Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risoluzione negoziale delle liti e tutela giudiziale dei diritti

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1 Mediazione civile e commerciale Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risoluzione negoziale delle liti e tutela giudiziale dei diritti Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 Decreto legislativo sulla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali (G.U. 5 marzo 2010, n. Il testo integrale del Decreto legislativo è disponibile su: (omissis). Il Presidente della Repubblica Introduzione di Ilaria Pagni Il decreto legislativo, nell introdurre una disciplina organica della mediazione nella controversie civili e commerciali, sulla falsariga di quanto aveva fatto già il D.Lgs. n. 5/03 per le controversie «societarie», valorizza questa peculiare forma di risoluzione delle liti, giocata sui tasti del contratto, anziché su quelli della sentenza: e lo fa suggerendo alle parti, e ai loro consulenti, di non escludere la possibilità che, anziché introdurre subito il giudizio, si tenti prima di raggiungere un accordo, avvalendosi dell ausilio di un mediatore, terzo e imparziale. Il suggerimento si trasforma, con riferimento a determinate materie, nell imposizione di un obbligo a tentare la conciliazione, ovviamente lasciando liberi i contendenti di non raggiungere alcun accordo, ove non ve ne sia lo spazio. Il decreto è molto articolato per quanto attiene al raccordo tra mediazione e processo (tema sul quale si sofferma il commento di Paolo Porreca), mentre detta alcuni principi fondamentali, e poche regole, per quanto attiene al procedimento (il profilo è sviluppato dal commento di Giovannni Armone). Con una scelta, compiuta in chiusura, sulla scorta di quanto previsto dalla direttiva comunitaria e dalla delega, che è quella di fornire alle parti che raggiungano l accordo uno strumento, il verbale di conciliazione, che consente di non ricorrere ulteriormente al giudice in caso di inadempimento dello stesso, e di fornire al credito, ad integrazione del dettato dell art c.c., la garanzia dell ipoteca giudiziale. In tal modo si evita che la parte, temendo di dover comunque far ricorso al giudice per ottenere il risultato cui aspira, finisca, per questa sola ragione, per rinunciare a tentare la via della mediazione. La mediazione nelle controversie civili e commerciali Con l emanazione del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, di attuazione della delega contemplata all art. 60 della L. 18 giugno 2009, n. 69, «in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali», il termine mediazione è entrato a pieno titolo nel nostro sistema, a designare, per quel che si legge all art. 1 del decreto, «l attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di Le Società 5/

2 un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa»; laddove invece alla conciliazione è riservato il significato dell atto conclusivo, di «composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione». Il decreto legislativo ha inteso introdurre una disciplina organica della mediazione nella controversie civili e commerciali, aventi ad oggetto diritti disponibili, come imponeva al legislatore delegato la legge di riforma del processo civile del giugno scorso, che a propria volta rinviava alla normativa comunitaria (e perciò alle indicazioni contenute nella Direttiva n. 2008/52/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, emanata con l obiettivo «di facilitare l accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario»). Senza trascurare la necessità che la tutela dei diritti, quando non vi sia spazio per la soluzione negoziale, sia in ogni caso garantita nelle forme dell art. 24 Cost., il decreto ha valorizzato quella peculiare forma di risoluzione delle liti che consiste invece nel raggiungimento di un accordo. Una valorizzazione che, nei settori in cui non è prevista l obbligatorietà del tentativo, è realizzata, come suggerisce la direttiva comunitaria, incoraggiando le parti, e i loro consulenti, a considerare la possibilità che, anziché introdurre subito il giudizio, si tenti prima di raggiungere un accordo bonario, avvalendosi dell ausilio di un mediatore, terzo e imparziale, perché questi può colmare la distanza tra le posizioni dei litiganti, individuando, attraverso colloqui separati con ciascuno di essi, i possibili punti d incontro delle volontà. L «incoraggiamento» si trasforma, con riferimento a determinate materie (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari), nell imposizione di un obbligo a tentare la conciliazione, ovviamente lasciando liberi i contendenti di non addivenire alla composizione della lite, ove non ve ne sia lo spazio, e salve le ricadute sul processo successivamente intentato che, secondo quanto dispone l art. 13, possono discendere dalla formulazione di una proposta, da parte del conciliatore, che le parti non accettino. Sul punto dei rapporti tra mediazione e processo, e sul significato che ha l affermazione del legislatore comunitario, ripresa da quello nazionale, per cui l obiettivo di semplificare e migliorare l accesso alla giustizia si raggiunge anche attraverso l introduzione di metodi alternativi di risoluzione delle controversie, bisogna intendersi. Per quanto sia da condividere la considerazione che la diffusione dello strumento conciliativo non abbia semplicemente funzione deflattiva, ma sia complementare al processo, perché, da un lato, contenendo l abuso del diritto alla tutela giurisdizionale, favorisce la sollecita amministrazione della giustizia civile, dall altro, e per converso, presuppone il buon funzionamento della stessa, dal momento che la prospettiva di una tutela giurisdizionale efficiente tende a scoraggiare strategie ostruzionistiche nell attuazione del rapporto sostanziale e ad incoraggiare soluzioni stragiudiziali della lite consensualmente definite (1), il punto, a ben vedere, non è questo (o non è solo questo). Il punto è che mediazione e processo si muovono su piani completamente diversi, che non interferiscono tra loro a patto che la mediazione, quando è prevista l obbligatorietà del tentativo, non rappresenti un ostacolo all esercizio dei diritti in gioco (2). È necessario, infatti, non confondere il piano del diritto all azione, e ad un rimedio effettivo, garantito dall art. 24 Cost., e dalle norme sovranazionali (che è l unico piano sul quale le parti debbono muoversi per provvedere alla tutela dei diritti violati, e che può essere sostituito, a certe condizioni, solo dal ricorso all arbitrato), col piano della mediazione, che non è rinuncia alla giurisdizione, o una giu- (1) V., per tutti, D. Dalfino, La giustizia civile alla prova della mediazione. Mediazione, conciliazione e rapporti col processo, in corso di pubblicazione su Foro it., 2010, ivi anche per ulteriori indicazioni sui primi commenti al decreto in esame. (2) Cfr. Corte di Giustizia 18 marzo 2010, procedimenti riuniti C- 317/08, C-318/08, C 319/08 e C-320/08, Alassini, nella quale, con riferimento al tentativo obbligatorio di conciliazione previsto in materia di servizi di comunicazioni elettroniche tra utenti finali e fornitori del servizio, la Corte ha precisato che «il principio della tutela giurisdizionale effettiva non osta ad una normativa nazionale che impone il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale, a condizione che tale procedura non conduca ad una decisione vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti, e purché la via elettronica non costituisca l unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione e sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l urgenza della situazione lo impone». 620 Le Società 5/2010

3 risdizione di tono minore (3), ma è semplicemente un modo attraverso il quale le parti, in presenza di una lite insorta o che stia per sorgere, risolvono la stessa (in una maniera che può essere coincidente, o diversa, non importa, da quella che deriverebbe dall applicazione delle norme e dalla conseguente attribuzione del torto e della ragione), cercando un punto di equilibrio tra i propri interessi. Sono gli interessi, del resto, l elemento che le parti tengono in considerazione nel momento in cui si siedono al tavolo delle trattative per stipulare un qualsiasi contratto: sicché l unica differenza è che, in questo caso, essendovi già un conflitto tra le parti, viene istintivo pensare a quale sarebbe la soluzione cui arriverebbe il giudice, se, in luogo del contratto, si scegliesse la via della sentenza. Né imporre il tentativo di conciliazione, come accade nelle materie dell art. 5 del decreto, di per sé modifica questa impostazione, per la considerazione, ovvia, che le parti sono libere di non raggiungere alcun accordo, non perdono le utilità del processo (perché la «domanda» di mediazione produce gli stessi effetti della domanda giudiziale sulla prescrizione e sulla decadenza, salvo per l ipotesi in cui quell effetto debba operare anche nei confronti dei terzi - pensiamo all interruzione dell usucapione (4) - nel qual caso occorrerà procedere comunque alla trascrizione della domanda giudiziale, peraltro consentita espressamente dal decreto, all art. 5, comma 3), sono garantite dalla tenuta sul piano esecutivo dell accordo, e il procedimento di mediazione - che non osta alla concessione di provvedimenti urgenti e cautelari - ha la durata contenuta prevista in quattro mesi, nel suo massimo, dall art. 6, in ossequio all indicazione della delega (5). Il decreto in commento si preoccupa di delineare compiutamente i rapporti col processo, non solo per quanto discende dalla previsione di una condizione di procedibilità rappresentata dal tentativo obbligatorio (da legge, da contratto o da statuto) (6), ma anche per ciò che attiene alla possibilità di una conciliazione «delegata», immaginata dall art. 5, comma 2, come possibile anche una volta che la causa sia giunta in grado di appello (7). Per il resto, nel rin- (3) Tantomeno una «giurisdizione volontaria», come si legge nel parere della Commissione Giustizia della Camera, reso in data 20 gennaio 2010, dove, forse confondendo i termini con quanto indicato, peraltro anche là in modo improprio, con una traduzione non corretta, al punto 13 del Considerando della direttiva comunitaria 2008/52/CE («la mediazione di cui alla presente direttiva dovrebbe essere un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento»), si legge che «il procedimento di mediazione si svolge[rebbe] - a parere della Commissione - secondo le forme dei procedimenti di volontaria giurisdizione». (4) Se da un lato, infatti, la previsione per cui gli effetti della domanda di mediazione sulla prescrizione sono gli stessi della domanda giudiziale dovrebbe consentire il rispetto del principio per cui «il rinvio dell art c.c. alle norme sulla prescrizione in generale e, in particolare, a quelle dettate in tema di sospensione ed interruzione, incontra il limite della compatibilità di queste con la natura stessa dell usucapione, con la conseguenza che non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, oppure ad atti giudiziali diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore che usucapisce» (ex multis, Cass., sez. II, 19 giugno 2003, n. 9845, in Dir. e giur., 2004, 97), dall altro, però, le regole in tema di circolazione dei diritti fanno sì che con riferimento agli eventuali aventi causa occorra applicare le norme in tema di trascrizione che presuppongono la proposizione della domanda giudiziale, e perciò almeno la notifica della citazione, semmai successivamente non iscritta a ruolo. (5) E se è vero che il passaggio obbligato dalla mediazione può avere delle ricadute in termini di spese, questo è conseguenza non già dell obbligatorietà del tentativo, bensì della scelta compiuta dal legislatore, in ciò parzialmente costretto dalla delega, nel prevedere, all art. 13 del decreto (che peraltro riprende - se non altro migliorandolo, laddove fa riferimento alla necessità che vi sia corrispondenza integrale tra la proposta e la sentenza del giudice, e non richiede che vi sia un giustificato motivo nel rifiuto della proposta - il disposto dell art. 91 c.p.c.), che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, e condannare la stessa al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente, e nello stabilire che la proposta non venga formulata soltanto quando siano le parti a farne concorde richiesta al mediatore. La ragione di questa previsione è offerta, nella relazione illustrativa al decreto, nel fatto che si siano voluti introdurre meccanismi di incentivo alla mediazione, e si sia voluto dare una risposta all eventualità - che sarebbe dimostrata dalla coincidenza tra il contenuto della proposta e il provvedimento che definisce il giudizio - che la giurisdizione venga «impegnata per un risultato che il procedimento di mediazione avrebbe permesso di raggiungere in tempi molto più rapidi e meno dispendiosi». Il che è vero, in un ottica di contenimento dei costi del sistema giustizia e di rafforzamento della serietà della mediazione, ma (per l ipotesi in cui la proposta sia frutto dell iniziativa del mediatore, e non della richiesta concorde delle parti) non toglie, da un lato, che, sul piano del diritto d azione, si dovrebbe consentire comunque alla parte, che non voglia addivenire ad un accordo, di ricorrere senza penalizzazioni di alcun tipo al giudice per farsi dire quale sarebbe la risposta dell ordinamento alla ritenuta lesione del proprio diritto; dall altro, che, se la conclusione dell accordo è rimessa alla libertà dei contraenti, questa libertà non dovrebbe essere limitata neppure mediante «sanzioni» volte a far pressione indiretta sulla volontà dei paciscenti. (6) Operante, quest ultimo, nella materia della cd. conciliazione societaria, che qui viene particolarmente in rilievo, e sulla quale v. infra, nel testo. (7) Per la verità non si tratta di una conciliazione delegata in senso tecnico, quale è quella affidata al consulente tecnico dalla legge o dal giudice, secondo quanto dispongono gli artt. 198 e 696 bis c.p.c., bensì di un «invito a procedere alla mediazione», «valutata la natura della causa, lo stato dell istruzione, e il comportamento delle parti», che tiene conto del fatto che la Direttiva Comunitaria più volte ricordata contempla la possibilità che il procedimento di mediazione venga «suggerito o ordinato da un organo giurisdizionale» (così all art. 3), e stabilisce che «l organo giurisdizionale investito di una causa possa, se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la contro- (segue) Le Società 5/

