DECISIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE

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1 DECISIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE (da n. 318/2007 a n. 327/2007) Corte costituzionale; ordinanza 318/2007 (G.U., 1 s.s., n. 29 del 25 luglio 2007). Giudizio in via incidentale sospensione condizionata della pena detentiva artt. 3, 27, 3 comma, Cost. - restituzione degli atti al giudice a quo per illegittimità costituzionale sopravvenuta Il Magistrato di sorveglianza di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, 3 comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell art. 1, 3 comma, della legge 207/2003, nella parte in cui non prevede che la sospensione condizionata dell esecuzione della pena non può essere concessa a chi ha già beneficiato di una misura alternativa alla detenzione revocata per condotta colpevole, ai sensi dell art. 51-ter della legge 354/1975. Successivamente alla proposizione della questione, la Corte, con sentenza n. 255/2006, ha dichiarato l illegittimità costituzionale dell art. 1, 1 comma, della legge n. 207/2003, nella parte in cui non prevede che il giudice di sorveglianza possa negare la sospensione condizionata della pena detentiva al condannato sulla base di un giudizio di non meritevolezza del beneficio, per il contrasto dell automatismo che si rinviene nella norma denunciata con i principi di proporzionalità e di individualizzazione della pena. E stata così ordinata la restituzione degli atti al giudice rimettente, al fine di una nuova valutazione della rilevanza della questione proposta. Corte costituzionale; ordinanza 319/2007 (G.U., 1 s.s., n. 29 del 25 luglio 2007). Giudizio in via incidentale mancata previsione della possibilità di nominare un curatore speciale nei cui confronti promuovere l azione per la dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità naturale in caso di premorienza sia dei presunti padre o madre sia degli eredi 3, 24 Cost. carenza di motivazione manifesta inammissibilità Il Tribunale di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell art. 276, 1 comma, c.c., nella parte in cui non prevede la possibilità della nomina di un curatore speciale nei cui confronti promuovere l azione per la dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità naturale in caso di premorienza sia dei presunti padre o madre sia degli eredi, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. L art. 276 c.c., limitando la determinazione dei soggetti passivamente legittimati nell azione per dichiarazione giudiziale di paternità, in caso di morte del genitore, esclusivamente ai suoi eredi e non anche agli eredi degli eredi, senza ammettere la possibilità della nomina di un curatore speciale nominato dal giudice, si porrebbe in contrasto con il principio di cui all art. 3 Cost., poiché determina una disparità di trattamento, generale ed in linea di principio e senza alcuna possibilità di diversa valutazione, rispetto a fattispecie simili (quale l azione di disconoscimento di paternità); e reca altresì vulnus al principio di cui all art. 24 Cost., in quanto pone limiti alla possibilità di far valere in giudizio il riconoscimento della paternità o maternità naturale, che è azione imprescrittibile (art. 270, 1 comma, cod.civ.). La scelta del legislatore di non prevedere in linea di principio la possibilità della nomina di un curatore speciale per l instaurazione del giudizio di riconoscimento di paternità naturale, con la possibilità dunque per il giudice competente di valutare le specificità della fattispecie, e di prevedere invece la medesima nomina per l azione di disconoscimento della paternità, sembrerebbe porsi in contrasto con i richiamati princípi costituzionali. La Corte ha però dichiarato la questione manifestamente inammissibile, rilevando che il giudice a quo, dopo avere premesso che lo stesso Tribunale di Milano ha dichiarato, con

