anno: 2013 PIERFRANCESCO DILIBERTO PIF soggetto e sceneggiatura: MICHELE ASTORI, PIERFRANCESCO DILIBERTO, MARCO MARTANI

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2 Si può ridere della mafia? Pif, dopo la sua esperienza televisiva nelle Iene e poi a MTV come 'Testimone' dirige il suo primo e film e dice che sì, si può: anzi, può essere il modo che il cinema possiede per avvicinare un pubblico anche di giovani e giovanissimi. L'importante è che l'aspetto serio e tragico di questo gravissimo e purtroppo ancora attuale problema e della scia di sangue che ha lasciato nella nostra storia trovi il suo posto nel film e, nonostante le risate e gli aspetti accattivanti e sbarazzini della pellicola, non sia minimizzato. scheda tecnica durata: 90 MINUTI nazionalità: ITALIA anno: 2013 regia: PIERFRANCESCO DILIBERTO PIF soggetto e sceneggiatura: MICHELE ASTORI, PIERFRANCESCO DILIBERTO, MARCO MARTANI fotografia: ROBERTO FORZA montaggio: CRISTIANO TRAVAGLIOLI costumi: CRISTIANA RICCERI scenografia: MARCELLO DI CARLO musica originale: SANTI PULVIRENTI distribuzione: 01 DISTRUBUTION interpreti: CRISTIANA CAPOTONDI (Flora), CLAUDIO GIOÉ (Francesco), NINNI BRUSCHETTA (Fra Giacinto), ALEX BISCONTI (Arturo bambino), GINEVRA ANTONA (Flora bambina), ROSARIO LISMA (Lorenzo), BARBARA TABITA (Maria Pia) premi e nomination: 31 Torino Film Festival, 2013, Premio del pubblico. Nasce a Palermo il 4 giugno È figlio del regista Maurizio Diliberto (ma la vena artistica in famiglia vanta addirittura un avo illustre nel XVIII-XIX secolo: il noto scultore danese, rivale di Canova, Bertel Thorvaldsen) e fin dall'età di dieci anni comincia ad appassionarsi al cinema, sognando di diventare a sua volta regista. Dopo aver frequentato svogliatamente il liceo scientifico, decide di non iscriversi all'università, spostandosi invece a Londra dove partecipa ad alcuni corsi di Media Practice. Dopo aver lavorato come assistente alla regia di Franco Zeffirelli nel film Un tè con Mussolini (1998), si avvicina a temi di impegno sociale e di denuncia della criminalità organizzata, quando assiste Marco Tullio Giordana sul set del suo film I cento passi (2000), vincitore di quattro David di Donatello e di un premio alla Mostra di Venezia. Sempre nel 1998 a Milano vince un concorso di Mediaset e diventa autore televisivo. Nel 2001 comincia a lavorare come autore del programma Candid & Video Show su Italia 1, e poi - prima come autore poi come inviato - del più noto programma Le Iene, a quell'epoca condotto da Simona Ventura. Il suo ruolo è spesso legato ai pregiudizi e alle questioni culturali e politiche che dividono Nord e Sud Italia. Il soprannome Pif gli viene dato dalla "iena" Marco Berry nel corso di un viaggio di lavoro. Questa esperienza gli permette nel 2007 di diventare dapprima vj per MTV, presentando parte del Mtv Day 2007, poi, nello stesso anno, di proporre all'emittente americana il suo primo programma individuale, dal titolo Il testimone. Pubblica inoltre Piffettopoli. Le fatiche di un quasi vip (Milano, Zero91) autobiografia di un palermitano nato a Milano che stava per diventare assicuratore a Frosinone e si è ritrovato sulla via del successo, con il racconto di tante occasioni inseguite, di scelte cruciali e di incontri importanti, come quello con Zeffirelli. E poi il rovescio delle medaglia e la fatica di un quasi VIP, come le strette di mano di chi, per strada, avvicina Pif perché lo ha riconosciuto. Forse! E la vita mondana? In discoteca gli offrono cocaina ma lui continua a preferire l'aranciata.. Il 2011 lo vede impegnato con Il testimone Vip, programma che racconta da vicino i dettagli di vita quotidiana di personaggi legati a sport, politica, spettacolo. Sempre nello stesso anno aderisce attivamente alla campagna PIF

