalla diffusa resistenza a qualunque accenno di bonifica e di razionalizzazione della spesa, una parte cospicua della società italiana è impegnata nella difesa a oltranza dello status quo, non prende sul serio, e non lo ha mai fatto, i continui e severi moniti delle autorità nazionali, europee, internazionali. L aneddotica che ci viene quotidianamente presentata dalle cronache è nutrita ma coglie solo la punta dell iceberg: dipendenti Alitalia che si oppongono all unico accordo che può salvare e rilanciare l azienda, commessi parlamentari che difendono emolumenti indifendibili, addetti di municipalizzate locali in fortissima perdita pronti a fare le barricate a difesa dello sperpero di denaro ai danni dei contribuenti, eccetera. È inutile negarlo: il cambiamento, per quanto definito necessario da tutti gli osservatori, e dalla stessa classe politica di governo, deve fronteggiare una resistenza e una opposizione «di popolo». È questa la ragione per cui, anche se pochi lo dicono, molti lo pensano: forse fu un errore non accettare il commissariamento europeo. Sarebbe servito a vincere resistenze così diffuse. È un fatto che la Spagna, dopo avere pagato un alto prezzo, ora naviga finalmente in acque migliori delle nostre (aiutata, va detto, dai soldi che l Europa ha dato alle sue banche). Cosa può fare la politica, e soprattutto la politica democratica, se componenti quantitativamente assai rilevanti della società italiana si oppongono alle tanto invocate riforme? Non sbagliamo quando pretendiamo che assuma un ruolo salvifico? Non ne sopravvalutiamo capacità e possibilità? Perché mai la politica dovrebbe essere in grado di salvarci contro la nostra volontà? In una democrazia i politici dipendono dai voti degli elettori. Se gli elettori non vogliono una cosa i politici non possono farci proprio nulla. Si può supporre che sia per questo, in realtà, che le promesse e le proposte dei vari leader appaiano sempre così poco credibili. Forse è per questo, ad esempio, che non è credibile la destra la quale oggi, per gioco delle parti, critica la politica economica di Renzi ma non è mai stata in grado di spiegarci perché in tanti anni di governo non abbia fatto quegli interventi, a cominciare dai tagli alla spesa pubblica, che andavano fatti. E forse è per questo che comincia a consumarsi anche Renzi, ad apparire sempre meno credibile: troppe parole, troppe promesse. In realtà, le cose sono più complicate. Perché se è vero che la resistenza al cambiamento è forte e diffusa, e i ricatti elettorali che subiscono i politici sono potenti, è anche vero che se l economia non riparte, sarà a quegli stessi politici che verrà poi presentato il conto, saranno loro a fungere da capri espiatori. CONTINUA A PAGINA 31 di LORENZO CREMONESI Un caldo torrido nei cortili di cemento e sui prati ridotti a sterpaglia. Tanti anziani, tantissimi bambini, molti disidratati, affetti da diarrea. I servizi igienici quasi inservibili: «Il pericolo delle epidemie è alle porte», dice al Corriere l arcivescovo di Erbil, Bashar Warda. È questa la situazione nel luogo che è al momento il cuore della tragedia dei cristiani iracheni. I giovani chiedono armi e aiuto: «Ma perché le bombe americane non sono arrivate prima?». Il presidente Usa Obama, da parte sua, annuncia che i raid contro le milizie jihadiste dell Isis dureranno a lungo. DA PAGINA 2 A PAGINA 5 con un articolo di Viviana Mazza Maria Elena Boschi «Forza Italia non entrerà nel governo» di MONICA GUERZONI L a ministra Boschi il giorno dopo il primo sì alla «sua» riforma del Senato: «Noi più forti della fatica». E sul futuro: «FI non entrerà nel governo, in economia sceglie la maggioranza». A PAGINA 11 Giannelli AP / KHALID Gli Usa e le crisi La dottrina del presidente: basta fazioni di MASSIMO GAGGI Tornare a impegnarsi militarmente in Iraq è l ultima cosa che Obama avrebbe voluto fare, ma la rapida avanzata delle truppe del «Califfato», con i combattenti curdi costretti alla ritirata, ha