Paolo Borsellino, i misteri che restano su via D Amelio 25 anni dopo

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1 Paolo Borsellino, i misteri che restano su via D Amelio 25 anni dopo di Giovanni Bianconi L ultimo processo per la strage di via D Amelio è appena cominciato, a carico dell ultimo grande latitante di Cosa nostra rimasto in libertà, Matteo Messina Denaro. Davanti alla corte d assise di Caltanissetta, il boss mafioso verrà giudicato per la morte di Paolo Borsellino e degli agenti di scorta (e di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i tre poliziotti uccisi con loro a Capaci): un occasione non solo per valutare le sue responsabilità per le bombe del 1992, e cercare le verità che dopo 4 processi e la scoperta del «gigantesco depistaggio» svelato dal pentito Spatuzza ancora mancano sull attentato del 19 luglio A distanza di venticinque anni restano diverse «questioni irrisolte», per dirla con i pubblici ministeri di Caltanissetta; un drappello di inquirenti ostinati il procuratore Amedeo Bertone, gli aggiunti Gabriele Paci e Lia Sava, il sostituto Stefano Luciani che continua a scavare fra verbali e intercettazioni vecchie e nuove. Come quelle arrivate di recente da Palermo con le conversazioni registrate in carcere del boss stragista

2 Giuseppe Graviano, l uomo che cercava i nuovi referenti politici di Cosa nostra a colpi di tritolo e dinamite; o le numerosissime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia rilette alla ricerca di ulteriori elementi da approfondire. Tra queste ci sono le frasi di un «pentito», Armando Palmeri, che fu autista e uomo di fiducia del capomafia trapanese Vincenzo Milazzo, ammazzato cinque giorni prima di Borsellino, il 14 luglio 1992, quando scomparve insieme alla fidanzata Antonella Bonomo. Al duplice delitto partecipò, su mandato di Totò Riina, anche Messina Denaro. Il movente «ufficiale» dell eliminazione di Milazzo furono presunte violazioni delle regole interne a Cosa nostra, ma Palmeri ha svelato alcuni retroscena che offrono una diversa chiave di lettura e si collegano alla ricerca dei cosiddetti «concorrenti esterni» delle stragi. Quelle del 92, ma anche quelle in continente del Secondo il suo autista, Milazzo che all epoca era ricercato ebbe «una serie di incontri con personaggi dichiaratisi appartenenti ai servizi segreti, che gli avrebbero prospettato un progetto volto a destabilizzare lo Stato». Palmeri lo accompagnava agli appuntamenti ma poi rimaneva nei dintorni, su ordine del capo, «per controllare la situazione a distanza». Ci furono almeno tre riunioni, «tutte durarono circa un paio d ore». L ultima si tenne «una decina di giorni prima della sua morte». Quindi dopo la strage di Capaci e prima di via D Amelio. «Nel corso di tali riunioni ha raccontato il pentito a Milazzo venne proposto di adoperarsi per la destabilizzazione dello Stato, finalità da perseguire attraverso il compimento di atti terroristici fuori dalla Sicilia. Milazzo si dimostrò decisamente contrario alla proposta che, diceva, non avrebbe portato alcun vantaggio a Cosa nostra e anzi avrebbe determinato una veemente reazione dello Stato». Le persone legate ai Servizi esercitavano sul boss «un certo fascino, al punto che continuava a ripetermi che la vera mafia non è quella di Cosa nostra ma quella segreta di cui gli stessi facevano parte». Di recente Palmeri, assistito dall ex pm di Palermo Antonio Ingroia divenuto avvocato, è stato riascoltato dagli inquirenti nisseni, ai quali ha fatto il nome

3 di chi presentò gli «appartenenti ai Servizi» a Milazzo. Ha precisato che «il primo incontro avvenne prima della strage di Capaci», che «dopo aver rifiutato la proposta di porre in essere le stragi Milazzo iniziò a temere per la sua vita», e che secondo lui «la sua contrarietà fu riferita a Riina che ne decise l eliminazione». Il pentito sarà chiamato a deporre nel processo a Messina Denaro, per approfondire la pista dei «concorrenti esterni» alla mafia che la Procura di Caltanissetta considera il principale tra «i residui nodi da sciogliere», insieme alla scomparsa dell agenda rossa con gli appunti segreti di Paolo Borsellino, dal momento che tutti gli approfondimenti svolti finora «non sono risultati sufficienti a colmare i tanti vuoti ereditati dalla iniziale gestione delle indagini svolte a suo tempo» dal gruppo di poliziotti che diede credito al falso pentito Vincenzo Scarantino. Tuttavia i pm hanno scritto con chiarezza nella loro ultima requisitoria che il depistaggio non serviva a coprire gli eventuali contatti fra la mafia e i nuovi referenti politici cercati con le stragi. Perché altrimenti Scarantino non avrebbe tirato in ballo quel Giuseppe Graviano «all epoca cerniera tra Cosa nostra e il mondo istituzionale, artefice dell intera strategia stragista» e ancor più «l ambigua figura di Gaetano Scotto, uomo d onore indicato da vari collaboratori come personaggio chiave nei rapporti tra Cosa nostra e spezzoni deviati dei servizi di sicurezza». Un altro mistero da sciogliere, 25 anni dopo. *tratto dal Corriere della Sera Nel labirinto delle stragi di Attilio Bolzoni In quei due mesi è accaduto molto ma non tutto. Dal 23 maggio al 19 luglio 1992, cinquantasette