2 sentenza, l inammissibilità dell azione di dichiarazione giudiziale di paternità per carenza di legittimazione passiva dei soggetti convenuti, si è limitato ad affermare, apoditticamente, la rilevanza della questione, senza motivare in ordine alla persistenza del proprio potere decisorio a séguito della pronuncia di inammissibilità dell azione, emessa fra le stesse parti, costituente giudicato rilevabile d ufficio. Corte costituzionale; ordinanza 320/2007 (G.U., 1 s.s., n. 29 del 25 luglio 2007). Giudizio in via incidentale inappellabilità delle sentenze di proscioglimento emesse a seguito di giudizio abbreviato art. 3, 111 Cost. illegittimità costituzionale Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell art. 2 della legge 46/2006, nella parte in cui, novellando l art. 443 c.p.p., esclude che il pubblico ministero possa appellare le sentenze di proscioglimento emesse a seguito di giudizio abbreviato; nonché della disposizione transitoria di cui all art. 10 della medesima legge, nella parte in cui rende applicabile tale nuova disciplina ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, stabilendo, altresì, che l appello anteriormente proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento viene dichiarato inammissibile, salva la facoltà dell appellante di proporre ricorso per cassazione entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità. Le disposizioni impugnate violerebbero, in particolare, il principio di parità delle parti nel processo ex art. 111, 2 comma, Cost. Per effetto di esse, infatti, il pubblico ministero si vedrebbe sottratto quasi completamente il potere di appello avverso le sentenze pronunciate a conclusione di tale rito speciale, anche quando emerga con più forza il suo interesse ad impugnare. Tale limitazione impedirebbe, altresì, di assolvere i compiti previsti dall art. 112 Cost. in ordine all effettivo e funzionale esercizio dell azione penale. Ad avviso del giudice a quo, sarebbe inoltre compromesso l art. 3 Cost., dovendosi ritenere del tutto irragionevole che, nel giudizio abbreviato, la parte pubblica sia abilitata a proporre appello contro la sentenza di condanna che modifica il titolo del reato (art. 443, 3 comma, c.p.p.), e dunque in situazioni nelle quali la pretesa punitiva è stata accolta solo in parte; mentre non goda di analogo potere nella «più significativa» ipotesi in cui la pretesa punitiva è stata completamente respinta. La Corte ha dichiarato che in riferimento all art. 111, 2 comma, Cost., la questione è fondata. Con la sentenza n. 26/2007 la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima per contrasto con il principio di parità delle parti la rimozione del potere di appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio ordinario (rimozione sancita dall art. 1 della legge n. 46/2006, tramite sostituzione dell art. 593 c.p.p.): rilevando come l asimmetria di poteri fra parte pubblica e imputato che ne conseguiva per il suo carattere radicale, generalizzato e unilaterale non potesse trovare adeguata giustificazione nelle rationes che, alla stregua dei lavori parlamentari, si collocano alla radice della riforma. L esito dello scrutinio di costituzionalità non può essere diverso in rapporto all omologa previsione ablativa concernente il giudizio abbreviato. Correlativamente la Corte ha dichiarato l illegittimità costituzionale anche dell art. 10, 2 comma, della legge n. 46/2006, nella parte in cui prevede che l appello proposto dal pubblico ministero, prima dell entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, è dichiarato inammissibile.