3 pubblicitaria di MTV Io voto. A maggio del 2012, in commemorazione dei 20 anni dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino pubblica il racconto Sarà stata una fuga di gas in Dove Eravamo. Vent'anni dopo Capaci e Via D'Amelio, AA.VV. (Caracò Editore). Il 27 ottobre 2013 tiene un discorso sul palco della Leopolda a Firenze, durante la manifestazione organizzata dal sindaco Matteo Renzi, attaccando Rosy Bindi, a proposito delle sue affermazioni sulla mafia, e Vladimiro Crisafulli. Nel frattempo debutta alla regia cinematografica con La mafia uccide solo d'estate che lo vede anche protagonista. La parola ai protagonisti Note di regia Avete presente quando rivedete una vecchia foto degli anni Ottanta, magari di una ragazza per la quale avete perso la testa? Per quanto bella possa essere la ragazza i vostri occhi, o almeno i miei, saranno attratti da un elemento particolare: le spalline! Le ragazze indossavano le orrende spalline, perché andavano di moda. E voi vi chiedete: ma come mai le spalline entravano nella mia vita ed io non dicevo nulla? Ecco, una domanda simile me la sono posta con Palermo, la città dove sono nato e cresciuto. Infatti, un giorno mi sono fermato e ho guardato indietro. E lì la domanda: ma come è possibile che a Palermo la mafia entrasse così prepotentemente nella vita delle persone e in pochi dicevano qualcosa? Il tempo ti rende più lucido, più distaccato e allora capisci gli assurdi compromessi che si fanno con la vita, in maniera più o meno cosciente, per andare avanti. E fai finta che alla fine tutto vada bene. Accettazione delle spalline compresa. Perché è faticoso uscire dal coro. Perché, per quanto amaro possa essere, sul momento si vive meglio abbassando la testa, e poi si vedrà. Allora, essere un bambino a volte conviene. Perché imiti i tuoi modelli, cioè gli adulti. E se per loro non ci sono problemi, non ci sono neanche per te. I problemi arrivano quando, un giorno, il bambino capisce che la mafia non uccide solo d estate. Intervista a PIF Come avete costruito la storia? Abbiamo inventato la vita di Arturo, ispirata alla mia e a quella di Michele (Astori, uno dei tre sceneggiatori con Pif e Marco Martani, ndr) - dice Diliberto - e l'abbiamo incastrata con fatti realmente accaduti. Ho passato ore e ore alle teche RAI: è stata un'esperienza emozionante. E' incredibile quello che si può trovare lì. Che reazione vi aspettate dai più giovani, che di certe stragi di mafia sanno poco e per sentito dire? Se questa storia sorprende me, che allora c'ero sorprenderà a maggior ragione chi allora non c'era o era troppo piccolo. Per attirare un pubblico giovane ho pensato di spacciarlo per un film di Natale, ma senza peti. Quando faccio le cose, non penso se sia giusto oppure no, le faccio e basta. Finché il mio modo di raccontare piace, non mi pongo il problema. Il film racconta il pericolo costituito dal silenzio di chi preferisce far finta di niente. Riascoltando le dichiarazioni di Andreotti, capisci che non c'era bisogno d'indagini per capire come stavano le cose. Perché la gente non si ribellava? La maggior parte dei siciliani non era collusa, ma negava la pericolosità della mafia. Vivevamo in una bolla. Poi nel '92 ci siamo svegliati. E oggi? La mafia appare meno potente di allora, ma lo Stato non deve sottovalutare i fenomeni criminali, soprattutto quando si sviluppano nel silenzio. La strategia di Cosa Nostra è quella che avrebbe voluto Provenzano già allora: agire senza farsi notare. Quella di Riina si è rivelata un autentico disastro.

