SENTENZA Tribunale Milano 4 luglio 2008 Est. Spera. Assicurazione (contratto di) - In genere. c.c., art. 1910)

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1 SENTENZA Tribunale Milano 4 luglio 2008 Est. Spera Assicurazione (contratto di) - In genere. c.c., art. 1910) Poiché la disciplina dettata dall art c.c. è operante anche in relazione al contratto per l assicurazione della responsabilità civile, l assicuratore che in tal caso abbia corrisposto l indennità - così effettivamente estinguendo un debito (anche) degli altri assicuratori della responsabilità civile - può agire direttamente nei confronti di questi ultimi per la ripartizione proporzionale del debito stesso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. Con atto di citazione notificato il 17 maggio 2006, ASSICURAZIONI GENERALI S.p.A. (di seguito anche solo GENERALI) ha convenuto in giudizio la VITTORIA ASSICURAZIONI S.p.A. (di seguito anche solo VITTORIA) al fine di sentirla condannare alla corresponsione in proprio favore, ai sensi dell art. 1910, comma 4, c.c., di una quota dell indennità da GENERALI corrisposta quale assicuratore della responsabilità civile del DOTT. G.Z., il quale era assicurato per lo stesso rischio anche con VITTORIA. Più precisamente, l attrice ha esposto: - che, nel 1998, l ISTITUTO S. PIETRO S.P.A. (di seguito anche solo l ISTITUTO) ha stipulato con GENERALI un contratto di assicurazione avente ad oggetto la propria responsabilità civile verso terzi, nonché quella personale dei propri collaboratori; - che, il 12 ottobre 2000, il DOTT. G.Z. (all epoca dipendente dell ISTITUTO), il quale era a sua volta assicurato per la propria responsabilità civile con VITTORIA, ha assistito una paziente nel parto presso l ISTITUTO; - che - a seguito di tale intervento, nell eseguire il quale il DOTT. Z. ha effettuato manovre tecniche ostetriche inadeguate e lesive del rachide cervicale del feto - la neonata ha riportato un danno permanente alla salute pari al 95 ; - che - dopo aver inutilmente sollecitato VITTORIA a partecipare al risarcimento dei danni, a fronte delle inequivoche risultanze della CTU (doc. 6 di parte attrice) disposta nel giudizio instaurato dai genitori della neonata avanti al Tribunale di Bergamo - il 12 dicembre 2003 GENERALI ha definito la lite con accordo transattivo, corrispondendo ai danneggiati l importo di Euro ,25; ha concluso quindi per la condanna di VITTORIA al pagamento del 50 (o della diversa quota di spettanza) dell indennità transattivamente corrisposta. Iscritta la causa al N.R.G /2006, la prima udienza è stata fissata ai sensi dell art. 168 bis, comma 5, per il 22 novembre L 8 novembre 2006 si è costituita VITTORIA, depositando in cancelleria comparsa di risposta e fascicolo di parte e proponendo diverse eccezioni, tra le quali la propria limitazione di responsabilità per aver assunto il rischio in coassicurazione con altre società, concludendo per il rigetto delle domande avversarie. Alla prima udienza del 22 novembre 2006 sono stati assegnati i termini per le attività difensive previste dall art. 183, comma 6 c.p.c. Nella memoria prevista dal n. 1) dell art. da ultimo citato - depositata il 28 febbraio , GENERALI ha eccepito la tardività delle eccezioni di cui alla comparsa di costituzione avversaria, chiedendo autorizzazione a chiamare in causa i terzi coassicuratori. Nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 2) - depositata il 23 marzo VITTORIA ha eccepito la tardività della richiesta di autorizzazione alla chiamata di terzi formulata da GENERALI. All udienza del 19 marzo 2008, nella quale le parti hanno precisato le conclusioni come in epigrafe trascritte (sostanzialmente conformi a quelle di cui agli atti introduttivi, salvo per GENE RALI l introduzione della domanda subordinata di condanna anche nei confronti delle società coassicuratrici), il Tribunale, assegnati i termini per le sole memorie conclusionali, ha fissato per il 28 maggio 2008 l udienza di discussione orale ai sensi dell art. 281, quinquies, cpv., all esito della quale la causa è stata trattenuta in decisione. giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 1

2 MOTIVI DELLA DECISIONE. Ritiene questo giudice che la domanda proposta dall attrice meriti parziale accoglimento per le ragioni che verranno di seguito illustrate, secondo l ordine di pregiudizialità logica delle questioni. 1. Sulla richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa di terzi. - VITTORIA ha eccepito la tardività della richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa di terzi formulata da GENERALI non al G.I. direttamente nel corso della prima udienza, ma nella prima memoria di cui all art. 183, comma 6, c.p.c. (sull ammissibilità dell eccezione di limitazione della responsabilità proposta da VITTORIA, dalla quale è sorto l interesse di GENERALI alla chiamata, cfr., infra, n. 2). Si osserva preliminarmente che l art. 269 c.p.c. stabilisce - al comma 3 - che l attore, il cui interesse a chiamare in causa un terzo sia sorto in relazione alle allegazioni ed eccezioni proposte dal convenuto nella propria comparsa di risposta, deve, a pena di decadenza, chiederne l autorizzazione al giudice istruttore nella prima udienza e che l art. 183 c.p.c. dispone - al comma 5 - che il potere di introdurre nuove domande o di chiamare altre parti in causa è concesso all attore nella stessa udienza e - al comma 6 - che l eventuale fase di trattazione scritta è espressamente limitat all sol precisazion o modificazion delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte (memoria n. 1), ed è alle parti consentito solo di replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall altra parte edi proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime (memoria n. 2). Così posto il quadro delle fonti, ritiene questo Tribunale, nella ricerca dell opzione interpretativa coerente all attuale configurazione del sistema, opportuno aderire all indirizzo giurisprudenziale (Cfr. Cass., 2 settembre 2005, n e Tribunale di Monza, Sez. I, 3 settembre 2007) il quale vede nel disegno complessivo del processo civile - tracciato anche a seguito delle ultime modifiche al codice di rito applicabili nella specie, sulle quali cfr. infra, n. 2 - l orientamento ad una generale contrazione dei tempi destinati allo svolgimento delle attività processuali (v. da ultimo la modifica dell art. 167 c.p.c.); contrazione diretta -asua volta - alla realizzazione dell interesse ad un giusto processo civile, cui le parti possano devolvere la risoluzione delle proprie controversie perché siano decise in tempi ragionevoli. Conseguentemente, deve concludersi che il potere attoreo di introdurre nuove domande o di chiamare altre parti in causa può essere esercitato solo entro il termine della prima udienza di trattazione (o dell ulteriore udienza eventualmente fissata a norma dell art. 183, commi 2 e 3, c.p.c.), dovendosi intendere le memorie di cui alla c.d. appendice scritta: - la prima - riservata alle sole attività descritte dall ultimo periodo dell art. 183, comma 5, c.p.c.; - la seconda - assegnata alla replica alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall altra parte, alla proposizione delle eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime, all indicazione dei mezzi di prova e alle produzioni documentali. In tal modo verrebbe realizzata la definitiva determinazione delle parti processuali (salve le ipotesi di intervento) e delle domande proposte entro la chiusura della prima udienza; del resto, quando il giudice autorizza l attore a citare un terzo, assegna i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. solo all udienza stabilita per la comparizione di quest ultimo (art. 269, ult. comma, c.p.c.). Peraltro, la previsione di una barriera preclusiva di tal fatta - operante anche qualora il convenuto si costituisca in udienza sorprendendo l attore (ipotesi comunque differente da quella che qui ci occupa, considerato che VITTORIA si è costituita 14 giorni prima dell udienza) - non è in contrasto con il diritto di difesa dell attore, poiché il G.I. potrà sempre consentirgli l effettiva possibilità di esaminare - senza incorrere in decadenze - quanto allegato, prodotto, eccepito in udienza dal convenuto, se necessario differendo la trattazione. Alla luce di quanto sopra esposto, la richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa di terzi proposta da GENERALI dovrà essere dichiarata inammissibile perché tardiva. 2. Sull ammissibilità dell eccezione di prescrizione e delle altre eccezioni proposte dalla convenuta - Giova premettere all ulteriore esposizione che sono applicabili al presente procedimento - instaurato il 17 maggio le disposizioni di cui all art. 167, comma 2, c.p.c. nel testo da ultimo modificato con l art. 2, comma 3, lett. b-ter del d.l. 14 marzo 2005, n. 35 (convertito, con modificazioni, con l. 14 maggio 2005, n. 80), il quale - all art. 2, comma 3 -quinquies - stabilisce che le disposizioni di cui ai commi 3, lettere b-bis), b-ter), c-bis), c-ter) entrano in vigore il 1 marzo 2006 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data di entrata in vigore. Così precisata la disciplina processuale applicabile ratione temporis, deve rilevarsi che VITTORIA, costituendosi (con comparsa di risposta giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 2

