ANALISI DELLA DINAMICA PASSATA ED ATTUALE DEL FIUME PIAVE NEL VALLONE BELLUNESE FINALIZZATA AD UNA GESTIONE INTEGRATA DEL SUO CORRIDOIO FLUVIALE

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1 SEDE AMMINISTRATIVA: UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO TERRITORIO E SISTEMI AGRO-FORESTALI SCUOLA DI DOTTORATO IN TERRITORIO, AMBIENTE, RISORSE E SALUTE INDIRIZZO: IDRONOMIA AMBIENTALE CICLO XXIII ANALISI DELLA DINAMICA PASSATA ED ATTUALE DEL FIUME PIAVE NEL VALLONE BELLUNESE FINALIZZATA AD UNA GESTIONE INTEGRATA DEL SUO CORRIDOIO FLUVIALE SUPERVISORE : CH.MO PROF. MARIO ARISTIDE LENZI CO-SUPERVISORE: DOTT. FRANCESCO COMITI CO-SUPERVISORE: DOTT.SSA IRMA VISALLI DOTTORANDO : MARCO DA CANAL 31 GENNAIO 2011

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3 Alla mia famiglia 3

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5 RIASSUNTO Obbiettivo della presente ricerca è definire i tempi e l entità dei cambiamenti morfologici avvenuti nel fiume Piave e sviluppare strategie e strumenti di gestione innovativi capaci di assicurare il raggiungimento e il mantenimento degli standard di qualità imposti dalla legislazione europea (Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE). Il fiume Piave nasce nelle Alpi Orientali italiane (superficie bacino idrografico 3899 km 2 ) ed il suo canale principale dalle sorgenti (poste a circa 2000 metri al confine italo-austriaco) alla foce (mar Adriatico a nord-est di Venezia) è lungo 220 km e attraversa le province di Belluno, Treviso e Venezia. Il tratto analizzato è situato nella parte centrale del bacino montano ed ha una lunghezza di 13,5 km. In questo tratto il Fiume Piave è caratterizzato da una tipologia morfologica predominante pseudomeandriforme (wandering) presentando comunque alcune zone in cui l andamento è a canali intrecciati (braided). L attività di ricerca è stata divisa in due fasi principali, nella prima fase si è cercato di definire una base. conoscitiva dell evoluzione del corridoio fluviale, sia storica che recente, attraverso l analisi dei principali processi fluviomorfologici, mentre nella seconda fase si è cercato di sviluppare una serie di mappe e strumenti utili per la gestione della fascia di pertinenza fluviale in situazioni sia ordinarie che di emergenza. Nella prima fase sono state analizzate sei serie di foto aeree (1960, 1970, 1991, 2000, 2003 e 2006) per la comprensione e l analisi dell evoluzione planimetrica del corridoio fluviale. Attraverso l utilizzo di un software GIS (ESRI ArcGIS 9.1) l analisi delle foto aeree ha portato all identificazione delle seguenti classi d uso del suolo: alveo attivo, aree urbane e industriali, cave ed impianti di vagliatura, coltivi, isole con vegetazione arborea, isole con vegetazione pioniera, vegetazione perifluviale arborea, vegetazione perifluviale arbustiva e vegetazione perifluviale erbacea. Le foto aeree del 2006, prodotte da un volo appositamente commissionato nel luglio 2006 dal Dipartimento TESAF, grazie al loro elevato grado di dettaglio sono state inoltre utilizzate per la definizione delle seguenti forme fluviali all interno dell alveo attivo: canale principale, canale secondario, canale di morta, barra bassa laterale, barra bassa longitudinale, barra alta laterale, barra alta longitudinale, isola con vegetazione pioniera e isola con vegetazione arborea. 5

6 Si è poi passati allo sviluppo della seconda fase attraverso la definizione di una cartografia di sintesi in grado di definire la fascia di mobilità funzionale ed analizzare la dinamica evolutiva delle superfici boscate con particolare riferimento alla loro interazione con fenomeni di piena e conseguenti processi erosivi. In questa fase ci si è concentrati in particolare sullo studio dei processi fluviali e delle conseguenze morfologiche sviluppatesi a seguito di due eventi di piena avvenuti negli anni 1966 (Tempo di ritorno > 200 anni) e 2002 (Tempo di ritorno = 12 anni). La scelta di questi due eventi di piena è stata fatta in quanto si è voluto valutare l evoluzione morfologica del corridoio fluviale sia a seguito del verificarsi di eventi estremi (1966) sia a seguito del verificarsi di eventi più frequenti ma sempre di una certa magnitudo (2002). Scopo di questa parte dello studio è stato inoltre l analisi delle criticità all interno delle pertinenze fluviali, individuando i sottotratti e le aree maggiormente soggette a subire forti modificazioni durante gli eventi di piena. La definizione di queste aree si è basata oltre che sull analisi della dinamica storica anche sulle possibili alterazioni antropiche sviluppatesi a seguito della costruzione di opere protettive. Successivamente partendo dal concetto di Fascia di Mobilità Funzionale si è provveduto alla definizione di una nuova metodologia per la definizione di Fasce di Gestione Fluviale in grado di meglio adattarsi a sistemi fluviali con una dinamica morfologica profondamente influenzata da interventi antropici. La necessità di sviluppo di questa nuova metodologia è nata dal fatto che l entità delle modifiche morfologiche del sistema fluviale Piave è tale che applicare il concetto di Fascia di divagazione storica (la fascia del corridoio fluviale interessata dalla dinamica fluviale nel corso degli ultimi duecento anni) avrebbe portato a far coincidere questa fascia con l intero corridoio fluviale compreso all interno dei terrazzi di origine glaciale. Questo risultato avrebbe avuto una scarsa utilità ai fini sia gestionali che di predisposizione di progetti di riqualificazione fluviale. Lo sviluppo di questa nuova metodologia ha portato ha definire una serie di fasce chiamate Fasce di Gestione Fluviale che possono essere la base per la definizione di strategie gestionali della vegetazione che puntino a creare corridoi con grado di intervento antropico differenziato a seconda della vicinanza o meno all alveo attivo. Le Fasce di Gestione Fluviale ottenute dal punto di vista teorico nella realtà si possono tradurre in 6

7 fasce di territorio all interno delle quali il fiume è lasciato libero di assecondare le proprie tendenze evolutive ed in particolare la tendenza alla migrazione laterale senza intervenire con opere idrauliche di difesa dalle erosioni di sponda. Si è cercato infine di definire una serie di linee guida per lo sviluppo di piani di gestione fluviale in grado da un lato di produrre risultati duraturi nel tempo e dall altro di coniugare le esigenze di sicurezza idraulica del territorio con la tutela e la protezione degli ecosistemi fluviali così come imposto dalla normativa europea sulle acque 2000/60/CE. L analisi ha messo in luce le modificazioni sostanziali che sono avvenuto nell intervallo di tempo analizzato. I risultati indicano una forte tendenza alla riduzione dell alveo attivo a cui si accompagnano temporanee fasi di espansione conseguenti ad eventi di piena con tempi di ritorno superiori a anni. Tuttavia queste fasi di espansione non sono riuscite ad invertire il trend di riduzione dell alveo attivo verificatosi nel periodo analizzato. La configurazione morfologica è passata da tipologie predominanti a canali intrecciati (braided), ancora dominanti negli anni sessanta, a tipologie pseudomeandriformi (wandering) divenute dominanti a partire dagli anni novanta. La fase di espansione dell alveo attivo degli ultimi dieci anni sta portando ad un ritorno alla morfologia a canali intrecciati (braided) alla quale è associata una conseguente erosione delle superfici vegetate che nel tempo si sono sviluppate ai margini dell alveo attivo. Questa nuova fase di espansione sta facendo assumere alla vegetazione e al legname in alveo nel tratto di studio un importanza geomorfologica ed idraulica sempre maggiore La dinamica delle isole fluviali è risultata fortemente correlata al verificarsi di eventi di piena aventi tempi di ritorno superiori a anni, gli unici in grado di determinare una sostanziale riduzione delle superfici occupate dalle isole. 7

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9 ABSTRACT The present research aims to define the timing and the extent of the morphological changes occurred in a large gravel bed river, the Piave River in the Vallone Bellunese (Eastern Italian Alps) that was heavily impacted by human activities (training structures, hydropower schemes, and gravel mining) and to develop innovative strategies and tools for river management. The Piave River basin (drainage area 3899 km2) lies in the eastern Italian Alps, and the main channel flows south for 220 km from its headwaters (at ~2000 m asl near the Italy Austria border) to the outlet in the Adriatic Sea NE of Venice. The study rich is 13,5 km long and is located between Soverzene and Belluno in the intermediate course of river within the mountain district. The morphology of the river in the study reach is dominated by braided and wandering channel patterns, but narrower reaches display an alternate bars channel pattern. To achieve the aims of the research the analysis was divided into two phases, in the first phase we collected data about recent and historical morphological evolution (historical maps, aerial photos, topographic surveys and historical photos) and produced thematic maps, in the second phase we produced maps and guidelines useful for river and fluvial corridor management. In the first phase planform changes of river features and bed planform were analyzed on six aerial photos (1960, 1970, 1991, 2000, 2003 and 2006). Aerial photos of 2006, produced by flight specially commissioned by TESAF department, were rectified and coregistered to a common mapping base at 1:5000 by GIS software (Esri ArcGIS 9.1). Significant planform features were digitized on rectified photos in order to derive planform characteristics for each image. Aerial photos of six years analized allowed the identification of these classes: unvegetated active channel, islands with arboreal vegetation, islands with shrubby vegetation, arboreal marginal vegetation, shrubby marginal vegetation, and herbaceous marginal vegetation. Furthermore, three additional classes related to human use of the river corridor were adopted: urban areas, cultivated areas, and gravel mines. The aerial photos of 2006 were also used to distinguish morphological units of the active channel: main channel, secondary channel, lateral low bar, longitudinal low 9

10 bar, lateral high bar, longitudinal high bar, backwater channel, islands with arboreal vegetation and islands with shrubby vegetation, The objectives of this first phase are to quantify morphological changes in bed planform, to quantify the variation of vegetation cover, with particular emphasis on islands dynamics and to identify the driving factors of channel evolution and vegetation cover changes and thus to envisage the most likely future trends. In the second phase of analysis we produced maps and guidelines useful for river and fluvial corridor management. We analyzed the changes in bed planform due to the occurance of two flood events in 1966 and The flood event occurred in 1966, with an estimated peak discharge of ~ 3300 m3/s-1 and a RI = ~200 years, is the largest flood event of the twentieth century. The flood event occurred in 2002 with a RI = ~12 years is a more frequent flood event but that had a relevant impact on river morphology. Then we produced a series of maps, starting from the concepts of river corridor and streamway, wich aim to describe and quantify natural processes occurring within the fluvial corridor, such as bank erosion and wood input. The analysis of the historical maps and aerial photographs shows that substantial changes took place in the Piave River within the investigated time interval. The results indicates a marked tendency to the reduction in the active channel, but associated to the main flood events (RI > about yr) an increase in the active corridor extensions is apparent. As to the morphological pattern of the entire study reach, this shifted from braided (still dominant until the 1960s) to single thread/wandering in the 1990s. The expansion phase of the last decade is associated with a general recovery of at least a wandering style, with occasional braiding morphology. Reduction of active channel has led a subsequent expansion of the portion of river corridor covered by vegetation. Similarly, the increase in active channel area that took place between 1991 and 2003 occurred mostly at the expense of vegetated areas located at the channel margins. The island dynamics were found to be strictly associated to the occurrence of major floods (RI >10 15 years), which are the only ones able to determine substantial island erosion. 10

11 INDICE 1. INTRODUZIONE La morfologia fluviale Tipologie fluviali Principali forme fluviali analizzate in morfologia fluviale Applicazione dell analisi morfologica alla gestione fluviale Relazione tra vegetazione perifluviale e morfologia fluviale L impatto antropico nelle vegetazione perifluviale Successioni vegetazionali dell ecosistema ripariale OBBIETTIVI AREA DI STUDIO E METODOLOGIE D ANALISI UTILIZZATE Inquadramento generale bacino del fiume Piave Inquadramento climatico e idrologico Inquadramento geomorfologico Inquadramento storico-evolutivo Inquadramento tratto di studio Metodologie d analisi utilizzate Fotointerpretazione ed elaborazione cartografica Definizione dei sottotratti d analisi Analisi morfologica di dettaglio Analisi della variazione del numero di canali principali e secondari RISULTATI Evoluzione morfologica recente Sottotratto 1 (Soverzene-Prà D Anta) Sottotratto 2 (Prà D Anta-Ponte nelle Alpi) Sottotratto 3 (Ponte nelle Alpi-Sagrogna) Sottotratto 4 (Sagrogna-Belluno) 92 11

12 4.1.5 Sottotratto 5 (Belluno) Morfologia d alveo attuale Sottotratto 1 (Soverzene-Prà D Anta) Sottotratto 2 (Prà D Anta-Ponte nelle Alpi) Sottotratto 3 (Ponte nelle Alpi-Sagrogna) Sottotratto 4 (Sagrogna-Belluno) Sottotratto 5 (Belluno) Analisi delle principali opere idrauliche presenti nel tratto di studio Studio dell evoluzione dei canali Variazione temporale della larghezza cumulata dei canali Variazione temporale del numero di canali Studio dei processi fluviali e delle loro conseguenze nell ambito della fascia di pertinenza fluviale occorsi durante gli eventi di piena del novembre 1966 e del novembre Studio dei processi fluviali e delle loro conseguenze nell ambito della fascia di pertinenza fluviale occorsi durante l evento eccezionale del novembre L evento di piena del Variazioni morfologiche a scala di tratto Variazioni morfologiche a scala di sottotratto Studio dei processi fluviali e delle loro conseguenze nell ambito della fascia di pertinenza fluviale occorsi durante l evento di piena del novembre L evento di piena del Variazioni morfologiche a scala di tratto Variazioni morfologiche a scala di sottotratto Riassunto trend evolutivi a scala di tratto e sottotratto DINAMICA MORFOLOGICA FUTURA E GESTIONE FLUVIALE Processi fluviali in atto

13 5.2 Valutazione del grado di reversibilità delle modifiche indotte sulla morfologia dell alveo Sviluppo di cartografie di sintesi e strategie finalizzate alla gestione della risorsa idrica ed alla pianificazione delle zone perifluviali con particolare riferimento alla gestione della vegetazione in alveo Definizione delle strategie gestionali e dei possibili interventi di riqualificazione fluviale su base morfologica lungo il tratto analizzato Premessa Definizione delle Fasce di Gestione Fluviale partendo dal concetto di Fascia di Mobilità Funzionale Applicazione del concetto di Fasce di Gestione Fluviale alla riqualificazione fluviale CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA 207 ALLEGATI

14 INDICE DELLE FIGURE Figura Classificazione schematica delle principali morfologie fluviali e parametri che ne condizionano lo sviluppo (da Billi, 1994) 23 Figura 1.2 Tipico andamento wandering del Fiume Piave in prossimità di Belluno 26 Figura 1.3 Canale unico principale 30 Figura 1.4 Canale di morta 30 Figura 1.5 Barra alta colonizzata da Salix eleagnos 31 Figura 1.6 Barra bassa laterale 31 Figura 1.7 Isola fluviale pioniera sviluppatasi da polloni di pioppo (Populus nigra) e salice (Salix alba) 32 Figura 1.8 Piana inondabile 33 Figura 1.9 Terrazzi fluviali recenti generatisi a seguito di processi di incisione dell alveo 34 Figura 1.10 Principali forme fluviali presenti all interno della piana alluvionale 34 Figura Tipico andamento temporale della quota del fondo in risposta a disturbi antropici durante gli ultimi 100 anni circa osservato per il fiume Po e il fiume Arno (modificato da Rinaldi & Surian, 2005) 38 Figura Schema generale di classificazione di alvei fluviali in base al tipo di variazione morfologica (modificato da Surian & Rinaldi 2003) 39 Figura Successioni vegetazionali lungo la dimensione trasversale di un corso d acqua in funzione del regime delle portate (da Paiero 2005 modificato) 44 Figura 1.14 Colonizzazione a Salix Eleagnos nella zona marginale dell alveo attivo 45 Figura 115 Saliceto con Pinus sylvestris in prossimità dell alveo attivo caratterizzata da condizioni di elevata aridità e subtrato grossolano 46 Figura 1.16 Formazione mista a Salix spp., Alnus incana, Populus nigra e Pinus sylvestris 47 Figura 1.17 Alneta ad Alnus incana matura presente in un terrazzo fluviale di origine recente 49 Figura 3.1 Bacino idrografico fiume Piave (foto Autorità di Bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione) 53 Figura La valle del Piave da Sedico (BL) in direzione sudest verso S. Giustina (sullo sfondo), da notare la scarsa presenza di vegetazione arborea nella piana inondabile (Alessandro Seffer) 61 Figura Schema delle opere elettro-irrigue del fiume Piave (Da Surian, 1999 modificato) 65 Figura 3.4 Variazione dell estensione relativa dell alveo attivo, della vegetazione perifluviale e delle isole fluviali rispetto alla superficie del corridoio fluviale negli ultimi due secoli nel tratto del fiume Piave compreso tra Ponte nelle alpi e Busche (da Comiti et al. 2011) 68 Figura 3.5 Variazione del rapporto areale isole/alveo attivo negli ultimi due secoli nel tratto del fiume Piave compreso tra Ponte nelle alpi e Busche. Le frecce indicano gli eventi di piena più significativi del periodo considerato. (da Comiti et al. 2011) 69 Figura Delimitazione area di studio 71 14

15 Figura 3.7 Suddivisione sottotratti di studio 73 Figura Localizzazione sezioni di monitoraggio nel tratto Soverzene-Belluno 80 Figura 4.1 Delimitazione sottotratto 1 81 Figura 4.2 Cartografia storica (Von Zach) relativa al sottotratto 1 82 Figura 4.3 Evoluzione morfologica del sottotratto 1 nell intervallo Figura 4.4 Legenda cartografia Evoluzione morfologica del sottotratto 1 nell intervallo Figura 4.5 Variazione areale (Ettari) dell alveo attivo nel sottotratto 1 nell intervallo temporale Figura 4.6 Delimitazione sottotratto 2 86 Figura 4.7 Evoluzione morfologica del sottotratto 2 nell intervallo Figura 4.8 Legenda cartografia Evoluzione morfologica del sottotratto 1 nell intervallo Figura 4.9 Variazione areale (Ettari) dell alveo attivo nel sottotratto 2 nell intervallo temporale Figura 4.10 Delimitazione sottotratto 3 89 Figura 4.11 Evoluzione morfologica del sottotratto 3 nell intervallo Figura 4.12 Legenda cartografia Evoluzione morfologica del sottotratto 3 nell intervallo Figura 4.13 Variazione areale (Ettari) dell alveo attivo nel sottotratto 3 nell intervallo temporale Figura 4.14 Delimitazione sottotratto 4 92 Figura 4.15 Evoluzione morfologica del sottotratto 4 nell intervallo Figura 4.16 Legenda cartografia Evoluzione morfologica del sottotratto 4 nell intervallo Figura 4.17 Variazione areale (Ettari) dell alveo attivo nel sottotratto 4 nell intervallo temporale Figura 4.18 Delimitazione sottotratto 5 96 Figura 4.19 Evoluzione morfologica del sottotratto 5 nell intervallo Figura 4.20 Legenda cartografia Evoluzione morfologica del sottotratto 5 nell intervallo Figura 4.21 Variazione areale (Ettari) dell alveo attivo nel sottotratto 5 nell intervallo temporale Figura 4.22 L alveo del Piave in prossimità di Belluno a valle dell attuale ponte della Vittoria nel 700 (da: La Via del Fiume. Dalle Dolomiti a Venezia, 1993) 99 Figura 4.23 Estratto Carta Geomorfologica relativo al sottotratto Figura 4.24 Distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottotratto Figura 4.25 Estratto Carta Geomorfologica relativo al sottotratto Figura 4.26 Distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottotratto Figura 4.27 Estratto Carta Geomorfologica relativo al sottotratto

16 Figura 4.28 Distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottotratto Figura 4.29 Estratto Carta Geomorfologica relativo al sottotratto Figura 4.30 Distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottotratto Figura 4.31 Estratto Carta Geomorfologica relativo al sottotratto Figura 4.32 Vista del sottotratto 5 da monte verso valle durante la fase terminale di una piena. In questa zona sono presenti pennelli (nella foto in parte sommersi e coperti da vegetazione arbustiva) scogliere protettive (nella foto in parte visibile e in parte mascherata da vegetazione arbustiva) per la protezione della zona di Lambioi 107 Figura 4.33 Distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottotratto Figura 4.34 Localizzazione opere idrauliche 108 Figura Variazione larghezza media alveo attivo (canali e barre) delle sezioni relative al sottotratto 1 nell intervallo temporale Figura Variazione larghezza media alveo attivo (canali e barre) delle sezioni relative al sottotratto 2 nell intervallo temporale Figura Variazione larghezza media alveo attivo (canali e barre) delle sezioni relative al sottotratto 3 nell intervallo temporale Figura Variazione larghezza media alveo attivo (canali e barre) delle sezioni relative al sottotratto 4 nell intervallo temporale Figura Variazione larghezza media alveo attivo (canali e barre) delle sezioni relative al sottotratto 5 nell intervallo temporale Figura Variazione larghezza media canali delle sezioni relative al sottotratto 1 nell intervallo temporale Figura Variazione larghezza canali delle sezioni relative al sottotratto 2 nell intervallo temporale Figura Variazione larghezza canali delle sezioni relative al sottotratto 3 nell intervallo temporale Figura Variazione larghezza canali delle sezioni relative al sottotratto 4 nell intervallo temporale Figura Variazione larghezza canali delle sezioni relative al sottotratto 5 nell intervallo temporale Figura Accumulo di materiale legnoso formatosi in seguito alla piena del 4 Novembre 1966 a Caprile 119 Figura 4.46 Serie storica delle portate massime annuali alla sezione di Busche nell intervallo Figura Variazione areale alveo attivo (canali e barre ) isole fluviali escluse pre e post Figura Variazione areale alveo attivo (canali e barre) isole fluviali comprese pre e post Figura Variazione areale isole pioniere pre e post Figura Variazione areale isole arboree pre e post

17 Figura 4.51 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto Figura 4.52 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.53 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto Figura 4.54 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.55 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto Figura 4.56 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.57 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto Figura 4.58 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.59 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.60 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto Figura 4.61 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.62 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto Figura 4.63 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.64 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.65 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto Figura 4.66 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.67 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto Figura 4.68 Foto aeree del sottotratto 4 del In destra idrografica è visibile il pennello protettivo 137 Figura 4.69 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.70 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.71 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto Figura 4.72 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.73 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto Figura 4.74 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 66 relativo al sottotratto

18 Figura 4.75 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 66 relativo al sottotratto Figura 4.76 Fenomeni di erosioni spondali ai danni di terrazzi fluviali di origine recente 143 Figura Variazione areale alveo attivo (canali e barre ) isole fluviali escluse pre e post 2002 a scala di tratto 144 Figura Variazione areale alveo attivo (canali e barre) isole fluviali comprese pre e post 2002 a scala di tratto 144 Figura Variazione areale isole pioniere pre e post 2002 a scala di tratto 145 Figura Variazione areale isole arboree pre e post 2002 a scala di tratto 145 Figura 4.81 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto Figura 4.82 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 2002 relativo al sottotratto Figura 4.83 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto Figura 4.84 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 2002 relativo al sottotratto Figura 4.85 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 2002 relativo al sottotratto Figura 4.86 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto Figura 4.87 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 2002 relativo al sottotratto Figura 4.88 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto Figura 4.89 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 2002 relativo al sottotratto Figura 4.90 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 2002 relativo al sottotratto Figura 4.91 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto Figura 4.92 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 2002 relativo al sottotratto Figura 4.93 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto Figura 4.94 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 2002 relativo al sottotratto Figura 4.95 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 2002 relativo al sottotratto Figura 4.96 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto Figura 4.97 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 2002 relativo al sottotratto Figura 4.98 Esempio di erosione localizzata al termine di una scogliera di protezione nella parte centrale del sottotratto

19 Figura 4.99 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto Figura Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 2002 relativo al sottotratto Figura Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 2002 relativo al sottotratto Figura Confronto alveo attivo relativo al sottotratto Figura Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 2002 relativo al sottotratto Figura Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto Figura Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 2002 relativo al sottotratto Figura Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 2002 relativo al sottotratto Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo dell intero tratto di studio 164 Figura Variazione del rapporto area isole/area alveo attivo nell intervallo dell intero tratto di studio 165 Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo del sottotratto Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo del sottotratto Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo del sottotratto Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo del sottotratto Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo del sottotratto Figura 5.1 Carta delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto Figura 5.2 Distribuzione percentuale delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto Figura 5.3 Evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni del sottotratto Figura 5.4 Carta delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto Figura 5.5 Distribuzione percentuale delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto Figura 5.6 Evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni del sottotratto

20 Figura 5.7 Carta delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto Figura 5.8 Distribuzione percentuale delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto Figura 5.9 Evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni del sottotratto Figura 5.10 Carta delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto Figura 5.11 Esempi di processi di arretramento spondale nel sottotratto 4 durante un evento di bankfull Figura 5.12 Distribuzione percentuale delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto Figura 5.13 Evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni del sottotratto Figura 5.14 Carta delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto Figura 5.15 Distribuzione percentuale delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto Figura 5.16 Evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni del sottotratto Figura 5.17 Rappresentazione schematica delle tendenze evolutive del fiume Piave nel tratto analizzato 189 Figura 5.18 Riqualificazione di un alveo inciso attraverso la ricreazione di una fascia di piana inondabile ( streamway ) ad un livello inferiore rispetto al terrazzo (da Shields et al., 1999). 193 Figura 5.19 Schematizzazione delle Fasce di Gestione Fluviale ottenute dalla rielaborazione della metodologia della Fascia di Mobilità Funzionale 195 Figura 5.20 Possibili futuri scenari evolutivi a seconda delle possibili strategie di gestione dei sedimenti (da Surian et al., 2009). La traiettoria A è relativa al tratto del fiume Piave all interno del Vallone Bellunese 201 Figura 5.21 Schematizzazione dei possibili trend evolutivi futuri partendo dall attuale dinamica morfologica

21 INDICE DELLE TABELLE Tabella Sintesi del materiale fotografico utilizzato per la creazione delle carte d uso del suolo. 75 Tabella Sintesi del materiale fotografico utilizzato per la datazione delle opere idrauliche 78 Tabella Dati opere idrauliche presenti nel tratto Soverzene-Belluno 109 Tabella 4.2 Variazione numero di canali all interno delle sezioni di monitoraggio del sottotratto Tabella 4.3 Variazione numero di canali all interno delle sezioni di monitoraggio del sottotratto Tabella 4.4 Variazione numero di canali all interno delle sezioni di monitoraggio del sottotratto Tabella 4.5 Variazione numero di canali all interno delle sezioni di monitoraggio del sottotratto Tabella 4.6 Variazione numero di canali all interno delle sezioni di monitoraggio del sottotratto Tabella 5.1 Calcolo tasso di erosione scarpate fluviali

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23 1. INTRODUZIONE 1.1 La morfologia fluviale Scopo fondamentale della morfologia fluviale è lo studio e l interpretazione delle forme fluviali e dei processi alla base della loro definizione. Church (1992) distingue i fattori che regolano i processi fisici e morfologici nei corsi d acqua in primari e secondari. I primari sono: i volumi e la distribuzione spaziale delle portate; i volumi e la tipologia dei sedimenti trasportati dalla corrente, il tipo di substrato che costituisce il letto del canale e la geologia del bacino idrografico. Ai fattori secondari appartengono: la vegetazione ripariale, le condizioni climatiche locali e l uso del suolo del bacino. Le caratteristiche di questi fattori portano a configurazioni morfologiche molto diverse. Figura Classificazione schematica delle principali morfologie fluviali e parametri che ne condizionano lo sviluppo (da Billi, 1994). Le configurazioni morfologiche vengono generalmente suddivise nelle seguenti tipologie fluviali: rettilinee, a canali intrecciati, pseudomeandriformi, meandriformi e 23

24 anastomizzati. Billi (1994), ha proposto una suddivisione delle varie morfologie fluviali che punta ad individuare le tendenze evolutive intrinseche del corpo fluviale (Figura 1.1) Tipologie fluviali Tipologie fluviali a canali rettilinei I canali rettilinei sono piuttosto rari in natura in quanto, anche se il canale mostra un andamento rettilineo, in realtà il filone principale della corrente segue un percorso sinuoso secondario, probabilmente perché rappresenta una condizione potenzialmente più stabile ed in equilibrio con l ambiente fisico in cui si manifesta. Il tracciato, in genere, si snoda tra affioramenti di roccia e barre laterali aderenti in modo alterno ad una delle sponde e collegate tra loro da raschi (riffle). Le barre laterali presentano generalmente una larghezza massima dello stesso ordine di grandezza della larghezza del canale, mentre la lunghezza è più variabile essendo comunemente compresa tra 2 e 6 volte la larghezza (Billi, 1994). Sulle barre, di solito, si realizza una selezione dei sedimenti con il materiale più grossolano localizzato sulla testa della barra, mentre quello di minor pezzatura si deposita sulla coda. Generalmente i canali rettilinei sono limitati a brevi tratti montani, di lunghezza generalmente inferiore a 10 volte la larghezza del canale, caratterizzati da elevato grado di incassamento e substrati scarsamente modificabili dall azione modellatrice della corrente. L evoluzione di questa morfologia d alveo, funzione delle caratteristiche del substrato e della pendenza, risulta in generale piuttosto limitata, sia per la diffusa presenza di letti rocciosi, sia per le condizioni di pendenza elevata che non facilitano, nel lungo periodo, l instaurarsi di fenomeni di sedimentazione. Durante gli eventi di piena infatti si verifica un elevata mobilità dell alveo che porta alla completa distruzione e successiva ricostruzione delle barre laterali. Eventi di piena minore possono portare ad una parziale modifica delle strutture presenti con fenomeni di migrazione delle barre, con fenomeni di erosione nelle parti di testa e accumulo nelle parti terminali; questi fenomeni portano ad una elevata selezione granulometrica dei sedimenti delle barre. Tipologie fluviali a canali intrecciati o braided Gli alvei a canali intrecciati o braided sono frequenti in molti ambienti diversi: 24

25 nelle aree periglaciali si formano nelle ampie pianure alluvionali ghiaiose, nelle zone aride e semi-aride sono associati ad alvei sabbiosi, nei climi temperati sono caratterizzati da pianure alluvionali ghiaiose con alte pendenze di fondo. La loro formazione è favorita da condizioni di alta energia con forti pendenze del fondovalle, portate ampie e variabili, grande alimentazione e disponibilità di sedimenti, prevalenza di trasporto al fondo e sponde non coesive. In genere hanno un rapporto larghezza profondità superiore a 40 ed una pendenza inferiore al 4%. In sezione trasversale i canali sono molto larghi e poco profondi con circolazione idrica che favorisce la formazione delle barre. La bassa profondità dei canali e il loro ripetuto intreccio rendono problematica l individuazione di un alveo principale. In condizioni di magra si possono identificare due o più canali, che si intrecciano ripetutamente, separati da barre longitudinali o da isole fluviali a forma di losanga. L intreccio dei canali si estende su un ampia porzione di territorio, occupando l intera piana inondabile (floodplain) delimitata in genere da terrazzi ben incisi e da depositi più antichi, individuando così un alveo che si snoda con bassi indici di sinuosità tipicamente caratterizzato da canali poco incavati. Questa tipologia fluviale è caratterizzata da una notevole differenza tra alveo di magra ed alveo di piena ordinaria. In concomitanza delle portate di magra si mantiene una configurazione a canali intrecciati mentre, con portate più elevate, spesso il deflusso interessa l intero alveo. L evoluzione di questa morfologia d alveo è legata ai frequenti spostamenti dei canali a seguito degli eventi di piena, che possono essere abbandonati per periodi più o meno lunghi e successivamente riattivati al verificarsi di nuovi eventi di piena. Ai repentini spostamenti dei canali è legata anche la dinamica delle barre caratterizzate da frequenti spostamenti imputabili sia a fenomeni di distruzione e rigenerazione sia di migrazione. La loro mobilità, influenzata dalla posizione occupata in alveo, è funzione dell entità dell evento di piena. Tipologie fluviali pseudomeandriformi o wandering Gli alvei pseudomeandriformi o wandering (canale a bassa sinuosità, in contrapposizione a quelli meandriformi che hanno invece sinuosità medio-alta) sono generalmente evoluzioni di alvei pluricursali alterate dagli interventi antropici di derivazione delle acque e di estrazione di sedimenti che hanno causato via via un approfondimento del fiume che è passato, perciò, da una forma pluricursale ad una 25