4 Ci sono tante belle realtà che mi confortano. A Palermo esiste un'associazione che si chiama Addiopizzo. Tra le altre cose attacca degli adesivi con la propria sigla nei negozi dei commercianti che non pagano il pizzo. Le indagini hanno dimostrato come questi adesivi scoraggino i mafiosi ad avvicinarsi a queste realtà. Ci tengo a dire che grazie a loro abbiamo girato quattro settimane a Palermo senza pagare il pizzo a nessuno. Queste associazioni nascono da una mentalità nuova, che appartiene alla mia generazione e che ha saputo rinnegare quella "rassegnata" dei nostri genitori. Cos'ha di diverso questo film dagli altri film sulla mafia? È diverso per il punto di vista: non un giudice o un eroe, ma una persona semplice, io, la cui infanzia e adolescenza sono state segnate dalla guerra di mafia. E la storia, reale, per una volta non finisce con la morte del protagonista. Ho usato un approccio forse azzardato, ma volevo rappresentare il dramma ridendo. Perché si può, si deve ridere della mafia. Ha mai pensato però che, smitizzando Cosa Nostra, rischi di semplificarla? La mafia è da sempre cinematografica e troppi l hanno resa accattivante, hanno creato boss affascinanti. Qui, invece, anche se si ride, buoni e cattivi sono distinti. E poi tutti restano persone normali: Falcone non è un supereroe ma pure i mafiosi, drammaticamente, possono diventare buoni vicini di casa. Com è stata la tua infanzia a Palermo? Normale, questo è il problema: gli adulti erano tranquilli, e io pure, ma intorno si combatteva una guerra di mafia. Che cosa ricorda delle stragi? Doppiavo in siciliano Balla coi lupi, nello studio di papà vicino a via D Amelio: ho sentito il botto, ho preso la telecamera, sono andato ma non avevo capito che si trattava di Borsellino, ripetevo: sarà stata una fuga di gas. Qual è la cosa più assurda che ha sentito in vita sua su questo tema? Sei di Palermo, quanti amici mafiosi hai? : me lo chiesero anni fa dei ragazzi a Milano. Non c era cattiveria, ma ignoranza. E poi l arresto di Totò Riina ha illuso tutti che Cosa Nostra fosse qualcosa di rurale e non di sofisticato, con amicizie dove contano, nei salotti bene. Recensioni Chiara Maffioletti. Corriere della Sera La Sicilia degli stereotipi ha come sottofondo il suono del marranzano ed è fatta di strade assolate, uomini con la coppola, donne vestite di nero e mafiosi con la lupara. Ma chi in Sicilia è cresciuto, sa che le cose non sono esattamente così. Specie la mafia. Pierfrancesco Diliberto, detto Pif, 40 anni, ha aspettato tutta la vita per poterlo raccontare. Con il sogno di fare il regista, come suo padre, ha iniziato a lavorare come autore in tv, poi è andato in video e - prima con le «Iene», poi con «Il testimone» - «le cose sono andate meglio del previsto - dice -. Ma ora sono riuscito a fare quello che davvero volevo fare nella vita». Ovvero dirigere (e interpretare) il suo primo film. Sul tema non ha avuto dubbi: «Descrivere la mafia attraverso gli occhi di uno che è stato bambino negli anni 70». Lui, praticamente. «E' una commedia: intreccio la trama a una serie di avvenimenti mafiosi realmente accaduti. I non siciliani faticano a capire cosa vuol dire crescere a contatto con la mafia. La gente ha l' idea del mafioso tipo Totò Riina. Invece i mafiosi erano anche Stefano Bontade: parlava francese, inglese e se l' avessimo incontrato sarebbe stato gentilissimo, un signore. Negli anni 70, a Palermo sugli omicidi di mafia si diceva: finché si scannano tra loro, non ci interessa. Se invece toccava a uno che in apparenza non c' entrava niente, la scusa era: l' hanno ammazzato per questioni di donne. Era un modo per campare, per non prendere coscienza». Ma così la mafia resta latente nella vita di tutti. Anche di un bambino. Nel film (...) fatti gravi vengono visti con gli occhi di un bambino: «Ci sono esempi clamorosi, da Champions League tipo La vita è bella. Così si ride anche. Per me da bambino la mafia era lontana pur essendo dietro casa. Chissà quante volte ero vicino a un mafioso, senza saperlo. Giocavo a calcio di fronte alla casa dove Vito Ciancimino riceveva Provenzano: magari è arrivata qualche pallonata sulla sua macchina. Il rischio è abituarsi. Se il negozio vicino a scuola prende fuoco perché non pagano