3 depositata in cancelleria l 8 novembre 2006) oltre il termine di almeno venti giorni prima dell udienza fissata a norma dell art. 168-bis, quinto comma assegnato al convenuto dall art. 166 c.p.c., è decaduta dalla facoltà di esercitare il potere di proporre tutte le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d ufficio (cfr. artt. 167, comma 2 e 171, comma 2 c.p.c.). Sulla base di tali considerazioni, GENERALI ha sostenuto (in memoria depositata il 28 febbraio 2007) che tutte le eccezioni sollevate da controparte sono tardive, perciò inammissibili, specificando che devono considerarsi eccezioni inammissibili: la prescrizione; la carenza di legittimazione; la rinuncia tacita; la limitazione di responsabilità. In tema di eccezioni processuali, secondo un condivisibile e consolidato orientamento espresso dalla Suprema Corte, tra eccezioni in senso lato (rilevabili d ufficio) ed eccezioni in senso stretto (rilevabili solo ad istanza di parte) vi è un rapporto di regola ad eccezione, dovendo ritenersi vigente nell ordinamento il principio della rilevabilità d ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell istanza di parte solo dall esistenza di una eventuale specifica previsione normativa (Cfr. Cass., Sez. un., 25 maggio 2001, n. 226 e, recentemente, nello stesso senso, Cass., Sez. un., 27 luglio 2005, n ), di talché, ferma la distinzione tra il potere di rilevazione e quello di allegazione (il quale ultimo compete solo alla parte), sono rilevabili d ufficio i fatti modificativi impeditivi estintivi tempestivamente allegati dalle parti. Ciò posto, VITTORIA ha eccepito che il diritto di GENERALI si è prescritto ai sensi dell art. 2952, comma 2, essendo trascorso più di un anno tra la data dell ultima richiesta risarcitoria, risalente alla raccomandata dell 11 marzo 2005, e la notificazione dell atto di citazione (17 maggio 2006). Ebbene, ritiene il Tribunale che solamente quest ultima, tra le eccezioni sollevate da VITTORIA nella comparsa di costituzione, è - ai sensi dell art c.c. - eccezione in senso stretto e quindi, poiché tardivamente proposta, deve essere dichiarata inammissibile. Sono, invece, ammissibili le ulteriori eccezioni sollevate da VIT- TORIA, trattandosi - per quanto riguarda la carenza di legittimazione - di mere difese, consistenti in sole prospettazioni di diritto volte a contrastare quelle avversarie, e-per quanto riguarda la rinuncia tacita e la limitazione di responsabilità - di questioni relative a fatti modificativi impeditivi estintivi del diritto fatto valere da GENERALI. 3. Applicabilità dell art c.c. alla prospettazione attorea. - VITTORIA ha eccepito la carenza di legittimazione attiva di GENERALI, in particolare sostenendo: a. che l azione proposta da GENERALI è in realtà un azione di rivalsa o regresso nei confronti di VITTORIA e quindi indirettamente nei confronti del DOTT. Z., inammissibile in quanto GENERALI era assicuratrice anche della responsabilità civile dello Z. stesso; b. he l art c.c. è inapplicabile all assicurazione della responsabilità civile, riguardando invece l assicurazione per danni a cose o alla persona: (i) in quanto la limitazione dell indennità e il diritto al regresso operano solo qualora l ammontare complessivo delle somme assicurate superi il valore assicurabile (c.d. sovrassicurazione), il che non accade mai nell assicurazione della responsabilità civile; (ii) poiché nell assicurazione della responsabilità civile non si può verificare un ingiustificato arricchimento da parte dell assicurato, considerato che questi non percepisce mai un risarcimento per un proprio danno ma ha solo diritto a trasferire all assicuratore l obbligo risarcitorio nei confronti del danneggiato. Ritiene il Tribunale che tali prospettazioni non possano essere condivise. Quanto all argomento sub a), questo è volto a contrastare l ipotesi di un azione di surroga nei confronti dell (altro) assicuratore del responsabile civile - la quale sarebbe inammissibile in quanto azione diretta (Cfr. Cass., 18 aprile 2007, n per la quale non sussiste, salvo deroghe espressamente previste dalla legge, azione diretta del danneggiato nei confronti dell assicuratore) - anziché l azione in esame prospettata dall attrice, regolata dall art. 1910, comma 4, c.c., il quale espressamente prevede che un assicuratore agisca direttamente verso un altro assicuratore del medesimo rischio (e del medesimo assicurato). Quanto all argomento sub b), è necessario premettere che, nell assicurazione della responsabilità civile, oggetto della prestazione dell assicuratore è quanto, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto (cfr. art c.c.). Va infatti osservato che l obbligo risarcitorio che sorge in capo all assicurato responsabile di un danno è indetermigiurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 3

4 nabile a priori: suo limite è l integrale compensazione del danno, dipendente da una molteplicità di fattori sui quali egli può solo in parte influire. Così anche l obbligo dell assicuratore non potrà trovare un limite nel valore assicurabile (di qui l introduzione di un valore-limite convenzionale, il capitale assicurato, c.d. massimale) e, conseguentemente, nell assicurazione della responsabilità civile, non si verificherà mai l ipotesi della sovrassicurazione. Quanto sopra affermato non è tuttavia sufficiente per ritenere inapplicabile l art c.c. all assicurazione della responsabilità civile. Infatti, sia l art soprassicurazione - che l art pluralità di assicurazioni - sono espressioni del più generale principio indennitario, stabilito dagli artt e 1905 c.c., secondo cui l indennizzo non può mai superare il danno effettivo, senza diventare arricchimento, e come tale fuori dalla causa del contratto assicurativo contro i danni (Cfr. Cass., 2 marzo 2004, n. 4186, la quale ha ritenuto che anche l assicurazione della responsabilità civile - nella specie, assicurazione obbligatoria r.c.a. - sia sottoposta, pur con peculiarità sue proprie, al principio indennitario). Così che, mentre l incompatibilità della fattispecie con tale principio esclude l applicabilità della disciplina dettata per entrambe le situazioni (della soprassicurazione e della pluralità di assicurazioni), la mancanza dei presupposti specificamente relativi all una non necessariamente rileva con riferimento all altra. In altre parole: se l art c.c. non è applicabile, non vuol dire che non lo sia anche il 1910 c.c. Allora, onde stabilire se la disciplina dettata dall art sia operante nel caso di contratto per l assicurazione della responsabilità civile, sarà opportuno prendere le mosse dalle ultime pronunce in materia di assicurazioni da parte della Suprema Corte, la quale è ormai giunta a ritenere quello dettato dall art c.c. un principio generale della materia assicurativa. In questo senso, la Corte di legittimità ha recentemente affermato, a composizione di un contrasto giurisprudenziale, che alla assicurazione contro le disgrazie accidentali (non mortali), in quanto partecipe della funzione indennitaria propria dell assicurazione contro i danni, va estesa l applicazione dell art. 1910, trattandosi di norme dettate a tutela del principio indennitario, per evitare che, mediante la stipulazione di più assicurazioni per il medesimo rischio, l assicurato, ottenendo l indennizzo da più assicuratori, persegua fini di lucro conseguendo un indebito arricchimento (Cfr. Cass., Sez. un., 10 aprile 2002, n. 5119). Tale principio di diritto chiarisce che l art è applicabile anche alla pur sotto molti aspetti particolare assicurazione contro gli infortuni, così superando l obiezione (non dissimile da quella che VITTORIA ha portato all applicazione della norma in discorso all assicurazione r.c.) fondata sulla difficoltà - in tale contratto - di valutare il rischio assicurato. Da ultimo (Cfr. Cass., 6 luglio 2006, n ), la Cassazione ha ritenuto applicabile in via analogica la regola di limitazione dell indennità di cui all art. 1910, comma 3, c.c. al caso di un conducente di autoveicolo (assicurato anche per il rischio di un danno al conducente medesimo) il quale, a seguito di un incidente stradale con altro automezzo, era legittimato a richiedere il risarcimento dei danni subiti sia al proprio assicuratore che a quello dell altro veicolo - responsabile del sinistro -, così estendendo l area di operatività di tale norma anche a una fattispecie nella quale non era presente il requisito dell identità del soggetto assicurato, ma dove tuttavia emergeva l interesse ad evitare un arricchimento ingiustificato. È proprio dalle condivisibili conclusioni raggiunte dalla Suprema Corte che questo Tribunale ritiene di trarre la determinante conferma dell applicabilità dell art c.c. all assicurazione della responsabilità civile. In tal senso, infatti, depongono anche la posizione dell art nella sezione (la II del capo XX del titolo III del libro IV) del c.c. intitolata all assicurazione contro i danni (dove si trova l art. 1910) e la considerazione per cui l assicurazione della responsabilità civile è volta a salvaguardare l assicurato dal verificarsi di un danno proprio (la diminuzione patrimoniale conseguente all esborso del risarcimento dovuto al danneggiato). Decisivo è però proprio il fatto che l assicurato della responsabilità civile possa pretendere la corresponsione dell indennità anche qualora abbia riconosciuto stragiudizialmente un risarcimento al danneggiato. In tale ipotesi emerge la medesima esigenza - evitare che l assicurato percepisca un importo complessivo superiore al danno risarcito - che l art c.c. soddisfa prevedendo i doveri di informazione sull esistenza di plurimi contratti di assicurazione (comma 1 ) e sul verificarsi del sinistro e la giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 4

5 limitazione dell ammontare dell indennità (comma 3 ). Se così non fosse, vi sarebbe un interesse dell assicurato al verificarsi del sinistro, con conseguenze inaccettabili anche in considerazione degli obiettivi di prevenzione generale perseguiti dal sistema della responsabilità civile. Dalla limitazione dell ammontare dell indennità complessivamente dovuta consegue la possibilità che questa sia, per ragioni di convenienza del creditore, richiesta ad uno solo tra gli assicuratori o ad entrambi. E allora viene in considerazione la necessità, per l assicuratore che ha corrisposto l indennità - così effettivamente estinguendo un debito (anche) altrui - di poter agire direttamente nei confronti degli altri assicuratori, i quali - avendo anch essi percepito il premio - altrimenti conseguirebbero un arricchimento. In tal senso, il Supremo Collegio (Cfr. Cass., 23 dicembre 1993, n ) ha ritenuto che la locuzione indennità dovute evidenzia che fondamento dell azione di regresso è la sussistenza dell obbligo dell altro assicuratore di pagare l indennizzo e il regresso trova giustificazione nel fatto che l assicuratore, avendo pagato lo stesso indennizzo che altro assicuratore era anche obbligato autonomamente a pagare, ha provocato l estinzione dell obbligo di costui; questi, pertanto, se non fosse tenuto in via di regresso, si arricchirebbe ingiustificatamente. Di talché si è potuta affermare, da una parte della dottrina e in giurisprudenza, l esistenza di una solidarietà - lato sensu - nell obbligazione (Cfr. Cass., 19 agosto, 1995, n. 8947). Così ritenuta l applicabilità dell art c.c. alla prospettazione di GENERALI, deve dichiararsi infondata l eccezione di carenza di legittimazione ad agire proposta da VITTORIA. 4. Sull eccezione di rinuncia tacita al credito da parte di GENERALI. - VITTORIA ha eccepito che GENERALI, corrispondendo - nell ambito dell accordo transattivo raggiunto in relazione alla causa di responsabilità civile instaurata dai genitori della minore presso il Tribunale di Bergamo - le spese legali del DOTT. Z., avrebbe implicitamente rinunciato ad agire in regresso nei suoi confronti e - suo tramite - nei confronti di VITTORIA, assicuratrice dello Z.. Alla luce di quanto sopra esposto (cfr., supra, n. 3), acclarato che l azione ex art. 1910, comma 4, c.c. proposta da GENERALI nei confronti di VITTORIA non è assimilabile all azione di surroga ex art c.c., tale eccezione deve altresì essere rigettata, in quanto l aver corrisposto le spese giudiziali può essere considerata tutt al più espressione di una volontà di GENERALI di non agire in regresso nei confronti dello Z. (azione alla quale GENERALI ha peraltro rinunciato fin dalla conclusione del contratto di assicurazione con l ISTITUTO - cfr. doc. 1 GENERALI, p. 8, art. 8); tale volontà tuttavia non ha alcun rilievo con riferimento all azione ex art c.c. 5. L esistenza dei presupposti di fatto dell azione. - Ciò posto, ritenuta sussistente la legittimazione di GENERALI ad agire ai sensi dell art. 1910, comma 4 c.c. nei confronti di VITTORIA, è necessario verificare se, nel caso di specie, ricorrano i presupposti di fatto di tale azione, ossia: a) l identità del rischio assicurato dalle due polizze; b) la responsabilità dell assicurato DOTT. Z.; c) l avvenuta corresponsione, da parte di GENERALI, dell indennità. Quanto all ultimo presupposto, sub c), è pacifico tra le parti che GENERALI, ha corrisposto transattivamente l importo complessivo di Euro ,25 a favore dei danneggiati, quale assicuratore anche della responsabilità civile del Dott. Z. (Cfr. citazione GENERALI, p. 4 e comparsa di risposta VITTORIA, p. 4). 6. (Segue) - a) l identità del rischio assicurato. - Incontestato che le due polizze fossero entrambe efficaci nel periodo in cui si è verificato il sinistro, risulta inoltre provato che sia il contratto di assicurazione GENERALI che quello VITTORIA fossero stati stipulati a copertura, seppur parzialmente, dei medesimi rischi a favore del DOTT. Z.. Infatti il contratto VITTORIA - nonostante la convenuta abbia genericamente allegato che la polizza copriva solo l esercizio della sua attività privata (Cfr. comparsa di risposta, p. 13) - è stato stipulato, senza limitazioni relative a specifiche attività, per l assicurazione dei rischi derivanti dalla responsabilità civile verso terzi dello Z., con un massimale di Lire per ogni persona che abbia subito lesioni personali (Cfr. doc. 3 convenuta). Allo stesso modo la polizza GENERALI si estende alla responsabilità civile personale dei dipendenti dell Assicurato iscritti nei libri obbligatori per l attività prestata presso l Assicurato per danni giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 5