26 unicursale, a seguito di una progressiva perdita dei canali. Per questo motivo sono considerati una configurazione instabile intermedia tra i fiumi braided e quelli meandriformi. Sono tipicamente costituiti da un unico canale attivo che si snoda tra barre laterali alternate, a forma di semi losanga più o meno allungata (Figura 1.2). Spesso è presente un secondo canale, generalmente aderente ad una delle due sponde, che può essere più o meno attivo e alimentato solo in caso di piena, venire abbandonato nelle piene successive (canali di morta-aree riparali) oppure può allargarsi fino a divenire il canale principale. Nel caso in cui il secondo canale sia attivo viene definito canale di taglio, in quanto si origina al verificarsi di eventi di piena per l attivazione di un canale secondario che taglia longitudinalmente le radici della barra. Carattere distintivo rispetto ai fiumi meandriformi, ai quali somigliano, è il modo di migrazione delle barre, le quali migrano longitudinalmente differenziandosi dalle barre di meandro, che migrano trasversalmente rispetto alla direzione principale del flusso. Studi effettuati lungo fiumi appenninici indicano velocità medie di migrazione delle barre dell ordine di metri all anno con punte di (Billi, 1994). Figura 1.2 Tipico andamento wandering del Fiume Piave in prossimità di Belluno 26

27 Gli alvei wandering possono temporaneamente trasformarsi in rettilinei anche con piene non eccessivamente consistenti, purché la profondità dell acqua sia tale da ricoprire almeno in parte le barre. Si è detto che l unico canale presenta una bassa sinuosità, in genere inferiore ad 1,5. Tipologie fluviali meandriformi I canali meandriformi predominano generalmente nelle parti basse delle pianure alluvionali e nelle piane costiere e deltizie (ma possono formarsi anche nelle pianure intramontane). La loro sinuosità tendenzialmente è superiore ad 1,5, la pendenza è molto bassa e comunque inferiore al 2%. Il modello è caratterizzato da un canale fluviale singolo, ben più profondo di quelli braided e intagliato in sedimenti più fini, tipicamente ghiaiosi. L acqua riempie la parte più bassa del canale anche in regime di magra. Il canale meandriforme è fiancheggiato da sponde naturali e barre di meandro e migra, sia verso valle sia lateralmente, entro una zona (fascia o corridoio dei meandri) larga in genere volte il canale. Le caratteristiche più salienti dei fiumi meandriformi sono la costanza dell andamento planimetrico al variare della portata (solo con portate straordinarie vengono occupate le zone golenali della pianura alluvionale situate a quote sensibilmente più elevate rispetto al talveg) e l elevata mobilità del canale che si realizza attraverso la migrazione ed il taglio dei meandri. La migrazione del meandro avviene attraverso l erosione della riva concava e, di pari passo, la deposizione su quella convessa. L erosione è massima subito dopo la fase culminante di piena e opera come sottoescavazione o escavazione al piede della riva concava, con crollo in massa; il materiale eroso non viene deposto sulla sponda convessa della stessa ansa, ma di quella successiva. I meccanismi di formazione dei canali meandriformi non sono ancora del tutto chiari. Teoricamente qualsiasi perturbazione ambientale in un canale rettilineo potrebbe dare origine a cambiamenti morfologici tali da indurlo a trasformarsi in meandriformi. 27

28 Tipologie fluviali anastomizzate Sono caratterizzate da due o più canali relativamente stabili che, singolarmente, presentano una sinuosità variabile. In genere i canali, separati da porzioni della piana alluvionale, si presentano stretti e profondi ed il loro complesso occupa un area piuttosto espansa e ben vegetata. Le portate di piena ordinarie restano contenute all interno del reticolo idrografico mentre, per eventi di piena eccezionale, possono interessare l intero alveo fluviale. L evoluzione di queste tipologie è legata al verificarsi di eventi di piena eccezionali, mentre, per eventi di piena ordinaria, si assiste generalmente a fenomeni localizzati di rimodellamento spondale Principali forme fluviali analizzate in morfologia fluviale Lenzi (1998) ha individuato i parametri più significativi utilizzati dai diversi Autori per la classificazione dei sistemi fluviali: 1) planimetria: fornisce una descrizione di massima su come il corso d acqua defluisce all interno del proprio bacino ed evidenzia, in particolare, l andamento unicursale o pluricursale, la relativa sinuosità, la presenza di meandri, di isole e di barre laterali, trasversali o mediane; 2) sinuosità: è un parametro proposto da Leopold et al. (1964) ed è definito come il rapporto tra la lunghezza del corso d acqua e la lunghezza dell asse della valle; esprime correttamente la continuità di variazione morfologica, ma da solo non è sufficiente a distinguere le varie configurazioni d alveo con la stessa sinuosità, ma che si presentano assai diverse per quanto riguarda la dinamica del canale ed i caratteri morfologico - sedimentari; 3) pendenza: facilmente individuabile,è uno dei maggiori elementi nella determinazione delle caratteristiche idrauliche, morfologiche e biologiche di un corso d acqua; 4) profilo longitudinale: è usato come supporto per la suddivisione dei fiumi in categorie collegate alla pendenza, che riflettono la tipologia morfologica; 5) sezione trasversale: rappresentata dalla forma della sezione, fornisce indicazioni 28

29 sul modo in cui un canale è inciso in una valle; 6) granulometria: è definita dal valore assunto da determinati diametri caratteristici deducibili, una volta costruita la curva granulometrica cumulata. La valutazione della composizione granulometrica del materiale d alveo dei corsi d acqua è di notevole importanza sia nelle indagini aventi per oggetto il trasporto solido, la resistenza al moto o l erosione, l ambiente acquatico e la valutazione delle modificazioni della forma e del profilo dei fiumi; 7) intrecciamento: esprime il numero di barre o di isole presenti in un dato tratto. Generalmente è espresso dal rapporto tra la larghezza del collettore in condizioni di piena, quando le forme di fondo sono completamente sommerse e la larghezza dello stesso, in condizioni di flusso normali; 8) incassamento: definito anche come confinamento verticale del fiume è pari al rapporto tra la larghezza dell area di esondazione, relativa a portate con tempo di ritorno di circa 50 anni o inferiore e la larghezza relativa alla portata a pieni bordi (bankfull discharge); 9) rapporto larghezza/profondità (B/H): calcolato sulla base della larghezza del corso con una portata pari a quella a pieni bordi ed alla relativa profondità media, descrive le dimensioni ed il fattore di forma dell idrosistema; 10) trasporto solido totale: è la quantità di materiale trasportato dal fiume sia al fondo (rotolamento, trascinamento e saltellamento) che in sospensione per effetto della turbolenza; I parametri più significativi ed importanti per la definizione delle diverse tipologie fluviali si ricavano dallo studio della planimetria del corso d acqua e dall individuazione delle principali forme fluviali che la caratterizzano. Le principali forme fluviali che compongono e caratterizzano la planimetria di un corso d acqua sono: Canale. E la porzione topograficamente più bassa dell alveo. Può essere presente un canale singolo (in morfologie sinuoso meandriformi) o più canali (morfologie a canali intrecciati). In quasi la totalità del tratto d analisi è presente un canale unico principale ad andamento sinuoso (Figura 1.3). 29

30 Figura 1.3 Canale unico principale Figura 1.4 Canale di morta Nelle aree caratterizzate da elevate larghezze della fascia di pertinenza sono spesso presenti canali di morta che tendono a riattivarsi durante gli eventi di piena principali (Figura 1.4). Barre attive. Depositi fluviali che rappresentano le superfici topograficamente più basse della porzione emersa, leggermente al di sopra del canale, caratterizzate da un substrato di tipo ciottoloso-ghiaioso. La somma delle superfici occupate da canale/i e barre attive e generalmente denominata alveo attivo. In genere le barre attive vengono inondate (parzialmente o totalmente) durante gli eventi di piena. Le barre possono essere classificate in base a caratteristiche di tipo altimetrico e planimetrico. Relativamente a caratteristiche di tipo altimetrico si distinguono le barre basse e le barre alte. Le prime sono facilmente soggette a fenomeni di sommersione che possono determinare fenomeni di erosione e/o sedimentazione, le seconde invece, relativamente più stabili, sono raggiunte dall acqua soltanto in concomitanza di eventi di piena con tempo di ritorno apprezzabile (Figura 1.5). Questo differente comportamento al verificarsi di eventi di piena determina notevoli differenze sia relativamente alla granulometria sia rispetto alla presenza di vegetazione; in particolare materiale più grossolano e scarsa o nulla vegetazione, in quelle basse e, viceversa, materiale di diametro più contenuto e vegetazione diffusa in quelle alte. La colonizzazione di vegetazione pioniera sulle barre aventi quote più elevate, aumentando la 30

31 scabrezza, favorisce l instaurarsi di fenomeni di sedimentazione di materiale fine, contribuendo all ulteriore stabilizzazione della barra stessa. Figura 1.5 Barra alta colonizzata da Salix eleagnos Figura 1.6 Barra bassa laterale Relativamente a caratteristiche di tipo planimetrico si distinguono barre laterali e longitudinali. Nel tratto di studio le barre più frequenti sono le barre laterali (Figura 1.6), caratteristiche di alvei a bassa sinuosità, dove tendono ad alternarsi in sponda destra e sinistra mentre le barre longitudinali sono presenti nelle aree in cui è presente la morfologia a canali intrecciati ed in generale in cui è maggiore la capacità di divagazione del fiume. Isole fluviali. barre longitudinali più elevate e stabili colonizzate da vegetazione arbustiva e arborea. In questo studio si distinguono due tipi di isole fluviali, quelle caratterizzate da vegetazione arborea e quelle caratterizzate da vegetazione pioniera. Relativamente ai principi di formazione le isole fluviali possono svilupparsi fondamentalmente in due modi: per neoformazione (isole pioniere) (Figura 1.7) o a seguito di fenomeni di migrazione dell alveo attivo (superfici boscate più o meno mature precedentemente appartenenti alla piana inondabile o ad un terrazzo). 31

32 Figura 1.7 Isola fluviale pioniera sviluppatasi da polloni di pioppo (Populus nigra) e salice (Salix alba) Diversi studi si sono occupati del ruolo del materiale legnoso nello sviluppo delle isole pioniere (Edwards et al., 1999; Gurnell et al. 2001; Gurnell e Petts 2002; Gurnell et al. 2005). In particolare la dinamica evolutiva delle isole pioniere risulta fortemente influenzata dalle caratteristiche del detrito legnoso. Detrito legnoso vivo formato da latifoglie caratteristiche della zona ripariale capace di radicare e generare polloni (varie specie della famiglia delle Salicaceae) è in grado di dare origine isole pioniere possono evolvere, se le condizioni stazionali lo permettono (altimetria, posizione all interno dell alveo, altezza della falda), in vere e proprie isole fluviali. Anche il detrito legnoso morto o di specie non in grado di riprodursi per via vegetativa può avere un ruolo importante nella formazione di isole pioniere in quanto è in grado di creare una zona protetta, agendo da resource node, come viene definito da Pettit e Naiman (2005), permettendo l accumulo di sedimento fine e la trattenuta di nutrienti e materiale organico. Piana inondabile (floodplain). Superficie fluviale formata dal fiume grazie alle migrazioni laterali dell alveo nelle attuali condizioni di regime idrologico. Si differenzia dall alveo attivo (canale/i + barre attive in quanto generalmente caratterizzata da un substrato più fine (sabbioso-limoso), da vegetazione arbustiva e arborea più continua e matura (Figura 1.8). Al confine con le barre attive presenta solitamente una piccola scarpata che segna l inizio della piana inondabile. Secondo la letteratura, tale superficie viene inondata mediamente una volta ogni 1-3 anni. Il livello idrometrico in grado di raggiungere la pianura inondabile è definito come livello ad alveo pieno (bankfull stage), al 32

33 quale corrisponde la cosiddetta portata ad alveo pieno (bankfull discharge) (Leopold et al, 1964; Wolman e Miller, 1960), che è spesso considerata corrispondente alla portata formativa (o dominante) del fiume. La sua superficie non è necessariamente piatta, ma presenta spesso bassure, rilievi e zone umide; la piana inondabile, per i frequenti interscambi con le acque fluviali e gli habitat che ospita, ha un importanza ecologica molto rilevante. Figura 1.8 Piana inondabile Terrazzi fluviali. Si tratta di una piana inondabile inattiva, cioè non costruita dal fiume nelle sue attuali condizioni di regime, rimasta topograficamente più in alto (superfici sospese) della attuale piana inondabile a causa di un abbassamento dell alveo (Figura 1.9). L incisione dell alveo può avere tempi e cause molto differenti. Tra le cause naturali più frequenti possono essere ricordate i mutamenti del regime idrologico (tipici quelli successivi alle ultime glaciazioni). Molti terrazzi, tuttavia, sono di formazione molto recente, conseguente all incisione causata da azioni antropiche (escavazioni, dighe, sistemazioni idraulico-forestali). L origine dei terrazzi dà informazioni utili sul grado di dinamicità delle superfici, infatti i terrazzi di origine glaciale non possono essere più inondati nelle condizioni attuali, mentre i terrazzi di origine antropica possono essere inondati con tempi di ritorno diversi, in funzione del grado di incisione dell alveo, ma generalmente superiori ai tre anni. 33

34 Figura 1.9 Terrazzi fluviali recenti generatisi a seguito di processi di incisione dell alveo Piana alluvionale. Superficie che comprende tutta la valle costituita da depositi alluvionali e, perciò, anche gli eventuali terrazzi; è solitamente inondata, almeno in parte, dalle piene eccezionali. In figura 1.10 sono riportate le principali forme fluviali presenti all interno della piana alluvionale PIANA ALLUVIONALE TERRAZZO PIANA INONDABILE ALVEO ATTIVO PIANA INONDABILE TERRAZZO Figura 1.10 Principali forme fluviali presenti all interno della piana alluvionale 34

35 1.2 Applicazione dell analisi morfologica alla gestione fluviale Gli idrosistemi fluviali sono sistemi complessi, soggetti a continui cambiamenti con dinamiche spaziali e temporali, che spesso tendono a intrecciarsi, dando vita ad ambienti caratterizzati da straordinaria variabilità. Si possono così avere repentini stravolgimenti dell assetto morfologico, in risposta a piene di grandi dimensioni, come pure trend evolutivi molto lunghi e complessi aventi scale temporali differenti, a seconda delle cause che li hanno generati. Il comune denominatore di tutti i cambiamenti è il tempo E quindi molto importante porre in relazione le modificazioni delle forme fluviali a questa variabile. Un analisi della dinamica fluviale si può effettuare ad una scala temporale breve, media e lunga. La scala temporale a lungo termine comprende almeno gli ultimi 100 anni ed è tipicamente più estesa rispetto a quella normalmente utilizzata da chi studia e gestisce i fiumi. La necessità di ampliare l orizzonte temporale di analisi nasce dal fatto che molti dei processi che danno origine alle forme caratteristiche dell ambiente fluviale si sviluppano lentamente o stanno tuttora rispondendo ad eventi verificatisi nel passato. Molto spesso quindi l estensione dell analisi morfologica al passato, consente di poter meglio comprendere i processi fluviali in atto. L importanza dello studio della dinamica fluviale risiede nella forte interrelazione che da sempre si è creata tra gli idrosistemi fluviali e la vita dell uomo: sicurezza idraulica, tutela ambientale, approvvigionamenti idrici, impatto sulle infrastrutture viarie, produzione energetica, sono solo alcuni degli argomenti correlati con lo studio della dinamica fluviale. Oggi è sempre più forte l influenza antropica sulla dinamica fluviale in quanto sempre maggiore è la capacità dell uomo di modificare i fattori che regolano i processi fisici e morfologici nei corsi d acqua. Questa influenza si manifesta sia attraverso la modificazione dei fattori primari, alterazione dei volumi e della distribuzione spaziale e temporale delle portate solide e liquide a seguito di opere per lo sfruttamento delle risorse idriche e per la sicurezza idrogeologica sia attraverso la modificazione dei fattori secondari modificazioni dell uso del suolo a scala di bacino. Un analisi della dinamica fluviale di un corso d acqua si deve porre come obbiettivo anche la definizione e quantificazione degli impatti antropici nella naturale dinamica evolutiva al fine di definire le possibili strategie di mitigazione degli impatti. In quest ottica quindi si capisce come questo tipo di analisi sia fondamentale 35

36 per fornire un quadro conoscitivo non solo rispetto all evoluzione passata, ma anche a quella futura, fondamentale per poter definire e programmare politiche gestionali delle risorse idriche che sappiano coniugare naturalità dei fiumi e sicurezza dell uomo. L analisi della dinamica fluviale fornisce contributi importanti in progetti di intervento, gestione e pianificazione in ambito fluviale. In generale tutti gli interventi che comportano alterazioni al regime delle portate solide e liquide, alle strutture e dimensioni della piana alluvionale, alla capacità di divagazione del corso d acqua, al grado di erodibilità delle sponde e all uso del suolo, dovrebbero essere preceduti da studi che prevedano e quantifichino i possibili impatti sulla morfologia fluviale. Si possono riepilogare di seguito i principali problemi che trarrebbero benefici dall applicazione dell analisi fluviomorfologica (Sear et. al, 2003): 1) instabilità dell alveo, manutenzione del fiume, perdita/danni a terre o infrastrutture, variazioni di habitat, perdita o aumento di conduttività idraulica; 2) eccessivi livelli di sedimenti fini, spesso associati a sostanze inquinanti (fertilizzanti, diserbanti, ecc); 3) gestione delle erosioni di sponda; 4) gestione dei sedimenti; 5) progettazione di alvei naturali per la riqualificazione; 6) programmi di gestione e manutenzione dei fiumi per la protezione dalle piene. L applicazione di studi morfologici a programmi di gestione e manutenzione dei corsi d acqua ha portato a sostanziali miglioramenti del rapporto costi/benefici degli interventi in vari paesi europei. Sono numerosi gli studi che hanno esaminato gli effetti provocati da interventi antropici sulla morfologia e sulla dinamica dei corsi d acqua sia in contesti nazionali (Pellegrini et al., 1979; Dutto e Maraga, 1994; Billi e Rinaldi, 1997; Surian, 1999; Dalla Fontana et al, 2003; Rinaldi, 2003; Surian e Rinaldi, 2004; Surian et al., 2009a) che internazionali (Williams e Wolman, 1984; Bravard, 1989; Wyzga, 1993; Garcia-Ruiz et al., 1997; Kondolf, 1994, 1997; Brandt, 2000; Liébault and Piégay, 2002; Kondolf et al., 2007; Wyzga, 2008; Gurnell et al.,2009). Molti fiumi alpini hanno fatto registrare variazioni morfologiche significative negli ultimi decenni. Le principali modifiche hanno interessato caratteristiche di tipo geometrico, in particolare riduzioni di larghezza ed incisioni dell alveo, ma in molti casi si sono verificati cambiamenti anche della configurazione dell alveo con passaggi da morfologie di tipo braided (pluricursali) a morfologie di tipo wandering (pseudomeandriformi). Queste 36

37 modificazioni sono state causate principalmente da interventi di tipo antropico che hanno portato all alterazione dei processi fluviali in particolare per quanto riguarda i processi di trasporto dei sedimenti e al regime delle portate. Fra le numerose tipologie di interventi antropici verificatisi, i più importanti, per gli effetti apportati alla morfologia fluviale, sono la realizzazione di dighe, l escavazione di ghiaia in alveo, la canalizzazione e la riforestazione dei versanti. Gli interventi antropici possono essere distinti in interventi a scala di tratto ed interventi a scala di bacino. I primi hanno un influenza diretta sulla dinamica dell alveo, mentre i secondi hanno un influenza indiretta ed un orizzonte temporale di influenza generalmente molto più lungo Le modificazioni dell alveo hanno portato ad alterazioni di tipo idraulico, ecologico ed ambientale (Bravard et al., 1999), tanto che, in molti casi, la realizzazione di interventi di riassetto idrogeomorfologico e rinaturalizzazione dell alveo risultano necessari per cercare di mitigare le alterazioni verificatesi e ristabilire le funzioni dei sistemi fluviali. Numerosi lavori hanno esaminato gli effetti provocati da interventi antropici sulla morfologia e sulla dinamica dei corsi d acqua (Williams e Wolman, (1984); Dutto e Maraga, (1994); Kondolf, (1994, 1997); Billi e Rinaldi, (1997); Surian, (1999, 2006); Brandt, (2000); Dalla Fontana et al, (2003); Surian et al, (2009)). Alcuni studi relativi alle variazioni morfologiche ed all evoluzione dei sistemi fluviali sono stati prodotti in questi anni utilizzando una scala temporale a lungo termine (100 anni) (Rinaldi, 2003; Surian e Rinaldi, 2003, 2004; Surian, 2006; Rinaldi et al, 2006; Surian et al 2009)). Tali studi hanno prodotto risultati particolarmente significativi. In figura 1.11 (Rinaldi e Surian 2005) sono rappresentati i trend di variazione temporale della quota del fondo dell alveo dei fiumi Po e Arno. Surian e Rinaldi (2003) hanno realizzato uno schema concettuale generale di classificazione di alvei fluviali in base al tipo di variazione morfologica (Figura 1.12). Da studi più recenti (Dalla Fontana et al., 2003; Surian e Rinaldi, 2004; Rinaldi et al., 2005; Surian, 2005) sembra essere attualmente in atto un inversione di tendenza sia nelle variazioni di larghezza (passaggio da condizioni di restringimento a condizioni di allargamento), che in quelle del fondo (situazioni di sedimentazione). L importanza della comprensione delle tendenze evolutive attuali e delle loro cause risiede nel fatto che esse sono la base per poter formulare ipotesi sulle tendenze evolutive future ed in particolare 37

38 per stimare la distribuzione spaziale e l entità dei fenomeni di erosione e deposizione fluviale. INTERVENTI ANTROPICI Rimboschimenti, sistemazioni idraulico- forestali Escavazioni di inerti, dighe 6 5 Quote (m) Anni Figura Tipico andamento temporale della quota del fondo in risposta a disturbi antropici durante gli ultimi 100 anni circa osservato per il fiume Po e il fiume Arno (modificato da Rinaldi & Surian, 2005) La rinaturalizzazione dei fiumi con letto in ghiaia (gravel bed river) è un attività complessa che dovrebbe tener conto dello stato del fiume, in relazione alla dinamica morfologica, dell esistenza di valori ed emergenze ecologiche e della necessità di protezione delle realtà antropiche che si relazionano con il sistema fiume. La comprensione delle tendenze evolutive recenti risulta di fondamentale importanza nella scelta dei tipi di intervento da effettuare in progetti di rinaturalizzazione fluviale, perché da un lato permette di distinguere i tratti in cui questi interventi sono necessari e successivamente può aiutare a stimare l entità di questi interventi. Al fine di stabilire gli obbiettivi della rinaturalizzazione spesso risulta necessario stabilire le condizioni del sistema fluviale originarie, operazione che in fiumi presenti in aree fortemente antropizzate risulta particolarmente difficile e ricca di insidie. Più pragmaticamente ci si può limitare ad analizzare la tipologia delle modificazioni indotte nella morfologia fluviale al fine di sviluppare interventi gestionali in grado di limitare 38

39 l entità di queste modificazioni. Questo si traduce in generale in interventi che da un lato contrastino l abbassamento dell alveo attivo e dall altro favoriscano l espansione laterale dell alveo stesso. Essendo la morfologia fluviale frutto del rapporto tra meccanismi di erosione e di sedimentazione appare evidente come uno dei fattori fondamentali da considerare nella definizione sia la gestione dei sedimenti. CANALE SINGOLO TIPOLOGIA D ALVEO TRANSIZIONALI CANALI INTRECCIATI I N C I S I O N E O RESTRINGIMENTO CRESCENTE (rispetto alla morfologia iniziale) Figura Schema generale di classificazione di alvei fluviali in base al tipo di variazione morfologica (modificato da Surian & Rinaldi 2003) Secondo Downs e Gregory (2004) sono possibili varie scelte strategiche per la gestione e la riqualificazione, quali: 1) preservare i rimanenti tratti d alveo in condizioni relativamente naturali ed i processi che li rendono tali; 2) migliorare i tratti d alveo molto degradati, nonostante i costi ed il modesto potenziale di miglioramento. Gli autori pongono particolare attenzione sul fatto che ogni intervento di ripristino o di riqualificazione fluviale deve partire dalla conoscenza che esiste una precisa gerarchizzazione dei principi di gestione. La gerarchia riflette il fatto che una riqualificazione basata sui principi degli ordini inferiori (es. forme fluviali) è improbabile che sia sostenibile senza operare sugli ordini superiori (es. processi idraulici e regime idrologico). Sono dunque da preferire la 39

40 preservazione alla ricreazione dei processi naturali, il ripristino dei processi al ripristino delle forme, la ricreazione degli habitat alla reintroduzione di specie. Ad esempio, la ricreazione di una morfologia d alveo naturalizzata è improbabile che possa avere successo nel tempo se non si interviene anche su fattori come regime delle portate liquide e solide che generano i processi morfologici. Viceversa è da attendersi che una riqualificazione che parta dal ripristino dei processi geomorfologici conduca nel tempo ad un miglioramento duraturo degli habitat per la flora e la fauna del sistema fluviale. Purtroppo in molte situazioni il totale ripristino dei processi naturali non è possibile, per motivi di carattere economico, sociale e tecnico. Proprio queste situazioni dovranno essere oggetto di studio e sperimentazione in futuro. 40

41 1.3 Relazione tra vegetazione perifluviale e morfologia fluviale Con il termine vegetazione riparia o perifluviale si intende quella vegetazione che si instaura nelle porzioni di territorio marginali all alveo attivo. La presenza e soprattutto lo sviluppo nel tempo della vegetazione perifluviale è strettamente legata alla dinamica fluviale ed in particolare al ciclico andamento pulsante delle esondazioni (Flood pulse concept). Le piene hanno infatti un ruolo fondamentale nell evoluzione delle cenosi ripariali perché rappresentano un momento di scambio e correlazione tra il fiume e le aree sondabili marginali presenti all interno del corridoio fluviale, sia rispetto alle componenti abiotiche (acqua, sedimenti, nutrienti) sia rispetto alle componenti biotiche (organismi vegetali e animali). Le piene possono essere considerate elementi di disturbo che non consentono l insediamento di comunità stabili e l evolversi dell ecosistema verso lo stato di climax, esse infatti favoriscono il mantenimento di un sistema immaturo in continua evoluzione. Le fasce di pertinenza fluviale in quest ottica sono considerate parte integrante dell ecosistema fluviale e il loro studio riveste un importanza fondamentale per la comprensione dello stato di integrità del sistema fiume L impatto antropico nelle vegetazione perifluviale La presenza di vegetazione perifluviale, detta anche ripariale, e il conseguente apporto di materiale legnoso nei sistemi fluviali ha assunto nel tempo connotazioni positive o negative a seconda della prospettiva di analisi scelte. Se infatti da un lato il materiale legnoso ha una forte influenza positiva sulla geomorfologia del sistema fluviale, contribuendo al riequilibrio dei corsi d acqua in incisione, promuovendo l accumulo di sedimenti e inducendo una certa mobilità planimetrica (Montgomery et al., 2003) e sull ecologia, aumentando la diversificazione e la complessità degli habitat, dall altro può, in particolari situazioni, contribuire a far aumentare il rischio idraulico legato al verificarsi di eventi di piena estremi. In condizioni naturali la vegetazione ripariale costituisce un tipo di vegetazione azonale relativamente indipendente dall effetto altitudine. Vale a dire che le sue 41

42 componenti non sono selezionate tanto dal clima generale o locale quanto dal regime delle acque, che condiziona la genesi del suolo, la disponibilità idrica ed il rifornimento di sostanze nutritive (Paiero, 1991). In sistemi fluviali fortemente antropizzati invece la modificazione delle portate liquide e solide ha contribuito ad un forte sviluppo della vegetazione perifluviale legata al venir meno del ciclico susseguirsi di fasi di formazione e distruzione degli ambienti fluviali. Gli interventi antropici tendendo a mantenere i sistemi fluviali all interno di geometrie spaziali il più stabili possibili nello spazio e nel tempo, contribuiscono a sviluppare superfici che sebbene geograficamente prossime ai corsi d acqua risultano completamente slegate dalla dinamica fluviale. Può accadere quindi che queste aree siano rioccupate dal fiume solo in caso di eventi di piena estremi ed elevati tempi di ritorno. Vanno verso questa direzione tutti quegli interventi puntuali o realizzati a scala di bacino che limitando o riducendo la capacità erosiva dei fiumi mirano a ridurne la naturale mobilità. Se nel breve periodo questi interventi possono contribuire a risolvere problematiche legate al rischio idraulico, nel lungo periodo possono contribuire ad aumentare i danni conseguenti al verificarsi di eventi di piena estremi. In particolare quindi il recente sviluppo di vaste superfici forestali di neoformazione all interno dei corridoi fluviali se, da un lato, ha portato alla formazione di neo-ecosistemi di indubbio pregio, dall altro può contribuire ad acuire criticità idrauliche già esistenti. Infatti la presenza e, soprattutto, l accumulo di materiale legnoso può aumentare il rischio di occlusione di sezioni (ponti, infrastrutture), mentre la presenza della vegetazione perifluviale può influenzare il deflusso delle portate di piena aumentando la scabrezza del fondo e riducendo le sezioni di deflusso. La definizione di specifiche strategie di gestione delle cenosi ripariali e di conseguenza, del materiale legnoso, in grado di considerare i molteplici aspetti ad essi legati rappresenta un obbiettivo fondamentale per il prossimo futuro. Molto spesso infatti la tendenza rimane ancora quella di eliminare in maniera arbitraria le biocenosi forestali fluviali e il materiale legnoso in alveo ad esso associato nell ottica di ridurre la pericolosità idraulica. Questi tipi di interventi oltre a non considerare le altre funzioni positive associate alla presenza della vegetazione, spesso si risolvono in un insuccesso, a causa dell abbondante presenza di nutrienti, i quali favoriscono la rapida ricolonizzazione da parte di nuovi individui degli spazi lasciati liberi. 42

43 Il compito del pianificatore, quindi, è quello di proporre metodi di gestione della vegetazione fluviale alternativi, diversi dal disboscamento incontrollato e dall abbandono in grado di soddisfare i contrapposti problemi di carattere idraulico e naturalistico Successioni vegetazionali dell ecosistema ripariale La dimensione trasversale (da centro alveo verso le zone marginali del corridoio fluviale) è quella impiegata per l analisi della componente vegetale dell ecosistema ripariale. In quest ottica è possibile individuare una serie di successioni vegetazionali che nel loro complesso vanno a costituire le fasce riparie. Un primo approccio per comprendere l evoluzione spaziale della vegetazione d alveo è stato quello proposto da Mayer (1974) il quale, nel tentativo di tracciare una carta della vegetazione potenziale all interno del corridoio fluviale, individua, procedendo dall alveo verso il margine del corridoio fluviale, tre fasce di vegetazione: erbacea, legnosa a legno dolce e formazioni forestali a legno duro, tutte nettamente separate in base alla periodica escursione del livello del fiume. Da un punto di vista ecologico la fascia riparia è un ecotono e quindi una zona di transizione tra due sistemi ecologici adiacenti, avente un insieme di caratteristiche uniche, definite a seconda dello spazio, del tempo e dell intensità dell interazione tra essi. Questa definizione comprende due importanti concetti: l ecotono non è una fascia statica dove due comunità vengono a contatto, ma una zona dinamica che cambia nel tempo e che possiede caratteristiche proprie; l ecotono e le sue proprietà devono essere considerate una parte integrante del paesaggio. Un ecotono può avere dimensioni ampie come il confine tra due biomi continentali, o ridotte come la transizione tra due specifiche comunità biologiche, che nello specifico potrebbero essere un torrente e l adiacente area boschiva. Le zone di transizione sono caratterizzate da un elevata biodiversità e le caratteristiche ecotonali influenzano in maniera determinante la composizione e la dinamica delle comunità. L ecosistema terrestre e quello acquatico confinanti sono messi in comunicazione per mezzo dell acqua che veicola materia e soluti sia in superficie sia attraverso il substrato. In una prospettiva trasversale la vegetazione riparia si sviluppa secondo modalità precise che sono influenzate principalmente dal regime delle portate (Fig. 1.13) 43

