Corte di Cassazione - copia non ufficiale
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- Lucia Bertoni
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1 Penale Sent. Sez. 3 Num Anno 2015 Presidente: TERESI ALFREDO Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 15/01/2015 sul ricorso proposto da: SENTENZA CRESCENZI DANILO N. IL 07/03/1969 avverso la sentenza n. 7141/2010 CORTE APPELLO di ROMA, e 22/01/2013 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. che ha concluso per 2ki;001~ ; 1.2s eet52_., oke U., per la parte civile, l'avv Uditbiedifensor Avv. geesuace_d Olotl egs2_ ro ce252_ urt,e-were)
2 RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Roma, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente CRESCENZI DANILO e dei coimputati Andreoli Antonio e Campoli Leonella, con sentenza del , confermava la sentenza del Tribunale di Cassino, emessa in data , condannandoli al pagamento delle spese del grado. Il tribunale di Cassino aveva dichiarato Crescenzi Danilo ed í coimputati responsabili: a) del reato previsto dall'art. 44 co. 1 lett. b) DPR 380/01 perché, nelle qualità di cui al capo b), realizzavano le opere ivi descritte in assenza del permesso di costruire, essendo inefficace il permesso n. 15 rilasciato dal comune di San Giovanni Incarico in data senza il preventivo nulla osta paesaggistico; b) del reato ex art. 134,142 lett. f) e 181 D.L.vo 42/04, Andreoli in qualità di committente e titolare della CO.GEA. srl, ditta esecutrice dei lavori, Campoli in qualità di committente e Crescenzi in qualità di direttore dei lavori, realizzavano in zona sottoposta a vincolo paesaggistico in quanto ricompresa all'interno della Riserva naturale delle antiche città di Fragellae, Fabrateria Nova e del lago di San Giovanni Incarico, lavor di demolizione di un preesistente fabbricato e di realizzazione diun manufatto di cemento armato con tamponature perimetrali in laterizio da adibire a ristorante bar, senza la prescritta autorizzazione; in S: Giovanni Incarico loc. Civita Farnese Gli imputati venivano condannati, con la continuazione e le attenuanti generiche, alla pena di mesi 3 di arresto ed ,00 di ammenda ciascuno oltre le spese processuali in solido; pena sospesa per tutti, demolizione del manufatto abusivo e ripristino dello stato dei luoghi a spese dei condannati, trasmissione di copia della sentenza all'u.t. della Regione Lazio. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, Crescenzi Danilo, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.: Nullità della sentenza per violazione di legge, nonché per mancanza della motivazione (art. 606, co. 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione alla L. 308/2004, art. 1 co. 37 e all'art. 181 D.L.vo 42/04) Il ricorrente deduce l'esistenza di un vizio logico-giuridico della motivazione della sentenza. I giudici di merito darebbero atto dell'avvenuto rilascio, da parte della Regione Lazio, in favore dei coimputati Campoli e Andreoli dell'accertamento di compatibilità paesaggistica che avrebbe tenuto conto che non si era proceduto 2
3 ad alcuna modifica della sagoma della struttura e/o aumenti di volumetrie. Gli stessi giudici, però, avrebbero omesso di dichiarare l'estinzione del reato per l'abuso ambientale, senza darne conto nella motivazione. Ancora non sarebbe stata svolta alcuna indagine su come tale atto amministrativo dì conformità paesaggistica esplicasse effetti sull'ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi determinandone la revoca. Chiede pertanto, l'annullamento della decisione impugnata, con le conseguenti statuizioni di legge. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Lo scarno motivo di ricorso illustrato in premessa, assolutamente aspecifico e generico, è manifestamente infondato e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. 2. Questa Corte ha peraltro, in più occasioni, ribadito come sia inammissibile D ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (cfr. sul punto, ex plurimis, la recente sez. 3, n del , Cariolo ed altri, rv ). Va evidenziato, peraltro, che ci si trova di fronte ad una "doppia conforme" affermazione di responsabilità e che, legittimamente, in questi casi, deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi. Il giudice di secondo grado, infatti, nell'effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di