6 verificatisi nello svolgimento delle loro mansioni (Cfr. doc. 1 GENERALI, p. 8, art. 8) ed è pacifico che lo Z. fosse all epoca dipendente dell ISTITUTO. 7. (Segue) - b) la responsabilità del DOTT. Z.. - Resta da accertare, quale ulteriore presupposto dell azione ex art. 1910, comma 4, c.c., se vi sia stata effettivamente una responsabilità del comune assicurato Z. nella causazione del danno risarcito da GENE- RALI, e - in caso positivo - se l entità di tale responsabilità sia tale da giustificare l importo da GENERALI transattivamente riconosciuto. Quanto al contributo eziologico dello Z. al verificarsi del danno - accertamento da effettuarsi solo in via incidentale nel presente giudizio, limite questo stabilito dalla domanda di GENERALI -, va in primo luogo negata la necessità della chiamata di terzi (gli eredi del deceduto Z. e l ISTITUTO) ex art. 107 richiesta da VITTORIA, anche perché è intervenuta la rinuncia dei danneggiati ad ogni azione in qualsiasi sede (Cfr. accordo transattivo, sub doc. 9 GENERALI). Nel merito, VITTORIA ha eccepito che la responsabilità dello Z. non è stata per nulla acclarata dalla CTU espletata nel corso del giudizio poi definito transattivamente avanti al Tribunale di Bergamo, come risulta dalle osservazioni degli esperti, i quali prospettano possibili carenze organizzative del Reparto di Ostetricia della medesima Casa di Cura nell ipotesi che fosse disponibile un unico sanitario peraltro impegnato in altra mansione (così come adombrato nell atto di citazione per cui è causa) (Cfr. comparsa di risposta, p. 11-2). Tale responsabilità, per VITTORIA, sarebbe anzi tutta da dimostrare, considerato che il ritardo che ha cagionato l impossibilità di intervenire tempestivamente con un taglio cesareo era dovuto a carenze strutturali, segnatamente l indisponibilità della sala operatoria. Ritiene questo Tribunale che lo Z., con la propria condotta, abbia apportato un contributo causale - anche se non esclusivo - al verificarsi del danno. Giova premettere che, secondo la relazione del CTU effettuata nel giudizio presso il Tribunale di Bergamo (Sezione 1 Civile, R.g. 7013/01, prodotta sub doc. 6 GENERALI, pp. 16-7): un tempestivo accertamento ostetrico avrebbe indicato la concreta opportunità di un parimenti tempestivo taglio cesareo. Nel caso in esame si prospetta quindi, in primo luogo, un probabile censurabile ritardo diagnostico-prognostico con conseguente impossibilità, in ultima analisi, di eseguire un tempestivo taglio cesareo, e che nell ambito dell assistenza al parto podalico per via vaginale si configura l esecuzione di manovre tecniche ostetriche inadeguate e lesive del rachide cervicale del feto con conseguenti lesioni iatrogene sia a carico del rachide cervicale che del midollo spinale cervicale. Da detto insieme lesivo intrapartum è derivata la documentata vicenda clinica concretatasi nella minore Cherif Moussa Aicha Fatima dal momento della nascita all epoca attuale. Tanto premesso, va precisato che la relazione del CTU è complessivamente dotata di coerenza logica e va quindi accolta nelle sue conclusioni quale prova atipica nel presente giudizio. E così, questo Tribunale ritiene addebitabili alla struttura ospedaliera delle negligenze per non aver consentito la tempestiva diagnosi ostetrica che avrebbe indicato la concreta opportunità di un parimenti tempestivo taglio cesareo. Tuttavia, si ritiene chiaramente dimostrata anche la responsabilità professionale, per aver male operato, di chi ha poi prestato l assistenza al parto podalico, ossia del DOTT. Z.. Sulla valutazione del rapporto di efficienza eziologica tra le concause del danno, va tenuto conto: - che in caso di parto podalico, tra le due procedure di parto vaginale e di parto cesareo quella ritenuta allo stato dell arte più affidante e attualmente di gran lunga clinicamente più utilizzata è la seconda (cfr. Relazione CTU cit., pp. 14-5), e - e non era ragionevolmente possibile attendersi un parto podalico nel caso in esame (cfr. relazione CTU cit., pp. 3, 12 e 14-5), sia perché parto in secondigravida con anamnesi di precedente parto eutocico, sia perché solo sette giorni prima del parto una visita ha escluso tale evenienza e quindi la possibilità che il feto modificasse nuovamente la propria presentazione era sostanzialmente improbabile. Ebbene, il Tribunale ritiene che - da una parte - l impossibilità di effettuare il preferibile parto cesareo (dovuta alla ritardata diagnosi ostetrica o all indisponibilità di sale operatorie: in entrambi i casi non imputabile allo Z.) e - dall altra parte - l imprevista necessità di procedere d urgenza ad una procedura ormai desueta e considerata meno giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 6

7 sicura, hanno compromesso le chances di perfetta riuscita dell intervento effettuato dallo Z., il quale ha dovuto procedere in una situazione di anomalia a lui non addebitabile, così contribuendo alla causazione del danno. Quanto alla congruità complessiva del risarcimento, GENERALI ha prodotto dei conteggi (cfr. doc. 10) - non contestati da VITTORIA - volti a dimostrare che l importo transattivamente corrisposto è molto inferiore al risarcimento dei danni che sarebbe stato liquidato dal Tribunale di Bergamo. Conseguentemente, tale importo - la cui congruità non è comunque messa in dubbio da VITTORIA - dovrà essere considerato appropriato alle circostanze. Alla luce di quanto sopra esposto - in via di accertamento incidentale -, questo Tribunale ritiene che, poiché il DOTT. Z. non può essere ritenuto unico responsabile del danno cagionato, l importo transattivamente riconosciuto da GENERALI dovrà essere equitativamente considerato relativo al risarcimento della responsabilità dello Z. solo relativamente al 50 del medesimo. 8. Limitazione del rischio assicurato da VITTORIA e ripartizione proporzionale delle indennità dovute. - Come tempestivamente allegato da VITTORIA in comparsa di risposta, questa è responsabile solo limitatamente al 35 del rischio assicurato dallo Z.: ciò risulta dalla Polizza n. 084/14/ con effetto 17 luglio 1997 (doc. 3 di parte convenuta) stipulata tra VITTORIA e lo Z., nella quale il rischio è ripartito - con esplicita esclusione della responsabilità solidale tra le compagnie di assicurazione - con NUOVA MAA (responsabile al 35 ) e SAI (responsabile al 30 ). Di conseguenza - come stabilisce l art. 1910, comma 4, c.c. - poiché rispetto al proprio contratto di assicurazione VITTORIA avrebbe dovuto corrispondere un indennità pari al 35 della metà dell importo di cui alla transazione GENERALI (perché - così come rilevato supra, al n. 7 - solo metà dell importo dovrà essere considerato relativo al risarcimento della responsabilità dello Z.), allora tale importo - per essere ripartito proporzionalmente con GENERALI - dovrà essere ulteriormente dimezzato. Conseguentemente, VITTORIA dovrà essere condannata a corrispondere in favore di GENERALI Euro ,56*0,35= ,45, oltre interessi legali dall 8 gennaio 2004, data di prima richiesta dell adempimento da parte di GENERALI (cfr. doc. 11, considerata insieme alle precedenti comunicazioni tra le parti), al saldo effettivo. Per i debiti di valuta, infatti, qual è quello in esame, non spettano congiuntamente, per lo stesso periodo di tempo, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, coprendo gli interessi legali l intera area del danno risarcibile. Peraltro giova ricordare che negli ultimi anni, per effetto della diminuzione del costo del danaro e della scarsissima svalutazione, il tasso degli interessi legali è notevolmente basso. Ebbene, l attrice non ha provato, neppure mediante presunzioni, di aver subito un danno maggiore (ex art c.c.), tenuto conto del predetto tasso di interessi e della limitata svalutazione intercorsa negli ultimi anni. Quanto esposto è assorbente rispetto alle altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti. In ragione della solo parziale fondatezza delle pretese attoree e della particolare complessità delle questioni risolte, sussistono giusti motivi per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese processuali. P. Q. M. Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda eccezione istanza rigettata, così provvede: - condanna VITTORIA ASSICURAZIONI S.P.A. al pagamento, in favore dell attrice, della somma di Euro ,45 oltre interessi legali dall 8 gennaio 2004 al saldo; - dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali; - dichiara la presente sentenza immediatamente esecutiva. giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 7