44 TERRAZZO FLUVIALE PIANA ALLUVIONALE SPONDA FLUVIALE ALVEO ATTIVO TEMPO DI RITORNO 3-5 anni TEMPO DI RITORNO 1-3 anni BANKFULL INIZIO SPONDA CENOSI A ERBACEE PIONIERE DI GRETO CENOSI ARBUSTIVE CENOSI RIPARIE (SALICE) ARBUSTIVO/ARBOREE RIPARIE A LEGNI DOLCI (SALICI, ONTANI, CENOSI ARBOREE RIPARIE A LEGNI DURI (FRASSINI, CARPINI OLMI) MASSI, CIOTTOLI GHIAIE GHIAIE, SABBIE, LIMI SABBIE, LIMI Figura Successioni vegetazionali lungo la dimensione trasversale di un corso d acqua in funzione del regime delle portate (da Paiero 2005 modificato) Procedendo dall ambiente acquatico a quello terrestre, la prima fascia vegetata che si incontra è quella di greto, all interno dell alveo attivo, solitamente colonizzato da specie erbacee pioniere, spesso annuali, che costituiscono popolamenti e cenosi a erbacee pioniere di greto. In tale ambito possono insediarsi solo popolamenti paucispecifici di specie adattate a tollerare il frequente rimaneggiamento operato dalla corrente, che non consente la strutturazione di una vera e propria cenosi. È solo nella fascia perifluviale, a partire dal 44

45 limite esterno dell alveo attivo, che l azione del corso d acqua diviene più moderata permettendo così la costituzione di formazioni vegetali strutturate. Dal limite esterno dell alveo attivo, corrispondente con l inizio delle scarpate fluviali, si possono insediare formazioni arbustive riparie, prevalentemente a dominanza di salici e ontani. Nei fiumi alpini le formazioni maggiormente diffuse in questa zona sono i Saliceti a Salix Eleagnos (Fig. 1.14). Queste formazioni colonizzano le fasce marginali dell alveo attivo (scarpate fluviali) ma spesso si insediano anche nelle aree topograficamente più alte presenti all interno dell alveo (barre alte). Data la loro localizzazione queste formazioni spesso tendono ad essere distrutte o comunque influenzate dal verificarsi di eventi di piena di modeste dimensioni. Questa distruzione ciclica contribuisce a mantenere le formazioni esistenti ad uno stadio arbustivo e pioniero e nel contempo favorisce l insediamento e lo sviluppo di nuove formazioni grazie all elevata capacità vegetativa della specie. Accanto al Salix eleagnos si può trovare meno rappresentato il Salix Purpurea affiancato dal Populus nigra Figura 1.14 Colonizzazione a Salix Eleagnos nella zona marginale dell alveo attivo 45

46 Altre formazioni pioniere presenti in questa zona sono i saliceti con Pinus sylvestris (Fig. 1.15) e i saliceti con Buddleia davidii. I saliceti con Pinus sylvestris sono presenti nelle sponde fluviali ma in generale anche nelle aree marginali dell alveo attivo caratterizzate da condizioni di aridità. Queste formazioni hanno trovato condizioni favorevoli di sviluppo soprattutto nei contesti fluviali caratterizzati da elevata incisione, infatti a seguito dei fenomeni di incisione si è assistito ad un conseguente abbassamento dei livelli di falda che ha portato ad un elevato aumento delle superfici potenzialmente coperte da queste formazioni. All aumentare delle condizioni di aridità il Pinus sylvestris può diventare la specie principale. Figura 1.15 Saliceto con Pinus sylvestris in prossimità dell alveo attivo caratterizzata da condizioni di elevata aridità e subtrato grossolano I saliceti con con Buddleia davidii sono presenti nelle aree maggiormente rimaneggiate in prossimità dell alveo attivo. La Buddleia davidii è una specie esotica, di origine asiatica, ormai molto diffusa negli ambienti fluviali italiani in quanto caratterizzata da una elevata capacità colonizzatrice. 46

47 Nei tratti dove la morfologia lo permette (basso grado di confinamento e conseguente presenza di superfici laterali connesse con il sistema fluviale) procedendo verso l esterno si trova la presenza di una piana alluvionale più o meno sviluppata in cui si insediano formazioni ripariali arbustivo-arboree a legni dolci (pioppi, salici, ontani). In queste superfici sono molto diffuse formazioni miste a Salix spp., Alnus incana, Populus nigra e Pinus sylvestris. Le specie che compongono queste formazioni hanno una elevatà vocazione colonizzatrice e se le condizioni morfologiche e topografiche lo permettono tendono a formare stadi arbustivi sempre più evoluti (Fig. 1.16) Figura 1.16 Formazione mista a Salix spp., Alnus incana, Populus nigra e Pinus sylvestris Queste formazioni se non interessate dalla dinamica fluviale possono col tempo evolvere verso stadi più evoluti (salici-populeti). La composizione e la distribuzione delle specie evidenziano una elevata variabilità, spesso inoltre queste formazioni possono essere più o meno profondamente interessate dal verificarsi di eventi di piena che contribuiscono ad aumentare anche l irregolarità strutturale del popolamento. 47

48 Nelle zone marginali, corrispondenti ai terrazzi fluviali, laddove l influenza del corso d acqua è, in situazioni di magra e mordida, limitata alla presenza della falda, si insediano le formazioni arboree riparie più complesse con presenza anche di specie a legno duro (carpino, acero, frassino, olmo): le specie arboree che le costituiscono sono comunque in grado di tollerare, seppur in modo diverso, anossia radicale e periodi di sommersione. In queste aree le formazioni maggiormente diffuse sono: saliceti con Salix alba, alnete ad Alnus incana, formazioni a Salix spp., Alnus incana, Populus Nigra, alnete con Pinus sylvestris, alnete con Fraxinus excelsior. I saliceti a Salix alba sono delle formazioni che nel loro stato maturo presentano lo strato arboreo dominato dal salice. Questo tipo di formazione è tipico degli ambienti di greto con elevata igrofilia, per questo motivo nei fiumi fortemente antropizzati (modificazione del regime delle portate, abbassamento della falda) si assiste ad una riduzione delle superfici potenzialmente occupate da queste formazioni a discapito di formazioni xeriche. Sono comunque presenti realtà in cui le condizioni morfologiche, in particolare elevate larghezze del corridoio fluviale, presenza di canali secondari e zone di risorgiva consentono lo sviluppo e il mantenimento di questo tipo di formazioni. In generale la presenza di formazioni mature testimoniano elevata umidità edafica e un suolo ad elevato contenuto organico (presenza di limi e sabbie). Le alnete ad Alnus incana sono formazioni caratterizzate dalla presenza dell ontano con coperture pari al % ed una struttura monoplana che soprattutto negli stadi giovanili si presenta molto densa. Questa formazioni ha carattere pioniero, si sviluppa su suoli alluvionali a detrito grossolano, ma può evolvere verso formazioni appartenenti a successioni secondarie più mature e stabili (Fig. 1.17). In questi popolamenti si possono trovare a fianco dell ontano bianco altre latifoglie (salici, frassini, aceri, pioppi). La totale disattivazione di superfici fluviali un tempo interessate dall alveo attivo porta generalmente allo sviluppo, partendo da stadi pionieri, a formazioni mature a Salix spp., Alnus incana, Populus Nigra costituite da un piano dominante costituito dagli esemplari di Populus nigra ed un piano dominato costituito da un bosco misto di ontani, salici ed altre latifoglie (Robinia pseudoacacia). La presenza di specie nitrofile, in particolare la robinia, indicano un certo disturbo in parte legato alle dinamiche fluviali ma più spesso ad interventi di tipo antropico quali attività di taglio e di escavazione. 48

49 Figura 1.17 Alneta ad Alnus incana matura presente in un terrazzo fluviale di origine recente Le alnete con Pinus sylvestris rappresentano formazioni evolute costituite da una struttura irregolare ma fondamentalmente distinta in due piani, quello dominante composto da Picea abies e Pinus sylvestris e quello dominato composto da Acer pseudoplatanus, Alnus incana e Fraxinus excelsior. Nel piano arbustivo si mescolano con frequenza variabile molte altre specie tra cui Alnus incana, Salix eleagnos, Cornus sanguinea, Ligustrum vulgare, Corylus avellana, Ostrya carpinifolia. Questa formazione rappresenta uno stadio più evoluto rispetto ai salici-populeti e si differenzia dalle ontanete in quanto l Alnus incana in questa formazione non partecipa al piano dominante ed ha una copertura che del circa 30%. Generalmente queste formazioni sono presenti nelle aree più marginali dei corridoio fluviale, proprio per questo motivo possono raggiungere stadi evolutivi complessi. Quando i popolamenti ad Alnus incana si accompagnano a specie a legno duro, frassino maggiore in particolare, si è in presenza di alnete con Fraxinus excelsior. In queste formazioni il frassino può raggiungere il 10% della copertura nel piano dominante ma possono essere presenti anche pino silvestre e abete rosso. Queste formazioni sono 49

50 caratterizzate da strutture evolute ed anche in questo caso vanno ad occupare le aree meno attive del corridoio fluviale. Spesso, negli ambiti perifluviali, a causa dell uso antropico di porzioni di territorio anche molto prossime al fiume, si ha estrema banalizzazione della vegetazione riparia con forte riduzione in termini di complessità strutturale delle successioni riparie. Frequentemente si viene a determinare la totale assenza delle formazioni riparie o una forte semplificazione della loro strutturazione in cenosi a sviluppo parallelo lungo il corso d acqua. Nelle immediate vicinanze del corso d acqua possono quindi trovarsi formazioni non riparie, quali formazioni secondarie a dominanza di specie esotiche o persino coltivazioni. Così, spesso, le formazioni arboree riparie sono sostituite da robinieti, da arbusteti che presentano pesanti ingressioni di specie esotiche, da formazioni erbacee a dominanza di nitrofile. Frequentemente sono del tutto assenti le formazioni arboree riparie, poiché si localizzano in ambiti fluviali fisiologicamente poco rimaneggiati dal corso d acqua e, quindi, più interessanti dal punto di vista dell uso antropico. Le formazioni riparie che più spesso si rinvengono lungo i corsi d acqua italiani sono gli arbusteti: in larga misura ciò è dovuto non solo al forte carattere pioniero di queste formazioni, ma anche alla loro localizzazione in ambiti di scarso interesse dal punto di vista dello sfruttamento antropico (alveo di piena) perché rimaneggiati con relativa frequenza dal corso d acqua. Lungo i corsi d acqua, sino ai 1000 m di quota, è diffusa la presenza di specie esotiche che, avendo comportamento pioniero, tendono a colonizzare gli ambiti perifluviali, sino a costituire popolamenti spesso monospecifici che rendono problematica l evoluzione della vegetazione verso formazioni riparie. 50

51 2. OBBIETTIVI Obbiettivo fondamentale della ricerca è fornire le conoscenze necessarie per la definizione e la programmazione delle future politiche gestionali delle risorse idriche con particolare riferimento alla gestione della vegetazione in alveo e dei sedimenti all interno del corridoio fluviale del Fiume Piave. In particolare gli obbiettivi specifici dello studio possono essere così riassunti: Definizione di una base conoscitiva dell evoluzione storica e recente. Analisi dei processi geomerfologici finalizzata alla costituzione e l implementazione di un sistema informativo integrato di monitoraggio morfologico della fascia di pertinenza fluviale. Messa a punto di modelli e sistemi innovativi di gestione della fascia di pertinenza fluviale mirati al raggiungimento degli obbiettivi definiti dalla Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE ed alla creazione di uno strumento di supporto e di aiuto nell assunzione delle decisioni di governo delle risorse idriche in situazioni sia ordinarie che di emergenza. Per il raggiungimento di questi obbiettivi le attività della ricerca sono state così articolate: 1) Fase conoscitiva. Analisi dello stato attuale e dell evoluzione recente attraverso la raccolta dei dati e materiali disponibili (carte storiche, foto aeree, foto d epoca, rilievi topografici) e lo sviluppo di cartografie tematiche, la realizzazione di rilievi geomorfologici e topografici di campo. 2) Fase applicativa: Sviluppo di cartografie di sintesi e strategie finalizzate alla gestione della risorsa idrica ed alla pianificazione delle zone perifluviali con particolare riferimento alla gestione della vegetazione in alveo 51

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53 3. AREA DI STUDIO E METODOLOGIE D ANALISI UTILIZZATE 3.1 Inquadramento generale bacino del fiume Piave Il bacino del fiume Piave (Veneto, Italia) ha una superficie complessiva di circa 4500 km 2 e la sua asta principale ha una lunghezza di 220 km (Fig. 3.1). Le sorgenti del Piave sono poste alle pendici del monte Peralba (2639 metri) ad una quota di 2037 metri s.l.m (Provincia di Belluno), mentre lo sbocco al mare odierno avviene in prossimità di Cortellazzo (Provincia di Venezia). Figura 3.1 Bacino idrografico fiume Piave (foto Autorità di Bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione) 53

54 Il tratto iniziale del corso del Piave si presenta ad elevata pendenza, e scorre in una valle stretta e sinuosa. In questa zona gli affluenti sono modesti e scendono principalmente dai monti Chiadenins e Chiadin, monti che fanno da spartiacque con il bacino del Tagliamento. Da Cima Sappada fino alla confluenza con il Cordevole di Visdende in località Argentiera il Piave scorre in una valle a minor pendenza. A valle della confluenza piega bruscamente a sud-ovest ed attraversa un ampia valle toccando Presenaio. Giunge poi a S. Stefano di Cadore dove confluisce, sulla destra, il torrente Padola che drena gran parte del Comelico. Da S. Stefano di Cadore l alveo si restringe notevolmente delimitato dalle pendici del monte Tudaio e del monte Piedo. A valle di Cima Gogna riceve come tributario di destra il torrente Ansiei. Arrivato a Calalzo da origine, in seguito a sbarramento artificiale, al lago di Cadore. A valle della diga il Piave scorre incassato in una stretta valle fino a Perarolo di Cadore, ove riceve sulla destra il torrente Boite. A valle di Longarone vi è la confluenza con il torrente Maè, che esce da una profonda valle sulla destra idrografica. Il Piave prosegue quindi lungo una valle aperta divagando su un ampio letto ghiaioso fino a giungere a Ponte nelle Alpi, dove confluisce sulla sinistra il fiume Rai, emissario del lago di S. Croce. In prossimità di Ponte nelle Alpi il Piave percorre una stretta che lo porta all ingresso del Vallone Bellunese. Il Piave arriva poi in prossimità di Belluno dove riceve, quale affluente di destra il torrente Ardo. Dopo aver percorso la stretta in prossimità del Ponte della Vittoria il Piave procede in direzione sud-ovest, ricevendo quali tributari sulla sinistra i torrenti Cicogna, Limana, Ardo, mentre sulla destra riceve il rilevante contributo idrico del torrente Cordevole, il maggiore dei suoi affluenti. Dopo la confluenza con il Cordevole il Piave riceve, quali affluenti di sinistra il torrente Terche e Rimonta ed il torrente Veses sulla destra. A valle della traversa fluviale di Busche vi è la confluenza con il torrente Caorame e con il torrente Sonna. A Fener di Alano di Piave il fiume riceve, quale affluente di destra, il torrente Tegorzo e successivamente entra in Provincia di Treviso. In questa zona, per effetto delle massicce sottrazioni d acqua che avvengono a Fener ed a Nervesa ad opera rispettivamente del canale Brentelle e del canale della Vittoria, le portate di magra del Piave si riducono notevolmente determinando pertando, nel tratto successivo di Maserada, lunghi periodi di secca dell alveo. Successivamente il Piave riceve in sinistra idrografica l ultimo affluente, il Negrisa e 54

55 scorre canalizzato verso il mare all interno di territori afferenti a diversi consorzi di Bonifica Inquadramento climatico e idrologico Tutto il bacino del Piave appartiene alla zona di clima temperato-continentale umido che è comune anche a molte altre aree del versante meridionale delle Alpi. La piovosità sul bacino del Piave è assai variabile da luogo a luogo in funzione dell orografia, dell esposizione dei versanti e, in pianura, della distanza dai rilievi e dal mare. Nell intero bacino la piovosità media annua riferita ad un periodo di osservazione (60 anni) è di circa 1350 mm, dei quali, relativamente alle zone a minima piovosità, 1000 mm sono relativi alla parte nordoccidentale del bacino (sottobacino del torrente Cordevole, con un minimo sull alta valle del torrente Pettorina), mentre le zone a maggior piovosità sono quelle centrorientali del bacino, con valori che variano da 1500 a 1900 mm (Cansiglio, Alpago, alto bacino del Vajont) arrivando anche a zone con 2000 mm. Risulta così che il bacino ha una piovosità superiore alla media nazionale (quasi 1000 mm annui) mentre è in media con le regioni trivenete. Lo scostamento delle precipitazioni annue rispetto alla media può essere consistente. In alcuni anni la precipitazione può variare rispetto al valore medio anche di oltre il 30%, in più o in meno. Esempi significativi sono gli anni 1983, con 993 mm, e il 1960 con 1969 mm, valori che si sono differenziati rispetto alla media del 26% e del + 45%. L andamento delle precipitazioni sul bacino del Piave nell intervallo non presenta andamenti tendenziali; si osserva solo che il valore medio durante il primo trentennio (1318 mm) è stato leggermente inferiore a quello del trentennio successivo (1368 mm), indicando perciò una variazione non particolarmente rilevante di 50 mm. Dall esame delle stazioni pluviografiche poste nel bacino si nota che le stazioni poste nell area più settentrionale (Cortina e Santo Stefano) sono caratterizzate da un regime pluviometrico di tipo continentale, cioè con un unico pronunciato massimo di piovosità estiva ed un minimo invernale. In questo caso il mese di febbraio risulta il meno piovoso mentre il mese di luglio risulta il più piovoso dell anno. Invece le stazioni ubicate più a sud (Alleghe e Belluno) sono caratterizzate da un regime sublitoraneo alpino, con due periodi 55

56 di piovosità massima, ben marcati in primavera ed in autunno, e due periodi di precipitazione minima, in estate ed in inverno. In questo caso il mese di maggio risulta il più piovoso (circa 150 mm). I mesi autunnali sono i più ricchi di precipitazione che in genere in novembre raggiungono il massimo annuale. In riferimento al regime pluviometrico, il bacino del Piave può essere suddiviso in quattro zone climatiche: la fascia costiera e di bassa pianura, la fascia dell alta pianura e collinare, la fascia prealpina e quella alpina. La fascia alpina e quella prealpina sono le zone di maggior interesse perché ricoprono la maggior parte del bacino. La fascia prealpina comprende lo spartiacque tra le provincie di Belluno e Treviso, la parte settentrionale del Grappa e la valle del Piave fino a Belluno e all Alpago. Pur essendo la zona di massima piovosità del bacino presenta valori sensibilmente minori di apporto idrico rispetto alle zone prealpine dei bacini contermini più a est: la piovosità media annua è infatti compresa tra i 1400 e i 1600 mm, ed i valori massimi vengono raggiunti su aree limitate ai margini del bacino: la zona del Grappa e la zona di confine tra Bellunese e Pordenonese. Gli anni meno piovosi del trentennio si sono attestati su mm, gli anni più piovosi hanno misurato tra i 2000 e i 2200 mm. Il mese mediamente meno piovoso è febbraio, con mm circa, giungendo fino a 100 nella zona del Grappa; i mesi più piovosi di solito sono giugno e novembre con mm circa, seguiti a poca distanza da ottobre. Nel corso del trentennio , i mesi estivi meno piovosi hanno portato mm. La fascia alpina coincide di fatto con la parte settentrionale della provincia di Belluno. La precipitazione media annua diminuisce gradualmente spostandosi verso nordovest, e si mantiene relativamente elevata solo verso il confine con il Friuli. I valori medi annui di precipitazione vanno dai 1500 mm delle zone meridionali ai 1100 mm delle Dolomiti attorno a Cortina. Gli anni meno piovosi portano mm, quelli più piovosi mm. Il mese mediamente meno piovoso è febbraio, con mm, mentre quelli più piovosi sono anche qui giugno e novembre, con mm. I mesi estivi meno piovosi del trentennio hanno portato circa mm. 56

57 3.1.2 Inquadramento geomorfologico Il bacino del fiume Piave, relativamente alle caratteristiche geomorfologiche, viene diviso generalmente in due grandi zone, la parte montana e la parte di pianura. La parte montana si sviluppa dalle sorgenti a Nervesa, mentre la parte di pianura si sviluppa da Nervesa alla foce. La descrizione dei caratteri geomorfologici riguarderà particolarmente la parte montana del bacino in quanto in questa zona è collocata l area oggetto di questo studio. Il reticolo idrografico di questa zona è caratterizzata da un andamento planimetrico a forma dendritica, caratterizzato cioè da un insieme di corsi d acqua che confluiscono in tratti via via convergenti determinando così un andamento della rete di canali ad albero, sviluppata omogeneamente in ogni direzione. Analizzando il reticolo idrografico risulta evidente una forte asimmetria degli affluenti, rispetto all asse fluviale infatti il 75 % dell area montana del bacino è situata in destra e solo il 25 % in sinistra idrografica. Il profilo longitudinale del Piave nella parte montana è tipico dei corsi d acqua arrivati ad una certa maturità evolutiva, esso ha infatti un andamento piuttosto regolare con pendenze decrescenti da monte verso valle. La parte montana del bacino può essere a sua volta suddivisa in due zone, la prima si sviluppa dalle sorgenti all ingresso nel Vallone Bellunese presso Ponte nelle Alpi, mentre la seconda si sviluppa dallo sbocco del Piave nel Vallone Bellunese fino a Nervesa. La parte alta del bacino montano è caratterizzata dalla presenza del rilievo dolomitico mesozoico, costituito in prevalenza da rocce carbonatiche. In questa parte del bacino, soprattutto alle quote più elevate, si possono individuare le strutture tipiche della morfologia glaciale, sono riconoscibili infatti circhi glaciali e, soprattutto sugli altipiani, grandi conche di sovraescavazione. Si possono individuare inoltre le tipiche valli glaciali dal profilo a U, in particolare nei tratti superiori delle vallate, anche se il loro profilo è spesso profondamente influenzato dalla successiva azione erosiva dei torrenti di fondovalle. Nei tratti inferiori delle vallate, percorsi anch essi dai ghiacciai wurmiani, prevalgono ormai le strutture morfologiche di origine fluviale. In queste zone molto intensa è stata l azione erosiva che ha portato ad un profondo modellamento dei fondovalle. L elevata azione erosiva dei torrenti dolomitici è dovuta agli elevati dislivelli 57

58 esistenti tra i fondovalle ed i rilievi. Questi dislivelli sono il fattore scatenante anche di fenomeni di movimenti in massa, quali frane e colate detritiche. Allo sbocco del Piave nel Vallone Bellunese, presso Ponte nelle Alpi, ha origine la zona prealpina del bacino. In questa zona il Piave lascia la stretta valle che aveva percorso per entrare in un ampia conca aperta a sud-est verso la valle di Santa Croce e a sudovest verso la Val Belluna. Il cambiamento morfologico della valle è da mettere in relazione con le diverse caratteristiche litologiche e strutturali. La zona del Vallone Bellunese costituisce una zona di passaggio tra i rilievi alpini e quelli prealpini, si passa cioè dalle formazioni mesozoiche calcareo-dolomitiche, a formazioni arenaceo-marnose cretacee e terziarie. Le caratteristiche geomorfologiche dei rilievi prealpini sono strettamente legati alle caratteristiche strutturali. Il Vallone Bellunese, modellato sui fianchi della grande sinclinale di Belluno, costituisce un tipico esempio di come la struttura geologica può influire sulla geomorfologia del territorio. L aspetto attuale del paesaggio della Val Belluna, caratterizzato da forme varie ed ondulate, è il frutto dell azione di modellamento prima dei ghiacciai pleistocenici e successivamente dei processi fluviali e gravitativi. Ricerche specifiche (Pellegrini, 1994) dicono che le forme e i depositi glaciali presenti nella Val Belluna appartengono all ultima espansione wurmiana, che si verificò tra i e i anni fa. In corrispondenza di Ponte nelle Alpi il ghiacciaio del Piave si divideva in due rami: una proseguiva lungo il Vallone Bellunese mentre l altro, andando in direzione sudest, percorreva la valle Lapisina per arrestarsi in due fronti, uno presso Vittorio Veneto e l altro nella valle di Revine. I segni di questa intensa attività glaciale sono ancora riscontrabili nelle vallate interessate dal transito del ghiacciaio, in particolare sui fianchi della Val Belluna e della valle Lapisina si possono individuare lunghi argini di morene laterali, mentre nei fondovalle si notano grandi quantità di morene di fondo. Durante la fase di fusione dei ghiacciai dai versanti ancora spogli di vegetazione, soggetti all azione erosiva delle acque, si riversarono nel fondovalle ingenti quantità di materiale detritico attraverso processi di trasporto di massa e di grandi frane. Queste notevoli quantità di materiale sciolto arrivate nel fondovalle subirono l azione modellante e di trasporto dei corsi d acqua. Da molti studi condotti si ritiene che i fenomeni franosi di maggiori dimensioni si siano verificati dopo o in concomitanza con il ritiro del ghiacciaio 58

59 wurmiano; ancor oggi si possono individuare i segni di questi grandi fenomeni nel nostro territorio, si tratta per lo più di grandi frane inattive caratterizzate da estesi accumuli formati da grossi blocchi. Nel Vallone Bellunese le testimonianza più note sono le Masiere di Vedana, localizzate allo sbocco del Cordevole, e la grande frane in località Madonna di Parè in comune di Limana. Nel Vallone Bellunese il fondovalle è estesamente alluvionato e terrazzato per lunghi tratti. L alveo attuale è molto largo e delimitato lateralmente da terrazzi fluviali e scarpate in roccia. Sono stati riconosciuti sei livelli di terrazzi del Piave, mentre un numero minore di livelli caratterizza le valli degli affluenti (Surian, 1995). Sulla base di alcune datazioni avvenute con il metodo del carbonio 14 si è potuto attribuire al terrazzo più elevato del Piave un età intorno agli 8000 anni. Dal punto di vista genetico il terrazzo più alto del Piave rappresenta un terrazzo climatico, in quanto la sua formazione è essenzialmente legata a una modificazione del clima (passaggio da un periodo glaciale ad un periodo non glaciale) (Surian, 1995) Inquadramento storico-evolutivo Il bacino del fiume Piave nell Ottocento L inizio dell Ottocento è un periodo caratterizzato da una profonda crisi economica e strutturale che interessa l intera area afferente al bacino montano del fiume Piave. Nella zone alte del bacino si sviluppa un fenomeno, l emigrazione temporanea, indice dell impossibilità per molti di trovare lavoro in loco e quindi di grave squilibrio fra popolazione e risorse (Lazzarini, 1991). Le cause principali di questo malessere vanno ricercate nel grado e nei modi di utilizzazione delle risorse disponibili uniti ad un costante aumento demografico. Già a inizio secolo, come evidenziano le risposte al questionario proposto nel 1809 da Filippo Re negli Annali dell agricoltura del regno d Italia, la bilancia commerciale dell area (all epoca definita Dipartimento del Piave) evidenzia gravi aspetti di squilibrio. In particolare risultano evidenti i limiti dell agricoltura, quasi totalmente centrata sul mais, dell industria, pressoché inesistente, mentre si assiste ad un sempre più grave 59

60 depauperamento delle risorse (legno e minerali) da parte di attori ed interessi esterni. L inizio dello sfruttamento delle risorse, in particolare i boschi e le miniere presenti nella montagna media ed alta, da parte degli operatori Veneziani ha inizio nel seicento. Lo sfruttamento dei boschi interessa in maniera particolarmente intensa il Cadore dove si assiste ad un continuo e preoccupante impoverimento del patrimonio boschivo, mentre nell Agordino e nello Zoldano sono attive soprattutto le miniere per l estrazione dei metalli. L eccessivo utilizzo delle risorse unito ad una pressione antropica sempre maggiore porte ad un generale stato di degrado del territorio. In questo periodo si assiste a numerosi eventi di piena catastrofici che colpiscono varie zone del bacino. Da un documento del 1826, contenuto negli Atti preparatori del catasto austriaco, si evince come, già all epoca, le cause di questo numero sempre crescente di eventi fosse da ricercare nel disboscamento di vaste zone montane e vallive. Infatti la pressione antropica portava a sostituire i boschi con superfici prative e come conseguenza di ciò si assiste ad un sempre maggiore numero di dissesti sia a livello di versante, forte erosione superficiale e sviluppo di franamenti, sia a livello di reticolo idrografico, forte trasporto solido in alveo con frequenti fenomeni di sovralluvionamento e disalveazioni. In figura 3.2 è riportato un dipinto di Alessandro Seffer (Belluno ) da cui si può avere una panoramica dell aspetto della valle del Piave nell ottocento Questa situazione di dissesto interessa, anche se in misura variabile da zona a zona, la totalità del bacino. Particolarmente degradate sono la conca dell Alpago, a causa anche della particolare caratteristiche geologiche dell area, in cui frequenti sono i fenomeni franosi e gli inghiaiamenti dei terreni coltivati ad opera soprattutto del torrente Tesa, lo Zoldano, in cui si hanno numerosi eventi di piena caratterizzati da forte erosione spondale e conseguente danneggiamento di centri abitati (Torrenti Pramper, Maè e Ru di Gavo), l Agordino in cui particolarmente colpiti dalle piene sono i centri abitati di fondovalle, emblematica a riguardo appare la situazione dell abitato di Cencenighe, situato alla confluenza tra i torrenti Biois e Cordevole, distrutto nel 1707 e danneggiato durante numerosi eventi di piena (1748, 1757 e 1789). Anche varia zone della Val Belluna risultano colpite da eventi di piena, in queste aree i problemi maggiori legati a questi fenomeni sono la perdita di aree coltivabili come conseguenza di disalveazioni ed erosioni spondali. 60

61 Figura La valle del Piave da Sedico (BL) in direzione sudest verso S. Giustina (sullo sfondo), da notare la scarsa presenza di vegetazione arborea nella piana inondabile (Alessandro Seffer) Le cause che stanno alla base del diffuso dissesto idrogeologico fanno ricercate nell eccessivo utilizzo delle risorse forestali, particolarmente intenso nel periodo delle guerre napoleoniche. L entità del disboscamento risulta differente all interno del bacino ed è conseguenza di vari fattori: climatici (altitudine), demografici (aumento della popolazione), economici (tipo di attività economica presente) e sociali (rapporto tra città e campagna). Come emerso da vari studi di Paolo Preto e Ferruccio Vendramini nella parte bassa del bacino è soprattutto la pressione della città a far pressoché sparire il bosco. La quasi totalità dei terreni era di proprietà dei cittadini, e le popolazioni contadine erano costrette a cercare la legna sempre più in alto e sempre più lontano consumando ogni risorsa disponibile. Le ragioni della distruzione dei boschi nella parte alta del bacino sono profondamente differenti. In particolare i boschi dello Zoldano e dell Agordino furono distrutte per produrre combustibile per le fonderie di metalli. In particolare criteri irrazionali di taglio portarono ad una carenza di combustibile che può essere individuata come una delle cause principali della cessazione delle attività minerarie. Il patrimonio boschivo del Cadore subì danni minori, anche se gli utili del taglio e del commercio del legname sono andati a vantaggio soprattutto dei mercanti Venezia e del nobilitato locale mentre vasti strati della popolazione sopravvivono trovando occupazione nei lavori di 61

62 taglio, esbosco e fluitazione del legname. Le condizioni dei boschi del Comelico appare migliore grazie alla gestione degli stessi da parte dei municipi. Il dissesto idrogeologico del bacino non è però solamente imputabile allo sfruttamento eccessivo delle risorse forestali. Notevole importanza assume infatti il continuo aumento delle superfici arative a discapito dei prati stabili, fatto questo che, soprattutto in condizioni montane e di forte pendenza, porta a diffusi fenomeni di erosione superficiale e alla conseguente perdita di terreni coltivabili. Fenomeni di erosione superficiale si generano anche come conseguenza del pascolo non controllato o con carichi di animali troppo elevati che porta ad un forte degrado delle superfici prative soprattutto nelle aree ad elevata pendenza. Il bacino del fiume Piave nel Novecento Nella parte montana del bacino del bacino del Piave nel XX secolo sono state molte le alterazioni di origine antropica, le principali sono la costruzione di un articolato sistema di serbatoi idroelettrici, la costruzione di opere di difesa in alveo e di sistemazioni a scala di versante e la presenza di una significativa attività estrattiva in alveo. L influenza di questi interventi nella dinamica dell alveo è stata studiata da Surian (1999). Questo studio ha evidenziato il fatto che gli interventi antropici hanno provocato significative variazioni sia nel regime dei deflussi che nel trasporto solido. In particolare risultano profondamente modificati i deflussi di magra mentre il trasporto solido risulta notevolmente diminuito. Notevole influenza nel bilancio sedimentologico del bacino ha avuto anche il profondo cambiamento di uso del suolo avvenuto in questo intervallo temporale. E da evidenziare infatti come, a partire dagli anni sessanta e lungo tutta la seconda metà del ventesimo secolo l intero territorio montano del bacino abbia subito un forte spopolamento accompagnato dall abbandono, in molte aree quasi totale, delle attività agricole tradizionali. In molte aree quindi si è registrato un notevole aumento delle superfici forestale che hanno fatto diminuire gli apporti di sedimenti dai versanti. Nei primi decenni del XX secolo si evidenziò la necessità di incrementare la produzione idroelettrica e di sviluppare l irrigazione. L ottenimento di questi risultati era visto come obbiettivo primario e di vitale importanza per lo sviluppo economico e proprio 62

