REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE SENTENZA

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1 537/15 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CLAUDIA SQUASSONI Dott. RENATO GRILLO Dott. LORENZO ORILIA Dott. ALDO ACETO Dott. ANDREA GENTILI UDIENZA PUBBLICA DEL 10/12/2014 SENTENZA - Presidente - N. 3511/ Consigliere - REGISTRO GENERALE N / Rel. Consigliere - - Consigliere - - Consigliere - ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da: SENTENZA TOSCHI ANTONELLA N. IL 04/10/1962 avverso la sentenza n. 1982/2013 TRIBUNALE di LUCCA, del 25/03/2014 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/12/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. unie,,o P-12~6744/o che ha concluso per Udito, per la parte civile, l'avv Uditi difensor Avv.

2 RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Lucca, con sentenza ha affermato la responsabilità penale di Toschi Antonella per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), perché, quale amministratore della ditta Tosca srl, nell'eseguire opere edili, omesso di esporre il prescritto cartello all'esterno del cantiere in Lucca San Marco. Per giungere a tale conclusione il Tribunale ha richiamato le risultanze del sopralluogo (confermate in dibattimento dal teste di polizia municipale), osservando che il cartello prescritto dal regolamento edilizio risultava bianco, completamente illeggibile e che le conseguenze non mutavano anche in caso di eventuale deterioramento della scritta originaria per effetto di agenti atmosferici. Ha richiamato la giurisprudenza che individua i destinatari della norma violata (titolare del permesso di costruire, committente, costruttore o direttore dei lavori) ed ha ritenuto che l'imputata, quale amministratore della società proprietaria dell'immobile è dunque titolare del permesso di costruire e committente. 2. Avverso tale pronuncia il difensore ricorre per cassazione denunziando tre motivi. 2.2 Col secondo motivo deduce la violazione degli artt. 29 e 44 del DPR n. 380/2001 con riferimento alla ascrivibilità della condotta all'imputata nonché il vizio di motivazione. Premesso che destinatari della norma sono il titolare del permesso di costruire, committente, costruttore o direttore dei lavori, osserva la ricorrente che nessuna di dette qualifiche è ad essa riconducibile, essendo essa solo amministratore della società proprietaria (come emerso peraltro da una dichiarazione neppure utilizzabile perché resa dal direttore dei lavori, cioè da un soggetto che, essendo tenuto a risponderne della contravvenzione, doveva essere sentito con le garanzie dell'art. 62 comma 2 cpp). Denunzia l'illogicità della motivazione laddove si afferma che il mero proprietario è, in quanto tale, titolare del permesso di costruire e committente, in assenza di qualsiasi documentazione o accertamento al riguardo. Osserva che il permesso di costruire può essere rilasciato anche a soggetto diverso dal proprietario, come si evince dall'art. 11 DPR n. 380/2001. Denunzia l'errore interpretativo della norma violata e di quella cli ocui all'art. 29 DPR n. 380/2001 che non prevede la figura del proprietario tra i destinatari del precetto sanzionato. 2.3 Con il terzo ed ultimo motivo di ricorso si denunzia il vizio di motivazione in relazione alla ascrivibilità alla ricorrente della condotta sanzionata perché dalla deposizione dei testi non poteva escludersi la sostituzione dell'originario cartello (munito di tutte le indicazioni) da parte di una delle ditte che si sono succedute nel cantiere. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il secondo motivo di ricorso è fondato ed assorbe ogni altra censura.

3 Occorre premettere che, come già rilevato in giurisprudenza (Sez. 3, Sentenza n del 04/06/2013 Ud. dep. 11/07/2013 Rv ), il reato previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), ha natura residuale rispetto alle altre violazioni menzionate dal medesimo articolo e sanziona, con la sola pena dell'ammenda, l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal titolo IV del menzionato D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto applicabili, l'inosservanza delle disposizioni dei regolamenti edilizi, l'inosservanza di prescrizioni contemplate dagli strumenti urbanistici e l'inosservanza delle prescrizioni fissate dal permesso di costruire. Questa Corte, vigente la L. n. 47 del 1985, ha avuto modo di rilevare l'estrema genericità della disposizione allora contenuta nell'art. 20, lett. a) e la possibilità di una pluralità indiscriminata di utilizzazioni, con conseguente insufficienza della interpretazione letterale, se non altro perché in contrasto con il principio della tassatività delle fattispecie legali penali ed ha posto in evidenza la necessità di delimitarne l'ambito applicativo tenendo conto della sua collocazione in un contesto normativo volto a disciplinare l'attività edilizia, affermando, conseguentemente, che "le norme, prescrizioni e modalità esecutive" di cui all'art. 20, lett. a), dovevano intendersi riferite soltanto a quelle regole di condotta che sono direttamente afferenti all'attività edilizia (Sez. 3^ n. 8965, 21 giugno 1990). Parimenti è stata rilevata la sua natura di norma penale in bianco poiché, mentre la sanzione è determinata, il precetto di carattere generico rinvia ad un dato esterno quale il titolo abilitativo, il regolamento edilizio, ecc. (SS.UU. n. 7978, 14 luglio 1992; v. anche SS.UU. n , 21 dicembre 1993). Si è altresì evidenziato (Sez. III n , 31 maggio 2011), come il riferimento contenuto nella disposizione attualmente vigente alle disposizioni di legge "previste nel presente titolo" (titolo IV, Parte prima del D.P.R. n. 380 del 2001, comprendente gli artt. da 27 a 51) sia certamente riduttivo rispetto alla previgente fattispecie di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a), la quale, punendo "l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dalle presente legge, dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni e integrazioni", si riteneva effettuasse un rinvio aperto a tutta la legislazione urbanistico-edilizia, addirittura comprensiva, secondo parte della giurisprudenza, anche delle leggi regionali integrative. Ciò non di meno, pur in presenza di un ambito di operatività più contenuto, si è comunque ritenuto che la mancata apposizione del cartello di cantiere continui ad essere assoggettata alla sanzione penale prevista dalla richiamata disposizione. Deve a tale proposito ricordarsi quanto già rilevato in giurisprudenza sull'argomento (Sez. 3^ n , 11 maggio 2006) ricordando come il contenuto della L. n. 47 del 1985, art. 4, comma 4, prevedesse, per coloro che eseguivano interventi edilizi, il duplice obbligo di esibizione della concessione edilizia e