4 viare, per quanto attiene agli organismi di mediazione, al regime tributario e alle indennità, nonché alla formazione dei mediatori, ad appositi decreti attuativi in procinto di essere emanati, il legislatore delegato tratteggia in poche norme (artt. 3, 4, commi 1 e 2, 6, 8) un procedimento di mediazione destinato ad accogliere tutte le controversie civili e commerciali, aventi ad oggetto diritti di cui le parti possano disporre, in alternativa al quale, con riferimento alla materia dei contratti bancari, assicurativi e finanziari, compie la scelta di consentire il ricorso alle discipline specifiche già operanti nella materia in questione (il riferimento è al procedimento previsto dal D.Lgs. 8 ottobre 2007, n. 179, e a quello istituito in attuazione dell art. 128 bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia). Vengono inoltre fatte salve le norme che già prevedono tentativi obbligatori di conciliazione nei settori non contemplati dal decreto (così in materia di telecomunicazioni); inoltre, con riferimento alla conciliazione societaria, viene soppressa la disciplina contenuta negli artt. 38 ss., D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, per essere riproposta in forma più generale, ma riportata ai termini previsti per tutte le controversie civili e commerciali dal decreto in commento, attraverso l inserimento, nell art. 5, comma 2, di una previsione (simile, ma non identica, a quella contenuta nell art. 40, comma 6, D.Lgs. n. 5/03), per la quale «se lo statuto ovvero l atto costitutivo dell ente prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice o l arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all articolo 6». Si ribadisce così, per le controversie «societarie» (tali dovendosi ritenere, in senso ampio - sulla scorta delle materie un tempo indicate dall art. 1, D.Lgs. n. 5/2003, oggi parzialmente abrogato (8) - i rapporti societari, le azioni di responsabilità, il trasferimento delle partecipazioni sociali, i patti parasociali) (9), la facoltà di inserire nello statuto una clausola con la quale l eventuale azione in giudizio, o il giudizio arbitrale, dovranno essere preceduti dall esperimento di un tentativo di conciliazione, la cui obbligatorietà è di origine convenzionale. Il tutto nella convinzione che in ipotesi come queste, in cui il rapporto tra le parti è destinato a protrarsi nel tempo, sia opportuno consentire che, attraverso la mediazione, i contendenti possano, non solo definire le questioni insorte, ma eventualmente anche procedere ad una ridefinizione della relazione tra essi corrente, in una prospettiva futura. La previsione dell art. 5, comma 5 - che generalizza alla clausola di conciliazione contenuta in un qualsiasi contratto, quanto l art. 40, comma 6, D.Lgs. n. 5/2003 aveva consentito per la clausola inserita nello statuto societario - attribuisce definitivamente alla pattuizione delle parti quell efficacia vincolante (10) che era sempre stata negata, sul presupposto della indisponibilità dei presupposti processuali in assenza di previsione espressa, quale quella che consente la deroga convenzionale alla giurisdizione o alla competenza, oppure il patto compromissorio, per arbitrato rituale o irrituale. (segue nota 7) versia» e possa «altresì invitare le parti a partecipare ad una sessione informativa» sul ricorso a questo strumento di risoluzione delle controversie, «se tali sessioni hanno luogo e sono facilmente accessibili» (così all art. 5), ponendo agli Stati membri l obiettivo minimo di fornire i tribunali di «strumenti efficaci per promuovere attivamente l utilizzo della mediazione», anche considerata la necessità di garantire «un equilibrata relazione tra la mediazione ed il procedimento giudiziario». Indicazione, questa, che si salda alla previsione contenuta nell art. 60 della L. 18 giugno 2009, n. 69, in cui tra i principi della delega al Governo vi era quello di prevedere la possibilità che presso i tribunali siano istituiti organismi di conciliazione. Per un esempio di attuazione ante tempus della previsione dell art. 5, comma 2, del decreto, e delle modalità con le quali i magistrati invitano le parti a procedere alla mediazione, v. il Progetto Nausicaa ( realizzato su iniziativa dell Osservatorio sulla giustizia civile di Firenze, della Facoltà di Giurisprudenza, della Camera di Commercio, dall Organismo di Conciliazione di Firenze - OCF, e della Regione Toscana, e volto a sperimentare la «conciliazione delegata» (nel senso fatto proprio dal decreto) dagli uffici giudiziari in tutte le controversie civili e commerciali aventi ad oggetto diritti disponibili, nel distretto della Corte d Appello di Firenze. (8) A seguito dell emanazione della L. 18 giugno 2009, n. 69, dapprima, e del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, poi, sono state soppresse, com è noto, tutte le norme che regolavano il rito societario e quelle in tema di conciliazione. Restano in vita, invece, le previsioni relative all arbitrato societario, contenute negli artt. da 34 a 37 del decreto. (9) La nozione di controversia societaria che si ricava dall art. 1 del decreto oggi abrogato in parte qua (e riecheggiata dall art. 34) ricomprende ipotesi di conflitto interno alla società (nullità della società, impugnativa della delibera assembleare, esclusione del socio); di conflitto esterno alla società (conflitti da patto parasociale, conflitti discendenti dalle vicende della circolazione delle quote, nelle quali, per dirla con C. Angelici, Le azioni, in Commentario Schlesinger, sub art cod. civ., Milano, 1992, 360 ss., part. 370, ove vi sia una clausola di prelazione nello statuto emerge un profilo parasociale); oppure, ancora, di conflitto tra società e amministratori, quando l azione ha di mira l illecito gestorio, per il timore di una crisi di legalità nell operato dell ente, oppure per il possibile tradursi in crisi economica, fino all insolvenza vera e propria, della disfunzione di gestione, che assurga o meno a vero e proprio illecito. In generale, sulla mediazione commerciale si veda P. Lucarelli, La mediazione commerciale, in C. Besso (a cura di), La mediazione civile e commerciale, Torino, 2010, (in corso di pubblicazione). (10) Nel senso che costituisce ostacolo alla proposizione della domanda giudiziale, quale condizione di procedibilità della stessa, e non fa sorgere soltanto il diritto al risarcimento del danno a carico della parte inadempiente. 622 Le Società 5/2010