63 per questo motivo la quasi totalità degli interventi vennero fatti senza valutare le conseguenze negative che essi potevano comportare, nell immediato e nel medio e lungo periodo. Basti ricordare il problema dell alimentazione delle falde idriche della pianura, che sono una riserva preziosa e per taluni usi insostituibile, i rapporti tra il fiume, i corsi d acqua di risorgiva e la rete di canali artificiali, che attorno alle derivazioni irrigue è stata costruita. Problemi questi che interessano particolarmente la zona di pianura del bacino idrografico. Relativamente ai problemi che interessano la zona montana del bacino, un importanza sempre maggiore, anche nell ottica dei requisiti minimi di qualità dei corsi d acqua imposti dalla Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE stanno assumendo i problemi relativi al mantenimento di adeguate portate minime a valle delle derivazioni. A tutti questi problemi si aggiungono lo sviluppo, negli ultimi anni, di nuovi interessi legati in particolare alla fruizione turistica degli specchi d acqua di alcuni serbatoi costruiti per l utilizzazione idroelettrica ed irrigua. Oggi è fin troppo facile riconoscere gli errori che sono stati commessi nel procedere all utilizzazione delle risorse idriche del Piave, ma nel valutare quegli interventi non si devono ignorare ne le conoscenze tecniche allora disponibili, ne l assoluta mancanza di sensibilità verso problematiche che attualmente sembrano palesi e stanno assumendo sempre più importanza. Tutti i problemi nascono dal fatto che il fiume Piave è un fiume molto ricco d acqua. Le precipitazioni medie annue nel suo bacino, che ha Nervesa sottende una superficie di circa 3900 km 2, sono molto abbondanti: si può stimare che esse siano mediamente nell ordine dei 1350 mm, con un afflusso meteorico di circa 5,2 miliardi di m 3 all anno (D Alpaos e Dal Pra, 1996). A Soverzene la portata media naturale del Piave, infatti, è di oltre 50 m 3 /s, mentre a Segusino, la portata media (includendo le portate divertite verso il Livenza e le portate derivate a uso agricolo) sale oltre i 115 m 3 /s e quella minima non scende mai al di sotto dei m 3 /s (Dal Paos, 2000). Questi dati sono da considerare con attenzione per comprendere l origine dei problemi attuali del Piave, nel cui bacino la rete idrografica naturale si accompagna ad una non meno importante rete di canali e gallerie artificiali. Tale rete, interconnettendo fra loro numerosi serbatoi costruiti per le utilizzazioni elettro-irrigue, consente di regolare in modo spinto i deflussi del fiume e dei suoi principali affluenti. In figura 3.4 sono rappresentate le principali opere di derivazioni elettro-irrigue presenti nel bacino del Piave. Lo schema 63

64 idraulico delle utilizzazioni delle acque del Piave crea un sistema che, dal punto di vista ingegneristico, tenuto conto dei tempi in cui si è sviluppato, è senza dubbio da considerare tra gli interventi più complessi e completi del suo genere. Accanto alla rilevante produzione di energia elettrica, il sistema di canali e serbatoi del Piave e del Cordevole consente di sostenere l irrigazione di circa ettari nella pianura tra il Piave stesso ed il Livenza. Verso il Livenza, in particolare, attraverso il sistema di centrali del Fadalto e del Meschio è divertita una parte considerevole dei deflussi del Piave, derivati a Soverzene e accumulati nel sottostante lago di Santa Croce. La diversione di portata, che supera i 40 m 3 /s, è determinata dalla necessità di rispettare le concessioni irrigue dei Consorzi Riuniti del Basso Piave e Sinistra Piave. Non meno importanti sono i benefici che le portate derivate del Piave comportano per buona parte della pianura trevigiana, che è irrigata attraverso una fitta rete di canali artificiali, con le importanti derivazioni di Pederobba e Nervesa. In particolare la sistemazione idroelettrica del fiume Piave rappresenta un caso emblematico di sfruttamento pressoché integrale di un grande corso d'acqua. Molti sono gli interventi antropici che hanno modificato sia il regime dei deflussi che il trasporto solido nell area montana del bacino del Piave. Gli interventi più rilevanti sono stati fatti nel 1900 a partire dagli anni 30 fino alla prima metà degli anni 60, e sono consistiti essenzialmente nella costruzione di dighe, sbarramenti, derivazioni e strutture di difesa. L'ENEL ha ereditato dalla SADE (Società Adriatica di Elettricità), al tempo della nazionalizzazione, un imponente complesso di centrali, serbatoi, e canalizzazioni che ha in seguito integrato con qualche nuovo impianto. In figura 3.3 è riportato lo schema delle opere elettro-irrigue presenti nel bacino del fiume Piave. Per quanto riguarda la Provincia di Belluno, gli impianti di produzione ENEL oggi in funzione sono una trentina (sono quasi 50 quelli che complessivamente utilizzano l'acqua del Piave), le singole captazioni una cinquantina, le canalizzazioni superano i 200 km (su una superficie di bacino di circa 4500 km 2 ). I serbatoi di regolazione sono 7 con una capacità utile attorno ai 200 milioni di m 3, quelli di modulazione 11, con una capacità utile superiore a 20 milioni di m 3. Il sistema degli impianti idroelettrici della provincia di Belluno permette di utilizzare circa 2000 milioni di m 3 corrispondenti al 75% circa della risorsa idrica superficiale teoricamente disponibile, contro un valore medio del 65% a livello nazionale. 64

65 Dighe Traversa fluviale Canale artificiale Condotta sotterranea Cetrale idroelettrica Stazione di pompaggio Spartiacque Figura Schema delle opere elettro-irrigue del fiume Piave (Da Surian, 1999 modificato) Solo una modesta parte della risorsa idrica viene immagazzinata nei serbatoi a regolazione stagionale, il cui volume corrisponde a poco più del 4% della precipitazione globale nel bacino del Piave: infatti l intera capacità di regolazione dei serbatoi idroelettrici dell ENEL nella provincia di Belluno ammonta a circa 218 milioni di m 3, le cui modalità di esercizio prevedono il loro riempimento mediamente due volte l anno. Tale volume disponibile nei serbatoi idroelettrici è totalmente insufficiente ai fini di una significativa laminazione delle piene. Infatti, tale volume è una frazione modesta delle precipitazioni che, in caso di eventi eccezionali, possono raggiungere in brevissimo tempo valori paragonabili al valore medio annuo. D altronde, i serbatoi idroelettrici non sono stati costruiti con lo scopo di laminazione delle piene, né la loro ubicazione è particolarmente favorevole a tal fine (D Alpaos e Dal Pra, 1996). L impatto principale che le opere di derivazione hanno sulla parte montana del bacino del Piave è fondamentalmente la variazione del regime dei deflussi liquidi e del 65

66 trasporto solido. In particolare, si assiste in molti periodi dell anno alla mancanza o alla presenza di portate irrisorie lungo grandi tratti del reticolo idrografico. Non vi è dubbio nell affermare che il fenomeno sia dovuto all utilizzazione idroelettrica ed irrigua che, nel corso di questo secolo ha determinato un eccessivo incremento delle derivazioni complessive, andando oltre i limiti che una più oculata gestione delle risorse avrebbe suggerito. Va sicuramente evidenziato che il sistema di serbatoi artificiali del Piave non dispone più dei volumi del serbatoio del Vajont, che aveva una capacità di oltre 150 milioni di m 3 e consentiva una regolazione pluriennale delle portate del fiume e di altri invasi minori venuti meno a causa sia degli interrimenti, sia della riduzione delle quote massime originarie, come nel caso del serbatoio di Pontesei. L importanza dell invaso del Vajont si può ben comprendere se si considera che attualmente nel loro complesso i serbatoi esistenti consentono di invasare circa 250 milioni di m 3, a fronte dei 400 milioni di m 3 un tempo disponibili. E venuta meno quindi una fetta non trascurabile dei volumi accumulabili. Il valore massimo derivabile dal fiume Piave è pari a 100 m 3 /s così diviso: circa m 3 /s spettano al Consorzio Bretella di Pederobba (utilizzazione presente fin dai tempi della Repubblica di Venezia) derivati a Fener, 25 m 3 /s sono derivati, più a valle, a Nervesa dal Consorzio Destra Piave, che utilizza sia le portate residue presenti nel Piave, sia le portate immesse dal Canale di Castelletto a sua volta alimentato con acque derivate a Soverzene, una parte modesta delle portate derivate a Nervesa è utilizzata dal Consorzio Industriale Piavesella, poco meno di 16 m 3 /s sono utilizzati dal Consorzio Sinistra Piave, che deriva principalmente acque dal Meschio, attraverso rilasci delle centrali del Fadalto, sempre attraverso le centrali del Fadalto portate consistenti sono anche consegnate ai Consorzi Riuniti del Basso Piave tramite il fiume Livenza, nel quale il Meschio confluisce poco a valle di Sacile. Questi valori rappresentano i valori massimi consentiti dalle concessioni, ma l utilizzazione effettiva poco si discosta nell arco di un anno. Se si confrontano questi valori con gli apporti potenziali del Piave ci si rende conto come lo svaso dei serbatoi montani, che quasi ogni anno avviene, dipende dagli utilizzatori irrigui della pianura, i quali, fatta eccezione per gli anni con deflussi particolarmente sostenuti, non riescono a derivare le portate loro concesse. Infatti analizzando le curve di 66

67 portata del Piave a Segusino (Tonini, 1968) risulta che in un anno medio la portata naturale disponibile è pari a circa 115 m 3 /s, a fronte di una portata massima potenzialmente derivabile in base alle concessioni di circa 100 m 3 /s. Sempre facendo riferimento ai dati storici di Segusino, si osserva che per molti giorni del periodo estivo la portata massima derivabile supera il deflusso naturale del fiume anche di m 3 /s. Per far fronte a questo deficit l unica alternativa è quella di attingere portata dai serbatoi montani, quali per esempio il lago di Santa Croce o gli invasi del Mis e di Centro Cadore che subiscono per questo motivo proprio nel periodo estivo un forte abbassamento dei livelli idrici. Non meno importanti risultano essere gli effetti dei serbatoi artificiali sul regime delle portate solide (Kondolf, 1997), essi infatti intercettando in maniera sostanziale (Surian, 2006) il materiale proveniente da monte interferiscono fortemente nell evoluzione morfologica degli alvei a valle dei serbatoi. I deflussi idrici risultano quindi alterati, soprattutto per quanto riguarda i valori minimi mentre il trasporto solido lungo il corso è diminuito notevolmente in ragione del fatto che le dighe e le traverse poste lungo il corso del F. Piave e dei suoi affluenti trattengono gran parte dei sedimenti prodotti da oltre la metà del bacino idrografico (Surian, 2006). 67

68 3.2 Inquadramento tratto di studio L area di studio comprende l alveo del fiume Piave e le zone ad esso adiacenti nel tratto compreso tra la traversa fluviale di Soverzene e la città di Belluno. Studi precedenti (Da Canal 2006, Da Canal et al, 2007, Comiti et al, 2011) hanno puntato ad analizzare l evoluzione morfologica che ha interessato il fiume Piave nel Vallone Bellunese nell ottica sia di una definizione dei principali trend evolutivi che di una comprensione delle principali cause che hanno indotto le modificazioni stesse. La variazione, durante gli ultimi due secoli, dell estensione relativa dell alveo attivo, della vegetazione perifluviale e delle isole fluviali rispetto alla superficie del corridoio fluviale (Fig. 3.4) nel tratto del fiume Piave compreso tra l abitato di Ponte nelle alpi e la traversa fluviale di Busche nel Vallone Bellunese mette in evidenza come vi siano state profonde modificazioni nell intervallo di tempo analizzato che hanno portato ad una drastica riduzione delle superfici occupate dall alveo attivo a favore di una espansione delle superfici occupate da vegetazione perifluviale. Estensione relativa rispetto alla superficie del corridoio fluviale Alveo attivo Vegetazione perifluviale Isole fluviali piena1882 piena 1966 piena Anno piena 1993 Figura 3.4 Variazione dell estensione relativa dell alveo attivo, della vegetazione perifluviale e delle isole fluviali rispetto alla superficie del corridoio fluviale negli ultimi due secoli nel tratto del fiume Piave compreso tra Ponte nelle alpi e Busche (da Comiti et al. 2011) 68

69 Dall analisi della figura 3.5 si può notare come le isole fluviali (considerando sia quelle coperte da vegetazione arbustiva che arborea) sono sempre state presenti durante i vari anni considerati e la loro estensione totale è sempre stata molto inferiore rispetto alle superfici occupate da vegetazione perifluviale. Inoltre la variazione delle superfici occupate da isole fluviali sembra invece essere caratterizzata da una minor variabilità rispetto alle altre superfici analizzate (alveo attivo e vegetazione perifluviale) tanto che non si notano particolari trend ma piuttosto il verificarsi di cicliche distruzioni conseguente al verificarsi di eventi di piena e successivi periodi di sviluppo, come emerge anche dalla figura XX che riporta l andamento del rapporto areale isole/alveo attivo. Si nota inoltre come il restringimento progressivo dell alveo attivo abbia portato a rendere significativi eventi di piena con tempi di ritorno sempre più bassi. Area isole / Area alveo attivo piena 1882 (T.R. > 100 anni) piena 1966 (T.R. ~ 200 anni) piena 1993 e 2002 (T.R. ~ 12 anni) Anno Figura 3.5 Variazione del rapporto areale isole/alveo attivo negli ultimi due secoli nel tratto del fiume Piave compreso tra Ponte nelle alpi e Busche. Le frecce indicano gli eventi di piena più significativi del periodo considerato. (da Comiti et al. 2011) Come tratto di studio per la presente ricerca è stato scelto il tratto del fiume Piave compreso tra la traversa fluviale di Busche e l abitato di Belluno. Il tratto scelto risulta più ridotto rispetto a quello utilizzato nelle precedenti analisi (Da Canal 2006, Da Canal et al, 2007, Comiti et al, 2011). 69

70 La definizione di un tratto di studio ridotto rispetto a quello utilizzato nelle precedenti analisi (Da Canal 2006, Da Canal et al, 2007, Comiti et al, 2011) nasce principalmente dal fatto che volendo effettuare analisi più specifiche e mirate alla definizione di strategie gestionali si è necessariamente dovuto ridurre l orizzonte spaziale di indagine. Rispetto al passato inoltre anche la definizione delle aree di analisi all interno del tratto (sottotratti di analisi) ha seguito criteri differenti, si è deciso di non studiare solo alcune zone del tratto ma di analizzare l intera superficie del sottotratto. Seguendo questa logica il tratto di analisi è stato diviso in cinque sottotratti contigui tra loro, solo così infatti si può puntare a definire strategie gestionali capaci di assecondare le specificità locali. La scelta di analizzare il tratto del fiume Piave posto a monte dell abitato di Belluno nasce anche dalla consapevolezza che, soprattutto in questo tratto, una gestione del corridoio fluviale ed in particolare delle fasce di pertinenza fluviale programmata e finalizzata alla mantenimento e al recupero dell ecosistema fluviale possa da un lato contribuire a valorizzare ed aumentare la complessità e la biodiversità dell ambiente fluviale oltre che contribuire a mitigare le possibili criticità idrauliche. Per la delimitazione dell area si è utilizzata la fascia di pertinenza fluviale definite mediante criteri puramente geomorfologici (Surian, 1998). Il corridoio fluviale così definito ha una lunghezza di circa 13,5 km e larghezze comprese tra i 100 ed i 1500 m. In questo tratto il Fiume Piave è caratterizzato da una tipologia morfologica predominante di tipo wandering presentando comunque alcune zone in cui l andamento è di tipo braided. A monte si è scelto di delimitare il tratto in corrispondenza della traversa fluviale di Soverzene, costruita nel 1929 ed avente un area drenata a monte di circa 1690 km 2. Questa opera influenza profondamente il regime dei deflussi in quanto da essa sono derivati parte dei deflussi provenienti dal bacino montano del fiume Piave (anche oltre 40 m 3 /s) che, dopo essere stati accumulati sul lago di Santa Croce, attraverso il sistema delle centrali del Fadalto e del Meschio, vanno ad alimentare il sistema d irrigazione della Pianura. I principali centri abitati toccati dal tratto di studio sono Ponte nelle Alpi e Belluno, in particolare in prossimità di Belluno sono presenti le maggiori criticità dal punto di vista della sicurezza idraulica. 70

71 In figura 3.6 è rappresentata l area oggetto del presente studio. BELLUNO PONTE NELLE ALPI VENEZIA BELLUNO Figura Delimitazione area di studio. 71

72 3.3 Metodologie d analisi utilizzate Fotointerpretazione ed elaborazione cartografica La fase di preparazione e ortorettificazione del materiale cartografico e fotografico utilizzato è stata effettuata mediante l utilizzo del software Z-MAP, mentre la successiva fase di analisi dei dati e preparazione della cartografia è stata effettuata attraverso l utilizzo del software GIS ArcGIS 9.1 della ESRI. I software GIS (Geografic Information Sistems) rappresentano attualmente uno strumento sempre più diffuso e potente per l elaborazione e la gestione dei dati territoriali. In particolare durante la prima fase di ricerca si è proceduto all elaborazione dei fotogrammi digitali di un volo commissionato ad hoc alla Compagnia Generale Riprese Aeree di Parma. Il volo (scala 1:8000, risoluzione nominale a terra pari a 11 cm) è stato effettuato nel mese di luglio 2006 con camera analogica, ed i singoli fotogrammi sono stati successivamente scannerizzati a 1800 dpi dalla Compagnia stessa. In questa prima fase di analisi si è proceduto alla compressione ed al successivo georiferimento delle immagini mediante il software Z-Map. I fotogrammi georeferenziati sono stati successivamente utilizzati per elaborazioni di tipo cartografico Definizione dei sottotratti d analisi All interno del tratto di studio sono stati individuati cinque sottotratti caratterizzati da omogeneità morfologica allo scopo di poter analizzare in dettaglio l evoluzione morfologica. In figura 3.7 è rappresentata la suddivisione dell area di studio nei cinque sottotratti. Dall analisi delle foto aeree e delle osservazioni di campo si è cercato di definire sottotratti aventi caratteristiche geomorfologiche omogenee; in particolar modo riguardo alle caratteristiche morfologiche della piana alluvionale (grado di confinamento e larghezza) ed alla tipologia fluviale predominante. La definizione dei sottotratti di studio è un operazione funzionale sia alla fase di studio, in particolare si è cercato di analizzare il comportamento dei vari sottotratti ed a definirne similitudini e differenze, sia alla fase 72

73 applicativa, in quanto si è puntato a sviluppare strategie gestionali mirate alle caratteristiche ed alle criticità dei singoli sottotratti. Figura 3.7 Suddivisione sottotratti di studio Analisi morfologica di dettaglio Obiettivo fondamentale del presente studio è stato la comprensione e la quantificazione dei processi che regolano la dinamica fluviale nel tratto del fiume Piave compreso tra Soverzene e Belluno. Il tratto in esame, ed in generale l intero bacino del fiume Piave, è stato, ed è tutt ora, oggetto di pressioni ed interventi antropici tali da implicare una serie di modificazioni del sistema fluviale. In questo senso lo studio della dinamica fluviale si è concentrato nella definizione dei rapporti esistenti tra le modificazioni antropiche apportate al sistema e le risposte dello stesso. La definizione di tali rapporti risulta fondamentale per comprendere le conseguenze degli interventi svolti nel bacino e individuare le implicazioni di ogni azione proposta a scala di tratto o di bacino. 73

74 In particolare si è quindi puntato a ricostruire la dinamica evolutiva recente attraverso l interpretazione e l analisi in ambiente GIS della cartografia storica e delle foto aeree reperibili per il tratto, oltre a dare una caratterizzazione delle morfologie d alveo recenti ed attuali attraverso l ortorettificazione e l analisi in ambiente GIS di un volo aereo eseguito ad hoc. Al fine di analizzare nel dettaglio le modificazioni e gli impatti delle opere puntuali realizzate in alveo, si è proceduto alle localizzazione delle principali opere idrauliche esistenti. Di seguito vengono descritte le cartografie tematiche prodotte nella prima fase della ricerca. Come già detto, la prima parte della ricerca ha avuto come obbiettivo principale la definizione di un quadro conoscitivo dell idrosistema Piave nel tratto Soverzene-Belluno in grado di fornire informazioni per la comprensione della dinamica storica e recente e per la definizione di politiche di gestione capaci di coniugare ed armonizzare gli obbiettivi di sicurezza idraulica, tutela delle risorse idriche ed ambientali e razionale uso del territorio. In passato infatti spesso gli interventi nel bacino del fiume Piave hanno dato risposta a obbiettivi contingenti; si pensi per esempio alle opere di sfruttamento idroelettrico, ma anche alle opere di difesa successive alla piena del 1966, creando squilibri nel territorio del bacino, che hanno notevolmente ridotto la funzionalità del sistema fluviale. La conoscenza dell assetto morfologico attuale e la comprensione dei processi e dei fattori che hanno contribuito nel tempo alla sua definizione rivestono, in questa prima fase, un ruolo di fondamentale importanza Cartografia fascia di pertinenza La definizione della fascia di pertinenza fluviale dà importanti informazioni sullo spazio territoriale proprio del fiume e la sua definizione rappresenta una fase preliminare indispensabile in qualunque progetto di gestione e sistemazione dei corsi d acqua. Vari autori hanno proposto metodologie per la definizione delle fasce di pertinenza fluviale (Govi e Turrito, 1994; Dutto, 1995). In questo studio si è proceduto all estensione della cartografia della fascia di pertinenza fluviale prodotta durante il lavoro di tesi fino alla traversa di Soverzene 74

75 utilizzando criteri puramente geomerfologici (Surian, 1998). Dal punto di vista metodologico, la fascia di pertinenza fluviale è delimitata in funzione dei principali elementi morfologici e idraulici dell alveo (caratteristiche geomorfologiche, dinamica evolutiva, opere idrauliche, caratteristiche naturali, ambientali). In linea generale questa fascia risulta delimitata dalle scarpate dei terrazzi fluviali più antichi, definiti climatici, in quanto formatisi per il passaggio da un periodo glaciale ad uno non glaciale. Il supporto cartografico principale utilizzato per la sua definizione è stata la CTR della regione Veneto. Cartografie uso suolo Per il tratto di studio e successivamente per ogni sottotratto è stata realizzata una Carta dell uso del suolo delle aree comprese all interno della fascia di pertinenza fluviale per gli anni 1960, 1970, 1991, 2000, 2003 e Queste carte sono state ottenute attraverso la fotointerpretazione di 6 serie di foto aeree (Tabella 3.1), in particolare i fattori che hanno permesso di riconoscere i diversi oggetti e le loro caratteristiche sono stati: il tono, la forma, la dimensione, il modello, la trama, l ombra, l associazione, il sito e la risoluzione (Olson C.E., 1960). Tabella Sintesi del materiale fotografico utilizzato per la creazione delle carte d uso del suolo (IGMI) 1970 (EIRA Prov. Belluno) Foto Aeree (Ente autore o committente) 1991 (Regione del Veneto) 2000 (Regione del Veneto) 2003 (Regione del Veneto) 2006 (Unipd Dipartimento TESAF) 75

76 La cartografia è stata sviluppata attraverso l impiego del software ArcGIS 9.1 della ESRI e contiene la delimitazione delle principali forme dell uso del suolo presenti, sia di origine naturale che antropica. Le classi considerate nelle carte d uso del suolo sono state le seguenti: Alveo attivo Aree urbane ed industriali Cave ed impianti di vagliatura Coltivi Isola con vegetazione arborea Isola con vegetazione pioniera Vegetazione perifluviale arborea Vegetazione perifluviale arbustiva Vegetazione perifluviale erbacea Di seguito viene fornita una definizione delle varie classi e dei criteri impiegati per la loro definizione. La classe d uso del suolo denominata alveo attivo può essere definita come la porzione di territorio interessata di recente dalla dinamica fluviale, si presenta quindi occupato da acqua o da sedimenti e sulla sua superficie non è riscontrabile la presenza di vegetazione perenne. Le aree perifluviali occupate da vegetazione sono state distinte in coltivi vegetazione perifluviale erbacea vegetazione perifluviale arbustiva e vegetazione perifluviale arborea. Alla classe vegetazione perifluviale arborea appartengono le aree coperte da vegetazione arborea presenti sulle sponde dell alveo attivo, anche in questo caso si tratta prevalentemente di popolamenti con caratteristiche di bosco ripariale, ascrivibili in prevalenza al salice-populeto, edificati in prevalenza da Salix alba e Populus nigra, spesso con presenza di Robinia pseudoacacia. In alcune aree particolarmente stabili si osserva la presenza di conifere (Pinus sylvestris e Picea abies) ed altre latifoglie quali Fraxinus excelsior, Carpinus betulus e Quercus pubescens. Alla classe vegetazione perifluviale arbustiva appartengono le aree caratterizzate da popolamenti agli stadi evolutivi iniziali e sono stati applicati gli stessi criteri diagnostici utilizzati per distinguere le isole con vegetazione pioniera. Le aree caratterizzate da vegetazione 76

77 perifluviale erbacea sono caratteristiche di zone dell alveo in cui l attività dei processi fluviali è molto recente o in cui le caratteristiche del terreno non consentono l instaurarsi di una vegetazione di tipo arbustivo o arboreo. Le aree occupate da vegetazione all interno dell alveo attivo (isole fluviali) sono state distinte in isole con vegetazione arborea ed isole con vegetazione pioniera. Si è deciso di distinguere le isole presenti all interno dell alveo attivo sia per un dato oggettivo; la presenza di isole con densità molto diverse tra loro, sia perché questo avrebbe permesso in sede di rielaborazione dei dati di fare delle considerazioni più specifiche rispetto alla dinamica evolutiva delle isole ed anche di poter quantificare le isole possibile fonte di sedimento legnoso. Si sono dunque definite isole con vegetazione arborea quelle isole in cui la copertura arborea è risultata superiore al 60%, mentre si sono definite isole con vegetazione pioniera quelle isole in cui la vegetazione arbustiva è risultata superiore al 60% e quelle in cui la vegetazione arborea era compresa tra il 30% e il 60%. Le isole con vegetazione arborea sono le aree coperte da vegetazione arborea presenti all interno dell alveo attivo; col termine vegetazione arborea si intendono popolamenti con altezze medie stimate superiori ai 5 m, ascrivibili in prevalenza al salice-populeto, edificati in prevalenza da Salix alba e Populus nigra, spesso con presenza di Robinia pseudoacacia. Le isole con vegetazione pioniera sono invece caratterizzate da formazioni allo stadio evolutivo iniziale, aventi altezze stimate inferiori ai 5 m. Queste sono generalmente ascrivibili al saliceto di ripa dominato da Salix eleagnos, ma con forte presenza di specie esotiche arbustive. Le aree urbane ed industriali sono zone caratterizzate da piccoli abitati o da complessi industriali di dimensioni anche mediopiccole. Le cave e gli impianti di vagliatura comprendono sia gli impianti di estrazione di ghiaie dislocati lungo il tratto in esame, sia gli eventuali depositi di inerti, mentre ai coltivi afferiscono tutte le zone destinate a coltura agraria (principalmente prati stabili e arativi). Carta Geomorfologica Per il tratto di studio e successivamente per ogni sottotratto è stata realizzata una carta geomorfologica dell alveo attivo. La creazione di tale carta è stata effettuata tramite fotointerpretazione, utilizzando riprese aeree, appositamente commissionate alla Compagnia Generale Riprese Aeree di Parma dal dipartimento TESAF, effettuate nel luglio L analisi fotointerpretativa è stata intergrata nel corso della realizzazione della 77

78 carta da rilievi geomorfologici di campo. La realizzazione di questi rilievi ha avuto lo scopo di controllo del lavoro effettuato e di analisi di aree particolarmente complesse e non facilmente interpretabili dalle sole informazioni fotografiche. La realizzazione della carta è stata effettuata mediante l utilizzo del software ArcGIS 9.1, essa contiene le principali forme fluviali individuabili all interno dell alveo attivo. In particolare sono state individuate le seguenti forme fluviali: canale principale, canale secondario, canale di morta, barra bassa laterale, barra bassa longitudinale, barra alta laterale, barra alta longitudinale, isola con vegetazione pioniera e isola con vegetazione arborea. La descrizione delle forme fluviali analizzate è presente al paragrafo Cartografia opere artificiali Per valutare l impatto sull evoluzione morfologica delle opere idrauliche costruite nel corso degli anni all interno della fascia di pertinenza fluviale si è proceduto, tramite un analisi multi temporale, alla loro individuazione ed alla successiva localizzazione su un apposito geodatabase. La localizzazione delle opere è stata effettuata attraverso l utilizzo delle riprese aeree più recenti disponibili per il tratto (2006), mentre per la loro datazione si sono utilizzate sette riprese aeree (Tabella 3.2) Tabella Sintesi del materiale fotografico utilizzato per la datazione delle opere idrauliche Foto Aeree (Ente autore o committente) 1954 (IGMI) 1960 (IGMI) 1970 (EIRA Prov. Belluno) 1991 (Regione del Veneto) 2000 (Regione del Veneto) 2003 (Regione del Veneto) 2006 (UNIPD Dipartimento TESAF) Le opere presenti nel tratto possono essere distinte in due grandi categorie: trasversali e longitudinali. Alla prima categoria appartengono i pennelli e le soglie, mentre alla seconda le scogliere. 78

79 Analisi della variazione del numero di canali principali e secondari L analisi ha evidenziato la distribuzione e la variazione, sia quantitativa che temporale, del numero di canali nel tratto di studio. Obbiettivo fondamentale è stata la definizione dei trend evolutivi nell intervallo temporale al fine di comprendere come e quanto le alterazioni antropiche del regime delle portate liquide o solide abbiamo influito il sistema fiume. Analizzando le variazioni a scala di sottotratto si è cercato di capire quali sono stati i tratti maggiormente interessati dalla riduzione del numero di canali al fine di individuare le zone storicamente vocate all apertura di nuovi canali secondari. I dati raccolti hanno quindi lo scopo di creare un supporto conoscitivo in grado di definire la tipologia e la localizzazione di futuri interventi di rinaturalizzazione e recupero morfologico delle aree fluviali ed in particolare dell alveo attivo. In particolare le informazioni raccolte giocano un ruolo importante perché consentono di individuare: porzioni di territorio meno interessate dalle alterazioni antropiche e specifiche situazioni di particolare pregio naturalistico e morfologico rispetto alle quali sviluppare politiche di conservazione ed ulteriore riduzione degli impatti. porzioni di territorio alterate e caratterizzate da criticità morfologica rispetto alle quali definire interventi di recupero morfologico lo scostamento tra il numero di canali storico ed il numero di canali attuale Azione preliminare all analisi della presenza e distribuzione dei rami secondari è stata la definizione di 54 sezioni di monitoraggio all interno del tratto di studio (Fig. 3.8). I criteri utilizzati per la tracciatura delle sezioni di monitoraggio sono stati la perpendicolarità rispetto all alveo e la spaziatura. In particolare si è scelto una spaziatura di 250 m., in quanto i dati ottenuti dalle sezioni in oggetto, oltre che essere usati per monitorare la variazione di larghezza dell alveo attivo, saranno utilizzati anche per analisi 79

80 di tipo morfologico. Successivamente si è proceduto all elaborazione ed all analisi dei dati ottenuti. Figura Localizzazione sezioni di monitoraggio nel tratto Soverzene-Belluno 80