8 ORDINANZA Tribunale Bari sez. dist. Monopoli 17 giugno 2008 (ord.) Est. Lenoci Banca (istituti di credito) - In genere - Obblighi contrattuali - Segnalazione del correntista alla centrale rischi della Banca d Italia - Rispetto degli obblighi di buona fede - Necessità. (c.c., art. 1375) Provvedimenti di urgenza (art. 700 c.p.c.) - Varie fattispecie - Ricorso volto alla cancellazione della segnalazione alla centrale dei rischi della banca d Italia - Presupposti - Periculum in mora - Rischi per l accesso al credito - Sussistenza. (c.p.c., art. 700) 1. Nell ambito degli obblighi contrattuali derivanti dalla buona fede (intesa come fonte di integrazione del contratto ex art c.c.) rientra anche l obbligo, per la banca, di valutare molto attentamente la situazione del correntista, ai fini della eventuale segnalazione alla Centrale dei Rischi istituita presso la Banca d Italia, e quindi di non procedere a siffatte segnalazioni in assenza delle necessarie condizioni, ciò anche quando il rapporto contrattuale con il correntista medesimo sia già cessato. 2. Ricorre il periculum in mora che giustifica la concessione di un provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. che ordini la cancellazione della segnalazione alla centrale rischi della Banca di Italia qualora tale segnalazione possa determinare la revoca di altri affidamenti da parte di altri istituti di credito, allarmati da una situazione di insolvenza in realtà inesistente, così determinando difficoltà anche insormontabili per l accesso al credito bancario. Osserva Il ricorso è fondato, e merita pertanto accoglimento, per quanto di seguito si dirà. Ed invero, va innanzitutto osservato che, secondo giurisprudenza di legittimità ormai costante, il rapporto di conto corrente e quello connesso di apertura di credito devono essere interpretati ed eseguiti secondo buona fede; proprio in virtù del predetto principio della buona fede, dai contratti in questione derivano non solo gli obblighi esplicitamente previsti dalle clausole pattizie, ma anche quelli che impongono le regole della correttezza (c.d. buona fede integrativa: artt c.c.). Sotto questo profilo, è stata quindi affermata la responsabilità della banca per recesso ingiustificato dall apertura di credito, allorquando detto recesso venga esercitato con modalità del tutto impreviste ed arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto (cfr. Cass., 14 luglio 2000, n. 9321; Cass. 21 maggio 1997, n. 4538); è stato inoltre ritenuto sussistente, in capo alla banca, l obbligo di consegna della documentazione bancaria (ed in particolare degli estratti-conto), anche quando questi siano stati inviati al correntista, ed anche successivamente alla chiusura del conto ed al recesso della banca, e sia che il richiedente fosse lo stesso correntista, sia che tale richiesta fosse stata avanzata da un eventuale curatore fallimentare (cfr. Cass. 22 maggio 1997, n. 4598). Orbene, ad avviso di questo Giudicante, nell ambito degli obblighi contrattuali derivanti dalla buona fede intesa come fonte di integrazione del contratto ex art c.c. rientra anche l obbligo, per la banca, di valutare molto attentamente la situazione del correntista, ai fini della eventuale segnalazione presso la Centrale dei Rischi istituita presso la Banca d Italia, e quindi di non procedere a siffatte segnalazioni, in assenza delle condizioni necessarie perché tali segnalazioni siano operate. Ed invero, secondo autorevolissima dottrina, in virtù della buona fede quale fonte d integra zione del contratto sorge per ciascuna parte contrattuale l obbligo di comportarsi lealmente, e di salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio. Orbene, è indubbio che, nell ambito di un rapporto di conto corrente ed apertura di giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 8

9 credito, la banca, avendo l obbligo di comportarsi secondo buona fede, non solo non deve procedere a revoche ingiustificate degli affidamenti, ma non deve neppure procedere a segnalazioni preso la Centrale dei Rischi in assenza dei presupposti (e quindi per negligenza od imperizia nella valutazione della sussistenza di tali presupposti), né, tantomeno, a segnalazioni abusive, e cioè intenzionalmente dirette a comunicare dati non veritieri: ciò, in considerazione dell interesse del correntista a non subire segnalazioni che, oggettivamente, potrebbero pregiudicare il futuro accesso al credito e minare gravemente la propria reputazione commerciale, con conseguente danno non solo all immagine imprenditoriale, ma anche strettamente patrimoniale, sotto il profilo della riduzione della possibilità di investimenti per il ridotto accesso al credito, e quindi della riduzione della possibilità di guadagni futuri, con il rischio di arrivare anche ad una lesione del diritto - costituzionalmente garantito - di iniziativa economica privata, che, come è noto, si alimenta grazie al credito bancario, l accesso al quale, a seguito di una segnalazione presso la Centrale dei Rischi, potrebbe essere irrimediabilmente precluso. Tale obbligo di non procedere a segnalazioni errate od abusive, peraltro, sussiste anche nelle ipotesi - qual è quella di specie - in cui il rapporto contrattuale sia già cessato: infatti, non vi è dubbio che, anche dopo lo scioglimento del contratto, le parti hanno l obbligo di comportarsi secondo buona fede, e quindi di non ledere ingiustificatamente gli interessi della controparte, permanendo pertanto, in capo alle parti medesime, alcuni obblighi derivanti proprio da tale fonte integrativa (tra i quali, ad es., vi è l obbligo di consegnare copia degli estratti conto: cfr. Cass., 4598/1997, cit.). Ne consegue che, anche dopo il recesso dall apertura di credito e la chiusura del conto corrente, la Banca ha comunque l obbligo di valutare attentamente la situazione economica finanziaria del soggetto revocato, e di non procedere a segnalazioni presso la Centrale dei Rischi quando manchino le condizioni necessarie. È evidente, quindi, che una segnalazione presso la Centrale dei Rischi istituita presso la Banca d Italia deve essere effettuata solamente all esito di una attenta valutazione delle condizioni perché questa venga operata, posto che, peraltro, la banca non sopporta alcun apprezzabile sacrificio ad operare un attenta valutazione delle predette condizioni, in considerazione delle capacità tecniche che un imprenditore qualificato come la banca normalmente ha (o comunque dovrebbe avere), e dell organizzazione imprenditoriale della quale ogni istituto bancario si avvale. Ora, sulla base delle istruzioni della Banca d Italia, l appostazione di un credito a sofferenza e la conseguente segnalazione presso la Centrale dei Rischi può avvenire solamente in caso di insolvenza, anche se non accertata giudizialmente, ovvero in situazioni sostanzialmente equiparabili: per la prima ipotesi, è chiaro il riferimento al concetto di insolvenza previsto dalla legge fallimentare (ché solo in tal caso può prospettarsi un insolvenza accertata giudizialmente ), di talché la segnalazione in questione deve avvenire nelle ipotesi di cronica incapacità del correntista a far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni (art. 5 l. fall.); per quel che riguarda invece le situazioni equiparabili, deve ritenersi che queste ricorrano nelle ipotesi di oggettiva difficoltà economico-finanziaria del correntista (situazione, quest ultima, che pare richiamare il concetto di temporanea difficoltà a far fronte alle proprie obbligazioni, già previsto per le ipotesi di ammissione alla procedura di amministrazione controllata dall art. 187 l. fall., e che ora sembra riecheggiare il concetto di stato di crisi previsto per l ammissione alla procedura di concordato preventivo). Orbene, così chiarita l esistenza della buona fede integrativa, nell ambito del rapporto di conto corrente con apertura di credito, e così chiariti i termini entro i quali può legittimamente operarsi la segnalazione alla centrale dei Rischi, ritiene questo Giudicante che, nel caso di specie, non ricorra la sussistenza di una situazione di insolvenza, o di una situazione sostanzialmente equiparabile. Innanzitutto, infatti, mette conto rimarcare come il credito vantato dalla Intesa San giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 9

10 Paolo s.p.a. sia oggetto di contestazione giudiziale, sulla base di argomentazioni non certo peregrine e meramente dilatorie, essendo stata contestata l applicazione di clausole contrattuali, quale quella della c.d. capitalizzazione trimestrale degli interessi o degli interessi «uso piazza», ormai ritenute pacificamente nulle. Peraltro, il mancato adempimento di una sola obbligazione - in presenza, si ribadisce, di contestazioni sull ammontare del credito - non può certo ritenersi sintomatico di uno stato di insolvenza o di crisi della debitrice. Vero è che, nella specie, alla Servhotel s.r.l. è stato notificato anche un atto di pignoramento presso terzi da parte della Equitalia ETR s.r.l., per il pagamento, a titolo di tributi vari, della complessiva somma di euro ,13; anche tale credito, tuttavia, risulta ampiamente contestato dalla Servhotel dinanzi alla competente Commissione Tributaria, ed è già stato notevolmente ridotto in sede amministrativa, con il riconoscimento di sgravi per euro ,80; la procedura esecutiva, pertanto, è stata rinviata ad ottobre 2008 proprio per verificare l esatto ammontare del credito vantato dalla società ricorrente. Deve peraltro evidenziarsi che nei confronti della Servhotel s.r.l. non risultano pendenti istanze di fallimento e/o procedure esecutive immobiliari, né risultano protesti cambiari, o comunque altri inadempimenti di rilevante importo. Inoltre, il credito della Intesa San Paolo è garantito fino ad euro ,00 da un pegno su titoli, e la stessa ricorrente gode del credito di altre istituti bancari (in particolare, Banca di Credito Cooperativo di Alberobello e Sammichele di Bari). In sostanza, quindi, vi è solo l inadempimento di due crediti, contestati nel loro ammontare con argomentazioni certamente non dilatorie (basti pensare al considerevole ridimensionamento dei crediti della Equitalia), il che esclude la sussistenza di situazione di insolvenza o di crisi della Servhotel s.r.l., la quale è una società attiva, con un discreto numero di dipendenti ed un capannone di proprietà. Nessun rilievo può poi avere la sottoposizione della lavanderia industriale della Servhotel s.r.l. a sequestro preventivo penale, effettuato nel novembre 2007, trattandosi di sequestro revocato poco tempo dopo la sua esecuzione, e che peraltro non ha inciso in alcun modo sull attività della ricorrente, non risultando, ad es., l utilizzo di ammortizzatori sociali per i dipendenti, o ritardi nei pagamenti dei fornitori a seguito della forzata sospensione dell attività. Parimenti irrilevante deve ritenersi l iscrizione di ipoteca legale in danno della Servhotel da parte della Sesit Puglia (ora Equitalia) per l importo di euro ,46, stante la già evidenziata contestazione del credito azionato dal concessionario per la riscossione, e stante comunque il valore di gran lunga superiore del capannone industriale della Servhotel. La segnalazione alla Centrale Rischi Interbancaria della società ricorrente si presenta quindi certamente effettuata in assenza dei presupposti richiesti. Sussiste quindi il fumus boni iuris della Servhotel in relazione al diritto al risarcimento del danno in forma specifica, consistente nella cancellazione della segnalazione al nominativo della ricorrente medesima dalla Centrale Rischi Interbancaria. Per quel che riguarda, invece, il periculum in mora, va evidenziato che ricorre senz altro, nella specie, il pericolo di un pregiudizio grave ed irreparabile conseguente dalla segnalazione della Banca resistente, tenuto conto del fatto che tale segnalazione può determinare la revoca di altri affidamenti da parte di altri istituti di credito, allarmati da una situazione di insolvenza in realtà inesistente, sì da creare anche difficoltà insormontabili per l accesso al credito bancario. Consegue l accoglimento del ricorso, con il conseguente ordine alla Intesa San Paolo s.p.a. di procedere immediatamente alla revoca della segnalazione della soc. Servhotel s.r.l. dalla Centrale Rischi Interbancaria presso la Banca d Italia, e di altre eventuali segnalazioni a centrali rischi, ove effettuate. giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 10