modificato lo scenario: Erbil, dove ci sono molti americani, evoca il fantasma di Bengasi, dove vennero uccisi l ambasciatore Stevens e altri tre statunitensi. A PAGINA 5 di PIERLUIGI BATTISTA Faranno finta di non capire anche stavolta? Si ostineranno a leggere le schifezze antisemite che anche ieri hanno imbrattato i negozi degli ebrei romani come il residuo demenziale di minoranze condannate dalla storia, teste vuote e rasate di chi gioca al neonazismo per riesumare simbolicamente un passato di orrore? Si firmano come estremisti di destra, ma vogliono imporre il boicottaggio delle merci israeliane secondo i desideri della sinistra accecata dal pregiudizio e nutrita di sconsiderato odio antisionista. CONTINUA A PAGINA 31 Il ministero bloccherà gli interventi nei centri pubblici e privati È caos sull eterologa Linea dura di Lorenzin È caos dopo lo stop al decreto legge che avrebbe dovuto regolare la fecondazione eterologa: al fronte che sostiene che la sentenza della Corte costituzionale va applicata comunque si oppone il ministro Lorenzin, che annuncia controlli a tappeto. ALLE PAGINE 8 E 9 Caccia, Garibaldi, Tebano Il dossier Ma ci sono strutture pronte a partire subito di M. PAPPAGALLO e S. RAVIZZA A PAGINA 9 Il commento La politica che diserta e i rischi del fai da te di ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI La fecondazione eterologa resterà una cosa per chi può permettersela. Non è, dunque, soltanto una sensazione che la politica abbia fatto una sorta di passo indietro, che si sia mostrata in ritardo se non assente, evanescente di fronte a un compito urgente che le spettava. A PAGINA > Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano Padiglione Italia Tutti gli show del criminologo che porta in cattedra Schettino Le colpe del prof. Mastronardi, presenzialista tv sui casi irrisolti di Aldo Grasso Schettino che tiene una lectio agli studenti. Schettino che affonda l Università. Lo Schettino che è in noi. Schettino, dalla scena del crimine al profiling. Chi sia Francesco Schettino lo sappiamo, ma qui, tanto per usare un linguaggio forense, il «colpevole» è un altro. Si chiama Vincenzo Maria Mastronardi, cattedratico, psichiatra e criminologo, direttore del Centro sperimentale cineteatrale di criminologia alla Sapienza di Roma («Testimonianze dal vivo di Autori di reati efferati» si reclamizza nella home page). È lui che ha invitato Schettino a un seminario organizzato al Circolo aeronautico di Roma (il nome del comandante appariva nel manifesto di presentazione). Le autorità accademiche sospettano che il prof. Mastronardi Vincenzo Maria Mastronardi si sia prestato a una manovra della strategia difensiva degli avvocati di Schettino. Mastronardi, capelli tintissimi nonostante sia alle soglie della pensione, è noto alle cronache come autore di molte perizie (caso Cesaroni, Pietro Maso, Rudy Guede...), frequenta i salotti televisivi (di fatto ha scalzato il suo collega Francesco Bruno), ama molto la visibilità (viene descritto come un compulsivo raccontatore di barzellette). Il successo televisivo del «crimine irrisolto» ha introdotto nello showbiz una figura di rilievo, il Criminologo. Negli ultimi anni, il Criminologo, o presunto tale, è diventato un personaggio: lo abbiamo visto all opera, infervorato e dottorale, nel Novi Ligure show, nel Cogne Show, nell Erba show, nel Garlasco show e in tanti altri talk. Spesso in una situazione imbarazzante, perché coinvolto direttamente o indirettamente nel caso (e questo, nella deontologia professionale, non è corretto). Diciamo anche che per alcuni criminologi la tv è diventata un ottima vetrina per dare lustro alla loro attività e oscurare il lavoro serio dei colleghi che non operano sotto i riflettori. Gli studi di criminologia si basano anche sulla casistica, e dunque è importante studiare tutti i casi famosi. Ma a una condizione: devono giudiziariamente essere conclusi. S invita Schettino quando ancora 32 morti aspettano