81 4. RISULTATI 4.1 Evoluzione morfologica recente L evoluzione della morfologia recente è stata effettuata a scala di sottotratto. Tale scala di dettaglio è particolarmente interessante in quanto capace di evidenziare la dinamica globale del tratto e, nel contempo, dare utili informazioni sull evoluzione locale. Per ogni sottotratto d analisi sono state prodotte le carte dell uso del suolo relative agli anni 1960, 1970, 1991, 2000, 2003 e 2006, dalla cui analisi si è potuto avere una panoramica dell evoluzione morfologica recente Sottotratto 1 (Soverzene-Prà D Anta) Il primo sottotratto d analisi, denominato Sottotratto 1 (Soverzene-Prà Danta) ha inizio dalla traversa fluviale di Soverzene e termina in prossimità dell abitato di Ponte nelle Alpi all altezza della località di Pra Danta (Fig. 4.1). Figura 4.1 Delimitazione sottotratto 1 81

82 Questo primo sottotratto è caratterizzato da un elevata larghezza della fascia di pertinenza, sempre superiore ai 500 m., con larghezza massima di 1000 m. L analisi delle cartografie storiche ha messo in evidenza come, all inizio del XIX secolo, questo tratto presentasse una morfologia fluviale molto differente rispetto all attuale. Dalla figura 4.2 possiamo notare come il tratto fosse caratterizzato da un andamento fortemente pluricursale (braided) lungo tutto il suo sviluppo. In questo periodo l intera fascia di pertinenza fluviale era occupata dall alveo attivo; unica eccezione era rappresentata dalla presenza di due terrazzi fluviali, uno presente in destra idrografica a monte della località Pian di Vedoia (nella parte iniziale del sottotratto) e l altro in sinistra idrografica (nella parte terminale del sottotratto). Particolarmente forte sembra essere la tendenza alla formazione di isole fluviali, da imputare probabilmente al forte apporto di sedimenti e legname in alveo, proveniente dalla parte montana del bacino del Piave Figura 4.2 Cartografia storica (Von Zach) relativa al sottotratto 1 Fortemente modificata risulta essere la struttura morfologica del tratto nel XX secolo, in particolare molto rilevanti risultano essere le conseguenze e le modificazioni dovute alla costruzione della traversa fluviale di Soverzene (1929). 82

83 Figura 4.3 Evoluzione morfologica del sottotratto 1 nell intervallo

84 Dall evoluzione morfologica del sottotratto nell intervallo (Fig. 4.3) si nota infatti come la realizzazione della traversa fluviale abbia portato alla stabilizzazione di una vasta superficie a valle della stessa, in destra idrografica, un tempo occupata da alveo attivo. Particolarmente significativa sembra essere l influenza della traversa fluviale nel trend evolutivo delle superfici occupate da alveo attivo, che nell intervallo in esame sono caratterizzate da una riduzione pressoché continua, passando dagli m 2 occupati nel 1960 ai m 2 del Si assiste inoltre ad una forte riduzione sia delle superfici occupate da isole fluviali, sia della loro numerosità. Le cause di questo fenomeno possono essere attribuite sia alla forte riduzione dell alveo attivo che porta all accorpamento di molte isole alla piana inondabile, questo fenomeno è particolarmente intenso nell intervallo , sia all azione di ripulitura dell alveo attivo e conseguente distruzione delle isole fluviali avutasi ad opera della piena del Sostanzialmente stabile appare la morfologia nell intervallo non essendosi verificati, in questo lasso di tempo, eventi idrologici tali da modificare in maniera apprezzabile la struttura dell alveo attivo. LEGENDA Figura 4.4 Legenda cartografia Evoluzione morfologica del sottotratto 1 nell intervallo L analisi degli interventi antropici avvenuti nell intervallo ha evidenziato come, a partire dagli anni 50 siano stati realizzati nella parte terminale del sottotratto in sponda sinistra tre grandi pennelli che hanno contribuito ad aumentare la tendenza alla riduzione dell alveo attivo ed alla conseguente stabilizzazione delle aree 84

85 perifluviali. Negli anni 90 è stata costruita una grande scogliera per la protezione dell autostrada, che, però, data la marginalità dell intervento (lato ovest del sottotratto) non sembra aver particolarmente influenzato la morfologia del tratto. In relazione all uso del suolo delle aree perifluviali si nota una tendenza alla riduzione delle superfici agricole (coltivi) particolarmente marcata nelle aree subito a valle della traversa di Soverzene, mentre intensa è l espansione della vegetazione arbustiva ed arborea lungo l intero sottotratto. Relativamente all espansione della vegetazione arborea è da sottolineare come essa abbia subito un aumento superiore al 500% dal 1960 al 2003 passando da m 2 a m 2. In figura 4.5 è riassunto il trend di variazioni dell alveo attivo nell intervallo temporale Da un analisi visiva si nota come a partire dagli anni 90 le superfici occupate dall alveo attivo del sottotratto 1 non abbiano subito sostanziali modificazioni Ettari Anno Figura 4.5 Variazione areale (Ettari) dell alveo attivo nel sottotratto 1 nell intervallo temporale

86 4.1.2 Sottotratto 2 (Prà D Anta-Ponte nelle Alpi) Il secondo sottotratto d analisi, denominato Sottotratto 2 (Pra Danta-Ponte nelle Alpi) ha inizio all altezza della località di Pra Danta (Comune di Ponte nelle Alpi) e termina alla fine della forra rocciosa presente all altezza dell abitato di Ponte nelle Alpi (Figura 4.6). Figura 4.6 Delimitazione sottotratto 2 La morfologia del tratto è profondamente influenzata dall elevato grado di confinamento, in particolare in due zone, a monte del ponte ferroviario di Cadola ed in corrispondenza del ponte stradale di Ponte Nelle Alpi, l alveo attivo lambisce i versanti dell Eocene-Oligocene. Le larghezze della fascia di pertinenza fluviale risultano comprese tra 730 m e 50 m. L evoluzione morfologica del sottotratto (Figura 4.7) evidenzia una forte tendenza alla semplificazione della morfologia con una tendenza alla riduzione dell alveo attivo particolarmente significativa nell intervallo A partire dagli anni 90 si nota una forte tendenza alla formazione di isole fluviali nella parte iniziale del sottotratto. 86

87 Figura 4.7 Evoluzione morfologica del sottotratto 2 nell intervallo

88 In questo tratto la costruzione del ponte ferroviario e di altre opere accessorie (soglie) hanno portato ad una stabilizzazione dell alveo ed al conseguente sviluppo di barre alte, che sono state colonizzate dalla vegetazione. Lo sviluppo di queste isole non è da imputare a processi di origine naturale, ma bensì ad alterazioni di tipo antropico. Il trend evolutivo dell alveo attivo è caratterizzato da uno stato di sostanziale equilibrio nell intervallo , seguito da una forte riduzione nell intervallo , in questo intervallo temporale si passa da m 2 a m 2. LEGENDA Figura 4.8 Legenda cartografia Evoluzione morfologica del sottotratto 1 nell intervallo In figura 4.9 è riassunto il trend di variazioni dell alveo attivo nel sottotratto 2 nell intervallo temporale Ettari Anno Figura 4.9 Variazione areale (Ettari) dell alveo attivo nel sottotratto 2 nell intervallo temporale

89 4.1.3 Sottotratto 3 (Ponte nelle Alpi-Sagrogna) Il terzo sottotratto d analisi, denominato Sottotratto 3 (Ponte nelle Alpi-Sagrogna) ha inizio al termine della forra rocciosa presente all altezza dell abitato di Ponte nelle Alpi e termina in prossimità dell abitato di Sagrogna (Fig. 4.10). Figura 4.10 Delimitazione sottotratto 3 Il sottotratto 3 è caratterizzato da una elevata superficie potenziale di divagazione fluviale. Le larghezze della fascia di pertinenza sono comprese tra 250 m e 800 m ed. La superficie occupata dall alveo attivo è andata via via riducendosi negli anni (Figura 4.11), passando da m 2 del 1960 a m 2 del Gli interventi antropici all interno del sottotratto possono essere distinti in due fasi principali: una prima fase, relativa agli anni 50, in cui in destra idrografica sono stati realizzati grandi pennelli allo scopo di aumentare e successivamente proteggere le aree coltivate, una seconda fase, dagli anni 70 agli anni 90, in cui sono state realizzate, sempre in destra idrografica, scogliere difensive. 89

90 Figura 4.11 Evoluzione morfologica del sottotratto 3 nell intervallo

91 Nel complesso questi interventi hanno contribuito alla riduzione della superficie di divagazione fluviale, forzando l alveo attivo ad occupare le aree centrali della fascia di pertinenza fluviale e costituendo un ostacolo alla normale interazione funzionale tra alveo attivo e piana inondabile. Relativamente alla dinamica delle isole fluviali si nota la tendenza all accorpamento delle stesse all interno della piana inondabile LEGENDA Figura 4.12 Legenda cartografia Evoluzione morfologica del sottotratto 3 nell intervallo In figura 4.13 è riassunto il trend di variazioni dell alveo attivo nel sottotratto 3 nell intervallo temporale Ettari Anno Figura 4.13 Variazione areale (Ettari) dell alveo attivo nel sottotratto 3 nell intervallo temporale

92 4.1.4 Sottotratto 4 (Sagrogna-Belluno) Il quarto sottotratto d analisi, denominato Sottotratto 4 (Sagrogna-Belluno) ha inizio a valle dell abitato di Sagrogna e termina in prossimità dell abitato di Belluno a monte del Ponte Sarajevo (Fig. 4.14). Figura 4.14 Delimitazione sottotratto 4 Il sottotratto 4, analogamente al sottotratto 3, è collocato in una zona in cui la fascia di pertinenza fluviale occupa una vasta superficie e questo ha reso particolarmente dinamica l evoluzione morfologica del fiume in questo tratto (Fig. 4.15). Gli anni compresi tra il 1960 ed il 1991 sono stati caratterizzati da una forte espansione nelle zone marginali occupate da vegetazione perifluviale, questo fatto è da imputare sia a fattori indiretti, modificazioni avvenute a scala di bacino, sia a fattori diretti, quali la realizzazione di pennelli in destra idrografica al fine di stabilizzare aree in passato occupate dall alveo attivo. 92

93 Figura 4.15 Evoluzione morfologica del sottotratto 4 nell intervallo

94 Va rilevato come il sottotratto, negli anni successivi all alluvione del 1966, sia stato oggetto di numerosi interventi di asportazione di sedimenti in alveo che hanno contribuito alla disattivazione delle aree marginali della fascia di pertinenza fluviale ed alla colonizzazione di vaste aree da parte di vegetazione arbustiva spesso di tipo alloctono. Solamente nel 2003 si nota una certa tendenza all allargamento dell alveo attivo. Interessante appare la dinamica delle isole fluviali fortemente interconnessa al verificarsi dei fenomeni di piena, in particolare del 1966 e del 2002 che hanno portato alla scomparsa di numerose isole. Negli anni successivi agli eventi di piena si nota la forte tendenza allo sviluppo di isole fluviali tendenza confermata anche dall analisi della morfologia attuale del sottotratto. LEGENDA Figura 4.16 Legenda cartografia Evoluzione morfologica del sottotratto 4 nell intervallo In figura 4.17 è riassunto il trend di variazioni dell alveo attivo nel sottotratto 4 nell intervallo temporale Questo sottotratto a differenza dei precedenti ha fatto registrare una maggior variabilità che ha innescato, a partire dagli anni 90, una graduale fase di espansione dell alveo. Il risultato di questa fase è che attualmente le superfici occupate dall alveo attivo sono, per valore, paragonabili a quelle presenti negli anni precedenti all alluvione del 66. In questo senso il sottotratto 4 ha risentito in maniera molto minore delle alterazioni antropiche apportate al sistema. Va comunque sottolineato che molte superfici presenti in sinistra idrografica, attualmente occupate da barre alte, 94

95 sembrano interessate da una graduale disattivazione, sarà quindi compito della seconda parte di questo studio valutare se questo differente evoluzione del sottotratto 4 è da imputare a intrinseche caratteristiche del tratto o da uno sfasamento temporale dei processi rispetto ai sottotratti posti più a monte. Ettari Anno Figura 4.17 Variazione areale (Ettari) dell alveo attivo nel sottotratto 4 nell intervallo temporale

96 4.1.5 Sottotratto 5 (Belluno) Il quinto sottotratto d analisi, denominato Sottotratto 5 (Belluno) ha inizio in prossimità dell abitato di Belluno, a monte del Ponte Sarajevo, e termina all altezza del campo da calcio presente in sinistra idrografica in località Piave (Fig. 4.18). Figura 4.18 Delimitazione sottotratto 5 La morfologia del sottotratto 5 risulta fortemente influenzata ed interconnessa con la presenza dell abitato di Belluno. In particolare nella parte iniziale del tratto l alveo attivo è delimitato da entrambi i lati da scogliere e muri di protezione fino in prossimità del Ponte della Vittoria. A valle del ponte sono presente numerose opere di protezione laterale pennelli e scogliere in destra idrografica oltre a tre soglie. La presenza di queste opere ha profondamente modificato la morfologia del sottotratto portando ad una forte riduzione dell alveo attivo ed a una sempre più marcata semplificazione del tratto. Le superfici esterne all alveo attivo sono state colonizzate negli anni dalla vegetazione, attualmente su queste superfici sono presenti popolamenti di tipo arboreo (Fig. 4.19). 96

97 Figura 4.19 Evoluzione morfologica del sottotratto 5 nell intervallo

98 LEGENDA Figura 4.20 Legenda cartografia Evoluzione morfologica del sottotratto 5 nell intervallo In figura 4.21 è riassunto il trend di variazioni dell alveo attivo nel sottotratto 5 nell intervallo temporale Possiamo notare come la dinamica di questo tratto abbia subito profonde modificazioni nel corso del tempo tanto che la superficie occupata dall alveo attivo, nell intervallo , a subito una riduzione del 70%. In particolare questa riduzione ha interessato le aree collocate a valle del Ponte della Vittoria in destra idrografica un tempo occupate dall alveo attivo che hanno conosciuto una sempre più intensa urbanizzazione Ettari Anno Figura 4.21 Variazione areale (Ettari) dell alveo attivo nel sottotratto 5 nell intervallo temporale

99 Figura 4.22 L alveo del Piave in prossimità di Belluno a valle dell attuale ponte della Vittoria nel 700. (da: La Via del Fiume. Dalle Dolomiti a Venezia, 1993) In figura 4.22 si può notare una rappresentazione di come fosse la morfologia del sottotratto 5 nel 700. In particolare si può notare come l alveo attivo si estendesse su quasi tutta la fascia di pertinenza fluviale interessando superfici attualmente occupate da infrastrutture di notevole importanza (rete viaria e parcheggio di Lambioi). Emerge inoltre la presenza di numerosi canali e isole fluviali, caratteristiche tipiche di un andamento di tipo pluricursale (braided). Possiamo quindi dedurre che in passato questo tratto fosse dotato di una elevata variabilità morfologica che i vari interventi antropici, soprattutto successivi alla piena del 1966, hanno completamente cancellato. 4.2 Morfologia d alveo attuale Sottotratto 1 (Soverzene-Prà D Anta) L analisi della morfologia attuale (2006) (Figura 4.23) evidenzia come il sottotratto presenti un alveo wandering con forte presenza di barre alternate. 99

100 Figura 4.23 Estratto Carta Geomorfologica relativo al sottotratto 1 La forte riduzione della larghezza dell alveo attivo, unita al passaggio da un andamento braided (1960) ad un andamento transizionale di tipo wandering sono elementi che sottolineano la forte interazione con gli sbarramenti idroelettrici del bacino montano ed in particolare con la costruzione della traversa di Soverzene. Il bilancio dei sedimenti del sottotratto risulta sicuramente influenzato dalla riduzione del trasporto solido al fondo dovuto alla vicinanza del tratto ai grandi sbarramenti idroelettrici (Piave Centro Cadore, Boite, Maè, Vajont e Val Gallina).. Il deficit di sedimenti risulta particolarmente importante in quando non vi sono importanti tributari tra gli invasi del bacino montano ed il tratto in esame, ed inoltre i fenomeni di erosione spondale (potenziali sorgenti di sedimento) sono limitati dalla presenza di estese difese spondali e da tratti in roccia. La capacità di trattenuta della traversa di Soverzene è invece da approfondire, ma probabilmente limitata alle granulometrie maggiori. La traversa, date le caratteristiche tecnico-costruttive, influenza maggiormente il regime dei deflussi, in particolare durante i periodi di magra e morbida. Il punto di passaggio fisso del canale conseguente alla 100

101 costruzione della traversa ha portato alla disattivazione di una vasta area a valle della stessa influenzando in maniera particolarmente significativa il dinamismo vegetazionale dell area. In figura 4.24 è rappresentata la distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottoratto 1. 1% 3% 0% 13% 0% barra alta laterale barra alta longitudinale 30% barra bassa laterale barra bassa longitudinale canale di morta canale principale 3% 9% 41% canale secondario isola con vegetazione arborea isola con vegetazione pioniera Figura 4.24 Distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottotratto 1 Si nota come le barre basse laterali rappresentino, all interno dell alveo attivo, la superficie arealmente più estesa a testimonianza di una tendenza all unicursalità particolarmente marcata Sottotratto 2 (Prà D Anta-Ponte nelle Alpi) Attualmente il sottotratto presenta un andamento sinuoso a barre alternate caratterizzato dalla presenza di un unico canale principale (Fig. 4.25). La quasi totalità delle barre presenti sono del tipo basse laterali a testimoniare la forte tendenza alla canalizzazione del sottotratto. La morfologia presente a monte del ponte ferroviario sembra fortemente disturbata dalla soglia realizzata in quell area negli anni 70. Si nota, infatti, come a partire dagli anni 70 vi sia la tendenza alla formazione di isole fluviali non individuabili negli anni precedenti. 101

102 Figura 4.25 Estratto Carta Geomorfologica relativo al sottotratto 2 In figura 4.26 è rappresentata la distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottoratto 2, dall analisi dei dati emerge come il carattere distintivo del tratto sia la presenza di un canale principale che rappresenta il 60% della superficie dell alveo attivo. Questo porta ad una forte semplificazione della struttura morfologica del tratto. Una maggiore variabilità è presente nella parte iniziale del sottotratto in cui comunque rimangono forti le modificazioni antropiche puntuali. 0% 11% 0% 12% 0% barra alta laterale barra alta longitudinale 17% barra bassa laterale barra bassa longitudinale canale di morta 0% 0% canale principale canale secondario isola con vegetazione arborea 60% isola con vegetazione pioniera Figura 4.26 Distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottotratto 2 102

103 4.2.3 Sottotratto 3 (Ponte nelle Alpi-Sagrogna) La morfologia attuale del tratto presenta un elevata complessità per la presenza di canali principali e numerosi canali secondari e di morta (Figura 4.27). Le isole fluviali presenti sono caratterizzate da vegetazione di tipo arboreo e contribuiscono ad aumentare la complessità morfologica del sottotratto. Si nota comunque la tendenza alla disattivazione di alcune zone marginali dell alveo attivo con lo sviluppo di barre alte laterali di grandi dimensioni che, in relazione al verificarsi o meno di eventi di piena, potranno in futuro essere accorpate alla piana inondabile. La presenza di numerosi canali di morta e di alcuni canali secondari testimonia l elevata tendenza alla migrazione che il fiume possiede in questo sottotratto. Figura 4.27 Estratto Carta Geomorfologica relativo al sottotratto 3 In figura 4.28 è rappresentata la distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottoratto 3. La complessità della struttura morfologica del tratto deriva dalla larghezza 103

104 dell alveo attivo che seppur ridottasi nel corso del XX secolo è ancora di dimensioni ragguardevoli e per molti tratti superiore ai 400 m. Gli elementi puntuali di maggior disturbo alla capacità di divagazione del fiume sono costituiti dalle difese spondali a protezione della discarica costruita in destra idrografica. 20% 3% 5% 0% 29% barra alta laterale barra alta longitudinale barra bassa laterale barra bassa longitudinale canale di morta 3% 11% 5% canale principale canale secondario isola con vegetazione arborea isola con vegetazione pioniera 24% Figura 4.28 Distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottotratto Sottotratto 4 (Sagrogna-Belluno) L analisi della morfologia attuale (Fig. 4.29) evidenzia come il sottotratto presenti un alveo wandering con forte presenza di barre basse ed alte laterali. La morfologia attuale evidenzia la presenza di numerosi canali di morta che tendono a formarsi all interno delle barre alte laterali. L esistenza di una estesa barra alta laterale nella parte centrale del sottotratto (sinistra idrografica) intensamente colonizzata da specie pioniere, in particolare Salix eleagnos, è sintomatica della tendenza alla disattivazione di un area che in un passato recente era caratterizzata da intensi fenomeni di trasporto liquido e solido. A favorine la tendenza alla disattivazione dell area contribuisce anche la presenza di una grande e complessa isola fluviale. Essa è caratterizzata da una vegetazione arborea insediata su superfici con differenti età (isola composta). Risulta interessante notare gli effetti morfologici provocati dalla costruzione di un pennello di protezione in località Nogarè (sponda destra nella parte centrale del sottotratto). Questo intervento infatti comporta la parziale disattivazione di una vasta 104

105 porzione di alveo a valle dell opera, la stabilizzazione di barre alte laterali e lo sviluppo su di esse di popolamenti vegetali non influenzati dalle dinamiche fluviali. Figura 4.29 Estratto Carta Geomorfologica relativo al sottotratto 4 In figura 4.30 è rappresentata la distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottoratto 4. 3% 7% 1% barra alta laterale 12% 7% 7% 37% barra alta longitudinale barra bassa laterale barra bassa longitudinale canale di morta canale principale canale secondario isola con vegetazione arborea isola con vegetazione pioniera 22% 4% Figura 4.30 Distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottotratto 4 105

106 4.2.5 Sottotratto 5 (Belluno) Attualmente il tratto è caratterizzato dalla presenza di un canale principale che tende ad occupare la parte centrale della fascia di pertinenza (Fig. 4.31). La morfologia attuale del sottotratto è conseguenza degli intensi interventi di protezione spondale (scogliere protettive) e di stabilizzazione dell alveo (soglie) (Fig. 4.32) che a partire dagli anni 70 hanno caratterizzato l area. La necessità di contenere la naturale tendenza alla divagazione nasce dal particolare contesto urbano in cui il sottotratto è collocato e in particolare dalla necessità di proteggere gli insediamenti urbani (parcheggio di Lambioi, piscine comunali, ecc) e le reti viarie presenti nelle aree adiacenti. Figura 4.31 Estratto Carta Geomorfologica relativo al sottotratto 5 106

107 Figura 4.32 Vista del sottotratto 5 da monte verso valle durante la fase terminale di una piena. In questa zona sono presenti pennelli (in parte sommersi e coperti da vegetazione arbustiva) e scogliere protettive per la protezione della zona di Lambioi In figura 4.33 è rappresentata la distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottoratto 5. 56% 4% 0% 11% 0% 22% 7% 0% barra alta laterale barra alta longitudinale barra bassa laterale barra bassa longitudinale canale di morta canale principale canale secondario isola con vegetazione arborea isola con vegetazione pioniera Figura 4.33 Distribuzione percentuale delle forme fluviali nel sottotratto 5 107

108 4.3 Analisi delle principali opere idrauliche presenti nel tratto di studio In Figura 4.34 è rappresentata la localizzazione delle opere individuate nell area di studio. Figura 4.34 Localizzazione opere di sistemazione idraulica. In tabella 4.1 sono riportate le opere idrauliche individuate. Nella prima colonna è riportato il riferimento numerico relativo al geodatabase creato, nella seconda la tipologia dell opera, nella terza colonna l anno della prima visualizzazione in foto mentre nella quarta è riportata la lunghezza dell opera espressa in metri (m). Analizzando l epoca di realizzazione delle opere si possono individuare due grandi due fasi costruttive distinte. La prima fase compresa tra il 1950 (ma forse anche a partire dagli anni 40) e il 1966 si distingue per la realizzazione di una serie di grandi pennelli localizzati nelle zone in cui la fascia di pertinenza fluviale è più larga (Sottotratti 1, 3 e 4). La realizzazione di questi pennelli aveva il duplice scopo di proteggere ed aumentare le superfici coltivabili. La seconda fase, successiva al 1966, è caratterizzata da interventi a carattere più puntuale ed aventi lo scopo di proteggere determinate aree in caso di eventi di 108

109 piena. Ecco quindi che in questo periodo gli interventi interessano le aree maggiormente sensibili dal punto di vista idraulico, particolarmente intensi sono gli interventi che interessano il sottotratto 5 con la realizzazione di un vasto complesso di scogliere protettive. La realizzazione di pennelli, seppur individuabile in questo periodo, mira al completamento ed alla protezione delle difese spondali, per questo motivo le loro dimensioni si riducono notevolmente rispetto a quelli realizzati in epoche precedenti. Tabella Dati opere idrauliche presenti nel tratto Soverzene-Belluno Rif. Num. Anno I a Tipologia opera cartografia visualizzazione Lunghezza (m) Sottotratto 14 scogliera scogliera pennello pennello pennello pennello pennello pennello scogliera pennello pennello pennello pennello pennello scogliera scogliera scogliera pennello scogliera scogliera scogliera Soglia scogliera pennello Soglia Soglia scogliera scogliera scogliera scogliera pennello Soglia pennello scogliera E interessante notare come le dimensioni delle opere sia andata riducendosi nel corso del tempo ma molto spesso non si è assistito ad un analoga riduzione degli impatti 109

110 sull evoluzione morfologica dell alveo. In particolare risultano ancora molto forti in particolare nei sottotratti 2, 3, 4 e 5 le alterazioni alla ridistribuzione lungo il letto del materiale alluvionale e all elaborazione del sedimento trasportato. 4.4 Studio dell evoluzione dei canali Variazione temporale della larghezza cumulata dei canali Si è proceduto, per ogni sottotratto all analisi della variazione di larghezza dell alveo attivo (inteso come somma di canali e barre) all interno delle sezioni di monitoraggio (Figure 4.35, 4.36, 4.37, 4.38 e 4.39). metri Figura Variazione larghezza media alveo attivo (canali e barre) delle sezioni relative al sottotratto 1 nell intervallo temporale anno metri anno Figura Variazione larghezza media alveo attivo (canali e barre) delle sezioni relative al sottotratto 2 nell intervallo temporale

111 metri anno Figura Variazione larghezza media alveo attivo (canali e barre) delle sezioni relative al sottotratto 3 nell intervallo temporale metri anno Figura Variazione larghezza media alveo attivo (canali e barre) delle sezioni relative al sottotratto 4 nell intervallo temporale metri anno Figura Variazione larghezza media alveo attivo (canali e barre) delle sezioni relative al sottotratto 5 nell intervallo temporale I primi due sottotratti sebbene aventi caratteristiche morfologiche molto differenti, in particolare in relazione al diverso grado di confinamento, presentano un trend evolutivo 111

112 molto simile. Infatti entrambi presentano tra gli anni 1960 e 1970 una fase di aumento di larghezza poco marcato seguita da una successiva forte fase di riduzione, per entrambi superiore al 50%, nell intervallo Nell intervallo il sottotratto 1 presenta un ulteriore tendenza al restringimento mentre il sottotratto 2 presenta una seppur limitata tendenza al espansione. I sottotratti 4 e 5 pur manifestando trend di espansione e restringimento analoghi ai primi due sottotratti sono caratterizzati da variazioni di minor intensità soprattutto per quanto riguarda la fase di riduzione compresa nell intervallo L andamento del sottotratto 5 è molto simile all andamento del sottotratto 2, in conseguenza della forte somiglianza morfologica dei due tratti. Nelle figure 4.40, 4.41, 4.42, 4.43 e 4.44 è riportata la variazione della larghezza media dei canali dei vari sottotratti. Si può notare come i primi due sottotratti siano caratterizzati da un trend molto simile caratterizzato da una marcata riduzione nell intervallo e da una successivo graduale recupero nell intervallo I sottotratti presentano trend simili caratterizzati da una variabilità meno marcata e da una larghezza media più bassa negli anni 1970 e Bisogna sottolineare come i tre sottotratti presentino riduzioni di larghezza media negli anni successivi agli eventi di piena di notevole entità (1966 e 2002) ciò potrebbe dipendere dalla maggior dinamicità dei tratti e dalla tendenza all incisione che si riscontra nelle fasi successive agli eventi di piena metri anno Figura Variazione larghezza media canali delle sezioni relative al sottotratto 1 nell intervallo temporale

113 metri anno Figura Variazione larghezza canali delle sezioni relative al sottotratto 2 nell intervallo temporale anno Figura Variazione larghezza canali delle sezioni relative al sottotratto 3 nell intervallo temporale metri anno Figura Variazione larghezza canali delle sezioni relative al sottotratto 4 nell intervallo temporale

114 metri anno Figura Variazione larghezza canali delle sezioni relative al sottotratto 5 nell intervallo temporale Variazione temporale del numero di canali Nelle tabelle 4.2, 4.3, 4.4, 4.5 e 4.6 è riportata la variazione temporale del numero di canali all interno delle sezioni di monitoraggio nell intervallo temporale divise per sottotratti d analisi. All interno del sottotratto 1 le prime 4 sezioni sono caratterizzate da una forte riduzione del numero di canali che le porta generalmente ad una situazione di unicursalità. Comportamento diverso invece caratterizza le successive sezioni che, pur registrando una riduzione del numero di canali nell intervallo , sono caratterizzate da un aumento degli stessi in epoca recente Quasi tutte le sezioni del sottotratto 2, ad eccezione delle prime tre, sono caratterizzate da un unico canale che si mantiene stabile durante l intero orizzonte temporale analizzato. L evoluzione delle prime tre sezioni risulta profondamente influenzata dalla presenza di interventi antropici (ponte ferroviario e soglie) e per questo la variazione del numero di canali sembra essere scarsamente connessa con i trend delle sezione di monte. Le sezioni del sottotratto 3 sono caratterizzate da una riduzione del numero di canali nell intervallo particolarmente intenso per le sezioni 24 e 29. Ciò è da imputare al fatto che a seguito dell evento di piena del 66 si è verificata una migrazione dell alveo, soprattutto nella parte centrale del tratto, verso la sponda destra che ha portato una forte modificazione della struttura morfologica con una tendenza alla formazione di un unico canale e la conseguente 114

115 disattivazione di estese aree poste a sinistra del canale principale. Nell intervallo si assiste allo sviluppo di numerosi canali come conseguenza della rielaborazione dei sedimenti mobilitati dalla piena del 66. Questa tendenza viene nuovamente interrotta nell intervallo , probabilmente dalla piena del 2002, in quanto si assiste nuovamente ad una drastica riduzione del numero dei canali. Diversa appare la variazione del numero di canali del sottotratto 4 rispetto al sottotratto 3 posto a monte, le sezioni di questo tratto infatti non registrano brusche riduzioni del numero di canali nell intervallo , anzi per alcune sezioni si registra un aumento. L intervallo vi è una riduzione del numero di canali particolarmente intenso per le sezioni 36, 37, 38 e 39 a seguito della progressiva disattivazione di un canale secondario e lo sviluppo di una barra alta intensamente colonizzata da vegetazione pioniera. Le sezioni del sottotratto 5, analogamente al sottotratto 2, sono caratterizzate da un unico canale per l intero intervallo temporale analizzato a causa dell elevato grado di confinamento, sia naturale che indotto dai numerosi interventi di protezione spondale. Tabella 4.2 Variazione numero di canali all interno delle sezioni di monitoraggio del sottotratto 1 n. sezione n. canali 1960 n. canali 1970 n. canali 1991 n. canali Tabella 4.3 Variazione numero di canali all interno delle sezioni di monitoraggio del sottotratto 2 n. sezione n. canali 1960 n. canali 1970 n. canali 1991 n. canali

116 Tabella 4.4 Variazione numero di canali all interno delle sezioni di monitoraggio del sottotratto 3 n. sezione n. canali 1960 n. canali 1970 n. canali 1991 n. canali Tabella 4.5 Variazione numero di canali all interno delle sezioni di monitoraggio del sottotratto 4 n. sezione n. canali 1960 n. canali 1970 n. canali 1991 n. canali Tabella 4.6 Variazione numero di canali all interno delle sezioni di monitoraggio del sottotratto 5 n. sezione n. canali 1960 n. canali 1970 n. canali 1991 n. canali