11 Va disposta la regolamentazione delle spese, stante la natura anticipatoria del presente provvedimento, con condanna della Intesa San Paolo s.p.a. alla rifusione, in favore della Servhotel, alla rifusione di tali spese, secondo la liquidazione di cui al dispositivo. P. Q. M. Il Tribunale, in composizione monocratica nella persona del Giudice dott. Va lentino Lenoci, pronunciando nel proc. n. 128/2008 Reg. Gen. Aff. Cont. Somm. sul ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto in data dalla Servhotel s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, nei confronti della Intesa San Paolo s.p.a., così provvede: 1) in accoglimento del ricorso, ordina alla Intesa San Paolo s.p.a. di procedere immediatamente al ritiro ed alla revoca della segnalazione del nominativo della Servhotel s.r.l., con sede in Monopoli, Viale Aldo Moro n. 24, presso la Centrale dei Rischi della Banca d Italia, relativamente al credito vantato dalla stessa Intesa San Paolo s.p.a. nei confronti della suddetta Servhotel s.r.l., nonché alla cancellazione di altre eventuali segnalazioni effettuate presso altre centrali rischi; 2) condanna la Intesa San Paolo s.p.a. alla rifusione, in favore della Servhotel s.r.l., delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 1.998,72, di cui euro 198,72 per esborsi, euro 500,00 per diritti ed euro 1.300,00 per onorari, oltre rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A. 3) manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. DECRETO Tribunale Tolmezzo 14 ottobre 2008 (decr.) Pres. Cumini Est. Massarelli Fallimento - Dichiarazione di fallimento - Piccolo imprenditore - Riferimento ai requisiti dimensionali posti dall art. 1 l. fall. - Esclusività. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1; c.c., artt. 2083, 2221) Fallimento - Dichiarazione di fallimento - Presupposti soggettivi - Onere della prova - Possibilità per il giudice di desumere d ufficio elementi che escludono la fallibilità dell imprenditore - Sussistenza. (r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 1). 1. Dopo la riforma del 2006, nonostante l art c.c. continui ad escludere i piccoli imprenditori insolventi dal fallimento, ai fini dell individuazione dell imprenditore soggetto a procedura concorsuale deve farsi esclusivo riferimento ai criteri dimensionali prescritti dal novellato art. 1, secondo comma l. fall., senza che occorra indagare ulteriormente se costui sia da considerare piccolo imprenditore alla stregua dei criteri previsti dall art c.c. 2. L art. 1 comma 2 l. fall. secondo cui non sono assoggettati al fallimento gli imprenditori commerciali i quali dimostrino di non superare il limite dimensionale di attività («gli imprenditori che esercitano un attività commerciale... i quali dimostrino il possesso congiunto...») non pone un eccezione affidata alla sola volontà delle parti, la quale sarebbe incompatibile con la natura e le finalità del procedimento prefallimentare, ma costituisce una norma di chiusura finale di tipo istruttorio, nel senso che il fallimento va dichiarato ogniqualvolta i mezzi istruttori proposti dal debitore o ammessi d ufficio non dimostrino l assenza del presupposto soggettivo. DECRETO - letto il ricorso per dichiarazione di fallimento di S.F., depositato il 2 maggio 2008, n. 4/2008 R.I.F., e sentito il giudice relatore; disposta la comparizione delle parti in camera di consiglio; rilevato che il resistente non è comparso nonostante regolare notificazione, e che si sono disposte indagini a mezzo GdF (su richiesta del creditore istante) allo scopo di individuare ulteriori debiti a carico del resistente oltre quello vantato in ricorso (inferiore ad euro ); giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 11

12 osserva quanto segue. All odierno procedimento vanno applicate le norme della legge fallimentare come modificate sia dal D.Lgs. n. 5/2006, sia dal D.Lgs. n. 169/2007, in vigore dal È pacifica l insolvenza del resistente, visti la presenza di titoli esecutivi giudiziali (d.i. n. 306/06 del tribunale di Udine) e non (ruoli esattoriali in riscossione) del tutto insoddisfatti, l assenza di qualsiasi attivo, la cessazione della partita Iva dal (non seguita da cancellazione dal registro delle imprese) e l assenza del debitore dalla sede della sua attività. È dimostrato altresì il superamento della soglia quantitativa di cui all art. 15, ultimo comma, L.Fall. La discussione verte intorno al riconoscimento al resistente del presupposto soggettivo di fallibilità di cui all art. 1, secondo comma, L.Fall. In concreto esso non sussiste, in quanto dalle indagini delegate alla GdF è emerso che: a) i ricavi lordi annui degli esercizi (lo S. dal ha cessato di fatto l attività, chiudendo la partita Iva) risultano sempre inferiori ad euro ,00; b) i debiti complessivamente intesi (anche non scaduti) sono ampiamente inferiori ad euro ,00; c) l attivo patrimoniale è modesto. Nessuna parte ha però sollevato la relativa questione in questo procedimento. Questo collegio aderisce all interpretazione (prevalente in dottrina) secondo cui dopo la riforma del 2007 la rilevanza della definizione di piccolo imprenditore ex art c.c. è stata del tutto eliminata dalla legge fallimentare (cfr. in senso conforme App. Firenze, 29 aprile 2008 in Foro it. 2008, I, c. 2270; contra Trib. Firenze 31 gennaio 2007 in Foro toscano - Toscana giur., 2007, 42; Trib. Saluzzo 7 aprile 2008 in Foro it., 2008, I, c. 2271; Trib. Saluzzo 4 april e2008 e 28 marzo 2008, inediti, ma citati in Fall., 2008, 880, nota 35). Infatti, anche se l art c.c. continua ad escludere i piccoli imprenditori insolventi dal fallimento, nondimeno il testo riscritto dell art. 1, primo comma, l.fall. non contempla più tale esenzione, rimasta invece confermata per gli enti pubblici. Siccome l art c.c. fa comunque salve le disposizioni della legge speciale e siccome la modifica impressa dal legislatore a quest ultima è profonda e consapevole, si deve ritenere che al fine di verificare il presupposto soggettivo per il fallimento si imponga ormai la sola analisi degli indici di cui al novellato art. 1 L.Fall., senza riferirsi ai tradizionali criteri di cui all art c.c. Piuttosto può discutersi se, solo a causa dell assenza del debitore in questo procedimento, sia inibito al giudice, che individua nel materiale probatorio una precisa ipotesi di insussistenza del presupposto soggettivo, impedire al ricorso di dare origine ad una pronuncia di fallimento. Questo collegio, modificando l orientamento in precedenza espresso, ritiene che ciò sia possibile, in quanto: - secondo il sempre attuale insegnamento della Consulta, va evitata l instaurazione di procedure complesse e costose in casi di insolvenze che non determinino conseguenze nell economia generale (C. cost. nn. 94 del 1970 e 570 del 1989); un imprenditore che presenti requisiti dimensionali ampiamente inferiori a quelli di legge rientra nell ipotesi di insolvenza minimale ; - la verifica della sussistenza dei presupposti (soggettivo ed oggettivo) per il fallimento è comunque lo scopo normativamente fissato dell odierno procedimento (art. 15 comma 4, L. Fall.); - tale scopo ha natura indiscutibilmente pubblicistica, coinvolgendo il fallimento una comunità indifferenziata di soggetti che vedono i loro diritti modificati dalla sentenza; pertanto è necessario che la statuizione intervenga solo se la realtà dei fatti corrisponde, a giudizio del tribunale, al paradigma legale; - difatti il giudice può disporre mezzi istruttori anche d ufficio (superando le contingenti posizioni di parte) al fine di accertare la presenza dei requisiti oggettivo e soggettivo; giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 12