4 primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l'univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte sez. 2 n del , Vecchia, rv ; conf. sez. 3, n del , dep , Valerio, rv : sez. 2, n del , dep , Albergamo ed altri, rv ). Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n del , Muià ed altri rv ). La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d'appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'ossatura" dello schema difensivo dell'imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (così sì era espressa sul punto sez. 6, n del , dep , Delvai, rv ). 3. E' stato anche sottolineato di recente da questa Corte che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (sez. 2, n dell' , Reggio, rv ). Peraltro, nel caso in esame la Corte di Appello dì non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, con l'affermazione di pag. 1 di integrale condi- 4
5 visione della stessa, ma ha evidenziato come vi fosse stato nel caso in esame la demolizione del vecchio fabbricato (come riferito dal teste Salamena e visibile nelle foto), ed era in corso la realizzazione di un fabbricato del tutto nuovo, laddove il permesso per costruire invocato riguardava il consolidamento statico, ai fini dell'adeguamento alle prescrizioni della legislazione antisismica, del manufatto preesistente. Il giudice del gravame del merito ha ricordato come fosse emerso dalla deposizione del tecnico comunale Di Sotto che i lavori autorizzati andavano realizzati consolidando la muratura preesistente con il metodo del "cuci e scuci", operando su piccoli tratti, mentre a seguito dell'integrale demolizione del preesistente fabbricato "non c'era nulla da consolidare, ma tutto da edificare e, di conseguenza, era necessario il nullaosta paesaggistico e un permesso per costruire con estremi diversi rispetto a quello rilasciato. Correttamente è stata ritenuto ininfluente già dal primo giudice (cfr. pag. 3 della sentenza del Gm del Tribunale di Cassino) - e il giudizio è stato confermato da quello di appello- il rilascio da parte della Regione Lazio della determinazione n. B4939 del (c.d. accertamento di compatibilità paesaggistìca"), in quanto la stessa è stata emanata -sulla carta- per lavori di adeguamento statico e sismico su immobile preesistente, laddove all'esito del sopralluogo di RG. è emerso, come detto, che i lavori non consistevano in mero adeguamento sismico e consolidamento statico, ma nella totale demolizione e ricostruzione di un ex biscottificio da destinare a bar-ristorante. Va aggiunto che già il giudice di prime cure - nella sentenza che, come detto va considerata unitariamente con quella di gravame confermativa- aveva fatto buon governo della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (è stata richiamata la pronuncia di questa sez. 3, n del , Bignami, rv ; conf. sez. 3, n del , Perone, rv ) laddove ha correttamente rilevato che il direttore dei lavori Crescenzi è da ritenersi penalmente responsabile anche nel caso di sua assenza, dovendo egli esercitare un'attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie e, in caso di necessità, scindere immediatamente la propria posizione da quelal del committente, rinunziando all'incarico ricevuto. Ancora di recente, sul punto, questa Corte di legittimità ha ribadito il principio giuridico, che il Collegio condivide e che va qui riaffermato, secondo cui è configurabile la responsabilità del direttore dei lavori per le contravvenzioni in materia di edilizia ed urbanistica, indipendentemente dalla sua concreta presenza in cantiere, in quanto sussiste a carico del medesimo un onere di vigilanza costante sulla corretta esecuzione dei lavori, collegato al dovere di contestazione delle irregolarità riscontrate e, se del caso, di rinunzia all'incarico (così questa 5
6 sez. 3, n del , Ponzio, rv , nella cui motivazione questa Corte, nel confermare la sentenza dì condanna che aveva ritenuto sussistere l'obbligo del direttore dei lavori di recarsi quotidianamente sul cantiere al fine di vigilare le attività eseguite, ha precisato che questi, oltre ad essere il referente del committente per gli aspetti di carattere tecnico, assume anche la funzione di garante nei confronti del Comune dell'osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all'esecuzione dei lavori). 4. Va rilevato che, pacificamente, risalendo l'accertamento al , all'atto della pronuncia di secondo grado (intervenuta il , non era maturato il termine quinquennale di prescrizione, tale, tenuto conto delle intervenute interruzioni, dei reati contravvenzionali in contestazione. Né può porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (Cass. pen., Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, rv : nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo 2005, n , Bracale, rv , e Sez. un., 28 febbraio 2008, n , Niccoli, rv ; in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n dell' , rv ). 5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del ), alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende Così deciso in Roma il 15 gennaio 2015 sigliere es nsore Il P sidente
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