Scuola di Alta formazione dell Università degli Studi di Napoli L Orientale ex Conservatorio delle Orfane di Terra Murata

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1 Università degli Studi di Napoli L Orientale Facoltà di Scienze Politiche Dipartimento di Scienze Sociali Seconda Università degli Studi di Napoli Facoltà di Giurisprudenza Dipartimento di discipline giuridiche ed economiche italiane, europee e comparate Facoltà di Giurisprudenza Istituto di Studi Giuridici Internazionali Sede di Napoli Cattedra Jean Monnet La tutela dei diritti umani nell Unione europea Università degli Studi di Napoli L Orientale Gestione internazionale delle emergenze globali: regole, valori ed etica Incontro di studio fra i giovani cultori delle materie internazionalistiche IX edizione Procida, 30 settembre 1 ottobre 2011 Scuola di Alta formazione dell Università degli Studi di Napoli L Orientale ex Conservatorio delle Orfane di Terra Murata 30 SETTEMBRE 2011, ORE INDIRIZZI DI SALUTO E INTRODUZIONE GENERALE GIUSEPPE CATALDI Professore ordinario di Diritto internazionale, Prorettore Vicario dell Università di Napoli L Orientale, Responsabile della Sede di Napoli del CNRISGI, Titolare della Cattedra Jean Monnet La tutela dei diritti umani nell Unione europea I SESSIONE 30 SETTEMBRE 2011, ORE MINACCE ALLA PACE E ALLA SICUREZZA INTERNAZIONALE: MODELLI DI INTERVENTO PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI Presiede VALENTINA GRADO Professore associato di Organizzazione internazionale, Università di Napoli L Orientale Relazione introduttiva ANDREA CALIGIURI, Ricercatore di Diritto internazionale, Università di Macerata La tentata prevenzione del conflitto in Sud Ossezia ed in Abkhazia ANDREA SPAGNOLO, Dottorando di ricerca in Diritto internazionale, Università di Milano I meccanismi di prevenzione dei conflitti predisposti dall Unione africana FEDERICA MUSSO, Dottoranda di ricerca in Diritto internazionale e dell Unione europea, Università di Macerata Coffee break La Commissione di consolidamento della pace: l attività svolta e le prospettive di rilancio FRANCESCO BATTAGLIA, Dottore di ricerca in Ordine internazionale e diritti umani, Università di Messina Discussant LORENZO GRADONI, Ricercatore di Diritto internazionale, Università di Bologna Dibattito II SESSIONE 1 OTTOBRE 2011, ORE 9.00 INQUINAMENTO AMBIENTALE E DISASTRI NATURALI: IL RUOLO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI Presiede CHIARA VITUCCI Professore associato di Diritto internazionale, Seconda Università di Napoli La protezione delle persone in caso di disastri nei lavori della Commissione di diritto internazionale LIVIA COSENZA, Dottoranda di ricerca in Diritti umani: tutela evoluzione e limiti, Università di Palermo Nucleare e protezione dell ambiente in Europa: quali ruoli per l Euratom e l Unione europea? ROSSANA PALLADINO, Assegnista di ricerca in Diritto dell Unione europea, Università degli Studi di Salerno Discussant GABRIELE DELLA MORTE, Ricercatore di Diritto internazionale, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano) Dibattito Coffee break III SESSIONE 1 OTTOBRE 2011, ORE CRISI ECONOMICO-FINANZIARIA GLOBALE E LIVELLI MINIMI DI TUTELA SOCIALE Presiede PASQUALE DE SENA Professore ordinario di Diritto internazionale, Università di Napoli Federico II Relazione introduttiva ANNAMARIA VITERBO, Ricercatore di diritto internazionale, Università di Torino La prassi del Comitato europeo dei diritti sociali relativa alla garanzia degli standard di tutela sociale in tempi di crisi economica LORENZA MOLA, Dottore di ricerca in Diritto internazionale dell economia, Università di Torino L applicazione in tempo di crisi della disciplina comunitaria del mercato e della concorrenza ai servizi sociali di interesse economico generale MATTIA BOSIO, Dottorando di ricerca in diritto dellʹunione europea, Università di Bologna Discussant MARCO FASCIGLIONE, Ricercatore, Consiglio Nazionale delle Ricerche Dibattito Light lunch Relazione introduttiva LORENZO SCHIANO DI PEPE, Ricercatore di Diritto dell Unione europea, Università di Genova Coordinamento scientifico Nicola Napoletano Università Unitelma Sapienza Viale Regina Elena, Roma Andrea Saccucci Seconda Università degli Studi di Napoli Via Mazzocchi, Santa Maria Capua Vetere (CE) Segreteria organizzativa Consiglio Nazionale delle Ricerche Istituto di Studi Giuridici Internazionali (Sede di Napoli) Tel.: Fax: Marianna Pace giovani-internazionalisti@unitelma.it web:

2 MINACCE ALLA PACE E ALLA SICUREZZA INTERNAZIONALE: MODELLI DI INTERVENTO PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI Relazione introduttiva I meccanismi istituzionali della prevenzione dei conflitti ANDREA CALIGIURI Ricercatore di Diritto internazionale, Università degli Studi di Macerata The absence of war and military conflicts amongst States does not in itself ensure international peace and security. The non-military sources of instability in the economic, social, humanitarian and ecological fields have become threats to peace and security Presidential Statement, UN Doc. S/23500 (1992) Abstract La prevenzione dei confitti, quale strumento per la salvaguardia della pace, ha ispirato dibattiti e studi in diverse discipline. Tuttavia, nel diritto internazionale l interesse ad approfondire questo tema è emerso principalmente all indomani della fine della Guerra fredda, stimolato dalla presentazione da parte del Segretario generale Boutros-Ghali dell Agenda per la pace. Più di recente, il dibattito ha ricevuto un rinnovato impulso con l elaborazione del nuovo concetto di Responsibility to Protect. La prima questione sulla quale focalizzare l attenzione riguarda l accertamento dell esistenza di obblighi di prevenzione dei conflitti a carico dei soggetti dell ordinamento internazionale. Distinguendo ovviamente in modo netto la nozione di conflitto da quella di minaccia alla pace utilizzata nella Carta delle Nazioni Unite, è inoltre necessario determinare le modalità con cui i diversi soggetti coinvolti individuano una potenziale area di conflitto, processo indispensabile alla messa in opera delle misure di prevenzione. Infine, per valutare l efficacia delle politiche di prevenzione, occorre analizzare il funzionamento dei meccanismi istituzionali della prevenzione dei conflitti (sistema di allerta rapida, misure dirette di prevenzione, meccanismi decisionali), predisposti in particolare nell ambito delle Nazioni Unite e di alcune organizzazioni regionali. Il quadro illustrato evidenzia che, al di là di alcuni obblighi, la prevenzione dei conflitti è essenzialmente uno strumento politico il cui uso efficace dipende dalle scelte di opportunità dei diversi soggetti coinvolti e dalla predisposizione di un quadro normativo e istituzionale coerente. 1