117 4.5 Studio dei processi fluviali e delle loro conseguenze nell ambito della fascia di pertinenza fluviale occorsi durante gli eventi di piena del novembre 1966 e del novembre 2002 In questa parte dello studio si sono analizzate le conseguenze morfologiche prodotte da due eventi di piena verificatisi rispettivamente nel 1966 e nel Come si approfondirà meglio in seguito questi eventi ebbero caratteristiche idrologiche molto differenti, mentre infatti la piena del novembre 1966 rappresenta un evento con caratteristiche di precipitazione e portata al picco eccezionali nel panorama degli eventi di piena del XX secolo, l evento di piena del 2002 rappresenta un evento con caratteristiche inferiori ma comunque rilevanti. Si è proceduto alla scelta di questi eventi perché i risultati ottenuti potranno essere utili sia per la programmazione di interventi mirati alla riduzione degli effetti di piene con carattere estremo sia per la gestione degli effetti delle piene più frequenti. In particolare la comprensione delle modificazioni morfologiche introdotte alla fascia di pertinenza fluviale da eventi di piena ordinari (tempi di ritorno anni) sarà fondamentale per la scelta delle strategie di riqualificazione fluviale. Si potrà capire infatti se il sistema Piave, con le attuali caratteristiche dei deflussi liquidi e solidi, può essere in grado autonomamente di raggiungere una condizione di equilibrio morfologico o se siano necessari interventi di tipo antropico tesi a favorire ed accelerare la naturale dinamica fluviale. I dati ricavati dalle modificazioni morfologiche indotte dalla piena del 66 potranno invece costituire una base oggettiva e quantitativa fondamentale per la definizione delle fasce di mobilità, per la stima delle possibili aree a rischio idraulico e per la predisposizione di interventi puntuali mirati alla riduzione ed alla mitigazione dello stesso. Per entrambi gli eventi di piena l analisi è stata effettuata utilizzando serie di foto aeree pre e post evento, questo tipo di supporto è fondamentale in quanto soprattutto per eventi verificatisi in passato risultano essere le migliori, e per molti aspetti, le uniche fonti di dati disponibili. Particolare attenzione è stata data all analisi della mobilità laterale e all erosione delle sponde in quanto i processi di erosione delle sponde fluviali, determinando la mobilità planimetrica (laterale) del corso d acqua, sono processi chiave 117

118 per l evoluzione morfologica dell alveo, della piana inondabile e degli habitat ripariali ad essi associati. (Rinaldi et al., 2010) Le esperienze di studio più recente (Zanoni et. al., 2008) puntano inoltre, anche per l analisi degli eventi di piena contemporanei, ad accompagnare le normali analisi di campo con analisi di tipo fotointerpretativo. Questo tipo di approccio sistematico risulta fondamentale nella realizzazioni di studi che si pongono l obbiettivo di monitorare nel tempo l evoluzione morfologica dei corsi d acqua Studio dei processi fluviali e delle loro conseguenze nell ambito della fascia di pertinenza fluviale occorsi durante l evento eccezionale del novembre L evento di piena del 1966 Nel novembre del 1966, si verificò sul bacino del Piave un evento di assoluta gravità, che produsse vittime e danni, sconvolgendo la geomorfologia di molte valli del tratto montano ed allagando vaste aree della zona di pianura. La piena del 1966 fu un evento veramente straordinario, essa non può essere facilmente confrontabile con le piene del passato, a causa della carenza di dati osservati in precedenza, ma relativamente ai danni ed all estensione degli allagamenti essa può essere sicuramente paragonabile alla piena del L evento meteorico che causò l evento alluvionale del fu contraddistinto da una diffusa e contemporanea distribuzione delle piogge che si verificarono con continuità e persistenza dalle ore 6 del 3 novembre per circa 40 ore; l intensità di pioggia, inoltre aumentò nel tempo. La situazione fu aggravata dal verificarsi contemporaneo dell alta marea che ostacolò il deflusso delle acque fluviali. In tale occasione in quasi tutti i corsi d acqua furono superati i livelli idrometrici massimi misurati precedentemente. La portata al colmo a Belluno fu stimata in oltre 3300 mp P/s, mentre alla traversa di Busche, a valle della confluenza con il Cordevole si raggiunsero i 4200 mp P/s. Nel bacino montano le

119 località particolarmente colpite sono state: California e Gosaldo, interamente distrutte, Caprile (Fig. 4.45), Forno di Zoldo, Puos d Alpago. I più importanti fenomeni di allagamento si ebbero presso il lago di Santa Croce che si estese nelle zone circostanti andando ad occupare il fondovalle del torrente Rai. I torrenti Tesa, Valda e Runal trasportarono a valle grandi quantità di sedimenti che andarono a creare, una volta depositati, problemi di allagamento in vaste zone dei comuni di Puos e Farra d Alpago. Particolarmente critica fu la situazione a Cencenighe Agordino, alla confluenza tra il Cordevole ed il Biois moltissime case furono distrutte, fu travolto il cimitero e le vittime furono 10. Vittime si ebbero anche a Falcade (11), a Vallada (2) ed a Agordo (1). Ingenti i danni si ebbero anche nella zona del Comelico in cui vi furono 10 vittime. Figura Accumulo di materiale legnoso formatosi in seguito alla piena del 4 Novembre 1966 a Caprile. La piena del novembre 1966 è stata oggetto di approfondite analisi da parte di numerosi studiosi (Ghetti et al. 1970). Infatti la ricostruzione di tale evento è stata ritenuta di fondamentale importanza per l individuazione ed il dimensionamento delle successive opere di difesa idraulica dei territori attraversati dal Piave. L analisi dell evento di piena del 1966 è inoltre risultata basilare per comprendere i processi di dinamica morfologica avvenuti in seguito, il volume dell onda di piena e dei detriti ad essa collegati hanno infatti segnato in maniera caratteristica la successiva evoluzione. 119

120 In Figura 4.46 è riportata l intera serie storica delle portate massime annuali relative alla sezione di Busche. Si può notare come l evento di piena del 66 rappresenti un evento straordinario all interno della serie storica al quale numerosi studi hanno attribuito un tempo di ritorno superiore ai cento anni. Bisogna altresì notare come il massimo annuale relativo al 1965 rappresenti anche esso un evento straordinario sia in termini di portata al colmo registrata (secondo valore registrato nella serie ) sia in termini di danni registrati nel bacino, in particolare nella parte montana. La piena del 1966 si produsse quindi in un bacino già fortemente dissestato e ciò contribuì ad amplificarne gli effetti soprattutto in termini di trasporto solido sia a scala di versante che di aste fluviali Portata al colmo (m 3 s -1 ) Anno Figura 4.46 Serie storica delle portate massime annuali alla sezione di Busche nell intervallo Variazioni morfologiche a scala di tratto La piena del 66, a scala di tratto, non ha comportato significative modificazioni, in termini planimetrici, delle superfici occupate da alveo attivo, sia analizzando le superfici costituite da canali e barre (Figura 4.47) sia includendo nell analisi anche le superfici 120

121 occupate da isole fluviali (Figura 4.48). La larghezza media dell alveo attivo (isole escluse) è passata da 280 metri del 1960 a 310 metri del 1970, mentre la larghezza media dell alveo attivo (isole comprese) è passata da 300 metri del 1960 a 315 metri del ettari anno Figura Variazione areale alveo attivo (canali e barre ) isole fluviali escluse pre e post 1966 ettari anno Figura Variazione areale alveo attivo (canali e barre) isole fluviali comprese pre e post 1966 Questo dato in prima analisi difficile da comprendere, soprattutto in relazione al carattere estremo dell evento di piena analizzato, all interno di un orizzonte temporale di lungo termine risulta maggiormente comprensibile. Infatti le superfici occupate dall alveo attivo sebbene già negli anni precedenti al 66 fossero protagoniste di un importante trend 121

122 di riduzione, negli anni 60 sia in termini numerici sia in termini di rapporto con l intera area occupata dalla fascia di pertinenza presentavano valori ancora molto elevati. Inoltre questi dati si spiegano anche nel verificarsi di vasti fenomeni di sovralluvionamento all interno dell alveo attivo che portarono, anche nel breve periodo, alla formazione di superfici topograficamente elevate e soggette a rapida colonizzazione da parte della vegetazione. Quindi solamente in termini assoluti la variazione delle superfici dell alveo attivo non sembra essere elevata; diversa appare invece la situazione a livello di analisi locale e di sottotratto. Relativamente alla variazione delle superfici occupate da isole fluviali (Fig e 4.50 ) si nota una forte riduzione sia delle isole con vegetazione pioniera (-75%) sia delle isole con vegetazione arborea (-70%). L evento di piena del 66 ha avuto un fortissimo impatto sulle superfici occupate da isole fluviali causando, in molte zone, la totale distruzione delle isole presenti A scala di tratto non sembrano emergere trend evolutivi diversi a seconda del tipo di isola fluviale analizzato ettari anno Figura Variazione areale isole pioniere pre e post

123 ettari anno Figura Variazione areale isole arboree pre e post Variazioni morfologiche a scala di sottotratto Per analizzare le variazioni morfologiche dell alveo attivo, a scala di sottotratto, è stata prodotta una specifica cartografia in grado di fornire dati quantificabili ed oggettivi sulle modificazioni indotte al verificarsi di un evento di piena. Per alveo attivo, in questa fase dell analisi, si intende la somma delle superfici occupate da canali, barre e isole fluviali. In particolare con questa cartografia si è provveduto a definire tre classi di analisi dell alveo attivo: contrazione, equilibrio ed espansione. Le aree caratterizzate da contrazione sono le aree che, successivamente al verificarsi dell evento di piena, sono state abbandonate dall alveo attivo e sono andate a formare nuova superficie delle fasce perifluviali. Le aree caratterizzate da equilibrio sono le superfici dell alveo attivo che sono rimaste tali anche successivamente all evento di piena. Mentre le aree caratterizzate da espansione sono le superfici sottratte dall alveo attivo alle fasce perifluviali a seguito di fenomeni di migrazione dell alveo, erosione e arretramento spondale. Si è poi proceduto ad analizzare la dinamica evolutiva delle scarpate fluviali attraverso la realizzazione di una cartografia che prendesse in considerazione la variazione planimetrica delle scarpate fluviali e la caratterizzazione dei siti di erosione spondale. L erosione di sponda è un processo chiave della dinamica fluviale in quanto presenta numerose conseguenze dal punto di vista fisico, ecologico e socio-economico (Rinaldi et 123

124 al., 2005). In particolare, studi recenti hanno evidenziato come il contributo dato dall erosione spondale alla produzione totale di sedimenti in un bacino possa essere notevole (Walling et al., 1999). La dinamica evolutiva delle isole fluviali, distinte in isole con vegetazione pioniera ed arborea, è stata infine analizzata creando una cartografia che, prendendo in considerazione le modificazioni planimetriche pre e post evento, fosse in grado di dare un quadro completo e quantitativo relativo alla formazione di nuove isole (classe formazione) alla distruzione (classe distruzione) ed al mantenimento di quelle presenti (classe equilibrio). 124

125 SOTTOTRATTO 1 (SOVERZENE-PRA DANTA) La distribuzione delle superfici occupate dall alveo attivo in questo sottotratto è fortemente influenzata dalla presenza della traversa fluviale di Soverzene nel confine di monte. Infatti quest opera vincolando i deflussi fluviali a transitare nella parte sinistra del sottotratto sottrae una vasta area della fascia di pertinenza fluviale (river corridor) alla normale dinamica fluviale. Le aree di espansione dell alveo attivo hanno un andamento fortemente alternato ed una superficie totale di circa 13,5 ettari. Le aree in contrazione dell alveo attivo invece sono maggiormente localizzate in sponda sinistra e hanno una superficie totale di circa 7 ettari. Le aree in equilibrio hanno una superficie di circa 80 ettari. In figura 4.51 è riportato il confronto alveo attivo relativo al sottotratto 1. Figura 4.51 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto 1 Analizzando la dinamica evolutiva delle scarpate fluviali (Figura 4.52) si può notare come in sponda destra vi sia stata una forte attività di arretramento spondale, questo fenomeno ha dato origine ad un grande sito di erosione spondale (s1) la cui superficie complessiva è di circa 8 ettari. Sempre in questa zona si registra il valore più elevato di 125

126 migrazione laterale della scarpata fluviale pari a 170 metri. In figura 4.53 è descritta la distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 1, da cui si può notare come gran parte delle superfici erose durante l evento di piena del 1966, 77% (circa 104 ettari) fossero caratterizzate da vegetazione di tipo arbustivo. Figura 4.52 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 66 relativo al sottotratto 1 10% 13% vegetazione arborea vegetazione arbustiva vegetazione erbacea 77% Figura 4.53 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 1 126

127 Relativamente alla dinamica delle isole fluviali con vegetazione pioniera (Fig. 4.54) si nota come le numerose isole presenti prima della piena siano state quasi totalmente distrutte ma nel contempo se ne siano sviluppate di nuove. Figura 4.54 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 66 relativo al sottotratto 1 Lo sviluppo di queste nuove isole è probabilmente da imputare all apporto di detrito legnoso, in particolare di tipo arbustivo, e sedimenti provenienti dall erosione spondale creatasi nella zona a monte. In termini numerici si passa da 7 a 5 isole con vegetazione perifluviale pioniera, mentre l area totale passa da 2,5 a 0,9 ettari. Non sono presenti nel tratto, sia prima (1960) che successivamente (1970) alla piena del 66 isole fluviali con vegetazione arborea. SOTTOTRATTO 2 (PRA DANTA-PONTE NELLE ALPI) Le superfici in equilibrio all interno del sottotratto occupano circa 46 ettari ed in molti punti sono direttamente a contatto con le scarpate dei terrazzi glaciali a testimonianza di come la morfologia dei versanti e l elevato grado di confinamento che ne consegue, 127

128 costituiscano il fattore più importante per la dinamica evolutiva del tratto. Le superfici in contrazione e in espansione sostanzialmente si equivalgono sia per la localizzazione (nei tratti con minor grado di confinamento) sia per valori (circa 5 ettari). In figura 4.55 è riportato il confronto alveo attivo relativo al sottotratto 2. Figura 4.55 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto 2 Analizzando la dinamica evolutiva delle scarpate fluviali (Fig. 4.56) si nota come non vi siano grossi fenomeni di erosione spondale, ad eccezione della parte centrale del sottotratto, in cui sono presenti in sponda sinistra numerosi piccoli siti di erosione e in sponda destra uno di dimensioni maggiori (circa 3 ettari) Sempre in questa zona si registra il valore più elevato di migrazione laterale della scarpata fluviale pari a 100 metri. 128

129 Figura 4.56 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 66 relativo al sottotratto 2 34% vegetazione arborea 43% vegetazione arbustiva 23% vegetazione erbacea Figura 4.57 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 2 In figura 4.57 si può notare la distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 2, le superfici coperte da vegetazione arborea risultano essere quelle maggiormente interessate da fenomeni di erosione (43%). Relativamente alla dinamica evolutiva delle isole fluviali (Fig e 4.59) si nota come le due isole presenti siano state completamente distrutte dall evento di piena 129

130 Figura 4.58 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 66 relativo al sottotratto 2 Figura 4.59 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 66 relativo al sottotratto 2 130

131 L elevato grado di confinamento del tratto limita da un lato la possibilità di formazione di isole fluviali, favorendone la distruzione durante gli eventi di piena, dall altro favorisce la tendenza all accorpamento alla piana alluvionale, consentendone lo sviluppo solo nelle aree meno attive dell alveo fluviale. SOTTOTRATTO 3 (PONTE NELLE ALPI-SAGROGNA) 3. In figura 4.60 è riportato il confronto alveo attivo relativo al sottotratto Figura 4.60 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto 3 In questo tratto il confronto alveo attivo pre e post 66 evidenzia una maggior superficie in contrazione (circa 10 ettari) rispetto alle superfici in espansione (circa 8 ettari). Questi dati potrebbero indicare un maggior livello di equilibrio del sottotratto rispetto ai sottotratti precedenti. L uniforme distribuzione delle aree in contrazione e in espansione tra le due sponde, ancor più accentuata nella seconda metà del tratto è conseguenza della topografia della zona (ampio corridoio fluviale) che favorisce la 131

132 possibilità di divagazione del fiume e la tendenza a formare e riattivare, al crescere delle portate, numerosi canali (andamento pluricursale). Un ruolo importante sembra avere anche l andamento rettilineo del sottotratto, rispetto a quello della valle, che può contribuire a bilanciare i fenomeni di erosione e deposizione La dinamica evolutiva delle scarpate fluviali (Figura 4.61) è caratterizzata da numerosi fenomeni di erosione spondale relativamente modesti rispetto alle dimensioni occupate dall alveo attivo. Solamente nella parte centrale del tratto è presente un sito di erosione spondale di dimensioni notevoli, circa 4 ettari, che fa registrare il valore massimo di migrazione delle scarpate fluviali del sottotratto (100 m). Le opere di protezione presenti, in particolare i due grandi pennelli in destra idrografica, sembrano aver limitato l intensificarsi dei fenomeni erosivi. Dall analisi della distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale (Fig. 4.62) emerge come la quasi totalità delle superfici oggetto di erosione (circa 7 ettari) fossero coperte da vegetazione arbustiva. Figura 4.61 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 66 relativo al sottotratto 3 132

133 2% 9% vegetazione arborea vegetazione arbustiva vegetazione erbacea 89% Figura 4.62 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 3 La dinamica delle isole fluviali con vegetazione pioniera (Fig. 4.63) sembra essere profondamente influenzata dalla localizzazione delle isole all interno dell alveo attivo, si assiste infatti alla completa distruzione delle isole prossime alla sponda destra, mentre al contrario vi è la formazione di nuove isole, anche di grandi dimensioni, ai margini della sponda sinistra. Figura 4.63 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 66 relativo al sottotratto 3 133

134 Questa differenza di comportamento è imputabile alla posizione di marginalità della sponda sinistra rispetto al filone principale della corrente idrica, soprattutto nella parte iniziale del sottotratto. Diversa risulta invece la dinamica delle isole con vegetazione arborea (Figura 4.64) che vedono fortemente ridotta la loro superficie complessiva, in parte per attività di erosione ed in parte per accorpamento alla piana alluvionale. Figura 4.64 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 66 relativo al sottotratto 3 134

135 SOTTOTRATTO 4 (SAGROGNA-BELLUNO) L evoluzione dell alveo attivo è influenzata dalla presenza di una strozzatura della fascia di pertinenza fluviale nella parte iniziale del sottotratto, all altezza dell abitato di San Pietro in Campo. Questa strozzatura, dovuta alla presenza di affioramenti rocciosi, contribuisce in maniera sostanziale alla protezione delle superfici presenti nella parte destra favorendo al contrario importanti fenomeni di erosione spondale in sinistra idrografica. Alla protezione delle superfici presenti nella parte destra del corridoio fluviale ha contribuito anche la presenza di un opera di protezione di grandi dimensioni costituita da un pennello e una scogliera protettiva. Le aree in espansione occupano una superficie di circa 13 ettari, quasi il doppio delle aree in contrazione (7,4 ettari). Le aree in equilibrio occupano 115 ettari, più della metà della superficie dell intero sottotratto (200 ettari). In figura 4.65 è riportato il confronto alveo attivo relativo al sottotratto 4. Figura 4.65 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto 4 La dinamica evolutiva delle scarpate fluviali (Fig. 4.66) evidenzia la presenza di tre grandi siti di erosione spondale (s4, s5 e s8) aventi una superficie totale di circa 10 ettari. 135

136 Analizzando la distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale (Fig. 4.67) emerge che la maggioranza delle superfici erose (57% pari a 7,3 ettari) fosse coperta da vegetazione arborea. Grande influenza nel contenimento dell erosione in sponda destra, in prossimità del sito di erosione s3, sembra aver avuto la presenza di un opera di protezione di grandi dimensioni (Fig. 4.68). Quest opera, tuttora presente, è costituita da un pennello e da una scogliera entrambi realizzati in elementi in calcestruzzo. Il pennello, come molti realizzati nello stesso periodo, è di notevoli dimensioni e come obbiettivo principale aveva la creazione e la protezione di nuove superfici coltivabili. La pressione antropica in quegli anni infatti era tale che gran parte delle fasce di pertinenza fluviale risultavano intensamente coltivate. Figura 4.66 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 66 relativo al sottotratto 4 136

137 29% 14% coltivi vegetazione arborea 57% vegetazione arbustiva Figura 4.67 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 4 Figura 4.68 Foto aeree del sottotratto 4 del In destra idrografica è visibile il pennello protettivo. 137

138 Figura 4.69 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 66 relativo al sottotratto 4 Figura 4.70 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 66 relativo al sottotratto 4 138

139 La dinamica delle isole fluviali (Fig e 4.70) evidenzia il prevalere di fenomeni di distruzione per entrambe le tipologie analizzate con il risultato di una drastica riduzione planimetrica e numerica delle isole presenti. In particolare si è passati da una superficie complessiva occupata da isole con vegetazione pioniera nel 1960 di quasi 8 ettari a 0,6 ettari nel Meno drastica è stata la riduzione delle isole con vegetazione arborea che sono passate da una superficie totale di circa 7 ettari nel 1960 a 3,1 ettari nel SOTTOTRATTO 5 (BELLUNO) In questo sottotratto si nota il prevalere di fenomeni di espansione dell alveo attivo, particolarmente intensi nella parte centrale in sponda destra. Questi fenomeni risultano estremamente intensi se confrontati con la superficie in equilibrio dell alveo attivo. In figura 4.71 è riportato il confronto alveo attivo relativo al sottotratto 5. Figura 4.71 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto 5 Dalla figura 4.72 si nota come vi sia stata una forte modificazione delle scarpate fluviali che ha portato alla creazione di un sito di erosione spondale (s3) di notevoli 139

140 dimensioni (circa 9 ettari). Le superfici erose erano caratterizzate da soprassuoli di tipo arboree (47% pari a 4,9 ettari) ed arbustivo (48% pari a 5,2 ettari) come risulta dalla figura Figura 4.72 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 66 relativo al sottotratto 5 1% vegetazione arbustiva 47% 48% coltivi vegetazione arborea 4% aree urbane ed industriali Figura 4.73 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 5 La dinamica delle isole fluviali in questo sottotratto (Fig e 4.75), similmente al sottotratto 2, risulta fortemente semplificata dall elevato grado di confinamento. 140

141 Sebbene confinato l alveo attivo è comunque caratterizzato da una elevata variabilità planimetrica che ha portato da un lato alla distruzione di una grande isola con vegetazione perifluviale pioniera presente prima della piena del 66 nella parte terminale del tratto e dall altro alla formazione di due nuove isole fluviali con vegetazione perifluviale arborea formatesi dal taglio di superfici precedentemente appartenenti alla fascia perifluviale. Questo a testimonianza di come la variabilità morfologica sia fortemente legata alla possibilità di migrazione dell alveo attivo durante le fasi di piena Figura 4.74 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 66 relativo al sottotratto 5 141

142 Figura 4.75 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 66 relativo al sottotratto Studio dei processi fluviali e delle loro conseguenze nell ambito della fascia di pertinenza fluviale occorsi durante l evento di piena del novembre L evento di piena del 2002 Nel mese di novembre del 2002 si sono registrati due eventi pluviometrici (13 e 24 novembre) che hanno interessato maggiormente le zone montane del bacino. Questi eventi non hanno assunto carattere di eccezionalità (Tempo di ritorno all incirca di 10 anni), anche se il persistere di condizioni metereologiche avverse ha determinato volumi di afflusso complessivi comparabili con quelli del settembre 1965 e del novembre 1966, seppur distribuiti su una durata molto più ampia. La prima fase di maltempo ha interessato particolarmente la provincia di Belluno (soprattutto Agordino e Zoldano) ed ha influito maggiormente, dal punto di vista idrologico, sui bacini minori del Piave (Cordevole). 142

143 Figura 4.76 Fenomeni di erosioni spondali ai danni di terrazzi fluviali di origine recente La seconda fase, seppur caratterizzata da quantitativi e intensità di precipitazione complessivamente inferiori rispetto alla prima, ha evidenziato una più veloce risposta idrologica. I danni (erosioni spondali (Fig. 4.76), sedimentazioni) hanno interessato l area montana del bacino (Provincia di Belluno), particolarmente colpite sono risultati l Agordino, lo Zoldano, il Comelico ed il Cadore (smottamenti, allagamenti, colate detritiche). Nel bellunese e nel feltrino numerosi sono stati i casi di sedimentazione Variazioni morfologiche a scala di tratto L analisi dell evoluzione planimetrica evidenzia un espansione delle superfici occupate dall alveo attivo (canali e barre) con un passaggio da 238 a 263 ettari (+11%). Maggiormente significative appaiono le modificazioni indotte dall evento di piena alle superfici occupate da isole fluviali. In particolare le isole con vegetazione pioniera hanno subito una riduzione molto significativa con il passaggio da una superficie totale di 7,5 143

144 ettari del 2000 a 2,5 ettari nel 2003 (-65%). Le isole con vegetazione arborea sono state anch esse oggetto di una forte riduzione planimetrica passando da 32,3 ettari del 2000 a 14,7 ettari del 2003 (-55%). Nelle figure 4.77, 4.78, 4.79 e 4.80 sono riassunte le variazioni morfologiche areali analizzate a scala di tratto ettari anno Figura Variazione areale alveo attivo (canali e barre ) pre e post 2002 a scala di tratto La larghezza media dell alveo attivo (canali e barre) è passata da 175 metri del 2000 a 195 metri del Mentre la larghezza dell alveo attivo (canali, barre e isole fluviali) è rimasta praticamente costante e pari a circa 200 metri ettari anno Figura Variazione areale alveo attivo (canali, barre e isole fluviali) pre e post 2002 a scala di tratto 144

145 8 7 ettari anno Figura Variazione areale isole pioniere pre e post 2002 a scala di tratto ettari anno Figura Variazione areale isole arboree pre e post 2002 a scala di tratto Variazioni morfologiche a scala di sottotratto L analisi condotta in questa fase è stata analoga a quella effettuata per l evento del Attraverso la produzione di una specifica cartografia si è cercato di definire le caratteristiche qualitative e quantitative delle modificazioni avvenute. In particolare si è quindi analizzato l evoluzione dell alveo attivo (confronto alveo attivo ), la dinamica delle sponde fluviali e la dinamica evolutiva delle isole fluviali. 145

146 SOTTOTRATTO 1 (SOVERZENE-PRA DANTA) Si nota come le superfici in espansione (4,8 ettari) siano molto superiori rispetto alle superfici in contrazione (1,5 ettari). In particolare le superfici in espansione sono concentrate nella parte terminale del sottotratto in maniera sostanzialmente uniforme tra le due sponde. La superficie in equilibrio occupa una superficie di circa 36,5 ettari pari a circa il 20% dell intera superficie del sottotratto. In figura 4.81 è riportato il confronto alveo attivo relativo al sottotratto 1. Figura 4.81 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto 1 Dall analisi della dinamica delle sponde fluviali (Fig. 4.82) si nota come i fenomeni erosivi tendano in generale a rettificare la geometria dell alveo attivo (siti di erosione s1, s3 e s4). Solamente il sito di erosione s5 (circa 1,6 ettari) sembra incidere in maniera più marcata la fascia perifluviale. Nel sito di erosione s5 si registra il valore più elevato di migrazione laterale della scarpata fluviale del sottotratto (circa 80 metri). Dall analisi della localizzazione delle principali opere presenti emerge come attualmente non vi sia particolare interazione con la dinamica delle scarpate fluviali in quanto molte opere 146

147 costruite nel passato si trovano attualmente in zone attualmente disattivate. L analisi della distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale (Fig. 4.83) evidenzia una distribuzione omogenea, con una leggera prevalenza della vegetazione di tipo arbustivo (40% pari a 1,9 ettari). Figura 4.82 Dinamica evolutiva delle sponde fluviali post piena 2002 relativo al sottotratto 1 30% 30% vegetazione arborea vegetazione arbustiva vegetazione erbacea 40% Figura 4.83 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 1 147

148 Figura 4.84 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 2002 relativo al sottotratto 1 Figura 4.85 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 2002 relativo al sottotratto 1 148

149 Le figure 4.84 e 4.85 evidenziano una scarsa presenza di isole fluviali sia con vegetazione pioniera che arborea nell intervallo temporale pre-post In particolare predominano i fenomeni di distruzione delle isole con vegetazione pioniera, mentre si nota una situazione di sostanziale equilibrio per quelle caratterizzate da vegetazione arborea. SOTTOTRATTO 2 (PRA DANTA-PONTE NELLE ALPI) In questo sottotratto poco evidenti sembrano essere le variazioni morfologiche introdotte dall evento di piena analizzato. Non sono presenti fenomeni particolarmente intensi ne di espansione ne di contrazione dell alveo attivo così da poter definire tendenzialmente stabile il tratto nell orizzonte temporale analizzato. La superficie in equilibrio occupa circa 24 ettari pari a circa il 23% della superficie delle pertinenza fluviale del sottotratto. In figura 4.86 è riportato il confronto alveo attivo relativo al sottotratto 2. Figura 4.86 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto 2 149

150 La figura 4.87 evidenzia come non siano presenti particolari fenomeni di migrazione laterale delle scarpate fluviali. Ciò sembra dovuto non solo ad elementi di origine naturale (versanti dei terrazzi glaciali) ma anche ad elementi di origine antropica (soglie e scogliere di protezione). Il valore massimo di migrazione laterale della scarpata fluviale del sottotratto è pari a 25 metri. La figura 4.88 mette in evidenzia come le superfici erose fossero occupate da vegetazione sia di tipo arboreo che arbustivo. Figura 4.87 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 2002 relativo al sottotratto 2 23% 38% vegetazione arborea vegetazione arbustiva 39% vegetazione erbacea Figura 4.88 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 2 150

151 Figura 4.89 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 2002 relativo al sottotratto 2 Figura 4.90 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 2002 relativo al sottotratto 2 151

152 Le dinamica delle isole fluviali (Fig e 4.90) evidenziano una forte influenza antropica. Infatti la formazione delle isole fluviali, sia con vegetazione pioniera che arborea, nella parte di monte del sottotratto sembra fortemente legata alla presenza della soglia presente sotto il ponte di Cadola SOTTOTRATTO 3 (PONTE NELLE ALPI-SAGROGNA) In questo sottotratto, dato in controtendenza rispetto ai sottotratti precedentemente analizzati, le aree in contrazione (14,5 ettari) superano le aree in espansione (9,7 ettari). In particolare si nota la presenza di una estesa area in contrazione (13,6 ettari) nella parte centrale del sottotratto generata dalla disattivazione di un grande canale secondario. La superficie in equilibrio occupa una superficie di circa 74 ettari pari a circa il 32% dell intera superficie del sottotratto. In figura 4.91 è riportato il confronto alveo attivo relativo al sottotratto 3. Figura 4.91 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto 3 152

153 La dinamica delle scarpate fluviali (Fig. 4.92) evidenzia una forte influenza delle opere antropiche, sia recenti (scogliere) sia storiche (pennelli) nella migrazione delle scarpate fluviali e nel contenimento dei fenomeni erosivi. In particolare l intera dinamica della sponda destra risulta fortemente influenzata dalla presenza di interventi di tipo antropico. Figura 4.92 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 2002 relativo al sottotratto 3 Relativamente alla distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto (Fig. 4.93) si nota il prevalere di vegetazione di tipo arboreo (52% pari a 5 ettari). Analizzando gli stessi dati rilevati per la piena del 66 emerge come vi sia stato un forte cambiamento delle classi d uso del suolo erose nei due eventi, con una forte aumento delle superfici con popolamenti arborei soggette ad erosione (passate dal 9% al 52%) a discapito delle superfici arbustive (passate dall 89% al 48%). L estesa presenza di vegetazione arborea nelle aree in erosione del tratto può sicuramente essere ricondotta alla presenza delle opere protettive in destra idrografiche che tendono a mantenere l alveo attivo nella parte centrale del corridoio fluviale rendendo meno vulnerabili alle piene le aree marginali delle pertinenze fluviali. Le opere protettive non 153

154 proteggono solamente le superfici immediatamente a ridosso delle stesse ma estendono la loro influenza anche nelle superfici immediatamente a valle. E questo per esempio il caso della scogliera protettiva situata a monte del sito di erosione s3. 48% 52% vegetazione arborea vegetazione arbustiva Figura 4.93 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 3 Figura 4.94 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 2002 relativo al sottotratto 3 154