13 - la vera difficoltà sta nell individuare la base normativa di un potere officioso non solo sul piano istruttorio, ma anche su quello dell individuazione di eccezioni; infatti l art. 1, secondo comma, L.Fall. apparentemente affida alla sola iniziativa del debitore l allegazione (prima ancora della prova) dell assenza dei requisiti dimensionali; - tuttavia occore ricordare che il fenomeno delle eccezioni rilevate d ufficio dal giudice nell ambito del materiale di causa non è sconosciuto all ordinamento (art 112 c.p.c.; Cass. sez. un. n del 1998; Cass. n del 2004 in materia fallimentare, secondo cui il potere officioso d indagine e di valutazione del giudice sussiste, pur circoscritto all ambito di tutto quanto risulta ritualmente acquisito al processo); di recente è stato poi confermato che le eccezioni in senso lato, rilevabili anche d ufficio, qualora coinvolgano un interesse pubblico possono essere rilevate addirittura in ogni stato e grado del processo (Cass. n del 2007, fattispecie in tema di giudicato); - a conferma del fatto che l allegazione di non essere soggetto al fallimento non è rimessa alla pura volontà del resistente, si consideri poi che l art. 1 l.fall. è funzionale anche a definire l ambito degli imprenditori che possono accedere al concordato preventivo; ebbene, l art. 162 L.Fall. consente al tribunale di dichiarare inammissibile una proposta proveniente in ipotesi da un imprenditore privo dei requisiti dimensionali (sulla base dei dati dallo stesso forniti), senza attendere inconcepibili allegazioni di parte sul punto; sarebbe inconcepibile una differenza di trattamento fra ipotesi simili riguardanti pur sempre il tema dell insolvenza d impresa in sede giudiziaria; - in definitiva la regola di cui all art. 1, secondo comma, l. fall. ( gli imprenditori che esercitano un attività commerciale... i quali dimostrino il possesso congiunto... ) non pone un eccezione affidata alla sola volontà delle parti (il che sarebbe incompatibile con la natura e le finalità del procedimento prefallimentare) bensì esprime una norma di chiusura finale di tipo istruttorio, nel senso che il fallimento va dichiarato ogniqualvolta i mezzi istruttori proposti dal debitore o ammessi d ufficio non dimostrino l assenza del presupposto soggettivo; tale conclusione si trae anche dalla lettura della Relazione illustrativa del D.Lgs. n. 169/2007; - in questo modo possono essere superati i dubbi di legittimità costituzionale affacciati sul punto dalla giurisprudenza (Trib. Napoli 16 maggio 2008, in Foro it., I, c. 2270), in quanto la regola avrebbe una semplice funzione di bilanciamento fra esigenza di tutelare il diritto del creditore (anche sul piano processuale) e bisogno di evitare procedure costose ed inutili; funzione costituzionalmente ineccepibile; - il ragionamento inverso parrebbe invero poco rispettoso anche della necessità costituzionale di garantire in ogni campo un giusto processo, connotato dalla sua ragionevole durata; ebbene, l interpretazione sopra rigettata dell art. 1 l.fall. imporrebbe una dichiarazione di fallimento in ogni ipotesi di assenza del resistente dal procedimento prefallimentare, anche in caso di conclamata insussistenza del requisito soggettivo-dimensionale; per il fallito però rimarrebbe pur sempre salva la possibilità di esperire a buon titolo il reclamo ai sensi dell art. 18 l.fall., sollevando finalmente le medesime eccezioni la cui fondatezza e ricorrenza erano già palesi nella prima fase, ma che non erano state prese in considerazione solo per la sua assenza; tale viziosa conclusione conforta il superiore ragionamento. Dalle considerazioni superiori emerge che il resistente, benché insolvente e titolare di un esposizione debitoria rilevante, non ha i requisiti dimensionali per essere assoggettato a fallimento; pertanto il ricorso contro di lui proposto va rigettato. Le spese sono irripetibili per l assenza della parte non soccombente. P.Q.M. Il Tribunale di Tolmezzo, visto l art. 22 l.fall. rigetta il ricorso; nulla per le spese del procedimento. giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 13

14 DECRETO Tribunale Pescara 18 luglio 2008 (decr.) Pres. Zaccagnini Est. Fortieri Fallimento - Privilegio - IRAP - Giudizi instaurati prima dell entrata in vigore del d.l. n. 159 del Privilegio di cui all art c.c. - Applicabilità analogica - Inammissibilità. (c.c., art. 2752) Per i giudizi instaurati prima dell entrata in vigore dell art. 39 d.l. n. 159 del 2007, che ha modificato l art comma 1 c.c. attribuendo all imposta regionale sulle attività produttive la medesima prelazione prevista per i crediti dello Stato per imposte sul reddito, deve essere esclusa la possibilità di estendere in via interpretativa all IRAP il privilegio previsto per l abolita ILOR, attesa la diversa natura di tali imposte: infatti, mentre l ILOR era una imposta che colpiva determinati redditi (fondiari, di capitale, di impresa e diversi) i quali ne costituivano la base imponibile, l IRAP è, invece, una imposta che ha come presupposto l esercizio abituale di attività autonomamente organizzate dirette alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi e che viene applicata ad una base imponibile costituita dal valore della produzione netta derivante da simili attività. SVOLGIMENTO. Con ricorso depositato in data 26 marzo 2008 la Equitalia Pragma S.p.a., quale Agente della riscossione della Provincia di Pescara, esponeva: - che aveva chiesto l ammissione al passivo del fallimento della C.D.C. di G.O. &C. S.a.s. del credito di euro ,74 di cui euro ,07 in privilegio ex art c.c. ed euro ,05 in chirografo, oltre diritti di insinuazione; - che con comunicazione ricevuta il il curatore aveva comunicato che il credito era stato ammesso per euro ,10 nella categoria dei privilegiati generali di grado 18 per tributi diretti di cui all art. 2752, comma 1 c.c., ammesso per euro ,02 categoria chirografari. Escluse spese forfetarie non ripetibili in sede concorsuale. Escluso privilegio per il crediti IRAP in osservanza della natura innovativa e non retroattiva della modifica di cui al D.L. 159/07 conv. L. 222/07; - che la esclusione del privilegio Irap era illegittima, giacché il privilegio di cui all art c.c. si doveva ritenere assistesse -anche se non espressamente - i crediti Irap, in quanto imposta sostitutiva dell Ilor, dalla quale aveva ereditato la natura di tributo diretto ed erariale, assumendone la stessa rilevanza nell ambito del sistema tributario nazionale. L intento del legislatore di estendere il privilegio dell art all Irap era reso palese dalla modifica introdotta dal D.L. 159/2007 che integrando l art c.c., aveva incluso nella categoria dei crediti aventi privilegio generale sui mobili anche l imposta regionale delle attività produttive. Tale norma, dunque, avente carattere interpretativo, aveva risolto la vexata quaestio della riconducibilità del credito Irap tra quelli contemplati dall art c.c. In ogni caso, anche qualora non si fosse voluto riconoscere alla norma in questione carattere interpretativo, la nuova disposizione andava, comunque, applicata trattandosi di rapporto giuridico ancora pendente e sul quale non si era formato il giudicato Proponeva quindi opposizione allo stato passivo ai sensi dell art. 98 L.F. insistendo per l ammissione del credito con il privilegio ex art comma I c.c. Fissata con decreto l udienza di comparizione e notificati ricorso e decreto al curatore del fallimento convenuto, quest ultimo si costituiva in giudizio e resisteva all opposizione, della quale chiedeva il rigetto, rilevando che non poteva negarsi il carattere innovativo e non interpretativo del D.L. 159/2007 resa palese dal tenore letterale della disposizione normativa ed evidenziando come, secondo il disposto dell art.1 comma 2 dello Statuto del Contribuente l adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto nei casi eccezionali e con legge ordinaria qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica. La causa veniva istruita con sole produzioni documentali e, all udienza del 4 luglio 2008 il Collegio si riservava di decidere. MOTIVI DELLA DECISIONE L opposizione (la cui tempestività non è controgiurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 14

15 versa ed è stata documentata dall opponente con la produzione della comunicazione di deposito dello stato passivo inviata dal curatore) non può essere accolta. Ritiene il collegio che al credito a titolo di imposta regionale sulle attività produttive (Irap) non possa essere ammesso al passivo con il privilegio richiesto dalla ricorrente. È noto che l art. 39 del recente decreto legge 159/2007 ha modificato l art. 2752, comma 1 c.c. attribuendo all imposta regionale sulle attività produttive la medesima prelazione prevista per i crediti dello Stato per imposte sul reddito. Orbene, in conformità alla previsione dell art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, l norma in questione non ha effetto che per l avvenire, ossia per i soli crediti sorti successivamente all entrata in vigore del detto decreto legge, è quindi pacifico che la novella non sia applicabile al caso di specie, trattandosi di crediti Irap relativi agli anni La questione va risolta, pertanto, con applicazione dell art c.c., nella versione antecedente all ultima riforma e risultante dagli interventi modificativi operati dal D.lgs. n. 46/1999. La norma in questione contempla tre distinte categorie di crediti tributari cui riconosce privilegio generale sui mobili: 1) crediti dello Stato per le imposte, le pene pecuniarie e le soprattasse dovute secondo le norme relative all imposta sul valore aggiunto (attuale comma 2, già comma 3); 2) crediti dello Stato per l imposta sul reddito delle persone fisiche, per l imposta sul reddito delle persone giuridiche e per l imposta locale sui redditi (diversi da quelli immobiliari); 3) crediti dei Comuni e delle Province per imposte, tasse e tributi previsti dalla legge per la finanza locale, per imposta comunale sulla pubblicità e per i diritti sulle pubbliche affissioni. Nell interpretare la norma al fine di inserire o escludere un determinato credito tributario in o da una delle categorie suddette, il principio guida, emergente da costante giurisprudenza di legittimità condivisa da questo Collegio, è quello secondo cui il regime dei privilegi -per il contenuto limitativo che esso presenta nei confronti del debitore, per il carattere di eccezione alla regola generale (ancora posta come tale dall art comma 1 c.c. ed ancora considerata centrale nel sistema fallimentare da recenti, autorevoli arresti della Suprema Corte: sez. un., 28 marzo 2006, n. 7028, seguita poi da Cass., 25 agosto 2006 n ) del paritario concorso dei creditori e per la stretta connessione che lega ogni privilegio alla causa del credito che ne è assistito- non può essere interpretato, in caso di mancata previsione espressa, in via analogica. Le norme che prevedono i privilegi sono cioè di stretta interpretazione e non consentono l estensione del privilegio se non nelle ipotesi espressamente previste (si veda, per una recente affermazione di tale principio, Cass., 29 marzo 2006 n e già, tra tante, Cass., sez. un., 6 maggio 1993 n. 5246; Cass., 29 ottobre 1994 n. 8930; Cass., 13 dicembre 1994 n ). Ciò vale a maggior ragione per i privilegi che assistono i crediti tributari, posto che questi ultimi vengono specificamente individuati dalle norme che prevedono i privilegi, come si è appena visto con riferimento all art c.c. Già questa considerazione comporta certamente la infondatezza della richiesta di riconoscimento del privilegio de quo al credito Irap, giacché quest ultima imposta non è contemplata tra quelle indicate nell art citato, nella versione applicabile. Sostiene, però, la ricorrente che l interpretazione estensiva del comma 1 dovrebbe condurre a ricomprendere anche l Irap nel fuoco applicativo del privilegio ivi previsto, in quanto si tratterebbe di imposta che ha sostituito l Ilor di cui ha ereditato la natura di tributo diretto ed erariale ivi compreso il privilegio in esame. Questa tesi (che, anche terminologicamente, coincide con quella esposta dalla Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 41/E del 5 aprile 2005) è smentita già da un esame anche sommario del D.lgs. n. 446/1997, istitutivo dell imposta regionale sulle attività produttive, il cui art. 36 ha disposto l abolizione non soltanto dell imposta locale sui redditi (Ilor), ma di altre quattro imposte o tasse: i contributi per prestazioni del S.S.N. (cd. tassa sulla salute); l imposta comunale per l esercizio di imprese e di arti e professioni (Iciap); la tassa sulla concessione governativa per l attribuzione del numero di partita IVA; l imposta sul patrimonio netto delle imprese. Si tratta di imposte e tasse di varia e diversa natura, delle quali solo l Ilor era certamente assistita da privilegio ex art c.c., mentre era prevalentemente esclusa e comunque da escludere la natura privilegiata delle altre, non prevista espressamente da alcuna norma e non riconoscibile in via di interpretazione estensiva (quanto giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 15