5 Accordo e sentenza: le opportunità della conciliazione Il negozio in cui si traduce la conciliazione ha caratteristiche peculiari. Trattandosi di un atto che è espressione dell autonomia negoziale, le parti, con esso, potranno disporre come credono della res litigiosa (purché, ovviamente, nei limiti, evocati già dall art c.c., dell ordine pubblico e delle norme imperative, richiamati all art. 12 del decreto, e posti dall art. 14 anche come limite naturale alla proposta formulata dal mediatore), potendo anche superare i confini della lite, senza incontrare, diversamente da quanto avviene per il giudice e l arbitro, l ostacolo, implicato dal principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, a che l accordo riguardi anche vicende originariamente non ricomprese nella controversia. Con la conciliazione, pertanto, possono essere poste le basi per una diversa regolamentazione del rapporto futuro, laddove invece i meccanismi di composizione della lite di tipo «aggiudicativo», come sono quelli che danno vita a una sentenza o a un lodo, sono «costretti» nei binari della distribuzione della ragione e del torto, imposti dall art. 112 c.p.c., e non possono intervenire a modificare la situazione sostanziale delle parti, se non nel diverso senso, e negli stretti confini, dettati dall art c.c. all emanazione di pronunce costitutive. Il che non toglie che la determinazione dell oggetto della lite che si vuole evitare di introdurre, con la proposizione della «domanda» di mediazione, debba essere compiuta in corrispondenza con quel che sarebbe il petitum dell atto introduttivo del giudizio da proporre (11), non già perché con ciò si intenda trasformare il procedimento di mediazione in un iter che si snodi sulla falsariga di un processo di tono minore, ma per l ovvia constatazione della necessità di consentire alla parte il raggiungimento degli effetti previsti dall art. 5, comma 6 (12). La riferibilità alle parti e la natura negoziale dell atto conclusivo del procedimento di mediazione non escludono la necessità di trovare un raccordo col processo, per l eventualità che, raggiunto l accordo, una delle parti non ottemperi spontaneamente a quanto concordato. Raccordo, che il legislatore delegato, in ossequio al principio contenuto alla lett. s) dell art. 60, L. n. 69/09, ha compiuto prevedendo in modo espresso, all art. 12, che il verbale di accordo, una volta omologato (e l omologa è compiuta non solo con riferimento all accertamento della regolarità formale, ma anche attraverso la verifica della non contrarietà del contenuto all ordine pubblico e alle norme imperative), sia titolo per ogni tipo di esecuzione forzata, e consenta l iscrizione dell ipoteca giudiziale. Una previsione, questa, che, a tacer d altro, ha il pregio, nel momento in cui la parte si rivolge all avvocato per decidere se introdurre o meno la lite, di far sì che la stessa non opti per la via giudiziaria per il solo fatto di non poter essere altrimenti garantita dall eventuale inadempimento della controparte all accordo, o di voler attribuire, attraverso l iscrizione ipotecaria, natura privilegiata al credito nascente dalla pattuizione, al tempo stesso facendo indiretta pressione sull altrui volontà di eseguire spontaneamente quanto concordato. (11) Ed a questo fine, del resto, l art. 4 del decreto prevede espressamente che l istanza debba «indicare l organismo, le parti, l oggetto e le ragioni della pretesa», in analogia a quanto stabilisce, per l atto di citazione, l art. 163 c.p.c. Su questo punto si veda l esperienza della conciliazione nelle controversie del pubblico impiego, con riferimento alle quali l art. 66, D.Lgs. n. 165/01, diversamente dagli artt. 410 ss. c.p.c., ha cura di delineare il contenuto che deve assumere la richiesta del tentativo di conciliazione. (12) L art. 5, comma 6, prevede che la domanda di mediazione produca sulla prescrizione e sulla decadenza gli effetti della domanda giudiziale, «dal momento della comunicazione alle altre parti». La previsione è importante, soprattutto nella materia societaria, dove frequente è il ricorrere dei termini di decadenza. Com è noto, con riferimento alla disposizione simile, anche se non identica (perché si parla solo di interruzione della prescrizione, e non anche di sospensione, e perché la decadenza è «sospesa», laddove qui, invece, un intero termine inizia a decorrere ex novo), contenuta nell art. 410 c.p.c., per la quale «la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza», la formula utilizzata dal legislatore aveva sollevato qualche dubbio circa l esatta individuazione del momento in cui si verifichi l effetto interruttivo e quello sospensivo, e la giurisprudenza prevalente - nell alternativa tra collocare tale effetto al momento della presentazione della richiesta alla commissione, della comunicazione della richiesta alla controparte, e della convocazione delle parti ad opera della commissione - aveva optato per la soluzione intermedia. Ad evitare equivoci, il legislatore del decreto in commento precisa che l effetto della domanda giudiziale si produce dal momento della comunicazione «alle altre parti», aggiungendo, all art. 8, comma 1, che «all atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre quindici giorni dal deposito della domanda», e stabilendo inoltre che «la domanda e la data del primo incontro [siano] comunicate all altra parte (...) anche a cura della parte istante». Mutuando di nuovo l esperienza del tentativo obbligatorio di conciliazione nel processo del lavoro, e considerando il principio per cui «il lavoratore che abbia interesse ad ottenere una pronta ed efficace sospensiva dei termini di decadenza dalla sua richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, ha l onere di provvedere a notificare tale richiesta al datore di lavoro, senza attendere la comunicazione dell ufficio provinciale del lavoro» (Cass., sez. lav., 22 marzo 2006, n. 6287, in Foro it., Rep. 2006, voce Lavoro e previdenza (controversie), 45), si suggerisce, appunto, che la comunicazione all altra parte della domanda di mediazione avvenga a prescindere dalla notizia dell avvenuta fissazione, in un termine che oltretutto non è perentorio, ad opera dell organismo della data del primo incontro. Le Società 5/

6 Sul punto dell utilizzabilità dei risultati della conciliazione in proiezione esecutiva, era già intervenuta la riforma del processo civile del , sia chiarendo che il verbale di conciliazione, quantomeno quello giudiziale, in virtù dell inserimento tra «gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva» di cui all art. 474, comma 2, n. 1, c.p.c., è titolo anche per un esecuzione diversa da quella per espropriazione, sia allargando il novero dei titoli esecutivi alle scritture private autenticate, per quanto limitatamente agli obblighi al pagamento delle somme di denaro (e consentendo così alle parti di ricorrere all autentica notarile delle sottoscrizioni), sia, infine, modificando l art. 642 c.p.c., per cui il decreto ingiuntivo può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo «se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore comprovante il diritto fatto valere» (e tale è, certamente, l accordo raggiunto in sede di conciliazione). Il decreto in discorso, tuttavia, compie un passo ulteriore, nel momento in cui attribuisce espressamente efficacia esecutiva al verbale di conciliazione stragiudiziale, ampliando previsioni analoghe, come quella dell art. 696 bis c.p.c., o altre, riferite a settori specifici dell ordinamento (la conciliazione societaria e dei contratti di affiliazione commerciale, nonché - ma in questo caso senza alcun riferimento all esecuzione in forma specifica - la conciliazione in materia di consumo, nelle controversie promosse dalle associazioni ex art. 140, Codice del consumo, e la conciliazione nelle liti tra utenti e organismi di telecomunicazione). E, oltre a chiarire che il verbale omologato è titolo anche per l esecuzione in forma specifica, e non solo per l espropriazione forzata (13), il decreto prevede che il verbale sia titolo per l iscrizione di ipoteca giudiziale, superando così, come già aveva fatto l art. 696 bis c.p.c. con riguardo alla conciliazione raggiunta dinanzi al consulente tecnico, e l art. 40, D.Lgs. n. 5/03, per le controversie societarie, la tassatività dell art c.c., per il quale solo la sentenza o gli altri provvedimenti giudiziali cui la legge attribuisce tale effetto possono consentire di iscrivere ipoteca sui beni del debitore. In virtù di questa previsione, dunque, il verbale della conciliazione raggiunta in via stragiudiziale offre alle parti un utilità in più, rispetto allo stesso verbale di conciliazione giudiziale, per il quale non è prevista un opportunità analoga. Rimane invece esclusa la possibilità di una trascrizione del verbale, quando questo contenga un contratto, o un atto previsto dall art c.c., giacché per essa si è voluto espressamente richiedere, raccogliendo un indicazione proveniente dalla professione notarile, che la sottoscrizione del processo verbale sia autenticata da un pubblico ufficiale a tanto autorizzato (14). La previsione di una «astreinte» (o di una clausola penale?) Il legislatore del decreto, dunque, in ossequio alle indicazioni contenute nella direttiva comunitaria al punto 19) del Considerando e nel rispetto della legge delega, ha mostrato di volersi preoccupare non poco dell eventuale inadempimento degli obblighi contenuti nel verbale di conciliazione. Come si diceva, infatti, il piano negoziale su cui muove la mediazione non esclude affatto la necessità che l accordo raggiunto possa essere disatteso, e che le regole del processo debbano tornare in gioco ancora una volta, a tutela della parte non inadempiente. Sul medesimo punto, è allora opportuno ricordare anche che, a presidio ulteriore degli obblighi assunti dalle parti, è stata inserita, nel decreto, una previsione (dalla qualificazione incerta, come subito diremo) che, riecheggiando la formulazione dell art. 614 bis c.p.c., vorrebbe colmare la lacuna della L. n. 69/2009, dal momento che la norma sull astreinte, inserita nel codice di rito, non poteva richiamarsi per il verbale di conciliazione, avendo come presupposto, quella norma, la pronuncia di un provvedimento di condanna, in questo caso viceversa assente. La scelta compiuta dal legislatore (peraltro abbastanza obbligata) non può considerarsi inequivoca. La strada seguita è diversa, infatti, da quella dell art. 140, D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, dove, oltre a consentire che il giudice, col provvedimento che definisce il giudizio nel quale rilascia la misura inibitoria dell illecito, «fissi un termine per l adempimento degli obblighi stabiliti e, anche su domanda della (13) Punto, sul quale è opportuno ricordare quanto, intervenendo prima della riforma, aveva già sottolineato la nota sentenza interpretativa della Corte costituzionale 12 luglio 2002, n. 336, in Foro it., 2004, I, 41 ss., in merito all art. 612 c.p.c., che, a giudizio della Corte, pur alludendo alla necessità di una sentenza di condanna ai fini dell esecuzione degli obblighi di fare o non fare, avrebbe consentito il procedimento di esecuzione anche qualora il titolo esecutivo sia costituito dal verbale di conciliazione. (14) Sulla possibilità di trascrivere invece il verbale di conciliazione giudiziale, per il fatto che lo stesso, in quanto redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assumerebbe la forma dell atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell art c.c., v. Cass., sez. I, 15 maggio 1997, n. 4306, in Vita not., 1997, 842. Sull idoneità dei verbali di conciliazione alle formalità pubblicitarie, v. la nota di S. Tondo a Cass. del Regno, sez. III civ., 3 giugno 1931, n. 2131, e a Trib. Firenze, dec., 27 novembre 1986, in Foro it., 1987, I, 3130, dove l A. svolge rilievi che, con gli opportuni aggiornamenti, possono essere ancora considerati attuali. 624 Le Società 5/2010