3 MINACCE ALLA PACE E ALLA SICUREZZA INTERNAZIONALE: MODELLI DI INTERVENTO PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI DOCUMENTI: An Agenda for Peace, UN Doc. A/42/277 - S/24111, 17 June 1992 Supplement to an Agenda for Peace, UN Doc. A/50/60 - S/1995/1, 25 January 1995 Preventing Deadly Conflict: Final Report of the Carnegie Commission on Preventing Deadly Conflict, Washington, 1997 Report of the Panel on United Nations Peace Operations, UN Doc. A/55/305 - S/2000/809, August 2000 Prevention of Armed Conflict: Report of the Secretary General, UN Doc. S/2001/574,A/55/985, 7 June 2001 Communication from the Commission on Conflict Prevention, EU Doc. COM(2001) 211 final, 11 April 2001 Responsibility to Protect. Report of the International Commission on Intervention and State Sovereignty, December 2001 Interim Report of the Secretary-General on the Prevention of Armed Conflict, UN Doc. A/58/365 - S/2003/888 Women s equal participation in conflict prevention, management and conflict resolution and in post-conflict peacebuilding, UN Doc. E/CN.6/2004/10, 23 December 2003 A more secure world: our shared responsibility. Report of the High-level Panel on Threats, Challenges and Change, UN Doc. A/59/565, 2 December 2004 Progress report on the prevention of armed conflict, UN Doc. A/60/891, 18 July 2006 Communication from the Commission to the Council, the European Parliament, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions - Towards an EU response to situations of fragility - engaging in difficult environments for sustainable development, stability and peace, EU Doc. COM/2007/0643 final, 25 October 2007 Report of the Secretary-General on the implementation of Security Council resolution 1625 (2005) on conflict prevention, particularly in Africa, UN Doc. S/2008/18, 14 January 2008 Report of the Secretary-General on peacebuilding in the immediate aftermath of conflict, UN Doc. A/63/881 S/2009/304, 11 June 2009 Preventing Violence, War and State Collapse: The Future of Conflict Early Warning and Response, OCSE, 2009 Progress report of the Secretary-General on peacebuilding in the immediate aftermath of conflict, UN Doc. A/64/866 - S/2010/386, 16 July

4 MINACCE ALLA PACE E ALLA SICUREZZA INTERNAZIONALE: MODELLI DI INTERVENTO PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI La tentata prevenzione del conflitto in Sud Ossezia ed in Abkhazia ANDREA SPAGNOLO Dottorando di ricerca in Diritto internazionale, Università degli Studi di Milano Abstract Il conflitto in Georgia causato dalle pretese autonomiste delle regioni della Sud Ossezia e dell Abkhazia deteriorava nel 1992, quando queste davano origine ad un instabilità che sfociava poi in veri e propri conflitti armati. L Abkhazia già si proclamava Repubblica autonoma ed era dotata di un certo grado di indipendenza dalla Georgia. Il conflitto, in quella regione, nasceva per la ferma volontà del Governo centrale georgiano di limitare l autonomia dell Abkhazia, la quale invece premeva per una definitiva secessione. Gli scontri si aggravavano ulteriormente con l intervento della Russia a favore dell Abkhazia. Il conflitto in Sud Ossezia si presentava con presupposti simili, con la differenza che questa regione non godeva della stessa autonomia dell Abkhazia ed ambiva anch essa a raggiungere lo status di Repubblica. Già nel 1990, infatti, la Sud Ossezia si proclamava indipendente, ma il rifiuto del Governo centrale georgiano causava violenti scontri nella regione con l inevitabile coinvolgimento della Russia. La fase acuta delle crisi veniva superata, in via peraltro provvisoria, con due accordi per un cessate-il-fuoco conclusi in momenti differenti. A seguito dei predetti accordi si apriva una fase di gestione delle crisi votata alla prevenzione di ulteriori conflitti e caratterizzata dalla marginalizzazione delle istituzioni internazionali e dal ruolo centrale, quasi egemonico, della Russia. Curiosamente, in Sud Ossezia ed in Abkhazia venivano percorse strade diverse. Con l accordo di Sochi del giugno del 1992 veniva istituita per la Sud Ossezia una Joint Control Commission (JCC) composta da rappresentanti di Georgia, Russia e Sud Ossezia stessa. La commissione procedeva al dispiegamento di una forza di peacekeeping e di una forza di law and order keeping nella regione. Entrambe difettavano di un imprimatur onusiano e non potevano essere nemmeno inquadrate nell ambito della CIS (Commonwealth of Independent States). Solo in un secondo momento veniva permesso all OSCE di monitorare l operato della JCC, la quale, nel frattempo, diveniva un istituzione permanente dotata di organi propri. In Abkhazia il cessate-il-fuoco veniva raggiunto con l accordo firmato il 14 maggio del Con lo stesso atto veniva quindi dispiegata una forza di peacekeeping sotto l egida della CIS, ma quasi interamente composta da soldati russi e per la quale la Russia stessa chiedeva all ONU un approvazione ex post, arrivata con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 937 del Con la medesima risoluzione venivano anche affidate alla già esistente missione UNOMIG compiti di monitoraggio dell area e di controllo dell operato della forza di peacekeeping russa. 3

5 MINACCE ALLA PACE E ALLA SICUREZZA INTERNAZIONALE: MODELLI DI INTERVENTO PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI Il paper vuole inquadrare i due scenari alla luce degli strumenti di Diritto internazionale. Nello specifico si vuole discutere la natura della JCC e la base giuridica per l istituzione delle missioni di peacekeeping tanto in Sud Ossezia quanto in Abkhazia. Inoltre, vuole essere analizzato il ruolo dell ONU e dell OSCE nei due scenari e l interazione tra i diversi attori internazionali e statali coinvolti nelle diverse fasi, con particolare attenzione al ruolo della Russia. Si vuole poi vagliare l ampiezza del mandato delle operazioni citate per confrontarlo con gli standard classici del peacekeeping. L obiettivo vuole essere quello di trarre alcune conclusioni in prospettiva futura con riguardo alla gestione delle crisi ed alla prevenzione dei conflitti, analizzando i fattori di successo e di insuccesso delle esperienze in Abkhazia e Sud Ossezia. Si vogliono pertanto valutare le potenzialità di un modello a metà tra la gestione locale ed internazionale delle crisi, nell assenza di una soluzione imposta dalla Comunità internazionale ed in presenza di quello che è stato definito il power sharing principle, un modello che vede direttamente coinvolte le parti in causa le quali si fanno carico di gestire la crisi attraverso forme di cooperazione più o meno istituzionalizzate. Tale valutazione dovrà tenere conto, nel caso di specie, di alcuni dati politici e fattuali tra cui: il ruolo egemonico della Russia, l interazione delle istituzioni internazionali con gli Stati coinvolti e, infine, le cause che nel 2008 hanno portato al riacutizzarsi della crisi. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: S. ALLEN NAN, Track one-and-a-half diplomacy. Contributions to Georgian-South Ossetian peacemaking, in R.J. FISHER, Paving the way. Contribution of interactive conflict resolution to peacemaking, Lanham, 2005, p. 161 ss. J. AVES, Georgia: from chaos to stability?, London, 1996 E. GRECO, Third party peacekeeping and the interaction between Russia and the OSCE in the CIS area, in M. BOTHE N. RONZITTI A. ROSAS, The OSCE in the maintainance of peace and security. Conflict prevention, crisis management and peaceful settlement of disputes, The Hague, 1997, p. 267 ss. S. N. MAC FARLANE, Regional peacekeeping in the CIS, in R. THAKUR A. SCHNABEL, United Nations Peacekeeping operations. Ad hoc missions, permanent engagement, New York, 2001, p. 77 ss. T. POTIER, Conflict in Nagorno-Karabakh, Abkhazia and South Ossetia. A legal appraisal, The Hague, 2009 K. TSIKHELASHVILI N. UBILAVA, Case study of the conflict in South Ossetia, in M. WELLER B. METZGER, Setting self determination disputes. Complex power-sharing in theory and practice, Leiden- Boston, 2008, p. 345 ss. B. TUZMUKHAMEDOV, The legal framework of CIS regional peace operations, in International peacekeeping, 2000, p. 1 ss. S. WOLFF, The limits of international conflict management in the case of Abkhazia and South Ossetia, in N. CASPERSEN G. STANSFIELD, Unrecognized states in the international system, New York, 2011 G. ZOLOTUKHIN, Armed forces of the Russian federation in peacekeeping in the CIS region: legal sources for participation, in International peacekeeping, 2000, p. 6 ss. I documenti ufficiali dei Governi russo e georgiano e della Joint Control Commission, nonché tutti gli accordi intercorsi tra le parti e gli atti da essi derivati sono disponibili e tradotti in inglese sul sito internet del Regionalism Research Center: 4