155 Anche la dinamica delle isole fluviali (Fig e 4.95) all interno del sottratto sembra risentire della presenza delle opere in destra idrografica. Infatti la maggior parte delle isole presenti prima dell evento di piena o formatesi successivamente sembrano avere la tendenza a svilupparsi nella parte centrale dell alveo attivo o in prossimità della sponda sinistra. Figura 4.95 Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 2002 relativo al sottotratto 3 SOTTOTRATTO 4 (SAGROGNA-BELLUNO) Le aree in espansione in questo tratto occupano una superficie di circa 12,2 ettari e sono collocate in sponda destra nella parte iniziale e centrale del sottotratto e in sponda sinistra nella parte finale. Le aree in contrazione, circa 7,5 ettari, sono concentrate nella parte centrale del sottotratto. La superficie in equilibrio occupa una superficie di circa 100 ettari pari a circa il 50% dell intera superficie della pertinenza fluviale del sottotratto. In figura 4.96 è riportato il confronto alveo attivo relativo al sottotratto

156 Figura 4.96 Confronto alveo attivo relativo al sottotratto 4 Figura 4.97 Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 2002 relativo al sottotratto 4 156

157 Dalla figura 4.97 si nota come la migrazione laterale delle scarpate fluviali sia limitata in sponda sinistra dalla presenta delle scarpate dei terrazzi glaciali ed in sponda destra dalla presenza di punti fissi di origine naturale (affioramenti rocciosi in prossimità del terrazzo fluviale presso San Pietro in Campo) e antropica (pennelli e scogliere di protezione (Fig. 4.98). Tanto che in molti tratti l alveo sembra avere la larghezza massima possibile, infatti un ulteriore allargamento dell alveo attivo in molte zone del sottotratto sarebbe possibile solo in caso di assenza delle opere di protezione. Figura 4.98 Esempio di erosione localizzata al termine di una scogliera di protezione nella parte centrale del sottotratto 4 Il sito di erosione spondale s4 è il più grande presente all interno del tratto con una superficie di circa 4 ettari. Il valore massimo di migrazione laterale della scarpata fluviale del sottotratto è pari a 80 metri. In figura 4.99 è descritta la distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale, da cui si può notare come gran parte delle superfici erose durante l evento di piena del 2002, 78% (circa 9,5 ettari) fossero coperte da vegetazione di tipo arboreo. In maniera analoga al sottotratto 3, anche in questo caso si registra un forte aumento delle superfici erose coperte da vegetazione arborea 157

158 rispetto alla piena del 66, ed una conseguente riduzione delle superfici erose coperte da coltivi e vegetazione arbustiva a testimonianza dei profondi cambiamenti nell uso del suolo avvenuti negli anni trascorsi tra i due eventi. Questi dati testimoniano come, non solo cambiamenti d uso del suolo su larga scala (bacino fluviale), ma anche su piccola scala (corridoio fluviale), possano influenzare la morfologia fluviale e le risposte dei sistemi fluviali agli eventi di piena. 18% 4% coltivi vegetazione arborea vegetazione arbustiva 78% Figura 4.99 Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 4 La dinamica delle isole con vegetazione pioniera (Fig ) è caratterizzata dal prevalere dei meccanismi di distruzione, anche se soprattutto nella parte centrale del sottotratto si nota lo sviluppo di diverse nuove isole fluviali. La dinamica delle isole con vegetazione pioniera (Fig ) è caratterizzata dal netto prevalere dei fenomeni di distruzione delle isole fluviali in generale per rimozione totale delle stesse da parte della corrente ma in alcuni casi anche per accorpamento alle fasce perifluviali. 158

159 Figura Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 2002 relativo al sottotratto 4 Figura Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 2002 relativo al sottotratto 4 159

160 La riduzione delle isole con vegetazione arborea è stata netta sia in termini areali passando da 18 ettari a 7,8 ettari, sia in termini numerici passando da 12 a 4 unità. Inoltre di queste 4 unità solamente due erano presenti antecedentemente all evento di piena mentre le altre sono state generate per disaccorpamento dalla fascia perifluviale. SOTTOTRATTO 5 (BELLUNO) In questo sottotratto i fenomeni di espansione e contrazione dell alveo attivo sono limitati dalla presenza di numerose opere di protezione di tipo longitudinale (scogliere) e trasversale (soglie) tanto che andamento planimetrico e altimetrico dell alveo attivo sembra quasi totalmente dipendere dalle opere di difesa. In figura è riportato il confronto alveo attivo relativo al sottotratto 5. Figura Confronto alveo attivo relativo al sottotratto 5 La figura evidenzia come il tracciato delle scarpate fluviali pre e post piena 2002 non abbia subito sostanziali modifiche. Gli unici siti di erosione presente sono caratterizzati da superfici molto contenute e sono tutti localizzati in sinistra idrografica. La 160

161 quasi totalità delle superfici erose, come evidenziato dalla figura 4.104, era coperta da vegetazione arborea (96% pari a 0,9 ettari). Figura Dinamica evolutiva delle scarpate fluviali post piena 2002 relativo al sottotratto 5 4% vegetazione arborea vegetazione arbustiva 96% Figura Distribuzione percentuale delle classi d uso del suolo nei siti di erosione spondale del sottotratto 5 La dinamica delle isole fluviali (Fig e 4.106) risulta profondamente semplificata in quanto l artificializzazione del sottotratto non consente l istaurarsi di condizioni favorevoli alla loro formazione. 161

162 Figura Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione arborea post piena 2002 relativo al sottotratto 5 Figura Dinamica evolutiva delle isole con vegetazione pioniera post piena 2002 relativo al sottotratto 5 162

163 4.6 Riassunto trend evolutivi a scala di tratto e sottotratto L analisi dei trend evolutivi è stata effettuata in prima battuta analizzando la variazioni nel tempo delle principali macro-unità morfologiche. In particolare si è provveduto a distinguere le superfici ricadenti all interno della fascia di pertinenza fluviale nelle quattro seguenti macro-unità morfologiche: 1) Alveo attivo (superficie interessata dalla dinamica fluviale compresa all interno delle scarpate fluviali 2) Vegetazione perifluviale (superfici occupate da vegetazione spontanea (erbacea, arbustiva ed arborea) limitate internamente dalle scarpate fluviali ed esternamente dalle scarpate dei terrazzi glaciali) 3) Isole fluviali (superfici caratterizzate da vegetazione arborea ed arbustiva presenti all interno dell alveo attivo) 4) Antropizzato (Superfici occupate da vegetazione non spontanea (coltivi) o da insediamenti antropici (infrastrutture, piazzali di deposito ecc) A livello di tratto (Figura 4.107) si riscontra una tendenza all espansione dell alveo attivo da imputare al verificarsi degli eventi di piena del 1993 e del Questa fase di espansione recente è avvenuta a seguito del verificarsi di intense erosioni spondali che hanno portato ad una contemporanea riduzione delle superfici occupate da vegetazione perifluviale. La presenza di questa inversione di tendenza, seppur positiva, non sembra essere sufficienti per il raggiungimento di un riequilibrio morfologico del tratto nel breve periodo. Nel medio periodo bisognerà cercare di appurare se questa fase di espansione sia imputabile solamente agli eventi di piena verificatisi o sia da inserire in un quadro più ampio di modificazioni imputabili al raggiungimento di un estensione minima dell alveo attivo (anni 90) difficilmente mantenibile e instabile. Relativamente alle superfici antropizzate si evidenzia una certa stabilità sia nel lungo che nel breve periodo. Questo da un lato sottolinea il fatto che non ci siano stati grandi cambiamenti dell uso del suolo, in particolare la fase di abbandono delle superfici agricole ha interessato l area soprattutto 163

164 negli anni precedenti, dall altro che le attuali superfici antropizzate non sono particolarmente sensibili al verificarsi di eventi di piena in quanto in massima parte collocate in aree marginali ESTENSIONE RELATIVA RISPETTO ALLA SUPERFICIE TOTALE DEL TRATTO Alveo attivo Vegetazione perifluviale Isole fluviali Antropizzato ANNO Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo dell intero tratto di studio In figura viene riportato l andamento del rapporto tra l area delle superfici occupate da isole fluviale e l area delle superfici occupate dall alveo attivo. Questo grafico evidenzia la forte correlazione esistente tra la presenza di isole fluviali e il verificarsi di eventi di piena rilevanti. In particolare si nota come particolarmente significativi ai fini della dinamica delle isole fluviali risultino essere gli eventi di piena con tempi di ritorno superiori ai anni. Bisogna anche sottolineare come la riduzione dell alveo attivo abbia contribuito ad aumentare la capacità distruttiva degli eventi di piena nei confronti delle isole fluviali. Infatti gli effetti della piena del 2002 (TR anni) possono essere paragonabili, come variazione del rapporto relativo, agli effetti della piena del 1966 (T.R. superiore a 200 anni). La riduzione dell alveo attivo ha quindi avuto l effetto di aumentarne la vulnerabilità. 164

165 PIENA 1993 area isole / area alveo attivo PIENA 1966 PIENA ANNO Figura Variazione del rapporto area isole/area alveo attivo nell intervallo dell intero tratto di studio Nelle figure 4.109, 4.110, 4.111, e si riporta l andamento dell estensione relativa di alveo attivo, isole fluviali, vegetazione perifluviale e antropizzato dei vari sottotratti di analisi 1.00 ESTENSIONE RELATIVA RISPETTO ALLA SUPERFICIE TOTALE DEL SOTTOTRATTO Alveo attivo Vegetazione perifluviale Isole fluviali Antropizzato ANNO Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo del sottotratto 1 165

166 1.00 ESTENSIONE RELATIVA RISPETTO ALLA SUPERFICIE TOTALE DEL SOTTOTRATTO Alveo attivo Vegetazione perifluviale Isole fluviali Antropizzato ANNO Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo del sottotratto ESTENSIONE RELATIVA RISPETTO ALLA SUPERFICIE TOTALE DEL SOTTOTRATTO Alveo attivo Vegetazione perifluviale Isole fluviali Antropizzato ANNO Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo del sottotratto 3 166

167 1.00 ESTENSIONE RELATIVA RISPETTO ALLA SUPERFICIE TOTALE DEL SOTTOTRATTO Alveo attivo Vegetazione perifluviale Isole fluviali Antropizzato ANNO Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo del sottotratto ESTENSIONE RELATIVA RISPETTO ALLA SUPERFICIE TOTALE DEL SOTTOTRATTO Alveo attivo Vegetazione perifluviale Isole fluviali Antropizzato ANNO Figura Estensione relativa di alveo fluviale, vegetazione perifluviale, isole fluviale e antropizzato nell intervallo del sottotratto 5 167

168 168

169 5. DINAMICA MORFOLOGICA FUTURA E GESTIONE FLUVIALE 5.1 Processi fluviali in atto Le analisi condotte in questo studio hanno dimostrato come, nel tratto in esame, il fiume Piave sia profondamente cambiato nel ventesimo secolo a causa di fattori antropici sviluppatisi sia a scala di bacino (principalmente l attività di prelievo di inerti e la costruzione di invasi nella parte montana del bacino con alterazione del regime delle portate sia solide che liquide) che a scala di tratto (costruzione di opere trasversali (pennelli) e longitudinali (scogliere) che hanno portato alterazioni alle dimensioni e alla struttura dell alveo e della piana inondabile e modificazioni al grado di erodibilità delle sponde). I problemi generati da queste alterazioni sono di varia natura ed interessano sia la componente biotica che abiotica del sistema Piave. In particolare i problemi principali per il corretto funzionamento geomorfologico sono legati al fatto che l alveo attivo risulta inciso e in molte parti disconnesso dalla piana alluvionale e dai terrazzi circostanti oltre al fatto che risultano profondamente modificati i regimi dei deflussi. L incisione dell alveo attivo, dovuta principalmente ad un deficit di sedimenti causato dall attività di prelievo in alveo (particolarmente intensa nel periodo comprese tra gli anni sessanta e gli anni novanta del ventesimo secolo) e dalla presenza degli invasi montani, comporta che molte aree all interno della fascia di pertinenza fluviale, sia perché collocate in aree periferiche sia perché protette da opere di difesa, abbiano conosciuto trend di crescita della vegetazione molto intensi e completamente slegati dalla normale dinamica evolutiva della vegetazione fluviale. Ciò ha portato in molte aree ad una forte riduzione del ciclico ringiovanimento delle cenosi vegetali conseguente al verificarsi degli eventi di piena ed una tendenza alla riduzione degli habitat ripariali accompagnata da un espansione di popolamenti forestali sempre più stabili e maturi. Inoltre la modificazione e la semplificazione del regime delle portate apportata dal sistema delle utilizzazioni elettro-irrigue, particolarmente intensa nelle fasi di magra e di morbida, ha ulteriormente contribuito a ridurre la variabilità ecologica e la capacità del fiume di determinare la periodica distruzione e costruzione delle forme e degli habitat 169

170 fluviali. In molti periodi dell anno si evidenza la tendenza allo sviluppo di un unico canale e la conseguente disattivazione e colonizzazione ad opera di popolamenti pionieri, spesso vegetazione alloctona e nitrofila, soprattutto Buddleia davidii e Amorpha fruticosa, dei canali secondari. In questo senso l analisi della variazione del numero di canali principali e secondari evidenziando le aree in cui maggiore è stata la riduzione del numero di canali può indicare le zone maggiormente adatte alla realizzazione di interventi di ricostruzione morfologica dell alveo ed alla possibile creazione di nuovi canali secondari. In quest ottica i sottotratti 1 e 3 sembrano le aree potenzialmente più vocate per l apertura di canali secondari, le successive fasi di studio analizzeranno le alternative possibilità di intervento confrontando tra loro le diverse tipologie di approccio: recupero passivo (solo con interventi di rimozione delle cause esterne), quando il sistema fluviale è in grado di riprendere rapidamente le sue condizioni originali, rimosse le cause esterne interferenti, e quindi non sono necessari o possono essere addirittura controproducenti interventi diretti; recupero parzialmente assistito da interventi, quando la funzione di interventi diretti è quella di accelerare un processo che è già in atto e che comunque sta procedendo naturalmente, seppur troppo lentamente; recupero totalmente assistito da interventi, quando gli obbiettivi del recupero sono al di sopra delle capacità proprie del sistema e sono necessarie misure attive anche di natura gestionale. La tendenza al canale unico e la conseguente riduzione della variabilità morfologica ed ambientale ad esso legata, costituisce una forte minaccia anche per la sopravvivenza delle popolazioni ittiche. Infatti all elevata diversità ambientale è generalmente legata la presenza di popolazioni ittiche ben strutturate ed associate localmente a formare delle comunità strutturate e funzionali (Siligardi et al., 2007) Ad una passata fase di restringimento dell alveo sta seguendo l attuale fase di riallargamento (ultimi dieci anni) in varie zone del tratto di analisi, questa fase testimonia 170

171 probabilmente una tendenza ad un riequilibrio che porterà alla definizione di una nuova piana inondabile ad una quota più bassa dei terrazzi fluviali generatisi a seguito dell incisione. Questa fase di espansione, più intensa nei sottotratti 3 e 4, si sviluppa col verificarsi di erosioni spondali localizzate che portano e potranno portare in futuro alla distruzione di superfici boscate mature e attualmente apparentemente stabili. Si evidenzia quindi la necessità di analizzare e valutare le caratteristiche e l entità dei popolamenti forestali che in riferimento a differenti regimi idraulici potranno essere interessati da questi fenomeni erosivi. Se infatti la presenza di vegetazione sulle sponde riveste un ruolo fondamentale dal punto di vista ecologico, costituendo uno degli elementi fondamentali dell ambiente fluviale, può tuttavia presentare una serie di problematiche di carattere idraulico legate fondamentalmente all interazione che essa può avere a seguito di eventi di piena. Gli attuali fenomeni di erosione spondale potranno inoltre contribuire ad una riqualificazione spontanea ed a un riequilibrio sedimentologico sia dell alveo, attraverso il rifornimento di sedimenti grossolani e materiale legnoso, che delle fasce riparie, per le quali l erosione spondale rappresenta l agente chiave per la creazione ed il rinnovamento del loro complesso mosaico di habitat. In questa direzione andrà la definizione di una Fascia di Mobilità Funzionale conseguenza di una visione dinamica del fiume, capace di dare informazioni sulle zone di probabile riattivazione per erosione laterale nel breve (10-15) e medio periodo (40-50). La definizione di questa fascia potrà fornire le basi sia per una pianificazione oculata della fascia di pertinenza fluviale, sia per lo sviluppo di politiche di gestione forestale che sappiano coniugare le esigenze di contenimento del rischio idraulico con quelle di tutela e valorizzazione ambientale. La definizione di una Fascia di Mobilità Funzionale e la sua concreta applicazione potrà essere fondamentale per il raggiungimento degli obbiettivi di una moderna riqualificazione fluviale. Solo lasciando al fiume gli spazi necessari per esprimere la propria dinamica morfologica si potrà garantire il raggiungimento di uno stato di equilibrio morfologico ed ecologico duraturo nel tempo 171

172 Appare quindi evidente come la risoluzione delle alterazioni ed il riequilibrio morfologico ed ecologico del tratto debba essere visto in un ottica globale e possa essere risolta con interventi e politiche sia a scala di bacino che a scala di tratto. 5.2 Valutazione del grado di reversibilità delle modifiche indotte sulla morfologia dell alveo La valutazione del grado di reversibilità delle modifiche indotte sulla morfologia dell alveo ed in particolare la comprensione delle attuali capacità del sistema Piave di raggiungere in maniera autonoma condizioni di equilibrio morfologico rappresenta una tappa fondamentale per la definizione delle future scelte di gestione delle superfici comprese all interno della fascia di pertinenza fluviale. Infatti, mentre le analisi effettuate nella prima parte di questo ricerca (fase conoscitiva) hanno avuto come obbiettivo fondamentale la quantificazione oggettiva ed aggiornabile nel tempo delle modificazioni avvenute (sistema di monitoraggio morfologico), le analisi effettuate nella seconda parte (fase applicativa) hanno come obbiettivo fondamentale lo sviluppo di una serie di strumenti (geodatabases, cartografie ecc) utili alla definizione delle future politiche gestionali. In particolare quindi in questa parte della ricerca si è cercato di definire le possibili risposte morfologiche future partendo dall analisi dei trend evolutivi passati. L elevata complessità e variabilità dei fattori che influenzano la dinamica fluviale del tratto analizzato ed in particolare la difficoltà di discernere trend evolutivi di lungo periodo da trend evoluti di breve periodo obbligano a prendere in considerazione scenari evolutivi differenti sia rispetto al verificarsi di eventi di piena con differenti intensità, sia rispetto alla presenza e al ruolo delle opere di protezione costruite dall uomo nel tempo. La prima parte della valutazione ha puntato ad analizzare le superfici che costituiscono le pertinenze fluviali cercando di definire le aree attualmente disponibili per la migrazione dell alveo attivo. L efficienza dei meccanismi di mobilitazione e trasferimento dei sedimenti, similmente ai meccanismi che regolano i processi ecologici ( si veda ad esempio il River Continuum Concept e il Flood Pulse Concept) sono infatti fortemente legati oltre che alla continuità longitudinale (possibilità di trasporto dei sedimenti dalle zone di origine dei sedimenti (testate dei bacini) al reticolo idrografico 172

173 senza significative interruzioni) anche alla continuità laterale (esistenza di una fascia di pertinenza fluviale nella quale si esplicano periodicamente i processi di esondazione e di mobilità laterale del corso d acqua). La costruzione di numerose opere di protezione, in periodi diversi nell ultimo secolo, ha portato molte superfici ricadenti all interno del corridoio fluviale a non essere più interessate dalla dinamica fluviale. Queste aree quindi, sebbene collocate all interno del corridoio fluviale, non sono potenzialmente disponibili per i naturale processi di migrazione laterale. Solamente la distruzione delle opere, per esempio durante un evento di piena estremo, potrebbe rendere nuovamente disponibili queste aree. Come per le altre fasi della ricerca questa analisi è stata condotta a scala di sottotratto. In particolare il risultato di questa prima parte della valutazione è stata la definizione della cartografia delle aree a diversa erodibilità potenziale (Fig. 5.1, 5.4, 5.7, 5.10 e 5.14). In questa cartografia le aree all interno del corridoio fluviale non occupate dall alveo attivo (fasce di pertinenza fluviale) sono state divise in due classi: aree potenzialmente erodibili e aree potenzialmente non erodibili. Le aree potenzialmente erodibili sono quelle aree in cui la migrazione laterale dell alveo attivo è possibile (non sono cioè presenti opere di protezione che limitano la capacità di divagazione del fiume), mentre le aree potenzialmente non erodibili sono quelle aree in cui la migrazione laterale dell alveo attivo non è possibile (sono presenti opere, come scogliere, pennelli, eccetera, che limitano la capacità di divagazione del fiume). Successivamente si è cercato di definire la possibile evoluzione della fascia di pertinenza fluviale attraverso la stima delle aree potenzialmente erodibili a seguito del verificarsi di un futuro evento di piena con TR anni. Per ogni sottotratto si è provveduto a definire le attuali sponde fluviali attive. Questo ha permesso di localizzare i margini di partenza dei processi erosivi. Successivamente, partendo dalla conoscenza delle superfici erose a seguito della piena del 2002, si è provveduto a stimare i tassi di erosione delle scarpate fluviali (bank erosion rates). In particolare il tasso di erosione di ogni sottotratto è stato ottenuto dividendo la superficie erosa (dati piena 2002) per la lunghezza delle attuali scarpate fluviali (Tab. 5.1). Una volta ottenuto il tasso di erosione delle scarpate fluviali si è provveduto in ambiente GIS ad applicare questo tasso alle attuali scarpate fluviali attive attraverso l applicazione di un buffer (ArcToolbox). Successivamente si è intersecato il buffer ottenuto con la cartografia delle aree a diversa 173

174 erodibilità potenziale in modo da ottenere una stima dell evoluzione della fascia di pertinenza fluviale che tenesse conto anche delle opere di protezione presenti. L intersezione tra il buffer ottenuto (tasso di erosione calcolato (m) applicato alle attuali scarpate fluviali attive) e la cartografia delle aree a diversa erodibilità potenziale ha dato origine a una nuova cartografia chiamata Evoluzione pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni (Fig. 5.3, 5.6, 5.9, 5.13 e 5.16) in cui sono state definite due classi chiamate: stima aree erodibili (superficie del buffer ricadente nella classe Aree potenzialmente erodibili della cartografia delle aree a diversa erodibilità potenziale) e stima aree erodibili protette da opere artificiali (superficie del buffer ricadente nella classe Aree potenzialmente non erodibili della cartografia delle aree a diversa erodibilità potenziale). Tabella 5.1 Calcolo tasso di erosione scarpate fluviali Sottotratto Superficie erosa (piena 2002) (m 2 ) Lunghezza attuali scarpate fluviali attive (m) Tasso erosione scarpate fluviali (m) analizzati. Si riportano di seguito i risultati di tali elaborazioni per i diversi sottotratti SOTTOTRATTO 1 (SOVERZENE-PRA DANTA) L analisi delle aree a diversa erodibilità potenziale mette in evidenza come la possibilità di divagazione del fiume nel sottratto 1 sia generalmente elevata (Fig. 5.1). 174

175 AREE A DIVERSA ERODIBILITA POTENZIALE Figura 5.1 Carta delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto 1 Bisogna tener presente che in questo sottotratto l elemento che maggiormente influenza la capacità di divagazione è la presenza della traversa fluviale di Soverzene. Questa opera contribuisce a disattivare una vasta superficie in destra idrografica che di fatto può essere considerata slegata dalle future dinamica evolutive. Le altre opere di protezione presenti nel tratto non vanno a ridurre le superfici erodibili dal fiume, soprattutto nel breve e medio periodo, perché collocate in aree marginali e lontane dall alveo attivo attuale. Questo fatto è sintomatico sia delle elevate modificazioni che hanno caratterizzato il sottotratto nel passato, sia del fatto che eventuali eventi di piena potranno portare a consistenti aumenti delle superfici occupate dall alveo attivo. In figura 5.2 è riportata la distribuzione percentuale delle aree a diversa erodibilità potenziale all interno del corridoio fluviale. Le aree potenzialmente erodibili occupano una superficie di quasi 90 ettari e rappresentano il 45% dell intera superficie del sottotratto. 175

176 Bisogna sottolineare come le aree potenzialmente erodibili, sebbene percentualmente risultino inferiore rispetto ad altri sottotratti, siano collocate lungo tutte le aree marginali dell alveo attivo, così da essere in grado di assecondare le future tendenze evolutive del sottotratto 34% 21% alveo attivo Aree potenzialmente erodibili 45% Aree potenzialmente non erodibili Figura 5.2 Distribuzione percentuale delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto 1 In figura 5.3 è riportata l evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena TR anni del sottotratto 1. Da quest analisi emerge come le aree erodibili non siano influenzate dalla presenza di opere di protezione antropica. L analisi delle scarpate fluviali attive fa notare come esse siano distribuite in maniera omogenea, sia all interno del sottotratto, sia tra le due sponde. Da un punto di vista delle possibili criticità non emergono zone particolarmente significative. Le zone in destra idrografica al centro del sottotratto potenzialmente potranno essere le più attive dal punto di vista dell intensificarsi dei processi erosivi per la loro collocazione all interno del sottotratto. Questi fenomeni tenderanno nel tempo ad essere limitati dalla presenza lungo il margine destro di un vasto complesso di opere protettive (scogliere) realizzate negli anni

177 EVOLUZIONE PERTINENZE FLUVIALI A SEGUITO DI UN EVENTO DI PIENA CON TR ANNI Figura 5.3 Evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni del sottotratto 1 SOTTOTRATTO 2 (PRA DANTA-PONTE NELLE ALPI) L analisi delle aree a diversa erodibilità potenziale (Fig. 5.4) fa rilevare come, dal punto di vista quantitativo, siano molto limitate le aree in cui la possibilità di migrazione del fiume sia limitata da opere di tipo antropico. Questi interventi puntuali contribuiscono però ad aumentare la stabilità del tratto in quanto vanno ad aumentare la già numerosa presenza di punti fissi (sponde in roccia e affioramenti rocciosi) all interno del tratto. Quindi sebbene il 71 % della superficie del sottotratto (77,5 ettari) sia costituito da aree potenzialmente erodibili si può prevedere che solo eventi straordinari possano portare ad estendere le superfici coperte da alveo attivo. 177

178 AREE A DIVERSA ERODIBILITA POTENZIALE Figura 5.4 Carta delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto 2 In figura 5.5 è riportata la distribuzione percentuale delle aree potenzialmente erodibile all interno del corridoio fluviale. 7% 22% alveo attivo Aree potenzialmente erodibili 71% Aree potenzialmente non erodibili Figura 5.5 Distribuzione percentuale delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto 2 178

179 La stima dell evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni del sottotratto 2 (Fig.5.6) fa emergere come la morfologia del tratto sia scarsamente influenzata dal verificarsi di eventi di piena di questa magnitudo. In particolare questi eventi di piena potranno portare solo fenomeni erosivi localizzati non in grado di invertire i trend evolutivi verificatisi negli anni passati. Le cause di scarsa capacità evolutiva del tratto sono da imputare ad un concatenarsi di cause di tipo antropico (opere di protezione longitudinali e trasversali), ma soprattutto di tipo geomorfologico (elevato grado di confinamento del tratto e presenza di affioramenti rocciosi). EVOLUZIONE PERTINENZE FLUVIALI A SEGUITO DI UN EVENTO DI PIENA CON TR ANNI Figura 5.6 Evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni del sottotratto 2 Da un punto di vista del bilancio sedimentologico quindi il sottotratto 2 può essere definito in equilibrio, nel senso che prevalgono fenomeni di trasporto del sedimento rispetto a fenomeni di erosione e sedimentazione. Eventi con TR anni non sembrano inoltre poter creare criticità dal punto di vista della sicurezza idraulica. L estesa presenza di 179

180 scarpate fluviali attive contribuisce a distribuire gli effetti di un eventuale evento di piena lungo l intero sottotratto. SOTTOTRATTO 3 (PONTE NELLE ALPI-SAGROGNA) La carta delle aree a diversa erodibilità potenziale (Fig. 5.7) mette in evidenza come la presenza di numerose opere di protezione collocate in destra idrografica influenzi fortemente la possibilità di divagazione dell alveo attivo. AREE A DIVERSA ERODIBILITA POTENZIALE Figura 5.7 Carta delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto 3 Emerge inoltre una forte differenza fra le due sponde. Sulla sponda sinistra infatti non sono presenti opere di protezione e quindi tutte le superfici presenti in sinistra idrografica risultano potenzialmente erodibili. Quindi seppur percentualmente le aree potenzialmente non erodibili rappresentino sono il 19 % dell intera superficie del 180

181 sottotratto, influenzano in maniera significativa la dinamica fluviale dell area. In particolare si nota come l alveo attivo lambisca in molte parti le aree potenzialmente non erodibili. In figura 5.8 è riportata la distribuzione percentuale delle aree potenzialmente erodibile all interno del corridoio fluviale. 19% 34% alveo attivo Aree potenzialmente erodibili 47% Aree potenzialmente non erodibili Figura 5.8 Distribuzione percentuale delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto 3 La stima dell evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni (Fig. 5.9) evidenzia come nelle aree potenzialmente erodibili si potranno sviluppare estesi fenomeni erosivi che interesseranno vaste porzioni della piana alluvionale e dei terrazzi di origine recente. Questi fenomeni erosivi porteranno ad allargamenti anche significati dell alveo attivo; per questo motivo si può prevedere che il verificarsi di eventi di piena con TR anni, magari ripetuti nel tempo, possano contribuire ad invertire i trend di riduzione verificatisi nel passato. In particolare lo sviluppo del processo erosivo, già presente in sponda sinistra nella parte iniziale del sottotratto, potrà portare ad una riapertura di un grande canale secondario che nel corso degli ultimi anni è andato sempre più disattivandosi. 181

182 EVOLUZIONE PERTINENZE FLUVIALI A SEGUITO DI UN EVENTO DI PIENA CON TR ANNI Figura 5.9 Evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni del sottotratto 3 SOTTOTRATTO 4 (SAGROGNA-BELLUNO) La carta delle aree a diversa erodibilità potenziale (Fig. 5.10) evidenzia la presenza di poche superfici potenzialmente non erodibili all interno del sottotratto 4. In maniera analoga al sottotratto 3 queste superfici risultano totalmente localizzate in sponda destra. Nelle zone a monte delle aree potenzialmente non erodibili si nota una tendenza all approfondirsi dei fenomeni erosivi. Questa tendenza è particolarmente evidente nelle aree definite Fontane di Nogarè e Quagliodromo (Fig. 5.11) in comune di Belluno. L evoluzione delle aree erose dovrà in futuro essere oggetto di monitoraggio in quanto potrà portare alla destabilizzazione delle opere di protezione presenti nel sottotratto. 182

183 AREE A DIVERSA ERODIBILITA POTENZIALE Figura 5.10 Carta delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto 4 Figura 5.11 Esempi di processi di arretramento spondale nel sottotratto 4 durante un evento di bankfull 183

184 In figura 5.12 è riportata la distribuzione percentuale delle aree potenzialmente erodibile all interno del corridoio fluviale. 6% 37% alveo attivo Aree potenzialmente erodibili 57% Aree potenzialmente non erodibili Figura 5.12 Distribuzione percentuale delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto 4 EVOLUZIONE PERTINENZE FLUVIALI A SEGUITO DI UN EVENTO DI PIENA CON TR ANNI Figura 5.13 Evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni del sottotratto 4 184

185 La stima dell evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni (Fig. 5.13) evidenzia come, maggiormente rispetto agli altri sottotratti, le future espansioni dell alveo attivo andranno ad interessare opere di protezione costruite nel passato e che attualmente sono in zone non interessate dalla dinamica fluviale. Questa tendenza potrà essere localmente molto intensa in quanto si può notare come le scarpate attive presenti all interno del tratto siano quasi totalmente concentrate in sponda destra. SOTTOTRATTO 5 (BELLUNO) In figura 5.14 è riportata la carta delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto 5. Questo sottotratto è caratterizzato da una prima parte con un elevato grado di confinamento in cui non sono presenti aree potenzialmente erodibili ed una seconda parte, a valle del ponte della Vittoria, in cui si ha una netta diminuzione del grado di confinamento e la presenza, soprattutto in sinistra idrografica, di una vasta area potenzialmente erodibile. AREE A DIVERSA ERODIBILITA POTENZIALE Figura 5.14 Carta delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto 5 185

186 In destra idrografica la costruzione di numerose opere di protezione di fatto limita quasi totalmente la capacità di divagazione del fiume e la conseguente possibilità di migrazione dell alveo attivo. 16% 27% alveo attivo Aree potenzialmente erodibili 57% Aree potenzialmente non erodibili Figura 5.15 Distribuzione percentuale delle aree a diversa erodibilità potenziale del sottotratto 5 EVOLUZIONE PERTINENZE FLUVIALI A SEGUITO DI UN EVENTO DI PIENA CON TR ANNI Figura 5.16 Evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni del sottotratto 5 186