giustizia? Per riscattare una stupidaggine non basta né un seminario né un master. Una causa collettiva con migliaia di firme: usano i nostri dati Lo studente che sfida Facebook di FABRIZIO MASSARO In tanti si sono arrabbiati, lui ha reagito. In tanti non sopportano che essere iscritti a Facebook comporti automaticamente una violazione della propria privacy, lui ha deciso di farla pagare al fondatore del social network più diffuso nel mondo: Mark Zuckerberg. Ed essendo studente di legge, Max Schrems, un austriaco di 26 anni specializzato in diritto informatico, gli ha fatto causa. Alla class action contro il miliardario statunitense hanno già aderito 25 mila persone. Il social network ovviamente non ci sta: «Cerca solo pubblicità». A PAGINA 21 Catenaro

2 2 Primo Piano Domenica 10 Agosto 2014 Corriere della Sera Iraq L avanzata degli estremisti SUL FRONTE A ERBIL I racconti, la paura e l ira: una giornata con le migliaia di persone sfuggite all offensiva dei guerriglieri islamici nella piana di Ninive La mappa città controllate dall Isis città controllate dai curdi zona di lancio dei viveri aree controllate dall Isis comunità cristiane più numerose Niniveh TURCHIA Sinjar Mosul Tilkaif Qaraqosh Erbil città contese bombardamenti Usa Regione autonoma curda IRAN SIRIA Al Qaim Rawa Haditha Makhmur Zowiya Baiji Kirkuk Al Alam Tikrit Udhaim Bazian Jalawla DAL NOSTRO INVIATO Le tappe La conquista di Mosul Il 10 giugno lo Stato islamico dell Iraq e del Levante prende Mosul, seconda città del Paese, e la provincia di Ninive, abitata da minoranze etniche e religiose. Il 29 giugno nei territori occupati viene proclamato il «califfato» Fuga di yazidi e cristiani Un ultimatum dei miliziani il 18 luglio provoca la prima fuga in massa dei cristiani. Il 2 e 3 agosto l Isis occupa le città curde di Sinjar e Zumar: migliaia di yazidi si rifugiano sulle montagne La presa di Qaraqosh Il 7 agosto Qaraqosh cade nelle mani dell Isis: nuovo esodo di cristiani 100 mila Rutba i cristiani in fuga i cristiani nel Paese Fonte: Reuters 300 mila Ramadi Falluja Kerbala IRAQ Nel campo dei cristiani stremati ERBIL Fa un caldo torrido a mezzogiorno nei cortili di cemento e sui prati ridotti a sterpaglia giallastra attorno all arcivescovado caldeo. Gli sfollati sono stremati. Hanno costruito ripari di fortuna con coperte e tappeti stesi su corde fissate tra il muro di cinta e i rari olivi. Oltre persone, tanti anziani, un numero sproporzionato (per noi occidentali) di bambini, neonati di pochi mesi, molti disidratati, con la diarrea. Una settantenne chiede insulina. Altri scrivono su foglietti di carta spiegazzati nomi di medicinali che nessuno sa dove trovare. Decine di carrozzelle arrugginite sono state donate dalle associazioni umanitarie per gli infermi e sono usate come seggiole per i vecchi. Le organizzazioni cristiane locali assieme alle agenzie dell Onu hanno improvvisato un servizio di mensa che distribuisce riso bianco, pane, acqua in bottiglia. I servizi igienici sono quasi inservibili. Gli unici abiti sono i pantaloni impolverati e le magliette dai colori ormai indefinibili con cui sono fuggiti dalle loro abitazioni nella piana di Ninive tre o quattro giorni fa. Odore di corpi non puliti, cibo avariato, pozzanghere sporche, fogne a cielo aperto. «Il pericolo delle epidemie è alle porte. Stiamo organizzando l evacuazione dell arcivescovado e la loro istallazione in dieci scuole cristiane qui nel quartiere di Einkawa», ci diceva ieri mattina l arcivescovo di Erbil, Bashar Warda. E questa la situazione che abbiamo incontrato in quello che al momento è il cuore della tragedia dei cristiani iracheni. L arcivescovado funziona da centro organizzatore degli aiuti. Ha a che fare con comunità ancora vibranti, forti di una religiosità autentica, abituate a guardare ai prelati come leader. «L emergenza riguarda oltre cristiani scappati di fronte all avanzata dei radicali sunniti da Mosul verso l enclave curda. Ma il dramma non è solo