LETTERA AGLI EBREI Cap. 11, 20-22

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1 LETTERA AGLI EBREI Cap. 11, Per la fede anche Isacco, guardando all avvenire, benedisse Giacobbe ed Esaù. Per la fede Giacobbe, in punto di morte, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e si curvò sulla cima del suo bastone. Per la fede Giuseppe, giunto al termine, pensò all esodo dei figli d Israele e diede disposizioni riguardo alle sue ossa. Nelle osservazioni dei vv l autore di Ebrei aveva affermato, ma non provato, che i tre patriarchi morirono in modo conforme alla loro fede; e questo ora nei versetti di questa sera sembra essere l idea comune che lega i patriarchi tra loro: che tutti e tre sostennero la loro fede con i fatti al cospetto della morte. Morendo i patriarchi manifestarono la loro fede, poiché le benedizioni che allora pronunciarono riguardavano un avvenire oscuro e umanamente inconoscibile. Eppure, senza indugio, e come unico o primo pensiero alle soglie della morte vogliono lasciare il segno della loro fede e della loro vita nel Signore benedicendo i figli e/o i nipoti testimoniando il loro ringraziamento ed affidamento a Dio.

2 La lunga storia di Giacobbe è «raccontata» dal suo bastone, che fu per lui strumento da pastore, sostegno di quand era pellegrino, poi zoppo ed infine adoratore (v. 21). Di Isacco si potrebbe pensare che il suo discernimento sia stato piuttosto tardivo, e di Giuseppe che ci sarebbero state altre cose da ricordare invece di questa semplice raccomandazione riguardante le sue ossa. Ma ognuno dei patriarchi proclama a modo suo la fiduciosa attesa delle cose a venire. Vedete ciò è del tutto evidente negli esempi di Isacco, Giacobbe e Giuseppe. Ebrei qui parla ancora una volta, ed instancabilmente, della fede di Isacco, Giacobbe e Giuseppe. Isacco, ormai vecchio, è vittima di un inganno e accorda la benedizione del primogenito a Giacobbe (Gen. 27, 28-29). E nonostante tutto egli ravvisa anche qui la mano di Dio; pur non potendo cambiare nulla l autore sottolinea che il patriarca accetta con fede l inattesa decisione di Dio. Isacco

3 vede nella luce di Dio il destino della loro stirpe, e non altrove. La sua fede gli fece sormontare la sua naturale predilezione per Esaù e passare sopra la legge ordinaria di successione per piegarsi al disegno di Dio. Qualcosa di analogo avviene anche a Giacobbe. L autore non parla della benedizione dei figli di Giacobbe (Gen. 49) ma di quella data dal patriarca ai figli di Giuseppe. Anche qui la benedizione divina segue un criterio suo proprio: Giacobbe morente dà la benedizione migliore al più giovane, posandogli la mano destra sul capo, mentre l altro viene benedetto colo con la mamo sinistra (Gen. 48, 17-20), attuando con ciò un piano divino. Il loro avo saluta la storia delle due tribù di cui essi sono gli antenati ( Gen. 48, 14-16) e la cui grandezza rispettiva non corrisponderà all ordine della primogenitura. Ebrei sceglie volontariamente questo passo per sottolineare la fede nelle scelte di Dio, che spesso non seguono i criteri

4 dell uomo, eppure il patriarca si fida di Dio e benedice il più giovane costituendolo più grande del primogenito. Ancora una volta l autore richiama i destinatari della lettera ad una fede potente e piena, alla quale abbandonarsi senza riserve e timori. Facciamo attenzione alle parole utilizzate si curvò sulla cima del suo bastone, poiché hanno avuto più di una traduzione ed interpretazione. E un gesto misterioso in cui la tradizione ebraica vede sia un atto d adorazione verso Dio sempre presente al suo capezzale, sia un omaggio a Giuseppe suo figlio. L originale ebraico legge: Israele si curvò verso il capo del letto (Gen. 47, 31), riconoscente a Dio perché Giuseppe darà compimento al suo desiderio di essere sepolto nella terra di Canaan. I Settanta traducono con il termine bastone nel senso letterale della parola presentando Giacobbe che, privo di forze, ringrazia Dio curvandosi sulla cima del suo bastone che lo sorregge, di quel bastone col quale aveva passato solitario il

5 Giordano, fuggendo in Paddan-Aram (Gen. 32, 10), di quel bastone che gli ricordava tutto un passato di peccato, di miseria, di povertà; ma che gli faceva misurare, in pari tempo, la grandezza delle benedizioni ricevute. I padri greci propongono un interpretazione analoga agli ebrei. Primasio, vescovo di Adrumeto (città di Susa in Tunisia) ammette i significati sopra riportati ma con un colorito cristiano: adorò la verga di Giuseppe, simbolo del Regno di Cristo (discendenza). Infine è sempre la fede nelle realtà invisibili e future quella che è all opera nella profezia di Giuseppe morente, quando dice che i suoi fratelli andranno nella terra promessa; è sempre la fede che lo induce a far pronunciare il giuramento ai figli d Israele e darsi premura che le sue ossa siano portate in Canaan (Gen. 50, 24-25). Sebbene ricco e potente in Egitto, Giuseppe non dimenticò, più che non avesse fatto suo padre, che l'egitto non era la terra