7 parte che ha agito in giudizio, disponga, in caso di inadempimento, il pagamento di una somma di denaro da 516 euro a euro, per ogni inadempimento ovvero giorno di ritardo rapportati alla gravità del fatto», si estende la misura coercitiva (che in questo caso va a vantaggio dello Stato e non del creditore) al caso di inadempimento degli obblighi risultanti dal verbale di conciliazione, a patto che le parti si rivolgano al tribunale con procedimento in camera di consiglio affinché, accertato l inadempimento, il giudice disponga il pagamento delle somme di denaro in questione. Nell art. 11 del decreto in commento, infatti, si prevede che sia direttamente l accordo a contemplare il pagamento della somma di denaro che mira a far pressione sulla volontà del debitore, e la terminologia utilizzata per tratteggiare questa pena privata finisce così per evocare quella dell art c.c., e della clausola con la quale si conviene che, in caso d inadempimento o di ritardo nell adempimento, uno dei contraenti sia tenuto ad una determinata prestazione pecuniaria (15). Il che apre ad una alternativa: da un lato ritenere di essere di fronte, appunto, ad una penale, per il fatto che l autonomia negoziale può creare strumenti risarcitori, ma non sanzionatori. Dall altro, considerando che, altrimenti, non vi sarebbe stato bisogno di una previsione espressa per consentire alle parti di concordare una clausola penale come quella dell art c.c., sostenere che l art. 11 del decreto sia, nel suo complesso, nell intenzione del legislatore, sostitutivo dell art. 614 bis c.p.c., il che, con una qualche forzatura, consentirebbe di riconoscere funzione sanzionatoria, e non risarcitoria, alla misura prevista nella norma in commento. Con riferimento al momento dal quale dovrà considerarsi decorrente il ritardo nell adempimento, si suggerisce che le parti, al fine di evitare infinite contestazioni sul punto, prevedano nel verbale quale sia il termine per l attuazione degli obblighi, sulla falsariga di quanto si legge nell art. 140, Codice del consumo, dove però, come ricordato, viene stabilito anche che il pagamento dell importo in questione sia disposto dal giudice con procedimento in camera di consiglio, previo accertamento dell inadempimento. Nel caso che ci occupa, invece, manca qualsiasi previsione di accertamento della mancata attuazione degli impegni assunti, per cui, per chi aderisca alla tesi che l art. 11 sostituisce integralmente, con riferimento al verbale di conciliazione, la previsione dettata dall art. 614 bis c.p.c. per i provvedimenti del giudice, e reputi perciò che, pure in questo caso, l efficacia esecutiva del verbale possa coprire anche la previsione della misura coercitiva (sebbene il credito non sia liquido, e talora neppure «liquidabile» con una semplice operazione aritmetica), si avrà un ulteriore alternativa tra ritenere che la determinazione della somma da pagare debba essere richiesta al giudice dell esecuzione (come se si trattasse di «determinare le modalità dell esecuzione», secondo quanto prevede l art. 612 c.p.c. nel caso dell esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare), oppure - analogamente a quanto avviene nell ipotesi disciplinata dall art. 614 bis, e in coerenza col paragone tra questa norma e l art. 11 del decreto - venga effettuata direttamente dal creditore, nell atto di precetto, rimettendo all obbligato l onere di affrontare la questione, in sede di opposizione all esecuzione. I profili ricordati da ultimo, con riguardo all inadempimento del verbale, non devono far dimenticare, ovviamente, che la forza della mediazione sta nella condivisione dei risultati raggiunti. E che la straordinaria apertura alla conciliazione, stragiudiziale e delegata, voluta dapprima dalla delega, e poi dal decreto, presuppone una volontà di collaborazione tra parti, difensori, mediatore (e giudice, nella previsione del secondo comma dell art. 5), che rappresenta una delle principali scommesse per il successo dell istituto e il miglior funzionamento del sistema giustizia nelle liti civili e, per quanto qui maggiormente interessa, per quelle commerciali. Nota: (15) Stante la funzione risarcitoria, e non sanzionatoria, della clausola penale, che pure, com è noto, è autonoma tanto rispetto all inadempimento (potendo trovare applicazione tanto in ipotesi di domanda di risoluzione del contratto quanto in quella in cui venga proposta domanda di esecuzione coatta dello stesso) quanto rispetto al danno (atteso che la penale può essere prevista anche in assenza di un concreto pregiudizio economico), l effetto di un interpretazione che volesse scorgere nella previsione dell art. 11 nient altro che un applicazione dell art c.c. porterebbe ad escludere la possibilità di far valere eventuali richieste risarcitorie legate all inattuazione dell accordo. Del resto, neppure l art. 614 bis scioglieva del tutto il nodo circa la natura coercitiva o anche risarcitoria della misura prevista (tema, questo, che era stato affrontato e risolto in Francia, Paese d origine dell astreinte, nella prima direzione, con l affermazione dell autonomia della misura dai dommages-intérêts), visto che menzionava, tra i criteri indicati per la determinazione della somma da parte del giudice, non solo il valore della controversia e la natura della prestazione, ma anche il «danno quantificato o prevedibile», con quella latente sovrapposizione tra funzione risarcitoria e funzione afflittiva della pena pecuniaria, che rappresenta una fonte potenziale di problemi interpretativi, come risulta dall esperienza dell art. 18 St. Lav., comma 4, nel testo novellato dalla L. 11 maggio 1990, n Sul punto, v., si vis, il mio La «riforma» del processo civile: la dialettica tra il giudice e le parti (e i loro difensori) nel nuovo processo di primo grado, incorr. giur., 2009, 1039 e ss. 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8 La mediazione civile: il procedimento, la competenza, la proposta di Giovanni Armone La disciplina del procedimento di mediazione è affidata dal D.Lgs. n. 28/2010 a una duplice fonte: la normativa statale primaria e secondaria e l autonomia regolamentare degli organismi, soggetti peraltro a un controllo pubblico in sede di abilitazione. Il procedimento di mediazione si caratterizza per la sua informalità e rapidità. L accesso avviene mediante il deposito di un istanza che deve contenere elementi minimi; non vi sono regole di competenza territoriale; la mediazione ha la durata massima di quattro mesi; mira a facilitare un accordo amichevole tra le parti, ma può concludersi con una proposta non vincolante di soluzione della lite. Profili generali Il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 dedica al procedimento di mediazione le scarne disposizioni in epigrafe. La forma e il contenuto di tali disposizioni sembrano dimostrare l intenzione del legislatore delegato di assicurare la snellezza e l informalità del procedimento e, al tempo stesso, di rimettere all autonomia dei singoli organismi il compito di disciplinarne in dettaglio scansioni e caratteristiche. Per chi considera la mediazione uno strumento volto a favorire la diffusione di forme alternative e deformalizzate di risoluzione delle controversie, si tratta di una naturale conseguenza del carattere innovativamente liberale del D.Lgs. n. 28/2010. Chi invece scorge nella riforma uno strumento di privatizzazione della giustizia, può trovare nella stringatezza delle norme sul procedimento l ennesima conferma che la mediazione prelude alla definitiva capitolazione delle garanzie e alla sostanziale negazione dell accesso alla giustizia. In realtà, l impressione di una disciplina quasi interamente rimessa all autonomia degli organismi si rivela, a un più attento esame, inesatta. L art. 16, comma 3, precisa che ogni organismo di mediazione è tenuto, all atto della domanda di iscrizione nel registro ministeriale, a depositare il proprio regolamento di procedura e aggiunge che il Ministero della giustizia fonda il vaglio della domanda d iscrizione (anche) sull idoneità di tale regolamento. Il contenuto del regolamento non è però del tutto libero, poiché non poche norme del D.Lgs. n. 28/2010 ne dettano, a volte quasi di sfuggita, contenuti minimi imprescindibili o comunque sembrano indirizzare gli organismi verso un preciso modello procedurale, che se non è inderogabile, è certo raccomandato. Così l art. 8, comma 4, impone agli organismi di disciplinare nel regolamento le modalità di calcolo e liquidazione dovute agli eventuali esperti nominati; l art. 14 chiede che il regolamento indichi le formule attraverso cui ciascun mediatore deve rendere la dichiarazione di imparzialità (comma 2, lett. a) e individui i meccanismi di sostituzione del mediatore, quando questi sia lo stesso responsabile dell organismo e vi siano dubbi sulla sua imparzialità (comma 4); l art. 16 esige che il regolamento regoli le procedure telematiche e le indennità. Si veda poi l art. 9, comma 2, dove si stabilisce il dovere di riservatezza del mediatore sulle dichiarazioni rese dalle parti nel corso delle sessioni separate: ciò non soltanto dimostra che tali sessioni sono consentite (1), ma che la mediazione cui gli organismi devono tendere, attraverso apposite previsioni regolamentari, è quella di tipo facilitativo, che trova nelle separata audizione delle parti il proprio tratto qualificante (2). Non va poi dimenticato che il D.Lgs. n. 28/2010 demanda a successivi decreti attuativi il compito di regolare aspetti esecutivi e di dettaglio (art. 16). E con tali decreti l autonomia regolamentare degli organismi potrà essere ulteriormente circoscritta, come lascia prefigurare in maniera chiara l art. 17, comma 4, a proposito delle indennità. In conclusione, l apertura verso forme non statali di risoluzione dei conflitti non sembra aver implicato anche una definitiva opzione verso l uno o l altro modello di regolamentazione. Le fonti eteronome mantengono un ruolo decisivo nella concreta disciplina della procedura di quella che a ragione è stata definita «una via italiana alla mediazione (3)». (1) L. Dittrich, Il procedimento di mediazione nel D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, 18 del dattiloscritto (intervento al Corso di aggiornamento della Camera Civile di Milano del 30 marzo 2010, sul tema: «La nuova mediazione civile e commerciale nel d. lgs. 4 marzo 2010 n. 28. Lineamenti definitivi e profili di criticità»). (2) V. R. Caponi, Quadro generale, inla giustizia civile alla prova della mediazione (d. leg. 4 marzo 2010, n. 28), inforo it., 2010, V, in corso di pubblicazione. (3) L. Dittrich, op. cit., Le Società 5/2010

9 Mediazione e accesso alla giustizia L accesso alla mediazione si caratterizza come libertà del cittadino. Lo enuncia con un po di enfasi l art. 2, D.Lgs. n. 28/2010, quasi per instaurare un parallelo con l art. 24 Cost. e sottolineare che la mediazione si prospetta come strumento complementare e non alternativo rispetto alla giurisdizione. Naturalmente, ciò non è sufficiente a dissipare i dubbi emersi in dottrina sulla costituzionalità e/o sulla opportunità delle ipotesi in cui, ai sensi dell art. 5, comma 1, il tentativo di mediazione è obbligatorio: dubbi che attengono sia alla compatibilità con la delega contenuta nell art. 60, L. n. 68/ 2009, sia, più in generale, alla conformità ai valori costituzionali che garantiscono il pieno e incondizionato accesso alla giustizia (4). Questo dilemma deve essere affrontato alla luce di una lettura combinata della giurisprudenza costituzionale e delle fonti, normative e giudiziali, comunitarie. La Corte costituzionale ha sinora sempre riconosciuto che le ipotesi di tentativo obbligatorio di conciliazione non sono di per sé lesive del diritto di difesa in giudizio. Oltre alle recenti decisioni in materia di telecomunicazioni (Corte cost. nn. 51/2009, 403/2007, 268/2006, 125/2006), la pronuncia più articolata è quella con cui è stata negata l incostituzionalità del tentativo obbligatorio nelle controversie di lavoro (n. 276/2000): in tale occasione la Consulta ha osservato che «l art. 24 Cost., laddove tutela il diritto di azione, non comporta l assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzati a salvaguardare «interessi generali», con le dilazioni conseguenti», aggiungendo che il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 412 bis c.p.c., «tende a soddisfare l interesse generale sotto un duplice profilo: da un lato, evitando che l aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell apparato giudiziario, con conseguenti difficoltà per il suo funzionamento; dall altro, favorendo la composizione preventiva della lite, che assicura alle situazioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quella conseguita attraverso il processo» (5). Il procedimento disegnato nel D.Lgs. n. 28/2010 sembra attagliarsi ai principi enunciati dalla Corte, sia per i tempi complessivamente contenuti, sia perché il tentativo obbligatorio è concepito come (blanda) condizione di procedibilità, sulla falsariga dell art. 412 bis c.p.c. Va però ricordato un altro filone della giurisprudenza costituzionale, con cui la Corte ha dichiarato illegittime varie disposizioni che prevedevano forme di giurisdizione condizionata: si vedano Corte Cost. n. 296/2008 e n. 40/1993, in materia di trasporto ferroviario, nonché Corte cost. n. 15/1991, in materia di servizio postale, che hanno sancito l incostituzionalità di norme che subordinavano l accesso al giudice al preventivo reclamo amministrativo. Non sono del tutto chiari i criteri utilizzati dalla Corte per distinguere tra le diverse ipotesi di filtri all accesso, le une legittime, le altre no: la distinzione tra condizione di procedibilità e di proponibilità, nonché il vago riferimento a interessi generali o sociali o a superiori finalità di giustizia, lasciano insoddisfatti e assomigliano a paralogismi, funzionali a mantenere in capo alla Corte un ampio margine di discrezionalità (6). In realtà, è probabile che le norme in materia di servizio ferroviario e postale, dichiarate illegittime, fossero il residuo di un epoca in cui i filtri alla giurisdizione erano concepiti in termini di reclamo amministrativo all autorità pubblica chiamata a vigilare sull ente controparte del privato. Tale modello non è del tutto scomparso, poiché a esso si ispirano le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi (v. infatti l art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 28/ 2010), ma non può in alcun modo sopravvivere quale condizione di accesso alla giurisdizione, perché il soggetto deputato a decidere o a mediare è in tale modello privo dei requisiti di terzietà e imparzialità che possono fondare un alternativa alla giustizia da percorrere obbligatoriamente. In questa prospettiva, l accento posto dal D.Lgs. n. 28/2010 sulla libertà di accesso alla mediazione (art. 2) e sulla terzietà e imparzialità dei soggetti chiamati a renderla (artt. 14 e 16), dovrebbe aggiungere elementi a sostegno della non contrarietà alla Costituzione del tentativo obbligatorio. (4) V. D. Dalfino, Mediazione, conciliazione e rapporti con il processo, inla giustizia civile alla prova della mediazione, cit., in corso di pubblicazione; M. Bove, Mediazione civile: una disciplina poco liberale che richiede una visione legata agli interessi, in Guida dir., 2010, 13, 12; S. Chiarloni, Prime riflessioni sullo schema di decreto legislativo di attuazione della delega in materia di mediazione ex art. 60 legge n. 69/2009, inwww.ilcaso.it, doc. n. 179/2009, 7. (5) In Foro it., 2000, I, (6) Su queste ambiguità v. N. Trocker, La conciliazione come metodo alternativo di risoluzione delle controversie nell esperienza dell ordinamento italiano tra obiettivi di politica legislativa e profili di compatibilità costituzionale, in V. Varano (a cura di), L altra giustizia, Milano, 2007, 339 e già G. Costantino, in Foro it., 1993, I, c Le Società 5/