187 In figura 5.15 è riportata la distribuzione percentuale delle aree potenzialmente erodibili all interno del corridoio fluviale. Sebbene il 57 % della superficie del corridoio fluviale sia potenzialmente erodibile, soltanto una minima parte potrà essere interessata da fenomeni di erosione spondale, in quanto gran parte delle superfici sono collocate in aree marginali e difficilmente riattivabili. La stima dell evoluzione delle pertinenze fluviali a seguito di un evento di piena con TR anni (Fig. 5.16) mostra come le scarpate fluviali attive siano presenti solamente in sinistra idrografica e potranno in futuro essere caratterizzate da fenomeni erosivi molto contenuti. 187

188 5.3 Sviluppo di cartografie di sintesi e strategie finalizzate alla gestione della risorsa idrica ed alla pianificazione delle zone perifluviali con particolare riferimento alla gestione della vegetazione in alveo Definizione delle strategie gestionali e dei possibili interventi di riqualificazione fluviale su base morfologica lungo il tratto analizzato Partendo dalle informazioni ricavate dalla prima fase dell analisi, che ha permesso di ottenere un quadro oggettivo dello stato morfologico attuale e dell evoluzione recente, è ora possibile cercare di definire alcune possibili strategie di intervento di riqualificazione fluviale e definire le alternative. In questa parte dell analisi si cercherà in particolare di individuare i vari punti di vista con cui si può approcciare la tematica della riqualificazione fluviale e un insieme di possibili azioni e interventi sia a livello puntuale sia che a livello di intero tratto. Si cercherà inoltre di fornire alcuni strumenti e criteri di valutazione in grado, in funzione dei possibili scenari futuri, di valutare i risultati delle possibili alternative di progetto Premessa La Fase conoscitiva ha messo in evidenza le numerose modificazioni avvenute nella morfologia del tratto oggetto d analisi dovute a numerosi fattori di disturbo, in parte a scala locale ed in parte a scala di bacino, che hanno influenzato negativamente l assetto ecologico del sistema fluviale. D altra parte, si individua ora una tendenza dell alveo fluviale a riallargarsi, a discapito del aree circostanti (piana inondabile e terrazzi di origine recente), per raggiungere un nuovo equilibrio dinamico, con la conseguenza che i fenomeni di erosione spondale stanno assumendo una rilevanza sempre maggiore (Fig. 5.26). 188

189 FASE 1: PRE-IMPATTI (FINO ANNI 50) FASE 2: RESTRINGIMENTO E INCISIONE FASE 3: INVERSIONE DI TENDENZA RECENTE Figura 5.17 Rappresentazione schematica delle tendenze evolutive del fiume Piave nel tratto analizzato. 189

190 In particolare i più significativi fattori di disturbo sono: 1. l attività di prelievo di inerti in alveo (particolarmente intensa nel periodo compreso tra gli anni sessanta e gli anni novanta del ventesimo secolo) che, producendo un deficit di sedimenti, ha causato l incisione dell alveo 2. la riduzione del trasporto solido proveniente dalla parte montana del bacino a seguito della realizzazione di numerose opere di trattenuta (dighe e traverse fluviali), che ha portato, soprattutto nella seconda metà del ventesimo secolo, ad una generale riduzione delle superfici occupate da alveo attivo e ad una conseguente incisione del canale principale; 3. la realizzazione di pennelli trasversali e scogliere spondali, che ha determinato una riduzione della naturale capacità degli ecosistemi fluviali di rinnovarsi nel tempo, attraverso il susseguirsi di processi di distruzione e formazione degli ecosistemi ripariali; 4. la diffusione di specie arbustive ed arboree alloctone, nitrofile e fortemente invasive, che ha determinato una riduzione nella presenza di specie indigene ripariali. Pur esistendo nel tratto di studio ambienti di pregio ed aree ad elevata valenza naturalistica, (un esempio la presenza del sito SIC Fontane di Nogarè ) bisogna sottolineare come in molte aree siano presenti aree semi agricole più o meno degradate e abbandonate, in cui si sta verificando una ricolonizzazione ad opera di specie infestanti e alloctone (Robinia pseudoacacia). Complessivamente, si può affermare che ci si trova di fronte ad un ambiente relittuale, e per questo di valore, ma disturbato e ben lontano dal manifestare pienamente tutte le sue potenzialità. Vi è la necessità in questa fase di sviluppare un insieme di strategie gestionali che sappiano assecondare le tendenze all espansione dell alveo attivo passando da una visione del fiume statica, poco incline ad assecondarne i processi di evoluzione planimetrica, a una di tipo dinamico in grado di mantenere e ricreare un adeguata variabilità morfologica 190

191 dell alveo fluviale. La maggior parte degli interventi di gestione fluviale attuali infatti, tende a considerare in maniera disgiunta gli obbiettivi di mantenimento e ricreazione di habitat naturali rispetto agli obbiettivi di sicurezza e riduzione del rischio idraulico col risultato che spesso il raggiungimento di uno dei due obbiettivi porta all impossibilità di raggiungere il secondo. Alla luce del contesto normativo europeo ed in particolare al fine di raggiungere gli obbiettivi definiti dalla Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE, è nata l esigenze di introdurre una prospettiva nuova, basata su una visione dinamica del fiume, nella quale l ambiente naturale venga lasciato libero di auto generarsi spontaneamente secondo le proprie dinamiche, partendo dalla consapevolezza che dare spazio al fiume, ove possibile, rappresenti una delle migliori strategie di riduzione del rischio idraulico e di pianificazione del territorio Definizione delle Fasce di Gestione Fluviale partendo dal concetto di Fascia di Mobilità Funzionale La definizione di una fascia di piana inondabile (floodplain) all interno della quale l alveo è libero di divagare e di modellare liberamente la propria larghezza in modo da acquisire una nuova configurazione di equilibrio dinamico rappresenta una strategia gestionale utilizzata per il recupero dell equilibrio dinamico in fiumi che hanno fatto registrare rilevanti fenomeni di approfondimento dell alveo. Questo tipo di approccio viene utilizzato da Brookes et al (1996) introducendo il concetto di streamway (Fig. 5.27). La definizione di una Fascia di Mobilità Funzionale e la sua concreta applicazione può essere fondamentale per il raggiungimento degli obbiettivi di una moderna riqualificazione fluviale. Solo lasciando al fiume gli spazi necessari per esprimere la propria dinamica morfologica si potrà garantire il raggiungimento di uno stato di equilibrio morfologico ed ecologico duraturo nel tempo. Ai fini dell applicazione di tale concetto, è pertanto necessario definire una porzione di territorio, indicata in letteratura anglosassone con i termini appunto di streamway, stream corridor o river corridor, e generalmente intesa come quell area 191

192 che da un punto di vista idraulico, geomorfologico ed ambientale risulta strettamente legata e influenzata dal corso d acqua. Una dei primi esempi di elaborazione e definizione del concetto di Fascia di Mobilità Funzionale fu sviluppato da Malavoi et al. (1998) in Francia. Secondo questo lavoro la Fascia di Mobilità Funzionale corrisponde a quella fascia in cui ha divagato il fiume durante le ultime centinaia di anni e le zone di probabile riattivazione per erosione laterale nel medio periodo (prossimi anni). La procedura impiegata per la definizione di tale fascia necessita di un analisi approfondita della dinamica fluviale di lungo e medio periodo. Il percorso per la definizione della Fascia di Mobilità Funzionale proposto da Malavoi si compone di tre fasi: 1 Fase: delimitazione, analizzando la cartografia storica e le fotografie aeree delle zone interessate dalla dinamica fluviale nel corso degli ultimi 200 anni. La fascia così individuata prende il nome di Fascia di divagazione storica 2 Fase: definizione della zona di erosione probabile a medio termine (50 anni). Viene stimato il tasso medio di erosione laterale del corso d acqua sulla base del quale si definisce la larghezza delle due fasce al contorno dell alveo attuale nelle quali è più probabile che si verifichino processi di erosione nei prossimi 50 anni. Per quanto possa trattarsi di un approccio semplificato al problema, in quanto non vuole fare una previsione sulla posizione dell alveo tra 50 anni ma cercare di definire le aree che hanno più probabilità di venir influenzate dalla dinamica fluviale (visione dinamica del sistema fluviale), l individuazione di queste fasce risulta indispensabile in alvei caratterizzati da elevate variazioni planimetriche. 3 Fase: dalla combinazione delle aree individuate nelle due fasi precedenti si ottiene la Fascia di Mobilità Funzionale. Essa è quindi determinata dall analisi della dinamica sia passata (scala temporale lunga) che futura. 192

193 Figura 5.18 Riqualificazione di un alveo inciso attraverso la ricreazione di una fascia di piana inondabile ( streamway ) ad un livello inferiore rispetto al terrazzo (da Shields et al., 1999). L analisi delle precedenti esperienze di definizione della Fascia di Mobilità Funzionale ci ha reso consapevoli che senza alcuni adattamenti la stessa metodologia non si sarebbe adattata alle peculiari caratteristiche evolutive del tratto del fiume Piave oggetto del presente studio. Infatti l entità delle modifiche morfologiche è tale che applicare il concetto di Fascia di divagazione storica (intervallo temporale 200 anni) significherebbe far coincidere la Fascia di divagazione storica con l intero corridoio fluviale compreso all interno dei terrazzi di origine glaciale. Questo risultato avrebbe una scarsa utilità ai fini sia gestionali che di predisposizione di progetti di riqualificazione fluviale. Anche la definizione della zona di erosione probabile a medio termine risulta mal adattarsi al tratto oggetto di studio in quanto proprio la dinamica fluviale degli ultimi 50 anni risulta 193

194 fortemente influenzata da elementi esterni al sistema fiume (impatti antropici) e quindi poco rappresentativa della possibile evoluzione futura. Si descrive di seguito come tale procedura sia stata modificata per meglio adattarsi alle caratteristiche del tratto analizzato ed agli obbiettivi dello studio. 1. Fascia di divagazione storica. Il concetto di fascia di divagazione storica non è stato preso in considerazione perché l entità delle modificazioni avvenute nel passato l avrebbe fatta coincidere con l intero corridoio fluviale 2. Fascia di erosione probabile a medio termine. Il concetto di erosione probabile a medio termine è stato ripreso modificando però la metodologia del calcolo del tasso di erosione. In particolare si è proceduto al calcolo del tasso di erosione non come tasso di erosione all interno di un periodo temporale di medio periodo (50 anni) ma come risposta morfologica (erosione laterale massima) a seguito di uno specifico evento di piena avvenuto nel passato. In particolare quindi attraverso l analisi degli eventi di piena verificatisi nel 1966 e nel 2002 per ogni sottotratto di analisi si è calcolata la massima erosione laterale. Sulla base dei tassi di erosione così ottenuti, sono state definite per ogni sottotratto quattro fasce, con andamento parallelo agli attuali margini dell alveo attivo, che rappresentano quindi le zone di erosione probabile a scala temporale breve (TR anni) e lunga (TR superiore a 200 anni) Questa metodologia di definizione del tasso di erosione nasce dalla consapevolezza che l attuale dinamica morfologica del tratto ed in particolare le tendenze e gli scenari futuri appaio saldamente correlati al verificarsi o meno di eventi di piena di notevole entità. Le passate fasi di restringimento dell alveo hanno portato ad una riduzione significativa dell alveo attivo, l effetto di questa riduzione è che da un lato la dinamica evolutiva dei popolamenti forestali della piana alluvionale e dei terrazzi recenti si è completamente slegata dalla dinamica fluviale (progressivo invecchiamento popolamenti forestali) e dall altro che l alveo attivo risulta oggi rispondere in maniera più significativa al passaggio degli eventi di piena (erosione scarpate fluviali). 194

195 L applicazione di questa metodologia ha portato ha definire una serie di fasce (Fig. 5.28), chiamate Fasce di Gestione Fluviale che potranno essere la base per lo sviluppo di strategie gestionali della vegetazione che puntino a creare corridoi con grado di intervento antropico differenziato a seconda della vicinanza o meno all alveo attivo. Questo tipo di approccio potrà portare da un lato a massimizzare gli effetti positivi della vegetazione fluviale e dall altro predisporre modalità di utilizzazione selvicolturali in grado di assecondare le esigenze di contenimento del rischio idraulico. FASCIA 3 FASCIA 2 FASCIA 1 FASCIA 2 FASCIA 3 Area attualmente slegata dalla dinamica fluviale Area in stretta correlazione con l alveo attivo. Coincide con l alveo attivo attuale Area sede dei principali processi morfologici. Sorgente di sedimenti e materiale legnoso a seguito di eventi di piena ordinari (TR anni Possibile riattivazione con il verificarsi di eventi di piena estremi (TR > 100 anni) Figura 5.19 Schematizzazione delle Fasce di Gestione Fluviale ottenute dalla rielaborazione della metodologia della Fascia di Mobilità Funzionale Si descrive di seguito più in dettaglio caratteristiche e peculiarità delle Fasce di Gestione Fluviale ottenute dall applicazione al caso in esame. FASCIA 1. Coincide con l alveo attivo attuale ed è la zona del corridoio fluviale in cui più intensi sono i processi fluviomorfologici. E individuata attraverso l analisi 195

196 fotointerpretativa. Questa fascia è strettamente correlata alla Fascia 2 da cui, attraverso fenomeni di erosione e arretramento spondale, riceve sedimento e detrito legnoso. Considerato il limitato apporto di sedimenti proveniente da monte proprio l erosione delle sponde sembra essere uno dei fenomeni chiave per il possibile riequilibrio geomorfologico e sedimentologico futuro del tratto. Comprese in questa fascia vi sono anche le isole fluviali. L intervento antropico locale che ne ha maggiormente influenzato la morfologia, in passato, è stata l estrazione di inerti, che ha portato ad un incisione dell alveo ed ad una conseguente tendenza alla semplificazione dell ecosistema fluviale con il passaggio da morfologie a canali intrecciati (braided) a morfologie monocursali pseudomeandriformi (wandering). Dal punto di vista ecologico questi cambiamenti hanno portato ad una riduzione degli habitat con una conseguente alterazione degli equilibri floro-faunistici. FASCE 2. Coincidono con le porzioni di territorio direttamente a contatto con l alveo attivo e sono individuate attraverso la definizione di due fasce parallele all alveo attivo aventi uno spessore pari al tasso massimo di erosione avutosi in ogni sottotratto a seguito dell evento di piena del 2002 (TR 12 anni). In sistemi fluviali non antropizzati coinciderebbe con la piana alluvionale (floodplain) e sarebbe quindi caratterizzata da popolamenti vegetali di tipo pioniero con una dinamica evolutiva caratterizzata dal ciclico susseguirsi di fasi di distruzione e ricolonizzazione. In molti casi invece, nel tratto analizzato, si sviluppano su terrazzi recenti di origine antropica in quanto, a causa dei pregressi fenomeni di incisione, è difficile riscontrare la presenza della piana alluvionale sia in termini altimetrici che strutturali. La forte riduzione dell alveo attivo e il contemporaneo verificarsi di un periodo idrologico con scarsi eventi di piena significativi ha portato ad un forte sviluppo di popolamenti vegetali che stanno evolvendo, in molti casi, in formazioni forestali stabili e mature. La futura gestione di queste fasce risulterà fondamentale per ricostruire il rapporto alveo attivo-piana alluvionale al fine di ottenere importanti risultati dal punto di vista ecologico (ricostruzione di una rete ecologica), biologico (miglioramento della qualità delle acque) ed antropico (possibilità di fruizione turistica). Le modalità di gestione forestali dovranno puntare da un lato al ringiovanimento dei popolamenti esistenti e 196

197 dall altro a favorire la presenza di successioni vegetazionali che assicurino un elevata biodiversità e capacità rigenerativa dell ecosistema. Si dovrà prevedere, nel caso in cui le aree agricole lambiscono i margini delle scarpate fluviale, alla ricostruzione di una fascia con vegetazione pioniera autoctona. Ciò potrà aumentare la variabilità ecosistemica e costituire una fascia tampone necessaria per tutelare la qualità delle acque. FASCE 3. Sono individuate attraverso la definizione di due fasce parallele all alveo attivo aventi uno spessore pari al tasso massimo di erosione avutosi in ogni sottotratto a seguito dell evento di piena del 66. Si sviluppano su terrazzi recenti di origine antropica e sono caratterizzate da popolamenti forestali maturi spesso originatisi da colonizzazione di ex coltivi. Le caratteristiche evolutive della zona e la presenza di numerosi impatti antropici (taglio della vegetazione senza criteri pianificatori, aree di lavorazione di inerti, piantumazioni) hanno favorito la colonizzazione dell area da parte di specie esotiche ed infestanti. La gestione della vegetazione all interno delle fasce dovrebbe cercare da un lato di ridurre lo sviluppo di specie esotiche e dall altro di definire e tutelare le aree naturali ancora integre. In allegato sono riportate le delimitazioni delle Fasce di Gestione Fluviale relative ad ogni sottotratto di analisi Applicazione del concetto di Fasce di Gestione Fluviale alla riqualificazione fluviale Le Fasce di Gestione Fluviale, ottenute dal punto di vista teorico, in realtà si potranno tradurre in fasce di territorio all interno delle quali il fiume è lasciato libero di assecondare la propria dinamica morfologica ed in particolare la tendenza alla migrazione laterale senza intervenire con opere idrauliche di difesa dalle erosioni di sponda. La gestione di queste fasce dovrà cercare da un lato di assecondare i fenomeni di arretramento spondale, consapevoli del fatto che essi rappresentano un fenomeno di 197

198 straordinaria importanza per lo sviluppo di progetti di riqualificazione fluviale in grado di produrre risultati duraturi nel tempo, dall altro gestire le aree attualmente non direttamente interessate dalla dinamica fluviale (Fasce 2 e 3) in modo da limitare e prevenire i problemi che fenomeni di erosione incontrollata possono generare (rischio idraulico, danni alle infrastrutture, perdita di terreni). La realizzazione di nuove opere di protezione all interno delle fasce dovranno essere precedute da studi che ne valutino l effettiva necessità ed in particolare il ruolo al fine del contenimento del rischio idraulico. Per le opere di protezione costruite nel passato ed attualmente interessate dall attuale fase di espansione dell alveo attivo si dovranno valutare le varie alternative di intervento (intervento ricostruttivo, non intervento, demolizione e ricostruzione all esterno della Fasce di Gestione Fluviale ) all interno di una visione globale che sappia valutare il rapporto costi-benefici. Sebbene sia possibile prendere in considerazione l ipotesi di accelerare in alcune zone la tendenza del fiume a conquistare nuovi spazi, sembra in questa fase delle dinamica fluviale (tendenza all espansione) maggiormente auspicabile l ipotesi di assecondare le tendenze recenti del sistema. Ciò porterà spontaneamente il fiume a rioccupare nuove superfici erodendo porzioni di terrazzo fluviale ed andando a generare superfici di piana alluvionale. La possibilità di riattivazione di canali un tempo attivi e di ricreazione della piana alluvionale con intereventi puntuali ad hoc sia per valutazioni di tipo economico che per la difficoltà di ottenere risultati duraturi nel tempo sembra attualmente difficilmente praticabile. La definizione delle Fasce di Gestione Fluviale proprio per come sono state definite si propongono di definire un nuovo approccio alla gestione dei problemi legati all erosione fluviale in quanto la difesa dei territori adiacenti all alveo attivo a priori appare oggi un attività difficilmente sostenibili sia in termini economici che ambientali. Questo tipo di approccio nasce dalla consapevolezza che molti dei problemi legati all erosione fluviale (perdita di terreni, danni alle infrastrutture) derivano da errori di pianificazione territoriale che possono rendere edificabili zone rientranti nella fascia di divagazione fluviale o da alterazioni dell equilibrio sedimentologico del corso d acqua che possono creare deficit nel bilancio dei sedimenti che tendono ad accentuare i fenomeni di erosione spondale ed incisione dell alveo attivo. 198

199 Nello sviluppo di programmi di gestione futuri in sintesi si dovrà prendere in considerazioni le seguenti linee guida: 1. l assetto idromorfologico di un corso d acqua non è mai statico ma tende ad evolvere più o meno rapidamente nel tempo per fattori naturali e antropici 2. la comprensione di tale assetto, e delle relative tendenze evolutive, è essenziale e comporta valutazioni sia a carattere locale (a scala di sottotratti omogenei) che ha carattere globale (a scala di bacino) 3. la realizzazione di opere idrauliche puntuali (es. protezioni laterali) comporta alterazioni alle caratteristiche morfologiche, geometriche e idrauliche 4. la risposta del corso d acqua alle alterazioni locali dipende dalle caratteristiche idrodinamiche del sottotratto ma gli effetti si determinano sia a livello locale a scala di sottotratto (effetti nel breve periodo) sia a scala di bacino (effetti nel lungo periodo) 5. l individuazione delle criticità rispetto al rischio idraulico dipendenti dalla morfologia dell alveo, dalla presenza di opere idrauliche di controllo e di elementi territoriali esposti a rischio rappresenta un attività propedeutica fondamentale 6. lo sviluppo di sistemi di monitoraggio degli aspetti idraulici, morfologici ed ecologici rappresenta un elemento cardine in fase di controllo dei risultati e in fase di aggiornamento e definizione dei nuovi progetti di intervento. Al fine di raggiungere i seguenti obbiettivi specifici: raggiungimento di configurazioni morfologiche dell alveo più stabili e ricerca di un maggior equilibrio nel bilancio dei sedimenti migliorare la capacità di convogliamento dei deflussi di piena 199

200 migliorare la capacità di laminazione naturale dei deflussi di piena all interno del corridoio fluviale migliorare l assetto ecologico dell ecosistema fluviale favorendo la conservazione degli ecosistemi acquatici e ripariali e lo sviluppo di habitat diversificati L obbiettivo della sicurezza idraulica, obbiettivo primo e irrinunciabile di qualsiasi progetto di gestione fluviale in contesti antropizzati, trarrebbe grandi benefici dall applicazione delle Fasce di Gestione Fluviale in quanto nel lungo periodo si aumenterebbero le superfici inondabili durante gli eventi di piena favorendone la laminazione e si favorirebbe il raggiungimento di un equilibrio sedimentologico. Dal punto di vista ambientale l applicazione dell approccio proposto porterebbe a riequilibrare un sistema che ha subito profonde modificazioni nel passato creando inoltre i presupposti per un fruizione sostenibile degli ambienti perifluviali. Tale approccio offre indubbi vantaggi dal punto di vista geomorfologico soprattutto nei casi in cui si ha a che fare con alvei incisi consentendo la rimobilitazione dei sedimenti di cui vi è carenza nel bilancio sedimentologico dell alveo. Per le caratteristiche proprie dei sistemi fluviali risulta difficile stimare i trend evolutivi futuri e soprattutto gli orizzonti temporali di riferimento. Infatti qualsiasi valutazione sulla tempistica necessaria al fiume per raggiungere un riequilibrio morfologici potrebbe essere smentita dal verificarsi di eventi di piena estremi. Un recente lavoro (Surian et al., 2009) ha analizzato i possibili scenari di evoluzione futuri dell alveo attivo, in termini di variazione di larghezza ed elevazione, in vari fiumi delle alpi nord-orientali fra cui il Piave. Da questo lavoro è emerso come i futuri scenari evolutivi saranno strettamente legati ai trend recenti oltre che ai possibili gradi di intervento (Fig. 5.29) 200

201 Cambiamento di larghezza relativo Cambiamento di altezza relativo cambiamenti recenti scenari futuri A B C interventi a scala di tratto e bacino interventi a sola scala di tratto nessun intervento Tempo S1 S2 S3 S4 Figura 5.20 Possibili futuri scenari evolutivi a seconda delle possibili strategie di gestione dei sedimenti (da Surian et al., 2009 modificato). La traiettoria A è relativa al tratto del fiume Piave all interno del Vallone Bellunese. Relativamente alle strategie di intervento risulta pertanto interessante formulare alcuni possibili scenari di intervento che ha seconda degli obbiettivi e delle caratteristiche dei vari sottotratti d analisi possono fungere da linee guida di intervento: 1. STRATEGIA DI INTERVENTO A GRADO DI INTERVENTO ZERO Nessun intervento di tipo puntuale. Si tratterebbe di lasciare che il fiume riacquisti in maniera naturale la sua configurazione morfologica senza intervenire lasciando quindi alla libera evoluzione naturale la determinazione della tempistica delle modificazioni. Non sono da prevedere interventi di manutenzione o di ricostruzione delle opere di protezione in caso di danneggiamento presenti all interno delle fasce

202 2. STRATEGIA DI INTERVENTO A GRADO DI INTERVENTO MODERATO Eseguire una serie di interventi che assecondino l evoluzione naturale. Si tratterebbe di accelerare e favorire processi già in atto come per esempio rimuovere opere di difesa compromesse presenti nelle fasce 2, riaprire canali secondari di recente abbandono (Fasce 1 e 2), effettuare interventi colturali tesi al ringiovanimento dei popolamenti arborei (Fasce 2 e 3). Tutti gli interventi realizzati sono a scala di tratto 3. STRATEGIA DI INTERVENTO A GRADO DI INTERVENTO ELEVATO Ricreare una nuova configurazione morfologica attraverso interventi di ricostruzione morfologica. Si tratterebbe di strategie con un elevato grado di intervento sul territorio, sia a scala di tratti, come la creazione attraverso lo sbancamento di aree di piana alluvionale (Fasce 2), la riapertura di vecchi canali secondari abbandonati (Fasce 2 e 3) sia a scala di bacino, con interventi che mirino a ristabilire la connettività delle aree a monte dei bacini idroelettrici con le aste fluviali a valle (es. immissione di sedimenti estratti dai bacini) In Figura 5.30 è rappresentata una schematizzazione dei possibili trend evolutivi futuri partendo dall attuale dinamica morfologica. In particolare, a seconda delle condizioni dei vari sottotratti, si potrà andare verso un ulteriore fase di restringimento (tratti con elevato grado di confinamento e scarso apporto di sedimenti da monte), una fase di equilibrio (tratti con erosione laterale omogenea) o una fase di innalzamento (tratti con erosione laterale marcata ed elevata connettività con i tributari (zone di confluenza). 202

203 Figura 5.20 Schematizzazione dei possibili trend evolutivi futuri partendo dall attuale dinamica morfologica 203

204 204

205 6. CONCLUSIONI La presente attività di ricerca ha riguardato l analisi della dinamica passata e recente del fiume Piave nel Vallone Bellunese al fine di definire i tempi e l entità dei cambiamenti morfologici avvenuti e sviluppare strumenti di gestione innovativi capaci di assicurare il raggiungimento ed il mantenimento degli standard di qualità imposti dalla legislazione europea (Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE). Le metodologie di indagine impiegate sono consistite in analisi fotointerpretative ed elaborazioni cartografiche eseguite attraverso l utilizzo di appositi software GIS (Geografic Information Sistems). L utilizzo di software GIS ha rappresentato un eccezionale strumento di gestione dei dati territoriali in quanto ha permesso di creare, oltre ad una dettagliata produzione cartografica, anche una serie di geodatabases facilmente fruibile mediante anche altri software di analisi. Si è cercato di utilizzare i dati ottenuti nella prima parte dell indagine (fase conoscitiva) per sviluppare una serie di cartografie di sintesi e linee guida finalizzate alla gestione della risorsa idrica ed alla pianificazione delle zone perifluviali con particolare riferimento alla gestione della vegetazione in alveo (fase applicativa). Nella fase conoscitiva, per i sei sottotratti in cui è stato divisa l area di studio, è stata analizzata l evoluzione morfologica recente nell intervallo temporale e lo stato attuale (carta geomorfologica). I risultati ottenuti nella prima parte della ricerca mostrano: che le fasi di espansione dell alveo attivo, conseguenti al verificarsi degli eventi di piena, non sono riuscite ad invertire il trend di riduzione verificatosi nel periodo analizzato il passaggio da tipologie predominanti a canali intrecciati (braided), ancora dominanti negli anni sessanta, a tipologie pseudomeandriformi (wandering) divenute dominanti negli anni novanta una fase di espansione recente (ultimi dieci anni) che sta portando un ritorno alla morfologia a canali intrecciati (braided) alla quale è associata una conseguente erosione delle superfici vegetate che nel tempo si sono sviluppate ai margini dell alveo attivo. 205

206 che la dinamica delle isole fluviali è fortemente correlata al verificarsi di eventi di piena aventi tempi di ritorno superiori a anni Nella successiva fase applicativa si sono sviluppate una serie di cartografie di sintesi e strategie che, partendo dall analisi dei processi fluviali e delle conseguenze morfologiche sviluppatesi a seguito degli eventi di piena avvenuti negli anni 1966 (Tempo di ritorno > 200 anni) e 2002 (Tempo di ritorno = 12 anni), hanno cercato di definire i possibili trend evolutivi futuri. In particolare, partendo dal concetto di Fascia di Mobilità Funzionale, che prevede la definizione di una fascia di piana inondabile all interno della quale l alveo è lasciato libero di divagare in modo da acquisire una nuova configurazione di equilibrio dinamico, si è sviluppato il nuovo concetto di Fasce di Gestione Fluviale in grado di meglio adattarsi a sistemi fluviali profondamente influenzati da interventi antropici. Lo sviluppo di questa nuova metodologia ha portato ha definire una serie di fasce, chiamate Fasce di Gestione Fluviale, che possono essere la base per la definizione di strategie gestionali della vegetazione che puntino a creare corridoi con grado di intervento antropico differenziato, a seconda della vicinanza o meno all alveo attivo. Le Fasce di Gestione Fluviale ottenute dal punto di vista teorico nella realtà si traducono in fasce di territorio in cui al fiume vengono dati gradi di libertà diversi in funzione della localizzazione all interno del corridoio fluviale, delle tendenze evolutive recenti, del tipo di soprassuolo presente e delle eventuali criticità idrauliche. Lo sviluppo di politiche gestionali che puntino ad assecondare, dove possibile, invece che contrastare, la dinamica morfologica dei fiumi potrà, in futuro, rappresentare la soluzione oltre che a problematiche di tipo morfologico-ambientale anche a problematiche di tipo idraulico. Permettere al fiume di occupare nuovi spazi, all interno del corridoio fluviale, potrà portare alla soluzione e alla mitigazione di problematiche che, attualmente, i tradizionali metodi di gestione sono in grado di risolvere con costi, sia economici che ambientali, sempre più insostenibili. Dal punto di vista della sicurezza idraulica, obbiettivo primo e irrinunciabile, di qualsiasi politica di gestione fluviale, l applicazione e il mantenimento delle Fasce di Gestione Fluviale avrebbe numerose ripercussioni positive. In primo luogo, favorendo la sviluppo di nuove superfici di piana alluvionale, contribuirebbe alla laminazione dei picchi di piena. Nel lungo periodo favorirebbe inoltre, attraverso 206

207 l erosione spondale, sia il riequilibrio sedimentologico, riducendo i fenomeni di incisione dell alveo attivo, sia il ciclico rinnovamento della vegetazione nelle zone prossime, riducendo i possibili rischi idraulici legati alle presenza di popolamenti forestali maturi. Se consideriamo gli altri principali obbiettivi che una moderna politica di gestione fluviale deve prefiggersi, quali ad esempio tutela e riqualificazione ambientale, mantenimento e miglioramento della qualità della risorsa idrica e fruizione turistica vediamo come, anche in questi casi, l applicazione delle Fasce di Gestione Fluviale possa portare numerosi ricadute positive. Garantire al fiume una efficiente continuità laterale contribuisce infatti a sviluppare e mantenere un elevata complessità morfologica ed ecosistemica sia all interno dell alveo attivo, attraverso l apporto di sedimenti e materiale legnoso, sia nelle aree esterne, attraverso lo sviluppo di un complesso sistema di habitat e formazioni vegetali. Il mantenimento di fasce di vegetazione a vari gradi di sviluppo, creando un mosaico di successioni vegetazionali caratterizzate da una elevata biodiversità, può contribuire ad aumentare anche le potenzialità turistiche e la fruizione del territorio. Per questi motivi la definizione e l applicazione delle Fasce di Gestione Fluviale potrà essere fondamentale per sviluppare politiche di gestione fluviale capaci di produrre risultati duraturi nel tempo e in grado di coniugare le esigenze di sicurezza idraulica con la tutela e la protezione degli ecosistemi fluviali così come richiesto dalla normativa europea (Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE). 207

208 208

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