delle persone. E l antica cultura della nostra convivenza con i musulmani che viene cancellata. Il meccanismo della coesistenza pacifica si è inceppato. Siamo di fronte a un Medio Oriente diverso da quello che avevamo sempre conosciuto», esclama allarmato Warda. Le sue parole sono un campanello di allarme. Occorre ascoltare bene i racconti della sua gente per comprenderlo. Da lontano, è difficile distinguere la valenza dei crimini che si stanno consumando nella piana di Mosul. Qui ora c è una Chiesa molto diversa da quella che ai tempi di Saddam Hussein porgeva «l altra guancia». C è un disperato grido di guerra. Una richiesta di aiuto alla cristianità perché si mobiliti in difesa della fede. Tutti plaudono ai raid aerei Usa. «Per fortuna sono arrivati loro. Devono sterminare i criminali del Califfato. Speriamo che li ricaccino verso la Siria, a morire nel deserto», dicono i responsabili della Chiesa e i loro fedeli con parole sempre eguali. «Ma perché le bombe americane non sono arrivate prima? E voi europei cosa aspettate?». I giovani chiedono armi. Gli anziani approvano. «Le nostre sofferenze di oggi sono il preludio di quelle che subirete anche voi europei e cristiani occidentali nel prossimo futuro», dice il 47enne Amel Nona, l arcivescovo caldeo di Mosul fuggito ad Erbil. Il messaggio è inequivocabile: l unico modo per fermare l esodo cristiano dai luoghi che ne videro le origini in epoca pre-islamica è rispondere alla violenza con la violenza, alla forza con la forza. Nona è un uomo ferito, addolorato, ma non rassegnato. «Ho perso la mia diocesi. Il luogo fisico del mio apostolato è stato occupato dai radicali islamici che ci vogliono convertiti o morti. Ma la mia comunità è ancora viva». E ben contento di incontrare la stampa occidentale. «Per Doura Najaf Bagdad CORRIERE DELLA SERA favore, cercate di capirci esclama. I vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla. Occorre che ripensiate alla nostra realtà in Medio Oriente perché state accogliendo nei vostri Paesi un numero sempre crescente di musulmani. Anche voi siete a rischio. Dovete prendere decisioni forti e coraggiose, a costo di contraddire i vostri principi. Voi pensate che gli uomini sono tutti uguali continua l arcivescovo Amel Nona Ma Diplomazia L ambasciata italiana a Bagdad resta aperta L ambasciata d Italia a Bagdad resta aperta, prosegue regolarmente la propria attività diplomatica, commerciale e di cooperazione. «L attenzione è alta», dicono i diplomatici. Il viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli, è appena rientrato dall Iraq, dove ha incontrato il governo, i rappresentanti curdi e i vescovi, e ha valutato l ampiezza della crisi umanitaria e le risposte necessarie. non è vero. L Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra». Tornando tra le tende di fortuna, tra file di sfollati in attesa di un magro pasto, salta all occhio la profonda differenza tra i cristiani che sono riusciti a fuggire da Qaraqosh, Al Qosh e dagli altri villaggi a sud di Erbil, e quelli che invece a Mosul hanno sofferto i soprusi dei guerriglieri islamici. I primi qualche cosa hanno salvato: soldi, coperte, un bagaglio, gli effetti personali, l automobile. Gli altri sono senza nulla, si dicono fortunati di essere ancora vivi, e il loro terrore è contagioso. Dai racconti fanno capire che la guerriglia islamica aveva un piano preciso, ha giocato con loro come il gatto col topo. «La sera del nove giugno siamo scappati verso le zone curde quando abbiamo visto che le loro avanguardie entravano a Mosul. Le stesse colonne dell esercito iracheno in ritirata ci hanno suggerito di fuggire», dice tra i tanti Youssef Jibril Youssef, un carpentiere 52enne. «Dopo una settimana i nostri vicini musulmani ci hanno telefonato per dire che andava tutto bene. Potevamo tornare a casa. Nessuno ci avrebbe torto un capello. E così è stato. Sembrava tranquillo. Io sono anche tornato a lavorare. Attorno al 10 luglio è comparso un noto capo