6 MINACCE ALLA PACE E ALLA SICUREZZA INTERNAZIONALE: MODELLI DI INTERVENTO PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI I meccanismi di prevenzione dei conflitti predisposti dall Unione africana FEDERICA MUSSO Dottoranda di ricerca in Diritto internazionale e dell Unione europea, Università degli Studi di Macerata Abstract L oggetto della relazione è incentrato sui meccanismi di prevenzione dei conflitti predisposti dall Unione africana. Attraverso l esame dei testi normativi e della prassi dell Organizzazione emergono tre distinte tipologie di conflict prevention: la prevenzione operativa, la prevenzione strutturale e la prevenzione sistemica. La prevenzione operativa fa riferimento alle misure immediatamente applicabili a seguito dello scoppio di una crisi. La più tipica di tali misure è il ricorso a sanzioni politiche ed economiche comminate contro i protagonisti di una crisi al fine di incoraggiarne un atteggiamento più cooperativo. Incisiva è l azione dell UA rispetto ai cambiamenti incostituzionali di regime, cui possono far seguito sanzioni che vanno dalla sospensione dei diritti degli Stati interessati, in cui si sono instaurati governi de facto, da qualsiasi attività degli organi dell Organizzazione fino all imposizione di misure individuali, quali il divieto di espatrio, il congelamento dei beni e l isolamento diplomatico. La prevenzione strutturale riguarda quelle azioni volte ad evitare la nascita di un conflitto o la degenerazione di una situazione di instabilità. Una componente essenziale della prevenzione strutturale nell ambito dell UA si rinviene nell articolata architettura per la salvaguardia della pace e della sicurezza continentale, imperniata sul sistema di allarme rapido, dotato di un centro di osservazione e monitoraggio deputato alla raccolta e all analisi di dati sulla base di indicatori per l intervento tempestivo. Altra componente essenziale della prevenzione strutturale è rappresentata dalla dottrina sviluppata in materia di mutamenti incostituzionali di governo, fondata sulla promozione del ritorno all ordine costituzionale. La prevenzione sistemica concerne quelle misure destinate ad affrontare e risolvere minacce alla pace che trascendono le dimensioni nazionali e che hanno piuttosto un profilo di tutela regionale della pace e, inevitabilmente, della pace globale. Misure di questo tipo sono legate alle modalità di realizzazione del processo di integrazione regionale promosso dall Unione africana. Si muovono in questa direzione le iniziative per risolvere pacificamente le dispute insorte, per rafforzare l integrazione economica, per affrontare il problema degli sfollati interni e dei rifugiati. 5

7 MINACCE ALLA PACE E ALLA SICUREZZA INTERNAZIONALE: MODELLI DI INTERVENTO PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI DOCUMENTI FONDAMENTALI: OUA Charter, 25 May 1963; Declaration of the Assembly of Head of States and Government on the Establishment within the OUA of a Mechanism for Conflict Prevention, Management and Resolution, AHG/DECL.3 - (XXIX); Constitutive Act of the African Union, 7 November 2000; Protocol Relating to the Establishment of the Peace and Security Council of the African Union, 9 October 2002; Protocol on Amendments to the Constitutive Act of the African Union, 1 July BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: Conflict Management Division of the Peace and Security Department, African Union Commission (eds.), Meeting the Challenge of Conflict Prevention in Africa. Towards the Operationalization of the Continental Early Warning System, 2008, disponibile su root/au/auc/departments/psc/psc/cd/meeting%20the%20challenge%20of%20conflict %20prevention%20in%20Africa.pdf LEVITT, The Peace and Security Council of the African Union: the known unknowns, in Transnational Law & Contemporary Problems, 2003, pp ; MARCHESI, Il ruolo dell OUA nella prevenzione e gestione dei conflitti e brevi cenni alla cooperazione con le Nazioni Unite, in LATTANZI, SPINEDI (ed), Le Organizzazioni regionali e il mantenimento della pace nella prassi di fine XX secolo, Napoli, 2004, pp ; WILLIAMS, The Peace and Security Council of the African Union: evaluating an embryonic international institution, in Journal of Modern African Studies, 2009, pp

8 MINACCE ALLA PACE E ALLA SICUREZZA INTERNAZIONALE: MODELLI DI INTERVENTO PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI La Commissione di consolidamento della pace: l attività svolta e le prospettive di rilancio FRANCESCO BATTAGLIA Dottore di ricerca in Ordine internazionale e diritti umani, Università degli Studi di Messina Abstract Nell ambito dell analisi sui possibili modelli di intervento per la prevenzione dei conflitti, qualche interessante riflessione può essere fatta con riferimento all attività svolta dalla Commissione di Consolidamento della Pace, istituita, con l obiettivo fondamentale di aiutare gli Stati che escono da situazioni di conflitti armati nella gestione della transizione verso una pace duratura, così da prevenire il rischio che questi possano ricadere in una situazione di guerra. Come, infatti, ha dichiarato, nel 2005, l allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, circa la metà dei Paesi che escono da una situazione di conflitto, ricadono in uno Stato di guerra in un lasso di tempo non superiore a cinque anni, perché non sono in grado di costituire un nuovo e legittimo Stato, con un governo stabile, che sia in grado di rispettare gli accordi di pace che hanno portato alla fine delle ostilità. Alla base dell istituzione della Commissione vi è, quindi, un progetto abbastanza ambizioso, cioè dotare le Nazioni Unite di una struttura precostituita di riferimento che possa supportare gli Stati nella fase post-conflitto, per gestire nel modo migliore la transizione da una situazione di guerra ad una di pace duratura. Tuttavia, nonostante, i buoni propositi, la Commissione ha iniziato la propria attività abbastanza a rilento, non riuscendo a soddisfare a pieno le aspettative. Dopo la sua istituzione, infatti, sono stati necessari altri sei mesi per formare il suo Comitato organizzativo e ben dodici per approvare il regolamento interno. Qualche critica può essere rivolta anche in merito alle competenze attribuite al nuovo organo inter-governamentale, che sono di più basso profilo rispetto a quanto ipotizzato nel corso del processo di formazione. La Commissione, infatti, appare più come un «forum» in cui coordinare le attività di tutte le parti interessate alla ricostruzione, che come un organo che possa svolgere concrete funzioni di peace-building. Dopo una breve esposizione sulla fase costitutiva della Peace-Building Commission, l analisi si deve concentrare sulle principali attività svolte da quest ultima sin dalla sua istituzione, per poterne valutare l efficacia ed esaminare, eventualmente, le difficoltà che ha incontrato dal punto di vista operativo. In tal senso si devono prendere, in particolar modo, in considerazione i lavori svolti in Burundi e in Sierra Leone. A questo proposito è importante sottolineare che fino ad oggi sono solo quattro i Paesi che rientrano nell agenda operativa della Commissione. Da questo tipo di esame si può costatare se la Commissione abbia realmente rappresentato, come si auspicava che fosse, un valore aggiunto capace di rilanciare l attività dell ONU nell ambito della prevenzione dei conflitti o se c è bisogno che la sua struttura e le sue competenze vengano sostanzialmente riviste per favorire il suo buon funzionamento. Quest aspetto, rappresenta, appunto, l ultima parte dell analisi sulla Commissione. Nel 2010, infatti, come previsto dalle risoluzioni istitutive, il Consiglio di Sicurezza e l Assemblea Generale delle Nazioni Unite hanno adottato due risoluzioni aventi ad oggetto la Review of the United Nations peacebuilding architecture. In 7