10 Su tutto poi sembra stendere un ala di protezione il diritto di matrice europea. L art. 5, par. 2, della direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008 consente che la legislazione domestica preveda forme obbligatorie di mediazione, «purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario». E la Corte di giustizia, con riferimento al procedimento obbligatorio di conciliazione previsto dal diritto italiano in materia di telecomunicazioni, ha di recente negato che il differimento per un breve lasso temporale equivalga a una negazione di tale diritto, affermando al contrario che le disposizioni italiane «hanno ad oggetto una definizione più spedita e meno onerosa delle controversie in materia di comunicazioni elettroniche, nonché un decongestionamento dei tribunali, e perseguono quindi legittimi obiettivi di interesse generale» (Corte Giust. 18 marzo 2010, cause riunite C-317/08, C-318/08, C- 319/08 e C-320/08) (7). Se pure non è impossibile immaginare un diritto nazionale più rigoroso di quello comunitario sull accesso alla giustizia (ma in materia di telecomunicazioni vi è piena consonanza: v. Corte Cost. 51/2009), la direttiva e la sentenza di Lussemburgo sembrano offrire un buon viatico per riconoscere la conformità della mediazione obbligatoria del D.Lgs. n. 28/2010 ai principi costituzional-comunitari (8). La competenza degli organismi di mediazione Passando alle concrete modalità di accesso, l art. 4 stabilisce che la domanda di mediazione si presenta mediante deposito di un istanza contenente alcuni requisiti minimi a un organismo abilitato, limitandosi ad aggiungere che in caso di più domande relative a una medesima controversia, l organismo abilitato a procedere è quello preventivamente adito. Il legislatore delegato ha voluto in tal modo ancora una volta porre l accento sulla semplicità e informalità dell accesso alla mediazione, ma ha suscitato molte critiche da parte della dottrina, per non aver introdotto un criterio di competenza territoriale. Gli interpreti temono che la mancata previsione di criteri di competenza dia luogo a vessazioni in danno delle parti meno attrezzate, costrette a recarsi presso organismi di mediazione graditi all istante o molto lontani dal loro luogo di residenza, e più in generale a fenomeni di strumentalizzazione della mediazione, specie obbligatoria. Tutta la giurisprudenza sul foro del consumatore rischia ad es. di essere azzerata e il deposito di un istanza presso un qualsiasi organismo, non coltivata, sarà sufficiente a evadere la condizione di procedibilità. La scelta, che ha resistito anche ai contrari pareri di Camera e Senato, è indubbiamente radicale. Su di essa hanno probabilmente influito due fattori: la difficoltà di prevedere strumenti di risoluzione dei conflitti sulla competenza che inevitabilmente sarebbero nati e la convinzione che la mediazione anche obbligatoria potrà avere successo solo se basata su un reale spirito collaborativo e sulla professionalità dei centri di mediazione (9). Quanto alle possibili distorsioni, oltre alle compensazioni che potrebbero essere garantite dall art. 8, comma 5 (su cui infra), devono svolgersi due rilievi aggiuntivi. In primo luogo, va osservato che la diffusione sul territorio degli organismi, che è certo condizione di riuscita della mediazione, avrebbe ricreato quegli stessi rischi di strumentalizzazione che le regole sulla competenza territoriale dovrebbero risolvere. Almeno nelle grandi città non vi sarà comunque un unico organismo «naturale» di mediazione, cosicché l attore, anche in presenza di regole di competenza, avrebbe potuto scegliere quello a sé più gradito. La precostituzione è un concetto che mal si attaglia al procedimento di mediazione, a ulteriore dimostrazione che le regole sul processo non si prestano a essere trapiantate su questo diverso terreno. In secondo luogo, il diritto processuale non conosce soltanto azioni strumentali, ma anche eccezioni di incompetenza pretestuose, dilatorie o elusive. Averle smorzate all origine è parte dell intento di non far rivivere alla mediazione gli abusi causidici del processo ordinario. La durata A proposito della durata del procedimento, con la previsione del termine di quattro mesi il legislatore sembra avere anzitutto voluto sottolineare la rapidità della mediazione e l appetibilità di essa rispetto al(la durata del) processo ordinario. Nessuna conseguenza diretta sulla validità del procedimento (7) Per un primo commento v. M. Castellaneta, La soluzione extragiudiziaria delle controversie realizza pienamente l obiettivo della direttiva, e G. Finocchiaro, Un interpretazione dei giudici di Lussemburgo in linea con i parametri costituzionali, inguida al dir., 2010, fasc. 14, 27 e 30. (8) G. Finocchiaro, op. cit., 32. (9) V. in tal senso L. Dittrich, op. cit., Le Società 5/2010

11 deriva infatti dalla sua inosservanza e nessun mediatore accorto interromperà un tentativo di conciliazione solo perché il termine legale è scaduto, quando vi sono concrete possibilità di giungere a un accordo, che purgherà ovviamente ogni sforamento. La fissazione di una durata massima serve poi ad autorizzare le parti, alla scadenza, all abbandono della mediazione volontaria e, per quella obbligatoria, all esercizio dell azione giudiziale sin lì procrastinata. Il superamento del termine attribuisce inoltre un buon motivo per rifiutare la proposta. Il termine costituisce infine il punto di riferimento per il giudice che deve fissare la nuova udienza per la prosecuzione del giudizio, sia nella mediazione obbligatoria che in quella demandata. Il procedimento Nell art. 8, dedicato espressamente al procedimento, il comma 1 riguarda l instaurazione di quello che costituisce l equivalente del rapporto processuale: contraddittorio e designazione del mediatore abilitato a condurre il procedimento. In sede di prima valutazione di tale comma, due sono i dubbi che sono stati affacciati: quale sia la funzione del termine di quindici giorni per la fissazione del primo incontro; se la domanda e la data del primo incontro possano formare oggetto di comunicazioni separate. Al primo quesito deve rispondersi che l inosservanza del termine, pur di natura acceleratoria, non ha (e non può avere) conseguenze per le parti. Esso è assegnato al responsabile dell organismo per garantire alla mediazione un decorso rapido e scandito, non certo per far maturare preclusioni e/o decadenze a carico delle parti incolpevoli, all interno di un procedimento peraltro deformalizzato. Il suo mancato rispetto potrà pertanto produrre conseguenze disciplinari per l organismo, qualora il Ministero della giustizia ritenga di trarne un giudizio di sopravvenuta inidoneità (ma è verosimile che un simile giudizio non possa essere formulato per l inosservanza del termine in una o in poche occasioni). Inoltre, può ipotizzarsi la remotissima possibilità di un azione di responsabilità dell organismo verso le parti, che abbiano subito danni dal ritardo iniziale della mediazione. Quanto al secondo dubbio, il testo normativo non offre alcun appiglio testuale per impedire una comunicazione separata della domanda e della data del primo incontro, anche perché lascia la massima libertà nella scelta sia del mezzo di comunicazione che del soggetto che può provvedervi (organismo o istante). Potrà così accadere che la parte interessata alla produzione degli effetti di cui all art. 5, comma 6, si affretti a comunicare immediatamente la domanda di mediazione depositata, in attesa che l organismo fissi e comunichi la data del primo incontro. Il comma 2 dell art. 8 ribadisce l informalità del procedimento, ma immediatamente vi pone un limite, nel momento in cui prevede che la mediazione può svolgersi presso la sede dell organismo o in altro luogo indicato nel regolamento di procedura: è infatti escluso che possano essere direttamente le parti (o, peggio, la parte istante) a operare la scelta. Nulla vieta pertanto che la mediazione abbia luogo presso lo studio professionale del mediatore o sul luogo che ha dato origine alla controversia, ma tale previsione deve essere preventivamente contemplata nel regolamento, a tutela sia dell organismo chiamato a dirigere la mediazione, sia delle parti. E il vaglio ministeriale sul regolamento di procedura dovrebbe filtrare eventuali previsioni regolamentari bizzarre o vessatorie per la parte convenuta in mediazione. Il comma 3 non sembra possedere un reale valore precettivo, ma piuttosto descrive il clima che dovrebbe contraddistinguere il procedimento di mediazione e ribadisce che il mediatore dovrebbe prima di tutto favorire l emersione dei reali interessi delle parti in vista di un accordo amichevole. Le previsioni concernenti i mediatori ausiliari e gli esperti (commi 1 e 4) rispondono poi alla comune esigenza di supplire alle eventuali carenze di competenza tecnica del mediatore, ma non devono essere confuse e sovrapposte (10). Il mediatore ausiliario è un collaboratore del mediatore e fa parte dell organismo; l esperto è l equivalente del consulente tecnico ed è un professionista esterno. Ne consegue che solo il secondo determina un sicuro costo aggiuntivo per le parti del procedimento di mediazione, mentre il costo del primo rientra nell indennità complessivamente dovuta all organismo (e mai al mediatore). Il comma 5 dell art. 8, aggiunto dopo il passaggio alle Camere, riveste infine un importanza centrale nell economia del D.Lgs. n. 28/2010. Se ne evince anzitutto che il procedimento di mediazione può svolgersi anche senza la presenza di Nota: (10) V. in argomento L. Dittrich, op. cit., 17. Le Società 5/