5 il pizzo, la prima volta fa impressione, la decima ti abitui. E invece bisogna scandalizzarsi: abituarsi significa rassegnarsi». Il film (...) ha un cast tutto di attori siciliani (...) tranne Cristiana Capotondi (...) ed è stato girato per 4 settimane a Palermo «senza pagare il pizzo». Pif sperava nel sostegno della Regione Sicilia: «Avevo fissato l' appuntamento con l'assessore, ma dopo un' ora e mezza mi hanno detto che non mi riceveva più perché era arrivata la Cucinotta. Non mi interessavano i soldi, mi sarebbe piaciuto che la regione dicesse: sì, è una storia che condividiamo». Ma il dispiacere va oltre: «Basterebbe poco invece perdono grandi opportunità. Penso a come hanno trattato Emma Dante, una che porta la palermitanità nel mondo. Anche il mio, che è un film piccolo, almeno 800 mila euro a Palermo li ha dati. Perché non invogliare le produzioni a venire in Sicilia? Non serve dare soldi: se snellissero la burocrazia, dessero strutture, uffici, sarebbe già fantastico. Vuoi levare il lato artistico? Guarda quello economico. Vorrei che Palermo diventasse un posto dove è facile girare un film». Stefano Amadio. Cinematografo.it Pif esordisce alla regia con le sue memorie, il suo racconto personale di Palermo e della mafia nel corso della sua vita. Il pregio del film è quello di saper parlare con ironia e distacco, ma sempre condannandola, degli eventi legati alla mafia e dell'atteggiamento perlomeno rassegnato con cui i suoi concittadini palermitani, - famiglia, amici e compagni di classe - ci hanno da sempre convissuto. Gli occhi sono quelli innocenti di un bambino che riesce a interpretare ogni cosa con i suoi parametri, semplici ma sinceri capaci di gettare una luce diversa, non tanto sugli eventi stessi, già abbondantemente visti e raccontati, ma sulle conseguenze che questi avevano sulle vite dei siciliani. Pierfrancesco Diliberto, avendo lasciato Palermo da molto tempo, ha sentito l'esigenza di mostrare questa situazione nel suo film, in cui i ricordi di mafia si confondono con la storia d'amore per una compagna di scuola che sin dalle elementari è stata l'oggetto dei suoi desideri. "La Mafia uccide solo d'estate" è un punto di vista originale, raccontato con lo stile e il ritmo giusto, e riesce a far riflettere su argomenti che possiamo aver dimenticato riaccendendo un'emozione e un coinvolgimento non troppo comune nel nostro cinema. Pif, già esperto giornalista/personaggio televisivo, convince anche come interprete affiancato da Cristiana Capotondi e da una serie di attori siciliani di grande bravura, tra cui spiccano Claudio Gioè e Ninni Bruschetta nel ruolo di un divertente frate che non nasconde i suoi stretti rapporti con la mafia. Attilio Bolzoni. Repubblica.it Al cinema non ci andava dal 1989, ventiquattro anni fa. Motivi di sicurezza. C è tornato con Pif e per vedere Pif. In sala sorride dei boss sbeffeggiati, trattati come caproni. All uscita è emozionato, quasi stordito. Troppi amici che non ci sono più. Troppi ricordi di quella Palermo tragica. Allora, le è piaciuto questo film? «È il più bello sulla mafia che abbia mai visto», risponde Pietro Grasso, presidente del Senato, magistrato per quasi mezzo secolo e siciliano. A volte, significa qualcosa anche al cinema. Nascere e vivere in Sicilia non è come nascere e vivere in un qualunque altro luogo d Italia. Lì ci sono bambini che invece di dire «mamma» o «papà» come prima parola non dicono niente buon segno per qualcuno o con naturalezza possono anche dire «mafia». Quando capiscono che esiste. «Ma in quella città non se ne accorgeva nessuno quando io ho cominciato a fare il magistrato, non se ne accorgeva nessuno neanche dentro il Palazzo di Giustizia», sussurra Pietro Grasso a Pierfrancesco Diliberto in arte Pif appena si accendono le luci e insieme sorridono di Arturo protagonista del film La mafia uccide solo d estate bimbo che ostinatamente tace nonostante sia già abbastanza cresciuto ma che, all improvviso, un giorno riconosce un mafioso e pronuncia davanti agli sbigottiti genitori quella sua prima fatale parola: mafia. Serata tutta siciliana per il Presidente del Senato della Repubblica, lui e l attore regista fianco a fianco prima al cinema Barberini domenica, ultimo spettacolo e poi ancora a tavola per parlare della loro città durante una palermitanissima cena a Trastevere. Sfincionelli fritti, cazzilli, arancine, panelle. Uno è nato nel 1972, l altro nel Uno aveva dieci anni quando Palermo era un mattatoio, l altro andava già in giro con l auto blindata e indagava sui misteri di Palermo con Falcone e Borsellino. Due generazioni a confronto, la mafia raccontata in un film e raccontata dopo un film da chi l ha vista da vicino e da chi non vuole farla dimenticare. «Va dritto al cuore», gli dice Grasso appena fuori dal cinema. Film commovente, ribelle, frizzante, leggero, tenero. «E soprattutto vero, hai fatto cinema ma hai fatto anche cronaca, hai fatto sentire l aria che si respirava nella nostra Palermo», dice ancora a Pif che l ascolta in silenzio. È emozionato anche lui: «Quando succedeva tutto, io andavo alle elementari».