9 MINACCE ALLA PACE E ALLA SICUREZZA INTERNAZIONALE: MODELLI DI INTERVENTO PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI queste due risoluzioni hanno preso in esame le difficoltà finora incontrate dalla Commissione e hanno elaborato alcune proposte per il rilancio della medesima. Riassumendo quanto fin qui detto, l analisi sulla Commissione di Consolidamento della Pace si articolerà, quindi, su tre punti, che riguardano a) la fase istituiva e le competenze attribuite a quest organo; b) alcune considerazioni sulle attività finora svolte; c) le proposte per rilanciare la Commissione e renderla effettivamente un valore aggiunto per le Nazioni Unite nell ambito del peace-building. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: T. J. BIERSTEKER, Prospects for the UN Peacebuilding Commission, in Disarmament forum, 2007, p. 37 ss. V. CHETAIL, Post-Conflict Peacebuilding, Oxford, 2009, pp B. CONFORTI, Il rapporto del high level panel su come rendere più efficace l azione dell ONU, ovvero la montagna ha partorito un topo, in Rivista di Diritto Internazionale, 2005, p. 149 ss. P. A. FERNÁNDEZ SÁNCHEZ, La Comisión de Consolidación de la Paz, in Revista Española de Derecho Internacional, 2005, p. 715 ss. L. PANELLA, La Commissione di Consolidamento della pace: un successo delle Nazioni Unite, in La Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale, 2006, p. 54 ss. S. M. RUGUMAMU, Does the UN Peacebuilding Commission change the Mode of Peacebuilding in Africa?, in FES Briefing Paper, 2008, n. 8, p. 1 ss. G. SCORDINO, I lenti progressi della Peacebuilding Commission, in Affarinternazionali.it, GERHARD THALLINGER, The UN Peacebuilding Commission and Transitional Justice, in German Law Journal, 2007, p. 681 ss. DOCUMENTI: United Nations Security Council, Resolution n. 1645, 20 December 2005, UN Doc. S/RES/1645 (2005). United Nations Security Council, Report of the Peacebuilding Commission on its first session, 27 July 2007, UN Doc. S/2007/458. United Nations Security Council, Report of the Peacebuilding Commission on its second session, 24 June 2008, UN Doc. S/2008/417. United Nations Security Council, Report of the Secretary-General on peacebuilding in the immediate aftermath of conflict, 11 June 2009, UN Doc. S/2009/304. United Nations Security Council, Report of the Peacebuilding Commission on its third session, 8 September 2009, UN Doc. S/2009/444. United Nations Security Council, Resolution n. 1947, 29 October 2010, UN Doc. S/RES/1947 (2010). United Nations General Assembly, Resolution n. 60/1, 24 October 2005, UN Doc. A/RES/60/1. United Nations General Assembly, Resolution n. 60/180, 30 December 2005, UN Doc. A/RES/60/180. United Nations General Assembly, Report of the Peacebuilding Commission on its first session, 27 July 2007, UN Doc. A/62/137. 8

10 MINACCE ALLA PACE E ALLA SICUREZZA INTERNAZIONALE: MODELLI DI INTERVENTO PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI United Nations General Assembly, Report of the Peacebuilding Commission on its second session, 24 June 2008, UN Doc. A/63/92. United Nations General Assembly, Report of the Secretary-General on peacebuilding in the immediate aftermath of conflict, 11 June 2009, UN Doc. A /63/881. United Nations General Assembly, Report of the Peacebuilding Commission on its third session, 8 September 2009, UN Doc. A/64/341. United Nations General Assembly, Review of the United Nations peacebuilding architecture, 23 November 2010, UN Doc. A /RES/65/7. 9

11 INQUINAMENTO AMBIENTALE E DISASTRI NATURALI: IL RUOLO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI Relazione introduttiva LORENZO SCHIANO DI PEPE Ricercatore di Diritto dell Unione europea, Università degli Studi di Genova Abstract 1. Nell ambito del vasto, articolato ed eterogeneo quadro costituito dalla normativa internazionale ed europea relativa alla tutela dell ambiente la relazione adotta (e si sforza di rispettare) quale filo conduttore principale il tema della gestione delle emergenze ambientali globali, verificando innanzitutto se di tali emergenze ambientali esista, o possa quantomeno essere proposta, una nozione condivisa. 2. Il punto di partenza della relazione consiste, infatti, nella constatazione che una parte preponderante del sistema di regole attualmente vigenti sul piano transnazionale in materia ambientale tende a prevenire il verificarsi di situazioni di emergenza, stabilendo in capo agli Stati e alle imprese standard tecnici di varia natura e portata. Vi sono, peraltro, anche specifiche norme che mirano invece ad occuparsi delle emergenze (intese in senso stretto) che possono verificarsi in assenza di un adeguata disciplina preventiva o nonostante l esistenza (ed eventualmente il rispetto) della stessa. 3. Nell ottica appena indicata, pertanto, l attenzione si concentra soprattutto sul ruolo della comunità internazionale e delle organizzazioni regionali nell elaborazione e nell applicazione di tali normative emergenziali. Non mancano, infatti, esempi recenti che dimostrano la centralità di questo particolare filone di indagine, sia sulla scena globale (con gli incidenti di Fukushima e della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico) sia su quella europea (con la crisi dei rifiuti a Napoli e in Campania). 4. Nello sviluppo di tale linea di ragionamento il primo momento di verifica non può che essere rappresentato dal contributo apportato in materia dal diritto internazionale consuetudinario e, in particolare, dal principio di cooperazione, alcune delle cui possibili declinazioni (segnatamente, l obbligo di informazione in caso di incidente) assumono una rilevanza diretta nella prospettiva di una corretta gestione delle emergenze ambientali. Delle luci e delle ombre che risultano dall applicazione di tale principio nella prassi internazionale viene proposta una lettura orientata anche ad una valutazione del grado di effettività da esso assicurato. 5. Significativo è poi, in materia, l apporto del diritto internazionale pattizio il quale, soprattutto all interno di alcuni specifici campi (tra i quali spiccano, ad esempio, la navigazione marittima e la gestione di impianti nucleari), ha conosciuto lo sviluppo di disposizioni (e talvolta di intere convenzioni) dedicate alla regolamentazione di situazioni di emergenza strettamente intese. Il principale difetto di tale consistente ancorché 10