12 una delle parti (v. anche l art. 11, comma 4, dove è precisato che il verbale, ovviamente negativo, deve dar atto della mancata partecipazione). La mancata partecipazione è tuttavia sanzionata. Una prima sanzione è nascosta, anche se di difficile verificazione. Poiché nessuna norma vieta che anche il procedimento in absentia si chiuda con la formulazione di una proposta (anche se è difficile che il mediatore si arrischi a formularla sulla base dei soli elementi forniti dall istante), ne deriva che, in caso di tacito rifiuto di essa da parte dell assente, a suo carico possono discendere le conseguenze negative in termini di spese previste dall art. 13. La seconda sanzione è invece ben più visibile ed efficace, e riguarda la possibilità - nell eventuale successivo giudizio - di trarre dalla mancata partecipazione alla mediazione argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. La valutazione giudiziale dovrà peraltro tener conto delle ragioni della mancata partecipazione («senza giustificato motivo»). Ciò ha consentito al legislatore delegato di accennare al fatto che l assenza di regole sulla competenza in mediazione e l informalità non possono in ogni caso premiare comportamenti opportunistici volti a provocare la mancata partecipazione, magari convocando la controparte davanti a un organismo molto distante dal suo luogo di residenza o di lavoro (11). L accordo e l eventuale proposta L art. 11, D.Lgs. n. 28/2010 regola la fase conclusiva del procedimento di mediazione ed è la norma forse più controversa dell intero testo. Gli esiti del procedimento possono essere descritti secondo il seguente schema. L accordo amichevole, che resta l esito più auspicabile, conduce al verbale positivo di accordo. Qualora il mediatore non riesca a condurre le parti a tale risultato, si apre un alternativa: ove il mediatore giudichi insufficienti gli elementi a disposizione o troppo distanti le posizioni delle parti e queste non facciano concorde richiesta di una proposta, il procedimento si chiuderà con un verbale negativo; altrimenti, il mediatore, di sua iniziativa o sollecitato dalle parti, formulerà una proposta di composizione della controversia, basata anche su quanto appreso nelle sessioni separate, ma senza poterne in alcun modo far menzione. La reazione alla proposta, che non è mai vincolante, apre le ultime due possibilità: il rifiuto anche di una sola parte riporterà al verbale negativo; la comune accettazione condurrà a un accordo. È noto che, nel passaggio dalla versione approvata in via preliminare al testo definitivo, la proposta ha perso quel connotato di obbligatorietà che tante critiche aveva sollevato (12) ed è ora divenuta facoltativa, salvo il caso in cui le parti ne facciano concorde richiesta al mediatore. La proposta facoltativa sembra in effetti meglio corrispondere alla spontaneità e informalità dell esperienza conciliativa, quale si è andata delineando negli ultimi anni (13). La «minaccia» di una proposta obbligatoria, proveniente da un soggetto che non deciderà la causa e con il corredo delle sanzioni processuali descritte nell art. 13, potrebbe disincentivare una partecipazione attiva alla mediazione. Soprattutto le parti potrebbero essere indotte - nonostante le cautele apprestate dagli artt. 9, 10 e 11, comma 2 - a non rivelare al mediatore, nelle sessioni separate, quelle informazioni riservate che possono orientarlo a una composizione del conflitto, fondata sull assetto complessivo degli interessi in gioco e che costituisce il tratto peculiare della mediazione facilitativa (14). L art. 11 rimette dunque al mediatore il compito di valutare se le informazioni acquisite nel corso del procedimento siano sufficienti alla formulazione di una proposta munita di qualche probabilità di successo. Ciò potrà avvenire, ad es., quando il mediatore percepisca che le parti non sono lontane da un accordo, ma che, per le più diverse ragioni, non sono in grado di giungervi senza una proposta formalizzata che tende a ricreare l atmosfera di sacralità e distacco del processo (15); o ancora la proposta potrà essere formulata quando il procedimento abbia fatto emergere elementi sufficienti a guidare il mediatore, ma sia una sola parte a chiederla, onde cioè evitare che i comportamenti ostruzionistici e dilatori di una parte vadano a danno di quella più disponibile. Le ultime considerazioni svolte inducono ad affermare che la contrarietà manifestata verso la proposta obbligatoria muove forse da una concezione troppo rigida del procedimento di mediazione e trascura le peculiarità anche negative del sistema italiano. (11) V. M. Bove, op. cit., 13. (12) V. per tutti S. Chiarloni, op. cit., 11. (13) Giudica insufficiente tale compromesso M. Bove, op. cit., 12. (14) V. D. Dalfino, op. cit. (15) V. R. Caponi, op. cit. 630 Le Società 5/2010

13 Sotto il primo aspetto, il confine tra proposta facilitativa e aggiudicativa (o valutativa) è assai più mobile di quanto abbiano ritenuto alcuni commentatori. Così come l accordo amichevole sollecitato dal mediatore può avere per oggetto diritti e obblighi delle parti, secondo il classico modello transattivo, che non esige dunque le finezze della mediazione sugli interessi, analogamente la proposta, anche se non richiesta, ben può puntare al riassetto complessivo del rapporto intersoggettivo e non implica necessariamente la riproduzione del modello giudiziale basato sulla distribuzione di torto e ragione. In tal caso, la norma sulle spese processuali perde molto del suo potenziale intimidatorio, essendo difficile che la sentenza del giudice coincida in tutto o in parte con la proposta del mediatore. Quanto alla negativa incidenza della proposta sulla propensione delle parti a rivelare informazioni riservate durante le sessioni separate, essa certamente sussiste, ma può essere attenuata dall abilità ed esperienza del mediatore, nonché da un regolamento dell organismo che sappia modulare il procedimento in relazione agli sviluppi della mediazione: si può ad es. prevedere la formulazione della proposta da parte di un diverso mediatore, che non abbia partecipato alle sessioni separate, o da un collegio di mediatori, in cui il mediatore che ha condotto il procedimento funga da istruttore-relatore (16). Proprio la fluidità del percorso di mediazione giustifica in definitiva la via italiana, ibrida, alla mediazione, in cui la proposta (che è consentita al mediatore pur in assenza della richiesta delle parti) è anche scudo contro i comportamenti opportunistici e l uso strumentale di un procedimento di mediazione che la disciplina del credito d imposta (art. 20) può indurre a percorrere al solo scopo di godere dell agevolazione fiscale, senza alcun reale intento conciliativo. Molto naturalmente dipenderà da come la mediazione andrà sviluppandosi. Se gli organismi acquisteranno la capacità e la credibilità per fornire soluzioni della controversia non distanti da quelle giudiziali, il potere di formulare la proposta diverrà, nelle mani di un mediatore esperto, un efficace strumento per scoraggiare l abuso del processo e, allo stesso tempo, per incentivare il raggiungimento di accordi amichevoli (17). (16) V. un cenno nella relazione illustrativa. Una simile strutturazione si avvicinerebbe al modello conciliativo suggerito in dottrina da A. Proto Pisani, I modelli di fase preparatoria dei processi a cognizione piena in Italia dal 1940 al 2006, inforo it., 2006, V, 374. (17) V. G. Armone - P. Porreca, La mediazione tra processo e conflitto, inla giustizia civile alla prova della mediazione, cit., in corso di pubblicazione. La mediazione e il processo civile: complementarietà e coordinamento di Paolo Porreca La mediazione si pone in termini di complementarità rispetto al processo. Ciò si traduce in una ricerca di coordinamento tra i due strumenti: preliminarmente, attraverso obblighi d informazione sui modi compositivi alternativi; durante il processo, fissando tempi e modi di rilevabilità del mancato esperimento della mediazione nei casi in cui ne è prevista l obbligatorietà, e tutelandone la riservatezza; al termine del processo, valutando se l eventuale rifiuto della proposta conciliativa sia indice di abuso dello strumento processuale. Collocazione sistematica del decreto legislativo Il D.Lgs. n. 28/2010 si colloca sulla scia della L. 18 giugno 2009, n. 69, nella prospettiva delle logiche riformatrici che in quella possono rinvenirsi: semplificazione e contenimento delle forme di abuso del processo. I perni dell intervento legislativo del 2009 recano tracce di questi minimi comun denominatori. Il c.d. filtro ai ricorsi per cassazione (art. 360 bis c.p.c.) cerca di valorizzare la funzione nomofilattica della Suprema Corte, così da offrire certezza agli orientamenti applicativi. Il procedimento sommario di cognizione (artt. 702 bis e ss. c.p.c.) ambisce a consentire una sequenza più snella per le controversie più semplici da istruire. La rinnovata disciplina delle spese processuali (artt. 91, 92 e 96 c.p.c., e art. 152 disp. att. c.p.c.) vuole limitare l uso distorto dello strumento processuale. I principi di non contestazione (art. 115 c.p.c.) e remissione in termini (art. 153 c.p.c.) mirano a responsabilizzare, in Le Società 5/