3 Corte costituzionale; ordinanza 321/2007 (G.U., 1 s.s., n. 30 del I agosto 2007). Giudizio in via incidentale rito societario diritto di replica dell attore lesione artt. 24, 111 Cost. insussistenza della legittimazione del giudice a quo inammissibilità omissione normativa illegittimità costituzionale per addizione Sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni del d.lgs. 5/2003. In particolare, il giudice relatore del Tribunale di Alba in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 76 della Costituzione, il Presidente del Tribunale di Verbania, evocando i primi tre degli articoli suindicati, il Tribunale di Avellino, in composizione collegiale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., hanno censurato l art. 8, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 5 del 2003; il Presidente del Tribunale di Verbania anche il richiamo fattone nell art. 4, comma 2, dello stesso decreto; il Presidente del Tribunale di Monza, in riferimento al solo art. 24 Cost., ha censurato l art. 8, comma 2, lettera a), del suddetto decreto legislativo. Tutti i remittenti lamentano che dal combinato disposto dell art. 8, comma 2, lettera c) il quale dà facoltà al convenuto di presentare istanza di fissazione dell udienza entro venti giorni dalla propria costituzione qualora non abbia proposto domande riconvenzionali, né sollevato eccezioni non rilevabili di ufficio, né chiesto di chiamare in causa un terzo e dell art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 5 del 2003 che, nella ipotesi suindicata, commina la decadenza dell attore dal diritto di modificare la domanda o di proporne di nuove, di dedurre prove ed esibire documenti, quindi globalmente di replicare deriva una grave lesione del diritto di difesa dell attore qualora il convenuto abbia dedotto fatti dall attore stesso non allegati e abbia formulato istanze istruttorie. Tutto ciò avendo anche riguardo alla disposizione del comma 2-bis del medesimo art. 10, introdotto con l art. 4 del decreto legislativo 28 dicembre 2004, n. 310, il quale stabilisce che l istanza di fissazione dell udienza rende pacifici i fatti allegati dalle parti e in precedenza non specificamente contestati. La questione proposta dal giudice relatore del Tribunale di Alba è stata dichiarata inammissibile sul presupposto che il giudice relatore remittente si è attribuito la legittimazione a sollevare la questione di legittimità costituzionale con una motivazione carente, in quanto non considera che la legge non prevede un riesame da parte del giudice relatore del giudizio del presidente sull ammissibilità dell istanza di fissazione dell udienza, costituente il presupposto della stessa nomina del relatore. La Corte ha invece dichiarato fondata la questione proposta dal Presidente del Tribunale di Monza. La motivazione che sorregge la proposizione di tutte le questioni, nel loro nucleo essenziale comune a tutti i remittenti, consiste nell addurre la violazione del principio di eguaglianza (artt. 3 e 111 Cost.) in tema di disciplina dell esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.). Essa si fonda sui seguenti argomenti: a) il convenuto può ritualmente presentare l istanza di fissazione dell udienza fuori dei casi indicati dall art. 8, comma 2, lettere a) e b), del decreto n. 5 del 2003 e, quindi, anche se ha allegato fatti diversi da quelli prospettati dall attore in citazione entro venti giorni dalla propria costituzione, eventualmente prima che l attore abbia potuto replicare e anteriormente alla scadenza del relativo termine; b) l istanza di fissazione dell udienza, ai sensi dell art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 5 del 2003, determina la decadenza di tutte le parti nei casi in esame di parte attrice dal potere di proporre nuove eccezioni, di precisare o modificare domande o eccezioni già proposte, nonché di formulare ulteriori istanze istruttorie e depositare nuovi documenti e, quindi, del diritto in sé di proporre la memoria di replica; c) siffatte decadenze, nelle ipotesi, ricorrenti nei giudizi a quibus, di deduzione da parte del convenuto di circostanze di fatto diverse da quelle prospettate da parte attrice e idonee a privare queste ultime in tutto o in parte degli effetti che ad esse si riconnettono, ledono il diritto di difesa dell attore nei suoi profili di facoltà di allegazione dei fatti e di contestazione di quelli da altri dedotti e di potere di prova, venendo a determinare una posizione illegittima di vantaggio per il convenuto; d) non ha alcun rilievo il fatto che le decadenze suddette non siano rilevabili di ufficio, ma debbano essere eccepite dalla parte che vi abbia interesse nel primo atto successivo, ai sensi dell art. 157 cod. proc. civ.; e) non ha rilievo la disposizione che prevede la possibilità della remissione in termini, in quanto, da un lato, essa non fonda un diritto della parte ma prevede una