12 INQUINAMENTO AMBIENTALE E DISASTRI NATURALI: IL RUOLO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI certamente non esaustivo corpus normativo risulta peraltro essere proprio la sua settorialità, dalla quale (ancora in un ottica di piena effettività) consegue la l esigenza di colmare le principali lacune esistenti (alcune delle quali, peraltro, sono state drammaticamente evidenziate proprio dagli incidenti di Fukushima e del Golfo del Messico). 6. Sul piano del diritto dell Unione europea la relazione indaga, inoltre, gli strumenti di intervento dei quali l Unione dispone per reagire con efficacia, tempestività ed efficienza, prevenendo e gestendo le conseguenze di un emergenza ambientale. Così, da un lato, ci si domanda se l assetto delle competenze risultante dall entrata in vigore del Trattato di Lisbona e la ripartizione di queste tra il livello europeo e quello nazionale di azione sia suscettibile di miglioramento e, dall altro lato, si evidenziano le iniziative che, anche a trattati invariati, potrebbero essere meritoriamente intraprese dal legislatore europeo. 7. La relazione termina, sul piano istituzionale, con una proposta di lavoro (estesa in realtà anche alle altre tipologie di situazioni di emergenza oggetto dell incontro di studio) che suggerisce di indagare le potenzialità di un modello innovativo di gestione regionale delle principali emergenze globali a fronte della percepita inefficacia dei tradizionali schemi di reazione fino ad oggi invalsi, essenzialmente riconducibili agli Stati uti singuli e alle organizzazioni internazionali a vocazione universale. 11

13 INQUINAMENTO AMBIENTALE E DISASTRI NATURALI: IL RUOLO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI La protezione delle persone in caso di disastri nei lavori della Commissione di diritto internazionale LIVIA COSENZA Dottoranda di ricerca in Diritti umani: tutela evoluzione e limiti, Università degli Studi di Palermo Abstract La relazione si concentra sulla valutazione del contributo apportato dai lavori della Commissione di Diritto Internazionale sulla questione della Protection of persons in the event of disasters. In passato la natura episodica delle catastrofi naturali, determinando un impatto poco significativo sulle relazioni interstatuali (rispetto a fenomeni quali la guerra o lo sviluppo tecnologico), ha fatto sì che la comunità internazionale non avvertisse la necessità di normare tale settore. Oggi la crescente frequenza, intensità e complessità delle catastrofi naturali ed i costi in termini economici ed umani legati a tali eventi, hanno portato ha riconsiderare l assistenza umanitaria in questo campo come un settore a sé stante. L accesso ineguale all assistenza; la discriminazione nella fornitura di aiuti; la delocalizzazione forzata; questioni legate al diritto di proprietà portano a considerare l esigenza di configurare strumenti giuridici di tutela adeguati che facciano da cornice nella gestione delle catastrofi naturali. In particolare, l incertezza relativa alla definizione di diritti e obblighi in caso di crisi umanitaria ha determinato una risposta troppo spesso inadeguata da parte degli Stati. È in tale ottica che si inquadra l iniziativa della Commissione di diritto internazionale del 2006 volta ad avviare un lavoro incentrato sull individuazione delle ipotesi di base destinate a informare il lavoro di codificazione delle regole relative alla protezione degli individui vittime di catasrofi naturali. L analisi si concentrerà in particolare su alcuni profili che sembrano mostrare che tale protezione è ancora fortemente condizionata dai principi classici del diritto internazionale quali la sovranità territoriale e il principio di non ingerenza negli affari interni degli Stati. Appare cioè evidente che a permeare la creazione di un regime giuridico che disciplini i disastri naturali è una dimensione che potremmo definire orizzontale o interstatuale, configurandosi tale regime in termini di di diritti ed obblighi intercorrenti tra gli Stati stessi, più che in termini di obblighi degli Stati nei confronti degli individui vittime di tali disastri. Espressione di tale tendenza nei lavori della CDI è, in primo luogo, l esplicita esclusione dell applicazione del concetto della resposibility to protect alle situazioni di catastrofi naturali. Ricorrendo all utilizzo di termini quali duty, primary role, in sostituzione del termine responsibility, si è optato per un concetto di sovranità che va bilanciato con nuovi interessi e valori emergenti, rifiutando quindi la configurazione di una responsabilità primaria dello Stato affected ed una, secondaria, della Comunità internazionale di proteggere la popolazione colpita dalla catastrofe naturale. La prevalenza della dimensione orizzontale nelle prospettive di consolidamento di una disciplina internazionalistica in caso di catastrofi naturali emerge, inoltre, con riferimento all elemento del consenso dello Stato colpito dalla catastrofe naturale al quale è condizionata 12