16 all Iciap si veda, in tal senso, la già citata Cass. 7309/06 che ha negato la possibilità di applicazione dell art ultimo comma c.c.; quanto all imposta sul patrimonio netto delle imprese si veda la sentenza 21 aprile 2004 di questo Tribunale in proc. 1663/02). Non si vede quindi -ponendosi nell ottica successoria suggerita dalla ricorrente- perché l Irap abbia ereditato la natura ed il rango privilegiato dell Ilor, piuttosto che la natura ed il rango chirografario delle altre diverse imposte e tasse che ha sostituito. Tanto più che una simile ipotesi si scontra non solo con la mancanza, nel D.lgs. 466/1997, di una previsione espressa della natura privilegiata della nuova imposta, ma anche con la evoluzione normativa dell art c.c., il quale è stato oggetto di modifica nel 1999, quando già l Ilor era stata abolita ed istituita l Irap, senza che il legislatore abbia sostituito con la menzione di quest ultima imposta la menzione della prima tutt ora contenuta nella disposizione codicistica. Non pare, dunque, sostenibile che l Irap abbia sostituito l Ilor ai fini dell applicazione del regime di privilegio riconosciuta a quest ultima imposta, giacché essa ha preso il posto, nel sistema tributario complessivo, di una pluralità di imposte e tasse molte delle quali non assistite da privilegio e giacché simile sostituzione non trova alcun riscontro negli interventi normativi sopra ricordati (laddove, invece, ad altri fini il legislatore ha avuto cura di sancire l equiparazione dell Irap ai tributi erariali aboliti contestualmente alla sua istituzione: si veda l art. 44 D.lgs. 466/1997, che limita l equiparazione ai fini dell applicazione dei trattati internazionali in materia tributaria e fa peraltro riferimento all insieme dei tributi erariali sostituiti e non alla sola Ilor). Ma, anche ove si volesse accettare l idea di un rapporto biunivoco di sostituzione tra Ilor e Irap, la ragione che convince definitivamente circa la impossibilità di estendere in via interpretativa (non analogica) a quest ultima il privilegio previsto per la prima risiede nella diversità di natura tra le due imposte: mentre l Ilor era una imposta che colpiva i redditi (fondiari, di capitale, di impresa e diversi) i quali ne costituivano la base imponibile, l Irap è, invece, una imposta che ha come presupposto l esercizio abituale di attività autonomamente organizzate dirette alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi e che viene applicata ad una base imponibile costituita dal valore della produzione netta derivante da simili attività (e le specifiche regole di individuazione della base imponibile dettate dagli artt. da4a12deld.lgs. 446/1997, possono comportare in alcuni casi la debenza dell Irap anche in assenza di redditi o addirittura in presenza di perdite d esercizio). Tale differenza è stata efficacemente scolpita dalla Corte costituzionale nella sentenza 21 maggio 2001 n. 156, nella quale si legge: nel caso dell Irap il legislatore, nell esercizio di tale discrezionalità, ha individuato quale nuovo indice di capacità contributiva, diverso da quelli utilizzati ai fini di ogni altra imposta, il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate. La scelta di siffatto indice non può dirsi irragionevole, né comunque lesiva del principio di capacità contributiva, atteso che il valore aggiunto prodotto altro non è che la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva, che viene, mediante l Irap, assoggettata ad imposizione ancor prima che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione, trasformandosi in reddito per l organizzatore dell attività, i suoi finanziatori, i suoi dipendenti e collaboratori. L imposta colpisce perciò, con carattere di realità, un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione. Se, dunque, l Irap non è una imposta sui redditi, in quanto colpisce fatti economici diversi, essa non condivide la propria natura né con l Ilor, né con le altre imposte contemplate dall art comma 1 c.c., costituite dalla famiglia (all epoca dell ultima modifica normativa intervenuta) delle imposte sui redditi. Ciò esclude in radice che possa pervenirsi, in via di interpretazione estensiva, ad una applicazione della norma appena richiamata anche all Irap. Simile applicazione costituirebbe, invero, l esito di un procedimento di estensione analogica del privilegio ad una imposta ontologicamente diversa, e quindi ad un credito avente causa diversa, rispetto a quelli regolati dalla norma che il privilegio prevede. E, come si è detto in premessa, in materia di privilegi il ricorso all analogia è inammissibile. Ciò posto, deve, per completezza (dato il generico riferimento all intero art c.c. giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 16

17 contenuto nella originaria domanda di insinuazione), rilevarsi che all Irap non possono essere riconosciuti neanche i privilegi previsti dal comma 2 (già 3) e dal comma 3 (già 4) dell art citato, giacché certamente l imposta in questione non è assimilabile all imposta sul valore aggiunto (assimilazione esclusa dalla Corte di Giustizia CEE con la sentenza 3 ottobre 2006 in proc. C-475/03, che avrebbe comunque reso l Irap incompatibile con la direttiva 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme) ed è un imposta erariale (si veda C. cost. 26 settembre 2003, n. 296, che ha evidenziato come la circostanza che l imposta sia stata istituita con legge statale e che alle regioni a statuto ordinario, destinatarie del tributo, siano espressamente attribuite competenze di carattere solo attuativo, rende palese che l imposta stessa -nonostante la sua denominazione- non può considerarsi tributo proprio della regione, nel senso in cui oggi tale espressione è adoperata dall art. 119, secondo comma, della Costituzione, essendo indubbio il riferimento della norma costituzionale ai soli tributi istituiti dalle regioni con propria legge, nel rispetto dei principi del coordinamento con il sistema tributario statale ). Può, quindi, concludersi che all Irap non può riconoscersi, neppure alla stregua di una interpretazione estensiva, alcun privilegio generale sui mobili previsto dall art c.c. (a tale conclusione è di recente pervenuto anche Trib. Vercelli, 14 luglio 2006, Uniriscossioni spa c. Fall. Co.Ve.Ca. snc). Il relativo credito è stato quindi correttamente ammesso con collocazione chirografaria. L opponente, invoca, poi, la recente modifica dell art c.c. intervenuta ad opera del d.l. 159 del 2007 al fine di sostenere che detta modifica legislativa sia stata inserita proprio per esplicitare l intenzione del legislatore, già esistente prima della modifica, di ritenere estensibile il privilegio generale sui mobili di cui all art c.c. anche al credito Irap. Di contro, va osservato, che la detta modifica normativa depone proprio nel senso contrario a quello indicato dall opponente giacché la circostanza che si sia reso necessario un intervento del legislatore per assicurare al credito Irap il privilegio previsto dall art c.c. sta proprio ad indicare che l assistenza di detto privilegio al credito Irap non poteva essere riconosciuto in via di interpretazione estensiva del previgente art c.c. tanto che si è reso, a tal fine necessario un intervento legislativo dal carattere innovativo e non certo interpretativo. Quanto, infine, all argomento relativo alla dedotta applicabilità della nuova legge in quanto rapporto giuridico ancora pendente, va rilevato come detto argomento sia resistito proprio dalla circostanza che, diversamente da quanto sostenuto dall opponente, la norma innovatrice in questione è diretta proprio ad incidere sul fatto generatore del rapporto (ossia l imposta che ha dato origine al credito e la sua natura) e non semplicemente i suoi effetti. L opposizione deve essere, pertanto, rigettata. La soccombenza comporta la condanna dell opponente a rimborsare in favore del fallimento convenuto le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente decidendo sulla opposizione proposta da Equitalia Pragma S.p.a., quale Agente della riscossione della Provincia di Pescara, avverso lo stato passivo del fallimento C.D.C. di G.O. &C. S.a.s., così provvede: rigetta l opposizione; condanna l Equitalia Pragma S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare al fallimento C.D.C. di G.O. &C. S.a.s. le spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 2.465,00, di cui euro 600,00 per diritti, euro 1.865,00 per onorario, oltre spese generali come da T.F. ed I.V.A. e C.A.P. come per legge. SENTENZA Tribunale Torino 3 novembre 2008 Est. Liberati Mutuo - Mutuo di scopo - Collegamento tra mutuo e negozio di destinazione - Accertamento - Criteri. c.c., art. 1813) Affinché dall inadempimento del venditore possa derivare la risoluzione del contratto di giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 17