14 modo reciprocamente bilanciato, la condotta processuale delle parti. Con il decreto legislativo in commento, l obiettivo di responsabilizzazione dei soggetti in lite viene esteso, superando la cornice strettamente processuale. Ne emerge una giustizia civile vista come prodotto di un sistema complesso, in cui processo e composizione consensuale degli interessi coesistono, giocando ruoli complementari (1), laddove il primo si atteggia a extrema ratio rispetto alla ricerca della seconda (2). L obbligo informativo dell avvocato e le ricadute processuali della sua inosservanza Quanto detto implica che tra mediazione e giurisdizione vi siano punti di contatto e coordinamento. Innanzi tutto prima del processo. Dal 20 marzo 2010, giorno di entrata in vigore delle norme, l avvocato deve informare in via scritta l assistito della possibilità di avvalersi della mediazione, e dei relativi benefici fiscali (art. 4). L informazione dovrà specificare le ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità, naturalmente da quando quest ultima opererà, e cioè dal 20 marzo 2011 (art. 24). In caso di omessa informazione scatterà un invalidità c.d. di protezione: l annullabilità del contratto di patrocinio, che, secondo la giurisprudenza, non potrà riverberarsi sulla distinta procura alle liti. (3) L art. 4, comma 2, stabilisce che il documento contenente l informativa sia «allegato all atto introduttivo». L onere è previsto al fine di permettere al giudice di rilevarne l inottemperanza e rendere egli stesso edotta la parte, sempre che non provveda ad aggiornare il processo per consentire la mediazione quando questa non sia stata esperita e, invece, sia obbligatoria. Stante la ratio della norma, l informativa dovrebbe restare atto distinto dalla procura, ma non può evincersi una nullità qualora essa sia presente nel corpo della medesima. Va invece escluso che l obbligo possa ritenersi osservato inserendo un generico avviso in una procura generale alle liti, posto che deve trattarsi di un informativa riguardante una specifica fattispecie controversa. Ciò va desunto dal fatto che la norma parla di «informazione fornita chiaramente», e di allegazione «all atto» che introduce il giudizio. Tale ultima specificazione porta poi a escludere che l obbligo sussista per il convenuto. Una lettura finalistica della norma consente di affermare che l allegato non debba essere notificato dall attore, bensì solo da questi depositato entro la prima udienza, atteso che non incide sui diritti di difesa della controparte (4). Infine, l informativa sarà dovuta per ogni controversia, qualunque sia il procedimento cognitivo cui essa possa essere sottoposta, tranne che per i casi in cui il decreto esclude l operatività sia della mediazione obbligatoria sia di quella cui il giudice può invitare le parti (art. 5, comma 4). Sul punto è necessaria qualche precisazione. Tra le fattispecie procedimentali escluse vi sono casi in cui la disciplina della mediazione, necessaria o sollecitata giudizialmente, non si applica sino a una determinata fase: nel procedimento monitorio sino alle istanze ex artt. 648 e 649 c.p.c.; in quello per convalida di licenza o sfratto sino al mutamento del rito; in quello possessorio sino ai provvedimenti interdittali. Per altre fattispecie, invece, l esclusione è completa: si tratta degli incidenti cognitivi in sede esecutiva, dei procedimenti camerali e dell azione civile in sede penale. Potrebbe ritenersi che l informativa possa essere posposta nel caso di controversie introdotte con riti in cui, solo quando si sia superata la specificata fase, riprendono a operare tutte le forme di mediazione. Questo approccio finirebbe però per sovrapporre due rapporti: quello derivante dalla procura e quello derivante dal contratto di patrocinio. Le causae petendi relative ai procedimenti monitori e per convalida sono suscettibili di azioni secondo il rito comune, e l obbligo dell avvocato non dipende dalle forme prescelte, dato che sorge al momento del «conferimento dell incarico» (art. 4, comma 2). Analogamente, l opzione possessoria potrebbe essere seguita anche in casi nei quali, in tesi, si potrebbe agire in via reale (o anche contrattuale, (1) Sul c.d. multidoors system, di recente, v. Chase, Gestire i conflitti, Diritto, cultura, rituale, Roma - Bari, 2009, (2) V. Caponi, La giustizia civile alla prova della mediazione. Quadro generale, inforo it., 2010, V, in corso di pubblicazione. (3) Cass. 2 settembre 1997, n. 8388, in Foro it., Rep. 1997, voce Procedimento civile, n Sulla distinzione, v. anche Cass., 16 giugno 2006, n , in Foro it., Rep. 2006, voce Avvocato, n (4) Cfr., sull obbligo di notifica dei soli allegati rilevanti a fini difensivi, Porreca, Disciplina comunitaria delle notifiche: il diritto al rifiuto dell atto notificato senza traduzione degli allegati, inforo it., IV, 2010, 104 ss., in nota a Corte Giust. CE, 8 maggio 2008, C-14/ Le Società 5/2010

15 quando da questa derivi un titolo di detenzione qualificata). Diversamente, in alcune delle ipotesi in cui la citata esclusione è necessaria e generale - in specie in quelle soggette a rito camerale o alla disciplina degli incidenti di cognizione del procedimento esecutivo - pare debba escludersi ogni obbligo di informativa, perché non sembra ammissibile neppure la mediazione facoltativa, sebbene si possa trattare di diritti disponibili. Infatti, per un verso quella demandata è sempre una mediazione facoltativa, dato che si tratta di un invito del giudice cui le parti debbono aderire (art. 5, comma 2); per altro verso la mediazione del decreto, anche quando facoltativa, è pur sempre «strutturata», ovvero «privilegiata»: basta pensare alla tutela della riservatezza o al regime tributario e fiscale (artt. 17 e 20). Che senso logico avrebbe ammettere la mediazione volontaria «strutturata» quando il giudice non può demandarla? E cioè quando il giudice non può neppure suggerirla, in modo tra l altro utile alle parti? Nessuno, neppure quello di inibire il rinvio ex art. 5, comma 2, posto che il giudice potrebbe sempre effettuarlo, senza neppure che si tratti, per quanto di rilievo, di un «mero» rinvio. Leggendo il testo in chiave sistematica, ne deriva che l ordinamento, per quelle «controversie» - il che esclude, tra l altro, i procedimenti esecutivi - rovescia il rapporto tra mediazione e processo, privilegiando non la soluzione negoziata, ma quella autoritativa e, cioè, giurisdizionale. La controversia si potrà mediare, ma senza quella disciplina di «favore», e dunque senza che operi l obbligo di informativa relativo alla mediazione svolta «secondo le disposizioni del decreto» in oggetto (art. 2, comma 1). La condizione di procedibilità: profili di costituzionalità I modelli di mediazione regolati dal decreto sono dunque tre: uno puramente volontario, uno demandato, cui le parti aderiscono su prospettazione non vincolante del giudice, e uno obbligatorio. L art. 5 individua le tipologie di controversie rispetto alle quali la mediazione costituisce «condizione di procedibilità». L elenco delle materie può indurre a incertezze, non tanto per la latitudine da ritenere propria di fattispecie già delimitate normativamente, come per i patti di famiglia definiti all art. 768 bis, c.c.; quanto per nozioni che potrebbero intercettare potenzialità espansive, come quella di «diritti reali» e «contratti assicurativi». Quanto alla prima è da escludere che in essa possa ricomprendersi anche ogni azione che scaturisce da contratti traslativi di questi diritti, come, ad esempio, quelle di restituzione per risoluzione del titolo. Il codice di rito civile, in specie all art. 21, utilizza la locuzione con riferimento alle controversie concernenti l accertamento di un diritto reale, dei modi di costituzione dello stesso o delle posizioni soggettive che direttamente ne derivano, restando estranee azioni a natura personale e non reale, quali quelle contrattuali (5). Per quel che riguarda la seconda nozione, potrà farsi riferimento ai contratti di assicurazione di cui agli artt c.c., e non a ogni controversia in cui sia solo potenzialmente azionabile una garanzia assicurativa. Ma il tema posto da questa elencazione non è l ermeneutica delle fattispecie, bensì il dubbio d incostituzionalità che si è affacciato, sia con riferimento al possibile eccesso di delega (6), sia, data l eterogeneità delle materie, con riguardo all eventuale violazione del limite di ragionevolezza (7). L art. 60, L. n. 69/2009, contenente la delega, esplicita due aspetti rilevanti: prima, quando invita il legislatore delegato al «rispetto» e alla «coerenza con la normativa comunitaria»; poi, quando, tra i principi e criteri direttivi, enuncia, alla lettera a), il limite dato dalla la necessità di non «precludere l accesso alla giustizia». La direttiva comunitaria n. 52/2008, all art. 2, comma 1, lett. c), fa espressa menzione dell ipotesi in cui «l obbligo di ricorrere alla mediazione sorge a norma del diritto nazionale». Il Considerando 14 specifica che la direttiva «dovrebbe inoltre fare salva la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio (5) Cass. 3 settembre 2007, n , in C.E.D. Cass., Rv ; Id., 8 giugno 2006, n , in Foro it., Rep. 2006, voce Competenza civile, n. 2006, n. 42. (6) Dalfino, Mediazione, conciliazione e rapporti con il processo, in Foro it., 2010, V, 3, in corso di pubblicazione, che, dubitativamente, fa leva anche sul comma 3, lettera c), dell art. 60, L. n. 69/2009, laddove si indica di disciplinare la materia «anche attraverso l estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5», posto che «il (possibile) rinvio alle forme della conciliazione societaria avrebbe dovuto spingere verso la facoltatività del procedimento». L uso dell avverbio «anche» rende però chiaro che non può supporsi un vincolo alla previsione di forme di mediazione solo facoltative. (7) Dittrich, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, relazione al Corso di aggiornamento della Camera civile di Milano, 30 marzo 2010, Le Società 5/

16 oppure soggetto a incentivi o sanzioni, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario». Di recente la Corte di giustizia ha ribadito che tale principio è anche comunitario, essendo sancito dall art. 6 della C.E.D.U. e dall art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell Unione europea (8). Nello stesso arresto il Collegio di Lussemburgo ha chiarito che per «giurisprudenza costante, i diritti fondamentali non si configurano come prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni a condizione che queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale», perseguiti in modo non «sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti». E ha concluso per la legittimità della mediazione obbligatoria introdotta dalla normativa italiana in materia di telecomunicazioni (L. n. 249/1997), spiegando che si tratta di disposizioni che «hanno ad oggetto una definizione più spedita e meno onerosa delle controversie» in quella materia. Anche la giurisprudenza costituzionale italiana aveva concluso nello stesso modo, osservando che quell accesso non può ritenersi leso quando vi è la «possibilità di una lettura del tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di mera procedibilità dell azione», ossia non di proponibilità della corrispondente domanda (9). Il decreto prevede, d altro canto, che la condizione di procedibilità risulti esclusa per una serie di fattispecie processuali, che esprimono tutele cautelari o urgenti, ovvero, come sopra si è visto, qualificate. Restano anche escluse le azioni inibitorie e risarcitorie previste dal codice del consumo a tutela di interessi superindividuali, vuoi per l esistenza di speciali discipline inerenti la loro proponibilità (D.Lgs. n. 206/2005, art. 140, commi 5 e 6), vuoi per quanto disposto dallo stesso decreto all art. 15, in cui si cerca di chiarire che una mediazione nell azione di classe non è configurabile prima della scadenza del termine per le adesioni, e cioè fin quando vi siano i presupposti per allargarla, restando in linea con il disposto di cui all art. 140 bis, comma 15, Codice del consumo. Sempre per assicurare piena integrità all accesso giurisdizionale, si esclude possa essere impedita la trascrizione della domanda, che latamente assume funzioni di cautela. Alla medesima ratio si ispirano quelle norme che, nell ipotesi di obbligatorietà, fissano speciali limiti alle indennità del mediatore, escludendo inoltre ogni compenso nei casi in cui la parte abbia i requisiti per il gratuito patrocinio (art. 17, commi 4 e 5). Per altro verso, l eterogeneità delle materie soggette a condizione di procedibilità tradisce l ambizione di accentuare la funzione deflattiva dell istituto. Ma non pare che essa possa tradursi in irragionevolezza, se si pensa che, attualmente, diverse controversie, anch esse apparentemente per nulla accomunabili, sono soggette al filtro del tentativo di conciliazione. Si va dalle controversie agrarie (art. 46, L. n. 203/1982) a quelle, appena richiamate, in materia di telecomunicazioni. Passando per quelle in tema di lavoro, che - almeno per la parte relativa ai diritti indisponibili (10) - dovrebbero abbandonare la soluzione solo qualora il d.d.l. AS 1167-B, rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica, sarà confermato sul punto. Né la diversa collocazione nella topografia dell ordinamento può fare la differenza. In chiave sistematica sono accorpati, sul punto, tre nuclei di controversie: quelle connotate dal legame tra le parti in conflitto, posto che la mediazione, a differenza del processo, mira a ricostituire il rapporto anche per il futuro; quelle caratterizzate da un elevato tasso di litigiosità, più dipanabile in sede stragiudiziale; quelle che sono espressione della mass litigation, rispetto alla quale si possa disporre di alte professionalità compositive. Nel primo gruppo rientrano le liti condominiali, o afferenti a rapporti di durata come la locazione, il comodato o l affitto d azienda, ovvero a rapporti coinvolgenti soggetti appartenenti a un medesimo gruppo sociale, anche su base territoriale, come per i diritti reali, successori, o come per i patti di famiglia. Nel secondo gruppo rientrano fattispecie risarcitorie quali quelle da incidentistica o da diffamazione a mezzo stampa o da responsabilità medica. Nel terzo gruppo vanno classificate le tipologie contrattuali assicurative, bancarie e finanziarie, che, (8) Corte Giust. CE, 18 marzo 2010, causa C-317/08, in (9) Corte cost. 11 febbraio 2009, in Corte cost. 24 marzo 2006, n. 125, in Giur. cost., 2006, Giurisprudenza costante: Corte cost., 9 luglio 2008 n. 296, in Id., 13 luglio 2000, n. 276, in Foro it., 2000, I, (10) Armone - Porreca, La mediazione tra processo e conflitto, in Foro it., 2010, V, 3, in corso di pubblicazione: in tal caso, naturalmente, la conciliazione dovrebbe mirare al riconoscimento di ciò che spetta in diritto e di cui non si può disporre. 634 Le Società 5/2010