14 INQUINAMENTO AMBIENTALE E DISASTRI NATURALI: IL RUOLO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI l assistenza esterna (art. 11 del draft provvisoriamente adottato dalla Drafting Committee). Tale consenso costituisce la proiezione esterna del dovere dello Stato affected, appunto, di proteggere chiunque si trovi sul proprio territorio by virtue of its sovereignty, e come espressione del duty to cooperate espresso nell art. 5. Tuttavia dallo stesso duty to cooperate possono discendere alcuni limiti al diritto di rifiutare un offerta di assistenza esterna: in base al secondo comma dell art. 11 del draft il consenso non può essere arbitrariamente negato. Di tale limite vi è traccia però oltre che nel diritto umanitario (non è possibile ritirare il consenso se sussistono necessità della popolazione e se l azione esterna e se l azione esterna di assistenza è di natura meramente umanitaria ed imparziale) anche in alcuni strumenti giuridici nel campo dei diritti umani (il Patto sui diritti civili e politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali); nelle linee guida sulle IDPs; nella risoluzione di Bruges del 2003 dell Institut de droit international (che prevede l obbligo di non rifiutare in modo ingiustificato e arbitrario un offerta in buona fede a fornire assistenza umanitaria, in particolare se tale rifiuto può minare i diritti umani fondamentali delle vittime o consistere in violazioni del diritto di ridurre alla fame i civili come metodo di combattimento- tale previsione cosiderata de lege ferenda). Tuttavia, si pone il problema di comprendere quando il rifiuto a prestare il consenso possa definirsi arbitrario, chi stabilisce l arbitrarietà, e quali conseguenze discendono dall eventuale rifiuto arbitrario del consenso. Con riferimento a tali questioni può rilevarsi in maniera più generale la mancanza nei lavori della commissione di diritto internazionale, in particolare nei report del relatore speciale, di un riferimento alla prassi propria degli Stati nel caso di catastrofi naturali. Appare perciò opportuno operare una classificazione seppur non esaustiva di casi che evidenziano la necessità di delineare caratteristiche e limiti del consenso. Si riscontrano, infatti, casi nei quali, data l incapacità di provvedere alla popolazione stanziata sul proprio territorio, lo Stato affected dà il consenso all assistenza esterna, come nel caso del terremoto del 2010 di Haiti e nel quale sono sorti piuttosto problemi di coordinamento dell aiuto. Una seconda categoria concerne i casi in cui lo Stato affected nega il proprio consenso all aiuto esterno. In tale categoria possono farsi rientrare il Ciclone Nargis che ha colpito nel 2008 la Birmania in questo caso il governo oltre a rifiutare l assistenza esterna, ha negato gli aiuti alla popolazione -; la carestia che ha colpito la Corea del Nord nel 1997 in tal caso rilevano tre questioni: per quanto riguarda la causa della carestia, mentre il governo della Corea del Nord la riconduceva a inondazioni precedenti, altri attribuivano la responsabilità al perseguimento da parte della Corea del Nord della sicurezza alimentare attraverso la politica dell autosufficienza; inoltre in un primo momento la Corea rifiutava di riconoscere la sussistenza della carestia e rifiutava l aiuto esterno; una volta apertasi all aiuto, la Corea del Nord pose dei limiti all entrata di beni in molte aeree del Paese. Infine, rientra in questa categoria l uragano Katrina che ha colpito nel 2005 gli Stati Uniti, i quali hanno rifiutato l aiuto da parte di molti Stati. Quelli appena enunciati rappresentano tutti casi in cui il governo dello Stato colpito dal disastro naturale rifiuta l aiuto umanitario esterno per l incapacità di valutare la gravità della situazione o, più spesso, per ragioni politiche (riluttanza a mostrare la vulnerabilità del proprio paese e l incapacità di gestire gli effetti del disatro; volontà di evitare una futura dipendenza dagli Stati che hanno fornito l aiuto; timore di eventuali motivi economici alla base dell intervento da parte di Stati terzi). È necessario osservare che in tutti questi casi, di fronte ad una mancanza di consenso dello Stato affected, gli Stati terzi si limitano a manifestare le proprie critiche rispetto alla gestione dell emergenza astenendosi dall intervenire per fornire l aiuto alle popolazioni. Tali critiche, unite alle previsioni contenute nelle guide linea sulle IDPs e nella risoluzione del 2003 dell Institut de droit international secondo le quali uno Stato non può arbitrariamente rifiutare offerte di assistenza quando sia unwilling o unable a fornire assistenza alla propria popolazione, possono 13

15 INQUINAMENTO AMBIENTALE E DISASTRI NATURALI: IL RUOLO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI ritenersi eventualmente espressione di une tendenza alla formazione di un opinio iuris ac necessitatis degli Stati che tuttavia non appare affiancata dalla prassi. Si pone inoltre il problema di definire l arbitrarietà del rifiuto dell offerta di assistenza esterna: in linea con la pronuncia della Corte Internazionale di giustizia nel caso Nicaragua, se lo scopo di un offerta di assistenza umanitaria è limitato ad alleviare la sofferenza e proteggere la vita e la salute della popolazione senza discriminazioni (quindi in linea con i criteri previsti dall art. 6 del draft provvisorio), allora il rifiuto a prestare il consenso è da considerarsi arbitrario. Un altro elemento utile a tal fine è il III co. dell art. 11 del draft provvisorio che prevede un obbligo in capo allo Stato affected di notificare la propria decisione rispetto ad un offerta di assistenza. La flessibilità che caratterizza tale obbligo costituisce un segno ulteriore della prevalenza, nei lavori della Commissione, non solo dell ispirazione orizzontale o interstatuale della disciplina prefigurata, ma anche dell esigenza di tutelare il principio di sovranità: l obbligo di notifica è infatti da adempiere whenever possible e consiste nel to make its decision regarding the offer known (mentre nella versione iniziale si chiedeva di giusitificare la propria risposta facendo riferimento al contenuto dell offerta). Nonostante tale flessibilità, la mancata risposta, come messo in rilevo dalla drafting Committee, potrebbe costituire una presunzione di arbitrarietà. Una terza categoria comprende i failed-states. Trattandosi di enti che, pur avendo costituito uno Stato in passato, non hanno più un governo effettivo per motivi che possono dipendere da cause endogene (insurrezioni guerre civili) o esogene (intervento militare esterno), il consenso in questo caso dovrebbe considerarsi tacito al fine di soccorrere una popolazione vittima di una grave emergenza umanitaria? È questo il caso della Somalia, colpita da una grave siccità negli ultimi mesi, e in cui le milizie islamiche Al Shabab hanno negato l accesso in molte zone agli aiuti umanitari oppure sono stati creati mercati paralleli in cui scorte di cibo vengono rubate e rivendute alla popolazione a prezzi più alti. A ben vedere appare forse auspicabile un applicazione più ampia degli strumenti giuridici elaborati nel campo dei diritti umani alle situazioni di catastrofi naturali: nonostante siano previste deroghe in numerosi strumenti giuridici internazionali alla tutela dei diritti umani in caso di emergenza nazionale (e la catastrofe naturale potrebbe rientrare in tale definizione), vi sono infatti diritti quali, come quello alla vita, che devono considerarsi inderogabili. D altra parte, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo e secondo parte della dottrina, e la stessa Commissione dei diritti umani, il diritto individuale alla vita e il corrispondente obbligo degli Stati di proteggere la vita implica che, con riguardo ai disastri naturali, inclusi quelli provocati dal cambiamento climatico, le autorità devono adottare normative riguardanti aspetti rilevanti legati all attenuazione dei rischi di disastri e porre in essere le procedure ed i meccanismi necessari; decidere le necessarie misure amministrative; informare la popolazione sugli eventuali pericoli e rischi; condurre indagini e perseguire coloro che sono responsabili per aver trascurato i propri obblighi in caso di morti provocate da un disastro naturale; compensare i parenti sopravvissuti delle vittime. Malgrado, dunque, l imprevedibilità di molti disastri naturali, si potrebbe configurare, proprio ricorrendo ad alcuni strumenti giuridici in tema di diritti umani, una responsabilità degli Stati di porre in essere tutte le misure possibili per mitigare i danni di una catastrofe naturale. La portata degli effetti di una simile catastrofe potrebbe infatti dipendere da precedenti condizioni disumane, da infrastrutture deboli, da politiche insufficienti o sbagliate adottate dal governo dello Stato affected, tali da condurre alla lesione di diritti individuali internazionalmente protetti; e quindi ci si potrebbe chiedere se, ed entro quali limiti, nell obbligo di adottare tutte le misure necessarie dall obbligo volte a rendere effettiva la protezione di diritti umani internazionalmente protetti in simili ipotesi sia da includersi l obbligo di accettare l aiuto umanitario per alleviare le sofferenze e i 14