L intervista L appello della deputata irachena Vian Dakhil «Il dramma di noi yazidi: i padri uccisi, le figlie schiave» Deputata Vian Dakhil, 38 anni, unica deputata yazida, è nel parlamento iracheno da cinque anni mento hanno fatto il giro del mondo. E stata lei, con la voce spezzata dai singhiozzi, la prima a denunciare che nel Nord del Paese è in atto un massacro degli yazidi, seguaci di una fede pre-islamica e considerati miscredenti dagli estremisti dello Stato Islamico. Ed è stata lei a dare la notizia che 500 donne erano state catturate nella città di Sinjar e «vendute al mercato degli «I miliziani dello Stato Islamico hanno ordinato agli uomini yazidi di scegliere: O vi convertite all Islam oppure vi ammazziamo. A coloro che hanno rinnegato la nostra fede diventando musulmani, poi, hanno strappato le mogli e le figlie con l intenzione di offrirle alle proprie truppe. Alcuni hanno preferito essere uccisi. Nella mia religione, di fronte a una scelta simile è meglio la morte». Vian Dakhil, 38 anni, deputata yazida nel parlamento iracheno, parla al telefono da Bagdad mentre dal nord del Paese giunge la notizia che i miliziani dello Stato Islamico minacciano di giustiziare altri membri della minoranza religiosa se non si convertiranno all Islam. Le immagini del suo appello di martedì scorso in parlaschiavi». Conferme del rapimento di «centinaia» di donne della comunità sono giunte l altro ieri dal governo iracheno e da un funzionario americano. «Ora abbiamo notizie più precise. Molte hanno meno di trent anni, alcune hanno con sé i propri bambini spiega Dakhil. All inizio le hanno portate a Tal Afar, al confine con la Siria». Ora, secondo il ministero iracheno dei diritti umani, sarebbero tenute prigioniere in scuole di Mosul. «Ma crediamo che una sessantina siano state separate dalle altre, sarebbero state già offerte o vendute per quella che alcuni chiamano la Jihad al- Nikah (jihad del sesso, ndr). E non sappiamo più dove si trovino: forse a Mosul, forse a Tal Afar, forse in Siria. Ora c è un operazione in corso, anche In fuga Donne della minoranza religiosa yazidi (Reuters) Minoranza Religione Etnicamente gli yazidi sono curdi. La loro religione combina Islam e Zoroastrismo, e conta 700 mila seguaci. Oltre che in un Dio creatore dell universo, gli yazidi credono nell esistenza di altre sette divinità o angeli. La più importante è Tawsi Melek o Melek Taus, «Angelo Pavone» o «Re Pavone» Perseguitati Triste la loro reputazione di «adoratori del diavolo», collegata all altro nome di Melek Taus, Shaytan, lo stesso nome che il Corano usa per indicare Satana se non posso parlarne. Ma chiedo a voi donne italiane di non dimenticarci». Tra le cinquantamila famiglie fuggite sui monti di Sinjar, ci sono i parenti di Dakhil. «Gli aiuti hanno raggiunto alcuni, non tutti: sono rimasti tagliati fuori i profughi che si trovano a sud della montagna. Dopo 5 giorni senz acqua né cibo, molti bimbi e anziani sono morti. Alcuni si sono armati ma hanno fucili senza munizioni. E facile per l Isis raggiungerli, perciò temono di scendere a valle a prendere l acqua. Ci sono uno-due giorni per salvarli. Poi cominceranno a morire in massa». Gli yazidi sono stati storicamente perseguitati per la loro venerazione dell Angelo Pavone, fraintesa come una sorta di culto del diavolo. «Ma vivevamo in pace nel Nord. Il problema non è l Islam, sono i terroristi dell Isis. Ci disprezzano ancor più dei cristiani: i cristiani sono nominati nel Corano, noi no, e ai loro occhi meritiamo d essere massacrati tutti». Viviana Mazza