6 Si ripassano insieme le battute del film. Chi ha ucciso il giornalista Mario Francese? «Era bravo ma gli piacevano assai i fìmmini». Quale è stato il discorso politico più complesso di Salvo Lima nella sua irresistibile carriera all ombra di Cosa Nostra? «La Sicilia ha bisogno dell Europa, l Europa ha bisogno della Sicilia». Cosa ha detto Giulio Andreotti per giustificare la sua assenza davanti alla bara del generale Carlo Alberto dalla Chiesa? «Ai funerali preferisco i battesimi». Complici. Di loro si può anche sorridere e piangere insieme. Sullo schermo le facce delle «persone perbene» di Palermo di quegli anni. Sacerdoti, direttori di banca, barbieri, insegnanti, avvocati, macellai. Quelli che non vedevano. E poi i corpi insanguinati degli altri, quelli che morivano. Fila G posto 13 e posto 12, i poliziotti della scorta discretamente alle spalle di Pietro Grasso. Prima scena, Arturo che nasce la stessa notte e nello stesso palazzo dove avviene una strage che segnerà la storia mafiosa della Sicilia. «È viale Lazio», si lascia sfuggire a voce alta il presidente quando si accorge che i sicari sono vestiti da poliziotti. Si muovono goffamente i boss, vengono dileggiati. C è Leoluca Bagarella, che s innamora della cantante Ivana Spagna e ritaglia le sue foto dai giornali. Il capo, suo cognato Totò Riina, lo rimprovera e lo sprona «a pensare prima al lavoro» (ammazzare qualcuno, ndr) e poi all amore. Il pubblico se la spassa alla faccia dello «zio Totò» e dei suoi corleonesi. Poi però arrivano le immagini di morte. Via Di Blasi, bar Lux, l omicidio del commissario Boris Giuliano in mezzo alle iris, panini al forno ripieni di ricotta. Grasso: «In quel bar ci andavo a comprare i dolci alla domenica quando abitavo in viale Piemonte». Pif: «Io invece abitavo in via Sciuti, vicino a Vito Ciancimino». E poi altre scene di guerra, altri cadaveri. In un veloce fotogramma l ultima udienza del maxi processo, per un attimo s intravede il volto del giudice Grasso nascosto da una folta barba dopo trentacinque giorni di camera di consiglio. È già un altra Palermo, i boss in gabbia, le condanne, il capolavoro di Giovanni Falcone riassunto in una sentenza. Ed è un altra Palermo anche quella che Pif trasmette al presidente: «Per fare un film così non potevo certo pagare il pizzo come è capitato tante volte quando si gira, se si vuole si può non pagare». Scivolano altri ricordi. Ancora su Falcone, su Borsellino, su tutti gli uomini che la mafia si è portato via e che nel film, uno per uno, vengono rievocati nelle lapidi di Palermo. Un brivido, un altro bisbiglio di Grasso: «A volte ti senti quasi colpevole di essere vivo». Poi una piccola confessione: «Non mi capitava di entrare in un cinema da quasi un quarto di secolo, c erano troppi palermitani che provavano fastidio a vedere i magistrati seduti vicino a loro, così mi sono abituato a vedere i film a casa. L ultimo, in una sala, l ho visto nel 1989: Crimini e misfatti di Woody Allen». (...) Andrea Chimento. Il Sole 24 ore Una piacevole sorpresa è invece «La mafia uccide solo d'estate», esordio dietro la macchina da presa dell'ex "iena" Pierfranceso Diliberto, in arte Pif. Il conduttore veste anche i panni del protagonista Arturo, giovane palermitano che racconta la sua vita in prima persona, dall'infanzia all'età adulta. La narrazione si concentra su due fronti: il rapporto con Flora, di cui è innamorato sin dalle scuole elementari, e i fatti di mafia che hanno segnato la sua intera esistenza. In buon equilibro tra il grottesco e la cronaca nera, «La mafia uccide solo d'estate» è un intenso racconto di formazione, ambientato in un mondo e in un periodo storico dove le tragedie di sangue legate a Cosa nostra erano all'ordine del giorno. (...) Se i contenuti sono di primaria importanza (Pif parla della mafia in maniera sarcastica, dolorosa e commovente al tempo stesso), anche la