18 mutuo concluso dall acquirente con il terzo finanziatore, occorre che sia configurabile il collegamento negoziale tra i due contratti, inteso come vincolo che, nel rispetto della causa e dell individualità di ciascuno di essi, li indirizzi al perseguimento di una funzione unitaria la quale trascenda quella dei singoli contratti ed investa la fattispecie negoziale nel suo complesso; la sussistenza del collegamento va verificata anche mediante ricorso ad indici di tipo oggettivo ma non é sufficiente, a tal fine, la mera strumentalità del contratto di mutuo a consentire al mutuatario il pagamento del prezzo della vendita. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. Con citazione notificata il 14 ed il 19 luglio 2006 M.C. ha evocato in giudizio innanzi a questo Tribunale il Fallimento della S.p.a. GEA e la S.p.a. PLUSVALORE esponendo che: - il aveva concluso un contratto di compravendita di arredi per cucina con la S.p.a. GEA al prezzo di E 4.800, per il cui pagamento aveva concluso un contratto di mutuo con la S.p.a. PLUSVALORE, in forza del quale avrebbe dovuto restituire alla mutuante la somma ricevuta mediante il pagamento di 36 rate mensili dell importo di E 171,50 ciascuna, dal 5 giugno 2006 al , od il pagamento in unica soluzione della somma di E entro ; - nonostante l avvenuto pagamento del prezzo, la consegna degli arredi che aveva acquistato dalla GEA non era stata effettuata, ma egli, confidando nella consegna ed al fine di evitare di dover pagare interessi, aveva restituito alla PLUSVALORE entro detto termine la somma oggetto del contratto di mutuo (corrisposta dalla mutuante alla venditrice); - in seguito aveva appreso che la venditrice GEA era stata dichiarata fallita con sentenza di questo Tribunale dell 11 novembre Ha affermato, pertanto, che il contratto di vendita concluso con la GEA avrebbe dovuto essere risolto per inadempimento della venditrice, oramai impossibilitata a darvi esecuzione a seguito della sua dichiarazione di fallimento, con il conseguente diritto alla restituzione del prezzo corrispostole per il tramite della PLUSVALORE, mediante il contratto di finanziamento collegato a quello di mutuo. In subordine ha prospettato la risolubilità di tale ultimo contratto per la contrarietà a buona fede della condotta della mutuante, che prima di erogare il finanziamento avrebbe dovuto verificare le condizioni patrimoniali della venditrice. Ha concluso, quindi, chiedendo la risoluzione del contratto concluso con la GEA e di quello collegato concluso con la PLUSVALORE e la condanna di quest ultima alla restituzione della somma corrispostale, oltre accessori e spese, come in epigrafe. La convenuta, costituitasi tempestivamente, con comparsa depositata il 9 novembre 2006, avendo l attore indicato quella del 30 novembre 2006 quale udienza di prima comparizione, ha resistito a tale domanda, per l inopponibilità al mutuante delle vicende e delle eccezioni conseguenti al contratto di vendita, al quale la società finanziaria era rimasta estranea, tra l altro espressamente ribadita all art. 17 delle condizioni generali di contratto; ha anche negato la prospettata violazione del dovere di buona, non spettando al finanziatore alcun onere od obbligazione di verifica della convenienza economica dell affare finanziato o della affidabilità del venditore. Ha concluso, pertanto, per il rigetto della domanda dell attore, con vittoria di spese. Il Fallimento della S.p.a. GEA è rimasto contumace. Con memoria depositata il 16 gennaio 2007 la PLUSVALORE ha eccepito l improponibilità della domanda di risoluzione proposta nei confronti del Fallimento della GEA, in considerazione della anteriorità della dichiarazione di fallimento rispetto alla proposizione di tale domanda. L attore ha replicato con memoria depositata il , eccependo la novità di tale eccezione di improponibilità della propria domanda. Senza istruzione, non essendo state ammesse le prove orali dedotte dalle parti costituite, la causa è stata assunta in decisione all udienza del 18 giugno 2008, sulle conclusioni in epigrafe trascritte, ed entrambe le parti costituite hanno provveduto successivamente, entro i termini loro assegnati, a depositare fascicolo e conclusionale. giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 18

19 MOTIVI DELLA DECISIONE. L attore, come accennato, ha agito al fine di ottenere dalla PLUSVALORE il rimborso delle somme restituitele in adempimento del contratto di mutuo concluso con la stessa PLUSVALORE, strumentalmente al pagamento del prezzo della vendita concluso con la GEA (ora dichiarata fallita) e da quest ultima non adempiuta, prospettando un collegamento tra la vendita ed il contratto di mutuo e la conseguente risoluzione di tale contratto in conseguenza dell inadempimento della venditrice e della risoluzione del contratto di compravendita. La venditrice, dichiarata fallita prima della instaurazione del giudizio, è rimasta contumace. La PLUSVALORE ha resistito alla domanda dell attore, eccependo l improponibilità della domanda proposta nei confronti del Fallimento, negando il prospettato collegamento negoziale ed anche il proprio inadempimento, avendo provveduto a corrispondere alla venditrice le somme oggetto del contratto di finanziamento concluso con l attore. Quest ultimo, a seguito della eccezione di improponibilità della domanda sollevata dalla convenuta costituita, ha precisato di aver domandato la sola risoluzione del contratto di vendita strumentalmente alla domanda di restituzione delle somme corrisposte dalla PLUSVALORE. Tale domanda risulta, però, improponibile nei confronti della GEA, in conseguenza dell avvenuta dichiarazione di fallimento della venditrice, ex art. 72 l. fall., in considerazione della sua strumentalità all accertamento di un credito, che potrebbe avere incidenza anche sulla massa fallimentare, giacché l eventuale accoglimento della domanda di restituzione proposta dall attore nei confronti della PLUSVALORE determinerebbe il sorgere di un suo credito, in via di surrogazione, nei confronti del venditore dichiarato fallito ed al quale, in esecuzione delle disposizioni dell acquirente, aveva corrisposto il prezzo della vendita. Costituisce, infatti, principio non controverso quello secondo cui Nel caso in cui la risoluzione di un contratto di compravendita venga pronunciata, dopo il fallimento del venditore, per inadempimento di quest ultimo anteriore al fallimento medesimo, il credito del compratore alla restituzione del prezzo pagato non è prededucibile ai sensi dell art. 111, n. 1, l. fall., ma deve trovare collocazione, previa insinuazione nello stato passivo, secondo la disciplina della par condicio creditorum, in quanto, pur avendo titolo nella sentenza di risoluzione emessa in corso del fallimento del venditore - debitore, ha causa in un fatto anteriore all apertura della procedura concorsuale e si traduce in un obbligo, da parte degli organi di questa, di restituire una somma di denaro, costituente per sua natura un bene di genere, corrispondente a quella ricevuta. (così, Cass., Sez. I, 3 febbraio 2006, n. 2439, Soc. Tbs c. Fall. soc. G.S.C. e altro, in Giust. civ. Mass. 2006). Ne consegue, come accennato, l improponibilità delle domande proposte dall attore nei confronti del Fallimento della S.p.a. GEA, fondate sul collegamento tra il contratto di compravendita e quello di mutuo e destinate a far sorgere un credito nei confronti della fallita. Ciò premesso, occorre osservare che la conclusione del contratto di compravendita tra la GEA e l attore e di quello di finanziamento tra quest ultimo e la PLUSVALORE non sono state contestate e si ricavano, comunque, dai documenti prodotti da entrambe le parti, come pure la corresponsione della somma oggetto del mutuo direttamente alla GEA, in adempimento della disposizione in tal senso impartita alla PLUSVALORE dall attore. L inadempimento della venditrice GEA alla obbligazione di consegnare all attore i beni oggetto del contratto di compravendita non è, poi, stata contestata dalla PLUSVALORE. Non sembra, però, che da tale inadempimento possa derivare anche la risoluzione del contratto di mutuo concluso dall attore con l altra convenuta, non parendo ravvisabile il collegamento negoziale prospettato dall attore. Questo, infatti, si realizza attraverso la creazione di un vincolo tra i contratti che, nel rispetto della causa e dell individualità di ciascuno, li indirizza al perseguimento di una funzione unitaria che trascende quella dei singoli contratti ed investe la fattispecie negoziale nel suo complesso. La fonte di tale collegamento è costituita dall autonomia contrattuale delle parti e giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 19

20 l esistenza dello stesso va verificata non solo sulla base dei dati di natura soggettiva, bensì anche mediante ricorso a indici di tipo oggettivo (cfr. Cass., sez. un., Seitz Gmbh e Co Kg c. Soc. Brunner, in Guida al diritto 2007, 34 52). Si tratta di un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico complesso, che viene realizzato non già per mezzo di un autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è concepito, funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri, sì che le vicende che investono un contratto possono ripercuotersi sull altro, seppure non necessariamente in funzione di condizionamento reciproco, ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all altro, e non anche viceversa, e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio (così Cass., sez. I, 5 giugno 2007, n , Hochstatter c. Cattoni, in Mass. Giust. civ., 2007, 6). Ora, nella fattispecie in esame, non sembra ravvisabile un tale nesso tra i due contratti di cui si controverte, ma solo la strumentalità di quello di mutuo a consentire al mutuatario il pagamento del prezzo della vendita (come del resto rientra nella sua funzione tipica), ma non anche il perseguimento della funzione unitaria che costituisce l elemento costitutivo del collegamento negoziale, giacché ognuno dei due contratti in questione sembra aver mantenuto la propria autonomia funzionale, essendo collegati solo per la destinazione della somma finanziata ad essere utilizzata per il pagamento del prezzo della vendita conclusa dall attore con la GEA. È stato, infatti, affermato, proprio da questo Tribunale ed in fattispecie analoga, che Affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico tra il contratto di finanziamento e il contratto di compravendita non è sufficiente un nesso occasionale tra i negozi, ma è necessario che il collegamento dipenda dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trovi la propria causa (e non il semplice motivo) nell altro, nonché dall intento specifico e particolare delle parti di coordinare i due negozi, instaurando tra di essi una connessione teleologica, soltanto se la volontà di collegamento si sia obiettivata nel contenuto dei diversi negozi potendosi ritenere che entrambi o uno di essi, secondo la reale intenzione dei contraenti, siano destinati a subire le ripercussioni delle vicende dell altro (così Trib. Torino, sez. III, 11 dicembre 2007, n. 7797, D.F. c. Soc. Compass, nella quale, tra l altro, si chiarisce anche che Il consumatore che stipula un contratto di credito al consumo per l acquisto di un bene non può rifiutare alla Finanziaria il pagamento delle rate se il venditore non gli consegna la cosa oggetto della compravendita, in quanto non esiste di per sé un collegamento negoziale tra il contratto di compravendita e quello di finanziamento. Il consumatore, quindi, deve pagare la Finanziaria facendosi carico del rischio della mancata consegna del bene, con la possibilità poi di rivalersi nei confronti del venditore per la sua inadempienza, salvo che dalle condizioni generali del contratto non risulti la possibilità per il consumatore di agire contro il finanziatore opponendogli le eccezioni relative al contratto di compravendita ). I due contratti di cui si controverte non sono reciprocamente condizionati, né uno di essi è subordinato all altro, né pare ravvisabile la volontà della mutuante di concorrere al perseguimento di un unico risultato complesso, essendo la stessa rimasta estranea alla vendita (essendosi limitata a consegnare la somma mutuata alla venditrice quale pagamento del prezzo su disposizione dell acquirente) ed essendo suo interesse solo la conclusione e l adempimento del contratto di mutuo. Non sembra, dunque, ravvisabile il collegamento tra i due negozi prospettato dall attore, posto a fondamento della sua domanda di risoluzione del contratto di mutuo e di restituzione della somma rimborsata alla mutuante (in adempimento della obbligazione di restituzione della somma ricevuta a mutuo, consegnata per sua disposizione alla venditrice GEA), con la conseguente infondatezza della domanda principale dell attore. Neppure pare ravvisabile la facoltà per il mutuatario di rivolgersi direttamente al mutuante per il caso di inadempimento del venditore contemplata dall art. 42 del codice del consumo (secondo cui Nei casi di inadempimento del fornitore di beni e servizi, il consumatore che abbia effettuato inutilmente la costituzione in mora ha diritto di agire contro il finanziatore nei limiti del credito concesso, a condizione che vi sia un accordo che attribuisce al finanziatore l esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore. La responsabilità giurisprudenza di merito n addenda online Giuffrè Editore P. 20

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