3 Corriere della Sera Domenica 10 Agosto 2014 Primo Piano 3 L America ha annunciato la prosecuzione dei raid aerei. Gran Bretagna e Francia predispongono l invio di aiuti umanitari per gli sfollati Soccorsi Aiuti per i civili trasportati da soldati britannici; a fianco profughi cristiani in una chiesa di Erbil (Epa) «È un massacro. Adesso dateci le armi» L arcivescovo di Mosul I vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla. Io ho perso la mia diocesi, occupata dai radicali islamici che ci vogliono convertiti o morti. Ma la mia comunità è ancora viva guerrigliero, Haji Othman, assieme a due guardie del corpo con il mitra a tracolla, la jallabiah sino alle caviglie, barba e capelli lunghi stile afghano. Mi ha detto che non avevo nulla da temere, mi ha dato il suo numero di telefono invitandomi a chiamarlo in caso di bisogno, ma ha voluto anche il mio numero di telefono e conoscere esattamente quanta gente vivesse in casa. Siamo qui per difendervi, mi ha detto. Però andandosene hanno marcato il muro della mia casa in vernice nera con la «n» stilizzata di «nasrani», che sta per cristiani in arabo. Tre giorni dopo, abbiamo capito l inganno. Dagli altoparlanti delle moschee è arrivato un diktat che ci presentava tre alternative: pagare una tassa periodica di centinaia di dollari, la conversione all Islam, oppure partire subito. Se non avessimo obbedito, ci avrebbero tagliato la testa. Ma quando abbiamo preso l auto per andarcene ai posti di blocco ci hanno rubato tutto: soldi, gioielli, bagagli, talvolta la stessa automobile. Le nostre case sono state occupate, al peggio devastate». A metà pomeriggio i capi famiglia tra gli sfollati vengono convocati da monsignor Warda nella basilica di San Giuseppe. Si è riusciti a organizzare le scuole e un campo di tende Onu per accoglierli in modo più decente. Ma subito tra l altare e le panche della basilica si scatena il dibattito. «Chi si occupa del nostro trasporto? Cosa fare dei malati? E i nostri visti di espatrio? Perché non chiedete con più forza l aiuto della comunità cristiana mondiale?», protestano in tanti dal microfono che in genere serve per le prediche della messa. Qualcuno denuncia che «decine di cristiani» sono rimasti in mano ai jihadisti, potrebbero venire decapitati «entro due giorni». Bashar Jibrail, ex guardiano di una delle basiliche devastate a Mosul, è rabbioso: «Qui si sta consumando un genocidio. Abbiamo paura che gli islamici prendano anche Erbil. Perché non ci date fucili?». Non solo di quelli c è bisogno. Gli Stati Uniti hanno cominciato, oltre ai raid aerei, i lanci di cibo e di acqua per le popolazioni ancora assediate dai miliziani. La Gran Bretagna ha mandato un volo umanitario in Kurdistan. La Francia ieri ha annunciato la spedizione di aiuti. Qui l arcivescovo cerca I raid Le prime immagini dei bombardamenti degli aerei americani nelle zone nordorientali dell Iraq in mano all Isis. La foto è stata diffusa dal Pentagono di tranquillizzare la folla impaziente: «Il Papa da Roma continua a lanciare appelli. Arriverà presto un suo inviato. Gli Stati Uniti hanno intensificato i raid militari che stanno fermando l aggressione. State calmi. Ho incontrato il console americano e cerco contatti con quelli europei. Ho chiesto che ci diano visti per facilitare l emigrazione». L ultima frase è quasi buttata lì. A pensarci bene, rivela un epocale mutamento da parte dei capi cristiani. Nel passato si erano sempre adoperati affinché le loro comunità restassero. Persino quando dieci anni fa c erano stati i sanguinosi attentati in serie contro le basiliche di Bagdad avevano facilitato l esodo verso Mosul e frenato l emigrazione all estero. Ora non più. Segno che anche loro hanno cessato di credere nel futuro dei cristiani in Iraq. Se potessero, partirebbero tutti. Lorenzo Cremonesi

4 4 Domenica 10 Agosto 2014 Corriere della Sera