messinscena riesce a dire la sua grazie all'ottimo lavoro di montaggio di Cristiano Travaglioli, abituale collaboratore di Paolo Sorrentino. Chiara Ugolini. La Repubblica Di mafia si può ridere, anzi si deve. "È grave quando non si può ridere di qualcosa, sempre con il rispetto naturalmente per le vittime, in modo che la satira non offenda la tragedia". di Pierfrancesco Diliberto (in arte Pif) è un film che mette insieme commedia, romanticismo, cinema-verità e inchiesta. Racconta, con gli occhi di un bambino concepito durante la strage di viale Lazio a Palermo, più di trent'anni di assassinii, attentati ma anche lotte a Cosa Nostra. Un film che dissacra i boss mafiosi e umanizza gli eroi dell'antimafia: il commissario Boris Giuliano, il segretario regionale del Pci Pio La Torrre, i giudici Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. ( ) Palermitano, classe 1972, Pif fa tesoro della sua esperienza televisiva (Le Iene, Il testimone) e della frequentazione di set eccellenti (ad esempio I cento passi di Marco Tullio Giordana) per raccontare un periodo della sua Palermo che, visto con gli occhi di oggi, pare quasi incredibile. "Forse il paragone sembrerà azzardato -

7 spiega Pif - ma i fatti accaduti in quegli anni e le dichiarazioni dei politici di allora sono come le spalline degli anni Ottanta. Tutte le ragazze e le donne le portavano, ma viste ora possiamo dire che erano orribili, così se con la consapevolezza di oggi riascoltiamo alcune frasi di politici come Salvo Lima o Giulio Andreotti capiamo che era sotto gli occhi di tutti la collusione tra certa politica e la mafia. I palermitani però non la vedevano, si parlava di debiti di gioco, di storie di corna quando un insospettabile veniva ucciso. Solo le morti di Falcone e Borsellino hanno aperto gli occhi alla città". La mafia uccide solo d'estate, (la somiglianza con il titolo dell'autobiografia politica di Alfano, La mafia uccide d'estate, è casuale, "noi ci avevamo pensato prima") racconta la storia di Arturo che, per conquistare l'amata Flora e per coronare il suo sogno di diventare giornalista, comincia a interessarsi ad alcuni casi che avvengono nella sua città. Man mano che la sua passione civile e professionale cresce, intorno a lui si susseguono gli episodi di cronaca. Così, prima di venire assassinato, il commissario Boris Giuliano è un signore baffuto che svela ad Arturo il dolcissimo segreto delle Iris (brioche ripiene di ricotta e cioccolato), prima di saltare in aria con la sua scorta il giudice Chinnici è un testimone affettuoso dei goffi tentativi di Arturo di conquistare Flora, Dalla Chiesa è la prima intervista del giornalista in erba che a un perplesso generale chiede: "l'onorevole Andreotti dice che l'emergenza criminalità è in Calabria e in Campania, Generale, ha forse sbagliato regione?". Il film mescola la storia di finzione con elementi di repertorio, i funerali di Dalla Chiesa, quelli della scorta di Borsellino con un effetto di realtà e di coinvolgimento. "Quando ero ragazzino ero il cronista di punta di nera del mio giornalino scolastico - dice Pif - quando un giorno in classe un compagno disse che il padre aveva visto una testa mozzata per strada fui traumatizzato, non per l'immagine cruenta ma per il fatto che non l'avevo vista io. In quegli anni vivevamo in una bolla, il che in parte ci proteggeva, ma che ci ha reso più traumatico l'esplodere di quella bolla". "Io vengo dall'esperienza delle Iene, arrivo 'babbiando', come si dice a Palermo, cioè scherzando, e poi sparo la mia denuncia. Forse un film più classico un ragazzo non lo vedrebbe, mentre è importante che i giovani sappiano che anche se Cosa Nostra oggi è un po' meno potente non si deve abbassare la guardia perché la mafia è particolarmente pericolosa quando è silente, strisciante". Il film stesso è un emblema della lotta alla mafia, perché la produzione ha messo subito