6 promessa alla progenie d'abramo. «Il suo sospiro è nella direzione delle divine promesse il cui adempimento gli è reso sicuro dalla fede». Perciò nelle ultime raccomandazioni rivolte ai fratelli egli fa menzione dell'esodo futuro dall'egitto (Gen. 15, 16); e, come testimonianza della sua fede personale, e mezzo di tener vivo in cuore agli Israeliti il ricordo della promessa divina, onde «né la quiete, né le tribolazioni facessero loro dimenticare i loro destini», Giuseppe ordina che quando gl'israeliti usciranno d'egitto, portino seco le sue ossa per seppellirle nella terra promessa. Egli dà, le sue disposizioni come se già fossero realtà le cose sperate. E la Scrittura narra che gl'israeliti eseguirono fedelmente gli ordini del loro benefattore (Esodo, 13, 19; Giosuè 24, 32). Anche Giuseppe guarda in lontananza; anche nella morte egli è un testimone della condizione provvisoria dell uomo, il quale passa attraverso le realtà caduche e transitorie dirigendosi

7 verso un termine ed un luogo non ancora visibili, che Dio mostra a coloro che credono in Lui. La fede è l unica pietra di paragone che permette di apprezzare il vero valore e la durata relativa di ogni cosa, ma è, allo stesso tempo, l energia interiore che rende capaci di trionfare, sia sugli ostacoli (l ira del re, il mar Rosso, Gerico) che sulle concupiscenze: le delizie del peccato o le ricchezze dell Egitto. Sì, la fede è energica e ardita. E, se l esempio di Mosè ci sembra troppo elevato, c incoraggerà quello di Raab, una semplice prostituta. Qualunque siano le nostre circostanze, Dio aspetta un frutto visibile della nostra fede. La storia di Raab nel libro di Giosuè RAAB è un personaggio biblico menzionato nelle Sacre Scritture per la prima volta dal libro di Giosuè. Fu una prostituta della città cananea di Gerico che visse negli anni intorno al 1473 a.c. (data, secondo il testo biblico, della caduta di Gerico) e che

8 aiutò a rischio della sua vita e di quella della sua famiglia due spie israelite dando loro alloggio nella sua casa ed assistendole fino alla loro fuga[1] Secondo il racconto biblico di Giosuè 2:1-23 dopo la morte di Mosè che aveva accompagnato il popolo israelita dall'egitto alla Terra Promessa, Giosuè mandò in esplorazione a Gerico due spie israelite prima della conquista di quella città cananea. Giungendo a Gerico le due spie trovarono alloggio nella casa di Raab. I due ospiti furono però da alcuni riconosciuti come israeliti, cosa che fu riferita al re di Gerico. Mentre gli inviati di Giosuè si trovavano ancora presso di lei, il re le ordinò di consegnarli ai suoi emissari. Decisa a salvarli, la donna usò un sotterfugio, sviando gli emissari: affermò che non erano in casa, essendo usciti sul far della notte. Appena gli uomini del re si diedero a inseguirli, Raab nascose le due spie sulla terrazza fra steli di lino accatastati.

9 Raab dichiarò a quelle due spie che sapeva che il loro Dio aveva assegnato il paese a Israele, riconoscendo quindi il Dio di Israele come l'unico e vero Dio in opposizione ai falsi dèi pagani. Poiché il Signore avrebbe consegnato Gerico al suo popolo, li pregò di intercedere per risparmiare lei e la sua famiglia nel momento in cui gli israeliti avrebbero conquistato la città. Le spie giurarono sulla loro stessa vita che lo avrebbero fatto. Raab li fece calare con una corda dalla finestra mettendoli in salvo: la sua casa infatti era addossata proprio al muro di cinta. Raccomandò loro di restare nascosti sulla montagna per tre giorni finché gli abitanti di Gerico avessero desistito dal loro inseguimento. Prima di partire, i due uomini le suggerirono di legare alla sua finestra una cordicella di filo scarlatto che avrebbe segnalato la sua casa agli Ebrei quando fossero entrati in città.

10 Al momento della presa della città, così come descritto dal racconto biblico in Giosuè 6:23, 25, Giosuè mandò le stesse spie ospitate da Raab alla ricerca di lei e dei componenti della sua famiglia. Conquistata, la città fu completamente incendiata. Da quel momento Raab abitò in mezzo ad Israele. Dio ricompensò la sua fede non solo risparmiandole la vita insieme alla sua famiglia; avvenne infatti che Raab, con lo sposare in seguito un israelita, Salmon figlio di Nacson ( Rut 4:21 ), divenisse trisavola del Re Davide, dalla cui discendenza sarebbe nato il Messia. TRACCIA PER IL TEMA - È il mio Dio il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, cioè il Dio degli uomini? - Sento il privilegio di chiamarlo mio Dio? - Ne avverto il peso, la responsabilità, la bellezza, la grandezza?