5 Corriere della Sera Domenica 10 Agosto 2014 Primo Piano 5 Gli Usa Le sfide Svolte Dal Medio Oriente al Nord Africa all Asia, in un mondo in frantumi come provano a rispondere gli Stati Uniti In Siria non potevamo dare armi a un opposizione fatta di medici, farmacisti e contadini DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK «Ci vorrà tempo, non è una questione di settimane. Noi cercheremo di evitare genocidi, difenderemo gli americani che sono in Kurdistan e l ambasciata di Bagdad. Non vogliamo certo che i ribelli dell Isis trionfino, ma non diventeremo l Air Force dell Iraq: le armi possono servire in alcune situazioni estreme ma non costruisci con quelle una società e nuovi equilibri politici. La soluzione dei problemi dell Iraq deve venire dagli iracheni». In un intervista a Tom Friedman del New York Times e poi parlando brevemente sul prato della Casa Bianca, Barack Obama spiega la sua scelta di tornare ad agire militarmente in Iraq, sia pure solo dal cielo, tre anni dopo il ritiro delle truppe Usa. E prova a tracciare un quadro globale delle sfide internazionali che l America si trova ad affrontare soprattutto in Medio Oriente, Nord Africa e Asia Centrale. A chi lo accusa di non avere una strategia coerente, risponde, poi, che l America non può plasmare il mondo. Soprattutto questo mondo sempre più multipolare e frammentato nel quale, nota, la Russia potrebbe invadere l Ucraina nonostante tutte le condanne internazionali. Cosa che renderebbe i processi diplomatici assai più difficili. Il contrasto tra le immagini della famiglia Obama che, dopo la conferenza stampa «di guerra» del presidente, attraversa un prato verdissimo e si imbarca sul Marine One per andare a trascorrere una vacanza nell isola di Martha s Vineyard e i filmati pieni di paura e disperazione Le linee guida La mano tesa ai musulmani Al Cairo, il 4 giugno 2009, Obama tende la mano al mondo islamico: «Sono qui per cercare un nuovo inizio fra gli Usa e i musulmani» Guidare dalle retrovie Al New Yorker, nell aprile 2011 un consigliere di Obama spiega che la politica Usa in Libia consiste nel «guidare dalle retrovie» Il discorso di West Point A West Point, nel maggio scorso, spiega di puntare su alleanze e costruzione del consenso, non solo sulla forza militare che arrivano dalle zone desertiche dell Iraq assediate dall Isis e bruciate dal sole, rendono bene l idea di questo «new normal» di un mondo nel quale, tramontato da decenni il bipolarismo Usa-Urss e con l America che non può e non vuole essere il gendarme del mondo, i conflitti si moltiplicano senza più controllo. Obama confessa candidamente a Friedman di non avere soluzioni, ma solo una ricetta: la cooperazione tra le diverse etnie nel caso dell Iraq la maggioranza sciita con le minoranze sunnite e curde e le diverse forze politiche, smettendola di seguire la logica dello scontro all ultimo sangue dopo il quale chi vince prende tutto. Una miopia politica che provoca inevitabilmente nuove ribellioni, sanguinosi conflitti e una pericolosa moltiplicazione delle situazioni di instabilità. Ma il presidente è il primo a sapere che non è facile cambiare registro in luoghi dove le rivalità etniche e religiose hanno radici profonde, soprattutto quando una situazione non molto diversa la si trova perfino nella civilissima Washington del Congresso paralizzato dalla contrapposizione frontale tra repubblicani e democratici. Il leader democratico non sembra farsi molte illusioni nemmeno sulla possibilità di risolvere il conflitto israelo-palestinese: a Friedman che gli chiede se gli Usa premeranno per un accordo basato su maggiori concessioni territoriali da parte dello Stato ebraico in cambio di maggiore sicurezza, il presidente risponde notando che il premier israeliano Netanyahu «è molto più popolare di me nei sondaggi e il suo gradimento è molto cresciuto dopo la guerra a Gaza». Difficile per un politico avere «Sarà una lunga campagna» Iraq, test per la dottrina Obama La risposta alle critiche sulle scelte di politica estera «Le armi non risolvono tutto La mia ricetta contro le crisi» la lungimiranza di guardare lontano sfidando una maggioranza popolare che, pensando solo all oggi, non vuole fare concessioni. Che, invece, sarebbero necessarie. Ma, conclude il presidente, paradossalmente Netanyahu è troppo forte e Abu Mazen troppo debole tra i palestinesi per arrivare ad accordi coraggiosi come quelli siglati qualche decennio fa da Sadat, Begin e Rabin. Amaro e autocritico anche sulla