16 INQUINAMENTO AMBIENTALE E DISASTRI NATURALI: IL RUOLO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI disagi della popolazione in un caso simile (obbligo previsto, come si è accennato, dal diritto umanitario in caso sia di conflitti internazionali che interni). In caso di risposta positiva, la prospettiva di tutela orizzontale o interstatuale finirebbe dunque per trarre linfa ed effettività proprio da un interpretazione ampia di obblighi internazionali in tema di diritti individuali. In ultimo, non bisogna dimenticare che laddove si configurino gravi violazioni dei diritti umani, si potrebbe anche ipotizzare di far riferimento alle nuove interpretazioni date alle minacce alla pace a alla sicurezza internazionale nella Carta delle NU per immaginare un intervento del CdS con risoluzioni che prevedano misure coercitive da parte di Stati terzi: ciò potrebbe configurarsi, ad esempio, nel caso del blocco degli aiuti da parte delle milizie islamiche in Somalia; o ancora in ragione dello spostamento lungo i confini degli Stati colpiti dai disastri naturali di miliardi di IDPs. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: Abebe, Allehone Mulugeta(2011) 'Special Report Human Rights in the Context of Disasters: The Special Session of the UN Human Rights Council on Haiti', Journal of Human Rights, 10: 1, Barber, Protecting the Right to Housing in the Aftermath of Natural Disaster: Standards in International Human Rights Law, in Int J Refugee Law (2008) 20 (3): Caron, The International Aspects of Natural and Industrial Catastrophes, The Hague 2001 Ferris E., Earthquakes and Floods: Comparing Haiti and Pakistan, Fidler D.P. Disaster relief and governance after the Indian Ocean tsunami: What role of international law?, Melbourne Journal of International Law, vol. 6 (2005), pp Fisher D., Domestic regulation of international humanitarian relief in disasters and armed conflict: a comparative analysis, in Iternational Review of the Red Cross, Volume 89 Number 866 June 2007 Focarelli C., Duty to Protect in Cases of Natural Disasters, in Encyclopaedia of Public International Law, Oxford, Oxford University Press, in Ford S., Is the Failure to Respond Appropriately to a Natural Disaster a Crime Against Humanity? The Responsibility to Protect and Individual Criminal Responsibility in the Aftermath of Cyclone Nargis, 38 Denver Journal of International Law & Policy 227 (2010) Hardcastle R. and Chua A, Victims of natural disaster: the right to receive humanitarian assistance, The international Journal of Human Rights, vol. 1 no. 4 (1997) pp Heath J. Benton, Disasters, Relief, and Neglect : the Duty to Accept Humanitarian Assistance and the Work of the International Law Commission, in New York University Journal of International Law and Politics (2011), Vol. 43, Issue 02, pp Helton Arthur C., Legal Dimensions of Responses to Complex Humanitarian Emergencies, International Journal of Refugee Law Vol.10 No. 3 (1998) pp Helton Arthur C., The Legality of providing humanitarian assistance without the consent of the sovereign, International Journal of Refugee Law Vol.4 No.3 (1992) pp

17 INQUINAMENTO AMBIENTALE E DISASTRI NATURALI: IL RUOLO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI Kolmannskog V. and Trebbi L., Climate change, natural disasters, and displacement: a multitrack approach to filling the protection gaps, in International Review of the Red Cross Volume 92 Number 879 September 2010 Luopajarvi K., Is there an obligation on states to accept international humanitarian assistance to internally displaced persons under international law?, International Journal of Refugees law, vol. 15 (4) (October 2003), pp Malone Linda A., The Responsibility to Protect Haiti, ASIL Insights, March 10, 2010, Volume 14, Issue 7 Peters A., Humanity as the A and of Sovereignty, in The European Journal of International Law Vol. 20 no.3 (2009), pp Pronto A., Consideration of the protection of persons in the event of disasters by the international law commission, ILSA Journal of International & Compartaive Law 449 ( ) Saechao T. R., Natural disasters and the responsibility to protect: from chaos to clarity, Brooklyn Journal of International Law, vol. 32(2) (2007), pp Sandoz Y., The establishment of safety zones for persons displaced within their country of origin, in N. Al Nauimi and R. Meese, International Legal Issues Arising Under the UN Decade of International Law (The Hague Martinus Nijhoff Publishers, 1995), pp Zorzi Giustiniani Flavia, La responsabilità di proteggere. Riflessioni a margine del caso birmano, in Diritti umani e diritto internazionale, 2009/1 E:\sidi\Comments on the International Law Commissions draft articles on protecting persons in the event of disasters - IFRC.mht DOCUMENTI: ASEAN Agreement on Disaster Management and Emergency Response (firmata il 26 luglio 2005, non ancora entrata in vigore) < Convention Establishing an International Relief Union (firmata il 12 luglio 1927, entrata in vigore il 27 December 1932)135 LNTS 247. Corfu Channel (United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland v Albania) (Merits) [1949] ICJ Rep 4. Geneva Convention for the Amelioration of the Condition of Wounded, Sick and Shipwrecked Members of Armed Forces at Sea (adopted 12 August 1949, entered into force 21 October 1950) 75 UNTS 85 (Geneva Convention II). Geneva Convention relative to the Protection of Civilian Persons in Time of War (adopted 12 August 1949, entered into force 21 October 1950) 75 UNTS 287 (Geneva Convention IV). Institut de Droit international Resolution on Humanitarian Assistance (2 September 2003) (2004) 70(2) AnnIDI 263. International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies International Disaster Response Laws (IDRL): Project Report (28th Conference of the Red Cross and the Red Crescent 2 6 December 2003) < Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicaragua v United States of America) (Merits) [1986] ICJ Rep 14. Protocol Additional to the Geneva Conventions of 12 August 1949, and relating to the Protection of Victims of International Armed Conflicts (Protocol I) (adopted 8 June 1977, entered into force 7 December 1978) 1125 UNTS 3 16

18 INQUINAMENTO AMBIENTALE E DISASTRI NATURALI: IL RUOLO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI Protocol Additional to the Geneva Conventions of 12 August 1949, and relating to the Protection of Victims of Non- International Armed Conflicts (Protocol II) (adopted 8 June 1977, entered into force 7 December 1978) 1125 UNTS 609 UN Committee on Economic, Social and Cultural Rights General Comment No 12: The Right to AdequateFood (11 May 1999) ESCOR [2000] Supp 2, 102 UN ILC Special Rapporteur Eduardo Valencia-Ospina Preliminary Report on the Protection of Persons in theevent of Disasters (5 May 2008) UN Doc A/CN.4/598. UN ILC Special Rapporteur Eduardo Valencia-Ospina Second Report on the Protection of Persons in the Event of Disasters (7 May 2009) UN Doc A/CN.4/615 and Corr.1 (14 July 2009). UN ILC Special Rapporteur Eduardo Valencia-Ospina Third Report on the Protection of Persons in the Event of Disasters (31 March 2010) UN Doc A/CN.4/629 UN ILC Special Rapporteur Eduardo Valencia-Ospina Fourth Report on the Protection of Persons in the Event of Disasters (11 May 2011) UN Doc A/CN.4/643 and Corr. 1 (8 July 2011) UN, Protection of Persons in the event of disasters, Memorandum by the Secretariat, General Assembly Sixtieth Session, A/CN.4/590 (11 December 2007), 13 UNGA Assistance in Cases of Natural Disaster: Report of the Secretary General (13 May 1971) UN Doc E/4994. UNGA Implementing the Responsibility to Protect: Report of the Secretary General (12 January 2009) UN Doc A/63/677. UNGA Res 43/131 Humanitarian Assistance to Victims of Natural Disasters and Similar Emergency Situations (8 December 1988) GAOR 43rd Session Supp 49 vol 1, 207. UNGA Res 45/100 Humanitarian Assistance to Victims of Natural Disasters and Similar Emergency Situations (14 December 1990) GAOR 45th Session Supp 49 vol 1, 183. UNGA Res 46/182 Strengthening of the Coordination of Humanitarian Emergency Assistance of the United Nations (19 December 1991) GAOR 46th Session Supp 49 vol I, 49. United Nations Convention on the Rights of Persons with Disabilities (adottata il 13 dicembre 2006, entrata in vigore il 3 maggio 2008) GAOR 61st Session Supp 49 vol 1, 65. World Conference on Disaster Reduction Hyogo Declaration in Final Report of the World Conference on Disaster Reduction (18 22 January 2005) UN Doc A/CONF 206/6. UNGA Res 2625 (XXV) Declaration on Principles of International Law concerning Friendly Relations and Cooperation among States in Accordance with the Charter of the United Nations (24 October 1970) GAOR 25 th Session Supp 28,