4 mera facoltà del giudice, dall altro, essa ha come presupposto l eventualità di irregolarità nello svolgimento del processo e non può essere quindi un correttivo del fisiologico svolgimento di questo. Le esposte ragioni sono condivise dalla Corte, la quale ritiene che il tipo di rimedio possa essere ricavato dallo stesso sistema processuale del quale fanno parte le disposizioni censurate. Si può, infatti, rilevare che in numerose disposizioni che prevedono e regolano il diritto di replica delle parti si fa riferimento, con locuzioni diverse ma sostanzialmente equivalenti, alla circostanza che sia la linea difensiva della controparte a determinare il diritto di replica. Sulla base di questa considerazione, sarebbe rimedio eccessivo dichiarare l illegittimità costituzionale dell art. 8, comma 2, lettera c), escludendo la possibilità di un immediata istanza di fissazione dell udienza anche nell ipotesi di comparsa di risposta che neghi il fondamento della domanda senza in alcun modo ampliare l oggetto della controversia. Viceversa, la disposizione sulla quale incidere, come prospettato dal Tribunale di Monza, è quella dell art. 8, comma 2, lettera a). Essa, infatti, disciplina il diritto di replica ed assicura lo svolgimento del contraddittorio in casi specifici di allargamento del thema decidendum. E stata così dichiarata l illegittimità costituzionale dell art. 8, comma 2, lettera a), del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, nella parte in cui non prevede anche l ipotesi che il convenuto abbia svolto difese dalle quali sorga l esigenza dell esercizio del diritto di replica dell attore. Corte costituzionale; ordinanza 322/2007 (G.U., 1 s.s., n. 30 del I agosto 2007). Giudizio in via incidentale norme contro la violenza sessuale minori ignoranza relativa all età della persona offesa art. 27, 1 comma, Cost. mancato esperimento dell interpretazione adeguatrice inammissibilità - carenza di motivazione sulla rilevanza - inammissibilità Il GUP del Tribunale di Modena ha sollevato, in riferimento all art. 27, 1 e 3 comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell art. 609-sexies c.p., in forza del quale «quando i delitti previsti negli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies sono commessi in danno di persona minore degli anni quattordici, nonché nel caso del delitto di cui all articolo 609-quinquies, il colpevole non può invocare, a propria scusa, l ignoranza dell età della persona offesa». Il giudice a quo ha rilevato come la disposizione denunciata, introducendo, a fini di un più stringente protezione dei minori, una evidente deroga ai principi generali in materia di dolo, sancisca, una sorta di presunzione iuris et de iure di conoscenza dell età della persona offesa da parte dell agente. Tale presunzione si porrebbe in contrasto con il principio di personalità della responsabilità penale ex art. 27 Cost., sul presupposto che quest ultima norma non si limita a vietare la responsabilità per fatto altrui, ma esige, altresì, un collegamento psichico tra l agente e il «nucleo significativo o fondante della fattispecie», nel quale si risolve il disvalore del fatto incriminato, giustificando così la funzione rieducativa della pena che ne consegue. La Corte ha dichiarato la questione inammissibile; pur condividendo le premesse argomentative contenute nell ordinanza di rinvio ha affermato che il petitum risulta privo della necessaria consequenzialità logico-giuridica. Il giudice a quo, infatti, denuncia l incostituzionalità dell art. 609-sexies c.p. nella sua globalità, chiedendone quindi l eliminazione. Una simile pronuncia avrebbe l effetto di rendere applicabili all età infraquattordicenne dell offeso le disposizioni generali in tema di imputazione dolosa e di errore, di cui agli artt. 43 e 47 cod. pen.; con la conseguenza che l età infraquattordicenne dovrebbe rientrare nella componente rappresentativa del dolo, mentre l errore su di essa scuserebbe anche se colposo, non essendo prevista, per i delitti sessuali dianzi indicati, la punibilità a titolo di colpa.