Libia: «Resto convinto che sia stato giusto rovesciare Gheddafi. Non fossimo intervenuti, avremmo avuto una vera guerra civile come in Siria. Ma abbiamo sbagliato a non occuparci a sufficienza della costruzione del dopo: questo è il nostro principale rimpianto». Il presidente è, invece, mol L anno in cui gli Usa hanno completato il ritiro delle truppe dall Iraq, dopo l invasione del 2003 to determinato nel difendere dalle accuse dei repubblicani la scelta di non armare in Siria i ribelli filo-occidentali: «La possibilità di sconfiggere uno Stato bene armato e spalleggiato da Russia, Iran ed hezbollah dando armi leggere, o anche sofisticate, a un opposizione fatta di medici, farmacisti e contadini, non è mai esistita. Ancora oggi non troviamo un numero significativo di ribelli da addestrare». Quanto all Iraq, Obama spiega di non essere intervenuto militarmente a giugno perché voleva convincere Al Maliki a cambiare rotta creando un governo di unità nazionale, anziché illudersi di poter mettere a tacere le minoranze con le bombe. L Air Force non poteva diventare l aviazione sciita. Anche oggi, pur attaccando duramente l Isis, Obama riconosce che sarà impossibile sconfiggere i ribelli se il governo di Bagdad non riconoscerà i diritti dei sunniti, oltre che quelli dei curdi. Prima di partire per le vacanze il presidente spiega che questa crisi è destinata a durare mesi, rifiuta di porre un limite temporale per gli interventi americani dal cielo, chiede più cooperazione internazionale per gli interventi umanitari e annuncia di aver già ottenuto, in questo campo, un impegno di collaborazione da Gran Bretagna e Francia. Massimo Gaggi YURI GRIPAS/REUTERS L incubo Bengasi, e Barack ha deciso in poche ore N el settembre scorso un Obama che, sia pure controvoglia, stava per ordinare l attacco in Siria, cambiò repentinamente idea dopo una lunga passeggiata col suo capo di gabinetto, Denis McDonough, intorno ai giardini della Casa Bianca. Come è arrivato, ora, alla decisione di tornare ad usare le armi (sia pure solo dal cielo) in Iraq tre anni dopo il ritiro americano? Anche stavolta il processo è stato complesso, ma quando è stato evidente che si rischiava il genocidio della minoranza degli Yazidi e che la capitale curda, Erbil, stava per finire sotto assedio, Obama ha deciso in poche ore, dopo una serie di colloqui coi suoi più stretti collaboratori. Compreso un concitato scambio di battute con lo stesso McDonough, secondo un paio di fotografi che hanno assistito da lontano alla scena. Molte le ricostruzioni della stampa Usa. La più dettagliata è quella affidata dal New York Times a quattro esperti corrispondenti presidenziali. Tutto comincia mercoledì mattina: il Pentagono avverte che si è creata una situazione d emergenza mentre Obama è ancora impegnato nel vertice con 50 capi di Stato e di governo africani. Obama alterna i colloqui coi leader con le riunioni nella «Situation room», dove il generale Dempsey lo aggiorna sull incapacità dell esercito iracheno e dei curdi di rifornire gli yazidi, rifugiatisi in cima al monte Sinjar. Tornare a impegnarsi militarmente in Iraq è l ultima cosa che Obama vorrebbe fare, soprattutto dopo aver presentato il disimpegno del 2011 come uno dei principali successi della sua presidenza. Ma le notizie della rapida avanzata delle truppe del «Califfato», coi combattenti curdi costretti alla ritirata, modificano, ora dopo ora, lo scenario: alla Casa Bianca l immagine di Erbil, dove ci sono molti americani, compresi quelli del consolato, assediata dall Isis, evoca il fantasma di Bengasi dove l ambasciatore Stevens e altri tre americani vennero uccisi in un attacco terroristico. Mercoledì sera, dopo il vertice africano, Obama ostenta normalità: a cena con famiglia da Fiola Mare, cucina italiana. Ma è pensoso, e giovedì mattina decide, ufficializzando la sua scelta solo quando i velivoli cargo lanciano i primi aiuti. M. Ga.

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