4 dell'esposizione del cartello di cantiere - a condizione che lo stesso fosse espressamente previsto dai regolamenti edilizi o dalla concessione - la cui violazione era penalmente sanzionata dati1 art. 20, lett. a) più volte menzionato (a tale proposito si richiamava quanto stabilito dalle precedenti decisioni: SS.UU. 7978/92, cit.; Sez. 3^ n , 5 ottobre 1994). Veniva altresì dato atto dell'intervenuta abrogazione della L. n. 47 del 1985, art. 4, rilevando, tuttavia, la riproduzione del suo contenuto nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 27, comma 4, laddove si impone agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria l'obbligo di comunicazione immediata all'autorità giudiziaria nel caso in cui accertino che nei luoghi in cui vengono realizzate opere edilizie non sia esibito il permesso di costruire ovvero non sia apposto il prescritto cartello. Contestualmente si individuavano i destinatari dell'obbligo in quelli già indicati dalla L. n. 47 del 1985, art. 6, comma 1, e, segnatamente, nel titolare della concessione, nel committente, nel costruttore e nel direttore dei lavori. Anche tale ultima affermazione è pienamente condivisibile: infatti il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 1, riproduce attualmente il medesimo contenuto della disposizione previgente, con l'unica differenza del riferimento al titolo abilitativo, che non è più la concessione ma il permesso di costruire. Pertanto, la violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo, già sanzionata sotto la vigenza dell'ormai abrogata L. n. 47 del 1985, è tuttora punita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), in ragione del rapporto di continuità normativa intercorrente tra le diverse disposizioni. I destinatari dell'obbligo vanno individuati nel titolare del permesso di costruire, nel committente, nel costruttore e nel direttore dei lavori. 2. Venendo al caso di specie, osserva il Collegio che il giudice del merito ha fondato la penale responsabilità dell'imputata per la mancata esposizione del cartello di cantiere partendo dal rilievo che, essendo amministratore società proprietaria dell'immobile, "è dunque titolare del permesso di costruire e committente dei lavori". Un tale percorso argomentativo è errato in diritto perché dà per scontato che il proprietario debba essere necessariamente anche il titolare del permesso di costruire mentre invece tali figure, se normalmente sono coincidenti, non lo sono necessariamente. Il DPR n. 380/2001 art. 11 primo comma stabilisce che "il premesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo": la norma, come si vede, è chiarissima nel prevedere il rilascio anche in favore di soggetto diverso dal proprietario dell'immobile, purché "abbia titolo per richiederlo" (cfr. Consiglio di Stato sez. 5 n. 2882/2001). E non a caso il legislatore usa la congiunzione con valore disgiuntivo "o" precisando poi, al comma 2 dell'art. 11, che il permesso "non incide

5 sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio". Altro errore di diritto sta nel ritenere che anche il committente debba necessariamente identificarsi col proprietario dell'immobile, mentre invece ciò non sempre accade: il committente, infatti, è solo la parte che concede in appalto i lavori e può anche essere diverso dal proprietario. Il decreto legislativo n. 81 (Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) che all'art. 89 comma 1 lett. b definisce committente come "il soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione. Nel caso di appalto di opera pubblica, il committente e' il soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell'appalto". Nessuna norma prevede che il committente debba essere necessariamente il proprietario dell'immobile, ben potendo assumere la suddetta veste anche essere il titolare di un altro diritto reale, come ad esempio l'usufruttuario o il titolare del diritto di abitazione. Il percorso argomentativo si rivela infine carente sotto il profilo motivazionale perché il Tribunale avrebbe dovuto quanto meno indicare gli elementi da cui ha tratto il convincimento che il proprietario dell'immobile fosse anche il titolare del permesso di costruire nonché il committente ed invece nessun riferimento si rinviene né in ordine al permesso di costruire né ad un contratto di appalto né a qualunque altro documento che possa portare a ritenere l'imputata titolare della veste che invece, sic et simpliciter, le si attribuisce. La sentenza va pertanto annullata per nuovo esame da parte del giudice di rinvio che, sulla scorta degli esposti principi, verificherà, dando congrua motivazione, se l'imputata possa rientrare tra i destinatari dell'obbligo di cui oggi si discute. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Lucca. Così deciso in Roma, il Il cbns. est. Il Presidente O ;91 DEPOSITATA IN C&NCELLERA Cti- 1/L-

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