4 giorni, bombe e autobombe, ucciso Giovanni Falcone, ucciso Paolo Borsellino. Tanti i segreti che sono stati seppelliti in questo quarto di secolo, tante le verità che ancora l Italia non conosce. A farci entrare nel labirinto delle stragi per il blog Mafie è Enrico Bellavia, giornalista di Repubblica che con il suo sapere ci accompagna dall Addaura ai grandi misteri che ancora si inseguono dopo venticinque anni.e un lungo racconto ma non è solo un racconto. E anche un ragionamento intorno a fatti e trame che portano Bellavia a un convincimento: per capire cosa è avvenuto nell estate del 1992 non bisogna guardare indietro ma bisogna guardare avanti: Non a quello che le vittime avevano fatto ma a quello che avrebbero potuto fare. Delitti preventivi. Una ricostruzione divisa in una ventina di capitoli, vicende tutte legate una all altra anche se lontane nel tempo. C è l intrigo della trattativa Stato-mafia e c è l oscura parentesi della dissociazione morbida che avrebbero voluto alcuni boss dopo la repressione poliziesca-giudiziaria che ha colpito Cosa Nostra, ci sono i retroscena di quel rapporto sugli appalti dei carabinieri dei reparti speciali con le grandi aziende del Nord in affari con Totò Riina, c è il ricordo degli ultimi giorni del procuratore Borsellino che riceve le confidenze di Gaspare Mutolo e di Leonardo Messina. Un estate del 1992 sospesa nel prima e nel dopo. Con eventi ancora oggi indecifrabili. Le telefonate di rivendicazione della famigerata Falange Armata. E il suicidio nel carcere di Rebibbia di Antonino Gioè, uno di quei mafiosi che partecipò alle fasi preparatorie dell attentato di Capaci e che fu trovato cadavere ventiquattro ore prima delle esplosioni il 27 luglio del 1993 in via Palestro a Milano e davanti alle basiliche romane. Con l apparizione improvvisa di personaggi che hanno depistato le inchieste sino ad affossarle. Come Vincenzo Scarantino, il pupo vestito, il pentito fasullo di via D Amelio creduto oltre ogni ragionevole limite da qualche poliziotto e da schiere di magistrati. Come Massimo Ciancimino, il figlio dell ex sindaco mafioso di Palermo che ha spacciato informazioni tarocche per conto proprio o per conto terzi. Venticinque anni dopo nonostante le inchieste giudiziarie e gli ergastoli che hanno rinchiuso per sempre nelle segrete del 41 bis i capi della Cupola siamo ancora dentro il labirinto.

5 Corvi e veleni annunciano la guerra di Enrico Bellavia Giovanni Falcone, lo aveva chiaro, sugli scogli dell Addaura si era combattuta una guerra tra chi nello Stato lo voleva morto e chi, nello Stato gli aveva salvato la vita. Ecco perché parlò di menti raffinatissime dietro la strage sventata. Sapeva che non era solo affare di manovalanza criminale. Su quella scogliera non c era solo Cosa Nostra. Dal 21 giugno 1989 il giudice non dormirà più nel suo letto. Ma sdraiato sul pavimento, sotto il cuscino una pistola. Al suo amico Francesco La Licata confida: «Non mi posso più permettere di dormire a sonno pieno». Ed ai funerali di Nino Agostino sussurra al vicequestore Saverio Montalbano: Questo è un segnale contro di me e contro di te. I sospetti per l Addaura si addensano sui boss Madonia, mafioso il padre Francesco e tre dei suoi quattro figli, Giuseppe, Nino e Salvino, sicari col diploma in tasca, fedelissimi di Totò Riina. I

6 luogotenenti dei Madonia sono i Galatolo, solida famiglia della costa. Controllano il cantiere navale. E nel loro quartier generale, tra l Acquasanta e l Arenella, sono di casa anche alcuni sbirri, tra cui quell uomo con la faccia da mostro che era andato a cercare Nino Agostino a casa pochi giorni prima del suo omicidio. Lorenzo Narracci, il numero due del Sisde a Palermo, fedelissimo del capo locale dei Servizi, Bruno Contrada, ha la barca ormeggiata proprio di fronte casa Galatolo. Ma sugli scogli dell Addaura, davanti la villa che Falcone, affittava ogni estate, più che indagare si smobilita. Ci si incarica di ripulire in fretta la scena del crimine da ogni traccia. Viene fatto brillare il congegno dell innesco. E cancellato un elemento chiave per dare concretezza alla tesi che di una strage sventata e non di un avvertimento si era trattato. E così intorno a Falcone inizia il valzer dei sospetti: la bomba?, una messinscena voluta da lui stesso per acquisire meriti e benemerenze, un viatico di carriera. Il Corvo, l anonimo estensore della lettera in cui la vulgata si tradusse in scritto, lo sostenne. Il resto fu un turbine che travolse il giudice Alberto Di Pisa come autore dell anonimo poi scagionato fermò nei fatti una gigantesca istruttoria sul ruolo dell ex sindaco Vito Ciancimino nel mondo degli appalti e confuse nella sabbia della maldicenza tutto e tutti. A occuparsi di indagini sulle indagini ci mise del suo l apparato dell Alto commissariato alla lotta alla mafia, un carrozzone di assoluta inutilità con il quale lo Stato si era lavato la coscienza relegando ancora una volta alla Sicilia il compito di sbrogliarsela con il suo male. Giovanni Falcone per primo era convinto che così com era non servisse a molto, tanto più che quando era stato in predicato di dirigerlo, a Roma avevano trovato il modo di impedirglielo. Perché l Alto commissariato, nei fatti una succursale dell allora Sisde il servizio segreto civile era il crocevia di un certo modo di acquisire informazioni che dovevano restare al sicuro.

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