5 Il salto logico tra premesse e petitum che inficia l ordinanza di rimessione, nel senso dianzi indicato, si riverbera negativamente sul tessuto argomentativo di essa, sotto un duplice profilo. Per un verso, il giudice rimettente non si pone neppure il problema di verificare la praticabilità di una interpretazione secundum constitutionem della disposizione denunciata. Per un altro verso la non corretta formulazione del petitum inficia anche l adeguatezza della motivazione circa la rilevanza della questione nel giudizio a quo. A tal riguardo, infatti, il rimettente assume che la questione sarebbe rilevante in quanto, una volta rimosso l art. 609-sexies c.p., l imputato «potrebbe essere ammesso a provare l ignoranza (dell età), argomentando dalle dichiarazioni rese dalla stessa parte offesa». Tale motivazione appare chiaramente articolata sulla prospettiva di una pronuncia in toto ablatoria della norma denunciata, così da attribuire efficacia scusante anche all errore colposo. Essa è, peraltro, certamente inidonea a pervenire ad un affermazione di inevitabilità dell ignoranza o dell errore sull età: unica ipotesi nella quale questi ultimi potrebbero avere efficacia scusante. L ignoranza e l errore inevitabile non possono fondarsi infatti soltanto, od essenzialmente, sulla dichiarazione della vittima di avere un età superiore a quella effettiva. Corte costituzionale; ordinanza 323/2007 (G.U., 1 s.s., n. 30 del I agosto 2007). Giudizio in via incidentale opposizione a decreto penale di condanna non previsione dei mezzi di difesa dei procedimenti ordinari art. 3, 24, 111 Cost. manifesta infondatezza Il Tribunale di Fermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 2 comma, e 111, 2 e 3 comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell art. 461, 3 comma, c.p.p., «nella parte in cui non prevede la facoltà dell imputato di chiedere al giudice che ha emesso il decreto penale, in alternativa ai riti speciali, il giudizio ordinario e, quindi, la fissazione dell udienza preliminare, e correlativamente, dell art. 464, comma 1, cod. proc. pen., per violazione degli stessi parametri costituzionali, nella parte in cui non prevede che, se l opponente a decreto penale ha chiesto il giudizio ordinario, o comunque non ha formulato richiesta di riti speciali, il giudice fissi l udienza preliminare». Il giudice a quo ha rilevato il contrasto con l art. 24 Cost., non essendo consentito all imputato, a seguito dell opposizione, l esperimento di mezzi di difesa propri dei procedimenti ordinari attraverso la celebrazione dell udienza preliminare, che, in relazione ai reati per i quali non è prevista la citazione diretta ai sensi dell art. 550 cod. proc. pen., è configurabile quale garanzia processuale coessenziale al più generale diritto di difesa. Sarebbe altresì violato l art. 3 Cost., poiché la disciplina censurata determina una «evidente disparità» di trattamento tra l imputato nei cui confronti è stato emesso decreto penale di condanna e che ad esso si sia opposto e l imputato rinviato a giudizio nelle forme del giudizio ordinario; infatti, solo quest ultimo si potrà avvalere di un modulo processuale comprensivo dell intera serie di garanzie difensive. Inoltre a parere del giudice a quo, la disciplina oggetto di censura si porrebbe in contrasto con il principio di parità processuale delle armi. Secondo la Corte però la peculiarità del procedimento per decreto si manifesta, del tutto ragionevolmente, anche nelle modalità di introduzione della fase processuale e di investitura della regiudicanda in capo al giudice del dibattimento, proprio perché si tratta di giudizio pur sempre conseguente all opposizione : sicchè l introduzione del rito, improntato a presupposti e cadenze diversi ab origine da quelli del modulo processuale ordinario, non può che confermare la specificità propria del procedimento monitorio, configurato quale rito a contraddittorio eventuale e differito, che,

6 una volta instaurato con l opposizione, assicura nel dibattimento l integrale attuazione delle garanzie dell imputato. La questione è stata così dichiarata manifestamente infondata. Corte costituzionale; ordinanza n. 324/2007 (G.U., 1 s.s., n. 30 del I agosto 2007). La Corte d appello di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, 2 comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell art. 593 c.p.p, come sostituito dall art. 1, l. 46/2006, nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, se non nel caso previsto dall art. 603, comma 2, c.p.p., ossia quando sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado e sempre che tali prove risultino decisive. Il giudice a quo ha dubitato altresì, in riferimento all art. 3 Cost., della legittimità