19 INQUINAMENTO AMBIENTALE E DISASTRI NATURALI: IL RUOLO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI Nucleare e protezione dell ambiente in Europa: quali ruoli per l Euratom e l UE? ROSSANA PALLADINO Assegnista di ricerca in Diritto dell Unione europea, Università degli Studi di Salerno Abstract A partire dall incidente di Cernobyl, nel contesto europeo è stata fortemente avvertita l esigenza di procedere al coordinamento delle normative nazionali relative alla sicurezza nucleare e all incidenza della dispersione di radiazioni ionizzanti sull ambiente. In particolare, tale compito è stato portato avanti dall Euratom, alla quale fa capo la Decisione concernente le modalità comunitarie di uno scambio rapido d informazioni in caso di emergenza radioattiva (87/600/EURATOM), la Decisione (2005/844/Euratom) relativa all adesione alla convenzione sulla tempestiva notifica di un incidente nucleare e la Direttiva che istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti nucleari (2009/71/Euratom), nonché la recente Direttiva (2011/70/Euratom) del Consiglio del 19 luglio 2011 che istituisce un quadro comunitario per la gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi e la proposta di regolamento che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali, in caso di livelli anormali di radioattività a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva (COM(2010)184). Complessivamente ispirati ai principi di informazione, prevenzione, precauzione, chi inquina paga, tali strumenti sono in grado di fornire un valido quadro normativo di riferimento per la prevenzione degli incidenti nucleari ed, altresì, per la rapida ed uniforme risoluzione delle emergenze, al fine di tutelare le persone e l ambiente. Essi sono stati adottati nell ambito di un Organizzazione (l Euratom) che persegue il compito di contribuire, creando le premesse necessarie per la formazione e il rapido incremento delle industrie nucleari, all elevazione del tenore di vita negli Stati membri e allo sviluppo degli scambi con gli altri paesi (art. 1 Trattato Euratom). In particolare, la base giuridica delle normative di dettaglio è offerta dagli artt. 30 e 31 del Trattato Euratom. L articolo 30 prevede l emanazione di norme fondamentali relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni, mentre non compare alcun riferimento alla protezione dell ambiente quale bene/valore degno di per se stesso di tutela e protezione. Dall altra parte, l articolo 31, nello stabilire la procedura da seguire per l adozione delle suddette norme fondamentali, evidenzia il favor verso l elemento intergovernativo rispetto a quello comunitario nel processo decisionale relativo alle materie in oggetto. Orbene, specie alla luce delle rafforzate competenze dell Unione europea in materia ambientale ed in materia energetica, occorre interrogarsi sulla possibilità che le problematiche legate alla sicurezza nucleare trovino disciplina in tale contesto, piuttosto che il quello Euratom. Seppure caratterizzate da un parallelo processo di allargamento, le due Organizzazioni divergono in relazione al processo di approfondimento nell integrazione che, come è noto, ha caratterizzato la sola Unione europea. 18

20 INQUINAMENTO AMBIENTALE E DISASTRI NATURALI: IL RUOLO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI Nelle normative più recenti, sollecitate anche dall incidente di Fukushima, è persistente il ricorso alle limitate basi giuridiche offerte dal Trattato Euratom, quale zona franca rispetto al maggior grado di tutela accordato al diritto alla salute e al diritto all ambiente, quali diritti fondamentali nel contesto dell Unione europea. Anche alla luce della prospettiva di adesione dell Unione europea alla CEDU, ricondurre le questioni della sicurezza nucleare nell ambito delle competenze dell UE potrebbe avere riflessi in termini di maggiore effettività della tutela apprestata alla salute umana ed all ambiente in conseguenza di danni provocati dalle radiazioni nucleari. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: M. ALBERTON, Le novità introdotte dal trattato di Lisbona per la tutela dell ambiente, in Riv. giur. ambiente, 2008, n. 2, p. 505 ss. P. M. BARNES, The resurrection of the EURATOM Treaty contributing to the legal constitutional framework for secure, competitive and sustainable energy in the European Union, in Year. Eur. Env. Law, 2008, n. 8, pp ; P. M. BARNES, The future of EURATOM, in N. NEUWAHL S. HAACK (Eds.), Unresolved issues in the European Constitution, Bruylant, 2007; S. BERTEA, Looking for coherence within the European Community, in Eur. Law Journ., 2005, n. 2, pp ; E. BREDA, Alla ricerca del delicato equilibrio tra protezione della salute e difesa della sicurezza nazionale nell ambito del Trattato Euratom (nota a sentenza), in Diritto pubbl. comp. eur., 2005, n. 3, pp ; I. CENEVSKA, The European Parliament and the European Atomic Energy Community: a Legitimacy Crisis?, in Eur. Law Rev., 2010, n. 3, pp ; T. CUSACK, A tale of two treaties: an assessment of the Euratom Treaty in relation to the EC Treaty, in CMLR, 2003, n. 1, pp ; M. FITZMAURICE ET AL., Research Handbook on International Environmental Law, London, 2010; A. FODELLA - L. PINESCHI (a cura di), La protezione dell ambiente nel diritto internazionale, Torino, GRUNWALD, JÜRGEN, Neuere Entwicklungen des Euratom-Rechts, in Zeitschrift für europarechtliche Studien, 13. Jahrg. (2010), Heft 4, pp ; I. A. A. KACEM, Safety of nuclear installations, spent nuclear fuel and radioactive waste management in the European Union, in Eur. Env. Law Rev., 2004, n. 4, pp ; M. MARLETTA, Energia. Integrazione europea e cooperazione internazionale, Torino, 2011; M. MAZZAMUTO, Diritto dell ambiente e sistema comunitario delle libertà economiche, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2009, n. 6, pp ; A. MIRAGLIA, Una conferenza sul diritto dell energia nucleare, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, n. 3, pp ; R. MONACO, Comunità Europea dell Energia Atomica (Euratom), in Enc. Giur., vol. VII, 1988, pp. 1-7; D. MONCI, Le regole sulla produzione di energia e la tutela dell ambiente: una difficile coesistenza, in Dir. e giur. agraria, alimentare e dell ambiente, 2010, n. 1, pp. 7-16; G. PASCALE, Il diritto all ambiente come diritto umano di nuova generazione, in Riv. coop. giur. int., 2010, n. 34, pp ; M. RENNA, Ambiente e territorio nell ordinamento europeo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2009, n. 3-4, p ; 19

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