17 oltre a sottendere rapporti duraturi, consentono la valorizzazione dei procedimenti di conciliazione istituiti presso la Consob (D.Lgs. n. 179/2007) e la Banca d Italia (D.Lgs. n. 385/1993, art. 128 bis). La mediazione all interno del processo: dinamiche e regimi La condizione di procedibilità non può mai imporsi sulla volontà di tutti i soggetti processuali: essa è rimessa all eccezione di parte o al rilievo d ufficio, il cui termine è unificato alla prima udienza. Per quella volontaria, qualora le parti decidano di avviarla autonomamente, sarà possibile usufruire della sospensione ex art. 296 c.p.c. Il testo nulla dice sulle ipotesi di domanda riconvenzionale, intervento e chiamata del terzo. La giurisprudenza lavoristica di merito, al riguardo, ha negato si potesse opporre l improcedibilità per mancato esperimento del tentativo di conciliazione. Del resto, qualora si tratti di conflitto già in parte trattato in sede di previa mediazione, l insuccesso già registrato attesta l impossibilità di una complessiva soluzione non autoritativa (11). Qualora, al contrario, la domanda proposta dal terzo, verso il terzo o in riconvenzione, sia connessa con una domanda principale estranea all area di obbligatorietà, sarebbe contrario al principio costituzionale di ragionevole durata esporre quest ultima al conseguente rinvio processuale (12). La nomofilachia ha ritenuto l assoggettamento di tali casi al previo tentativo obbligatorio di conciliazione in materia agraria, dove la condizione è tout court alla proponibilità di ogni domanda (art. 46 cit.). Senza alcun altro riferimento che possa essere indice di limitazioni (13). L art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010, invece, al pari dell art. 412 bis, comma 2, c.p.c., prevede una più limitata condizione di procedibilità del giudizio, soggetta all eccezione del «convenuto» entro «la prima udienza», con ciò chiaramente riferendosi alla domanda attorea introduttiva. Nulla autorizzando letture estensive volte a ricomprendere, con addizioni più o meno lessicali, i chiamati o «convenuti in domanda riconvenzionale» (14). Uno specifico cenno meritano poi due aspetti. In primo luogo le ricadute sulla prescrizione e la decadenza cui risultino soggetti i diritti contesi. Dal momento della comunicazione alle altre parti della domanda di mediazione, questa produce i medesimi effetti che quella giudiziale ha sulla prescrizione (art. 5). E il riferimento al momento della comunicazione invece che al deposito dell istanza presso l organismo di mediazione, ha una chiara funzione di garanzia. La stessa norma stabilisce che, dallo stesso momento, è impedita la decadenza per una sola volta, onde evitare che essa possa essere posposta senza limiti (15). In secondo luogo, altro aspetto di significativa importanza è quello dei limiti di prova cui sono sottoposte le informazioni acquisite e le dichiarazioni rese dalle parti nel corso della mediazione. Sul punto, l art. 10 stabilisce un generale regime di inutilizzabilità, e inibisce specificamente il giuramento decisorio e la prova testimoniale. Con ciò esaurendo, in parte qua, la disciplina civilistica. Laddove il comma 2 ha per oggetto quella penalistica, sancendo il corrispondente diritto del mediatore al segreto professionale, e l estensione, allo stesso, delle garanzie assicurate al difensore dall art. 103, c.p.p. Sul divieto di testimonianza, nulla quaestio. Su quello relativo al giuramento decisorio la dottrina ha già espresso perplessità, sostenendo che la previsione tende a confondersi con l interrogatorio formale, al contrario incongruamente ammissibile (16). L impostazione corre quanto meno il rischio di identificare il concetto di controversia oggetto di mediazione con quello, diverso, di causa. Nel corso della mediazione, la gamma di situazioni fattuali affrontate è più ampia dell oggetto delle singole cause che possono scaturire da essa. Ogni parte dev essere garantita sul fatto che il proprio contegno di rivelazione d informazioni in (11) Trib. Ivrea 22 dicembre 2004, in Foro it. Rep., 2005, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 89; Trib. Taranto 18 aprile 2002, in Giur. it., 2003, 78. In dottrina, v. Tarzia, Manuale del processo del lavoro, Milano, 2008, 46; Tiscini, Le domande in corso di causa nelle controversie di lavoro alla prova del tentativo obbligatorio di conciliazione, ingiust. civ., 2000, I, 909. Contra, Trib. Milano 10 marzo 2005, ibidem, voce Lavoro (rapporto), n. 1624; e negli studi, Cecchella, Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro privato e pubblico, in Mass. giur. lav., 1999, 452. (12) Trib. Milano 10 febbraio 2001, in Giur. milanese, 2002, 103. (13) V. Cass., 15 luglio 2008, n , in Foro it., Rep. 2009, voce Contratti agrari, n. 4, che esclude operatività dell art bis, c.p.c., in materia agraria, e valorizza le differenze tra i due riti. (14) Cfr. Dittrich, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, cit., 13. (15) Cfr. Luiso, La delega in materia di mediazione e conciliazione, inwww.iudicium.it, 2. (16) Dittrich, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, cit., 20. Le Società 5/

18 quella sede, magari fonte di illeciti non oggetto del conflitto mediato, non possa poi essere esposto a utilizzi vincolanti e, in ipotesi, penalmente rilevanti, quali quelli di un giuramento decisorio, ad esempio volto a negare quella rivelazione invece avvenuta. Così da assicurare alle parti la massima libertà di svelare le proprie «carte». Diversamente, l interrogatorio formale, diretto a provocare la confessione, non assume rilievo, dato che la risposta negativa ai quesiti non potrebbe causare alcuna conseguenza negativa per il dichiarante. La mediazione e l esito del processo: la disciplina delle spese L esito del processo mostra due punti di contatto con quanto avvenuto nel corso della mediazione. In primo luogo il giudice potrà desumere argomenti di prova, ai sensi dell art. 116, c.p.c., dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione (art. 8, comma 5). La legge stigmatizza la condotta di chi rifiuta, senza addurre giustificazioni, anche solo di «sedersi al tavolo delle trattative». E, del resto, ascoltare le possibili soluzioni consensuali, prive di ogni capacità di vincolare, senza alcun motivo, viola il generale dovere di solidarietà che la Costituzione, all art. 2, mette a capo dei consociati, e che, in itinere del processo, fonderebbe la violazione del dovere di lealtà e probità sancito dall art. 88 c.p.c. Ma l aspetto più importante di questa disposizione sta nel suo contenuto implicito. Infatti, a contrario, se ne dovrà desumere che, in particolare, nessun argomento di prova sfavorevole potrà trarsi dalla mancata partecipazione a una mediazione cui si sia stati chiamati presso un organismo in nessun modo collegato alle parti, al loro domicilio o alla loro residenza, ovvero ai fatti di causa. Profilo che si collega alla scelta legislativa di non prevedere alcun criterio di competenza per gli organismi di mediazione, rimettendo al mero criterio della prevenzione la risoluzione di conflitti. Contrasti che, altrimenti, non avrebbero potuto trovare soluzione, e avrebbero avuto ricadute sul processo e sulla sua durata nelle ipotesi di mediazione obbligatoria che, solo all esito della verifica giudiziale conclusiva, si fosse ritenuta svolta presso un organismo «incompetente» (17). Quanto alle spese e sanzioni processuali, l art. 13 individua due ipotesi. La prima è focalizzata sulla corrispondenza tra la proposta conciliativa, che il mediatore abbia eventualmente fatto ai sensi dell art. 11 del decreto, e la soluzione giudiziale. La seconda copre, in via residuale, ogni altra ipotesi rilevante. Nel primo caso, in linea con il novellato art. 91, c.p.c., la norma tipizza un abuso del processo, posto che lo Stato si è visto costretto a erogare il servizio di giustizia senza che fosse in realtà necessario. Sempre che non vi sia un motivo di compensazione, tipicamente derivante da una iusta causa litigandi, quale potrebbe essere ritenuta, ad esempio, la controvertibilità della questione, ovvero l esito derivante da sopravvenute dichiarazioni d incostituzionalità (18). Ne discende, nel caso, la condanna della stessa parte vittoriosa alla rifusione delle spese di quella soccombente, successive, naturalmente, alla formulazione della proposta, oltre che al pagamento di una sanzione processuale pari all importo del contributo unificato. La norma fa peraltro salvo anche l art. 96, c.p.c., e ciò potrà rilevare, ad esempio, a carico della parte soccombente per la tranche processuale precedente alla formulazione della proposta, in ipotesi effettuata nel corso e non prima del processo. Fuori di questo caso, la disciplina consente al giudice di valorizzare, quale motivo «grave ed eccezionale» a mente del nuovo art. 92, c.p.c., lo scollamento solo formale tra la sua decisione e la proposta del mediatore. Può pensarsi a un risultato negoziale non solo pressoché identico, ma economicamente equipollente rispetto a quello proposto in costanza di mediazione, e il cui rifiuto non si possa giustificare nemmeno con la cessazione del rapporto fiduciario tra i due soggetti alla luce del contegno tenuto successivamente dall attore vittorioso nei confronti del convenuto. Ancora una volta, dunque, si verserà in un ipotesi di abuso dello strumento processuale, al cui corretto utilizzo - piuttosto che a una fraintesa surrogazione - la mediazione è, in realtà, volta. (17) Cfr. Dittrich, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, cit., 8-9. (18) Su questo approccio ricostruttivo v. Cordopatri, L abuso del processo, I-II, Padova, 2000, passim, e, più di recente, Id., L abuso del processo e la condanna alle spese, inriv. trim. dir. e proc. civ., 2005, 249 e ss. 636 Le Società 5/2010

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