costituzionale dell art. 10 della stessa legge, nella parte in cui non prevede, «per i processi in corso e, dunque, anche in sede di giudizio a seguito di rinvio dalla Cassazione (comma 4)», che il pubblico ministero possa proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui al sopra menzionato art. 603, 2 comma. La Corte ha disposto la restituzione degli atti al giudice a quo sul presupposto che successivamente all ordinanza di rimessione, con sentenza 26/2007 ha dichiarato l illegittimità costituzionale dell art. 1 della legge n. 46 del 2006 «nella parte in cui, sostituendo l art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell art. 10, comma 2, della medesima legge, «nella parte in cui prevede che l appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile». Corte costituzionale; ordinanza n. 325/2007 (G.U., 1 s.s., n. 30 del I agosto 2007). La Corte d appello di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, 2 comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell art. 593 c.p.p, come sostituito dall art. 1, l. 46/2006, nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, se non nel caso previsto dall art. 603, comma 2, c.p.p., ossia quando sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado e sempre che tali prove risultino decisive. Il giudice a quo ha dubitato altresì, in riferimento all art. 3 Cost., della legittimità costituzionale dell art. 10 della stessa legge, nella parte in cui non prevede, «per i processi in corso e, dunque, anche in sede di giudizio a seguito di rinvio dalla Cassazione (comma 4)», che il pubblico ministero possa proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui al sopra menzionato art. 603, 2 comma. La Corte ha disposto la restituzione degli atti al giudice a quo sul presupposto che successivamente all ordinanza di rimessione, con sentenza 26/2007 ha dichiarato l illegittimità costituzionale dell art. 1 della legge n. 46 del 2006 «nella parte in cui, sostituendo l art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell art. 10, comma 2, della medesima legge, «nella parte in cui prevede che l appello proposto contro una sentenza di

7 proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile». Corte costituzionale; ordinanza n. 326/2007 (G.U., 1 s.s., n. 30 del I agosto 2007). La Corte d appello di Palermo ha sollevato questioni di legittimità costituzionale: dell art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall art. 1 della legge 46/2006, in riferimento agli artt. 3, 111, secondo, 6 e 7 comma, e 112 della Cost.; nonché dell art. 10 della medesima legge, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111, settimo comma, Cost.. La disciplina censurata, nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento violerebbe innanzitutto gli artt. 3, 111, secondo comma, e 112 Cost., perché privando il pubblico ministero del potere di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, accorda all organo della pubblica accusa un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto all imputato, con sacrificio anche del principio della parità tra le parti. La Corte ha disposto la restituzione degli atti al giudice a quo a seguito della dichiarazione di incostituzionalità (sent. 26/2007) delle norme oggetto dell ordinanza di rinvio.. Corte costituzionale; ordinanza n. 327/2007 (G.U., 1 s.s., n. 30 del I agosto 2007). La Corte d appello di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, 2 comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell art. 593 c.p.p, come sostituito dall art. 1, l. 46/2006, nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, se non nel caso previsto dall art. 603, comma 2, c.p.p., ossia quando sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado e sempre che tali prove risultino decisive. Il giudice a quo ha dubitato altresì, in riferimento all art. 3 Cost., della legittimità costituzionale dell art. 10 della stessa legge, nella parte in cui non prevede, «per i processi in corso e, dunque, anche in sede di giudizio a seguito di rinvio dalla Cassazione (comma 4)», che il pubblico ministero possa proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui al sopra menzionato art. 603, 2 comma. La Corte ha disposto la restituzione degli atti al giudice a quo sul presupposto che successivamente all ordinanza di rimessione, con sentenza 26/2007 ha dichiarato l illegittimità costituzionale dell art. 1 della legge n. 46 del 2006 «nella parte in cui, sostituendo l art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell art. 10, comma 2, della medesima legge, «nella parte in cui prevede che l appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile».

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