dei paletti rispetto all'eventualità che venisse chiesto un pizzo per girare. Su questo punto sono stato fermo e la produzione è stata d'accordo con me - ha spiegato Pif - il film va girato a Palermo e non si deve pagare per girare. Io sostengo l'associazione di più di 800 commercianti di Addio Pizzo che, con un adesivo applicato sulla vetrina, stanno combattendo una pratica talmente diffusa da essere normale. Io ho diffuso la notizia, ho chiesto aiuto a tutti gli amici poliziotti e ce l'ho fatta. Tanto che oggi posso fare un invito: 'produzioni venite a Palermo, si mangia bene, le persone sono accoglienti, c'è tanta luce e, se ci si impegna, si può evitare di pagare il pizzo'. Daniela Catelli. Coming Soon E' fisiologico: anche nelle città in guerra e sotto assedio, attaccate dal terrorismo o dalla criminalità, si continua a vivere, a innamorarsi, ad andare a scuola. In qualsiasi, drammatica situazione, l'istinto di sopravvivenza induce gli uomini a distogliere lo sguardo, camuffare la realtà sotto le spoglie di una normalità fortemente voluta. Palermo negli anni Settanta e Ottanta era una città dove, nonostante il bollettino quotidiano delle vittime, la gente continuava a vivere una sua quotidianità E' da questa realtà che prende il titolo il film d'esordio di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, La mafia uccide solo d'estate. Nel film è il padre a dire questa frase al figlio per tranquillizzarlo, ma è anche l'illusoria certezza in cui molti si sono cullati per troppo tempo: quella che la mafia fosse una specie di fenomeno atmosferico, per difendersi dal quale bastava ignorarlo. Pif apre con una dedica ai caduti giusti di questa guerra, e nella storia del piccolo Arturo ripercorre questi tragici eventi (...). Lo fa col candore e con l'umorismo propri di un'intelligenza atipica come la sua, che sa di poter accostare toni e argomenti in apparenza agli antipodi, senza mancare di rispetto a nessuno. E' così che il suo film diventa il mezzo perfetto per raccontare alle giovani e spesso ignare generazioni la storia di un paese in cui un politico come il Divo, l'"amico degli amici", poteva diventare l'idolo di un bambino, per dir loro che la mafia in realtà non ha mai guardato in faccia a nessuno, nemici o ex amici, e che per essere eroe "basta" essere determinati a fare bene il proprio lavoro. Un paese e una città in cui la pigrizia e l'ignavia hanno pian piano ceduto il passo all'impegno e alla consapevolezza civile ma dove c'è ancora moltissimo da fare. E' bello che a ricordarci chi erano queste persone sia una commedia, che a pronunciarne i nomi non sia per una volta la piazza ma un mezzo trasversale capace di parlare anche a quelli che non leggono e non si interessano al mondo in cui vivono.

8 Per questo ci è piaciuta la presentazione nei loro piccoli e umani rituali di personaggi come Boris Giuliano e il giudice Chinnici, ma anche la voglia di scherzare sui Padrini, che non per questo cessano di essere feroci e spietati. Da un punto di vista cinematografico ci ha convinto maggiormente la prima parte, quando Arturo e Flora, l'amore della sua vita, sono ancora bambini. Il passaggio un po' brusco all'età adulta spoglia la vicenda di quella patina favolistica che è l'aspetto migliore della messinscena, fino al finale commosso ma un po' pleonastico, che ne fa l'ideale apertura di un dibattito nelle scuole, Ma c'è molto colore (e calore) in questo mondo, in cui Pif si aggira con la grazia stralunata di un Pinocchio che scopre la brutta realtà del Paese dei Balocchi, e molto affetto per un periodo in cui si è stati comunque felici. Niente male davvero per un esordio originale, che invece della solita rassicurante commedia sentimentale ha scelto di raccontare una generazione capace di impegnarsi nelle battaglie giuste, ma sempre col sorriso sulle labbra.

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