Executive Summary VI Edizione

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1 Osservatorio AUB su tutte le aziende familiari italiane con ricavi superiori a 50 milioni di Euro Executive Summary VI Edizione a cura di Guido Corbetta, Alessandro Minichilli e Fabio Quarato Cattedra AIdAF EY di Strategia delle Aziende Familiari in memoria di Alberto Falck Università Bocconi Premessa L Osservatorio AUB, promosso da AIdAF (Associazione Italiana delle Aziende Familiari), dalla Cattedra AIdAF EY di Strategia delle Aziende Familiari (Università Bocconi), dal gruppo UniCredit e dalla Camera di Commercio di Milano (CCIAA) prosegue il monitoraggio di tutte le aziende italiane a proprietà familiare che nel 2012 hanno superato la soglia di fatturato dei 50 milioni di euro. 1 La sesta edizione, oltre a presentare nuovi approfondimenti tematici sulle operazioni di acquisizione e i processi di internazionalizzazione, effettua per la prima volta una comparazione internazionale tra le aziende più grandi di 6 principali Paesi europei. Una popolazione (resiliente) di aziende familiari La popolazione di aziende italiane monitorata dall Osservatorio AUB è costituita, all inizio del 2013, da aziende con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro, di cui a controllo familiare (pari al 58%). 2 Sebbene l incidenza delle aziende familiari sia in linea con quella delle precedenti rilevazioni dell Osservatorio, 3 confrontando la popolazione iniziale di aziende (al 2007) e quella finale (al 2012) emergono alcune evidenze: negli ultimi sei anni il numero di aziende con fatturato superiore ai 50 milioni di euro si è complessivamente ridotto del 7,8% (passando da a 7.069); l aggregato delle aziende familiari si è dimostrato il più resiliente : il numero delle aziende familiari si è ridotto complessivamente del 3,6%, contro il 13,0% delle non familiari. 4 Tra queste, sono state soprattutto le filiali di imprese estere ( 19,3%), le coalizioni proprietarie ( 17,6%) e le aziende a controllo statale ( 11,1%) ad aver subito una maggiore riduzione in termini di numerosità; nonostante la maggiore resilienza, all interno delle aziende familiari è avvenuto un forte processo di cambiamento: delle aziende a controllo familiare presenti nella sesta edizione dell Osservatorio, circa il 60% (2.428) è presente fin dal 2007, mentre aziende sono uscite nel corso delle precedenti edizioni a fronte di aziende entrate a partire dal Fonte: AIDA (Analisi Informatizzata delle Aziende Italiane). 2 Sono state considerate familiari le società controllate da una o due famiglie almeno al 50% (se non quotate) e almeno al 25% (se quotate), o da una entità giuridica a sua volta riconducibile ad una delle due situazioni sopra descritte. 3 Le aziende a controllo familiare erano pari al 58,0% nel 2011 e nel 2010, al 57,1% nel 2009, al 55,1% nel 2008 e al 55,5% nel Le aziende a controllo familiare sono passate da nel 2007 a nel 2012, mentre le aziende non familiari sono passate da a In particolare, aziende sono uscite a causa della riduzione del fatturato sotto la soglia dei 50 milioni di euro, e 572 sono state oggetto di operazioni di M&A o di una procedura concorsuale. 1

2 Le performance delle aziende familiari: un aggiornamento La disponibilità di dati per l anno 2013 permette di effettuare una valutazione più accurata sulla capacità di risposta da parte dei diversi tipi di aziende alla crisi finanziaria globale degli ultimi anni. 6 Dal punto di vista della crescita aziendale, i dati dell Osservatorio confermano come le aziende familiari abbiano saputo rispondere meglio ai primi segnali di ripresa nel biennio , registrando un nuovo rallentamento nel 2012 (+2,7%) sfociato nel 2013 in una contrazione dei tassi di crescita ( 0,8%). Se però nel 2009 le aziende familiari avevano sofferto maggiormente del calo del fatturato rispetto alle non familiari ( 8,8% vs 4,8%), nel biennio la nuova ondata recessiva sembra aver investito tutte le aziende (familiari e non) in misura simile. Approfondendo le dinamiche delle aziende non familiari, nel 2013 si evincono comportamenti in parte differenti rispetto a quelli osservati fino allo scorso anno: se da un lato le coalizioni e le filiali di imprese estere sembrano continuare a soffrire più delle altre la difficile congiuntura economica in corso (rispettivamente, 2,6% e 2,0% la riduzione dei ricavi nel 2013), dall altro lato le aziende statali che avevano goduto negli anni precedenti di una certa protezione rispetto alla crisi hanno registrato per la prima volta una diminuzione dei ricavi ( 1,6%). Di converso, le aziende controllate da fondi d investimento e private equity sono la classe di aziende che ha realizzato i tassi di crescita più elevati nell ultimo anno (+4,4%). Con riferimento alle performance reddituali si rafforzano invece alcuni dei trend emersi nella precedente edizione: il gap positivo di redditività operativa a favore delle aziende familiari si è progressivamente ridotto a partire dal 2007, sino a restringersi a +0,6 punti al termine del Rispetto al 2007, infatti, la redditività operativa delle aziende familiari si è ridotta, in media, di oltre il 30%, 7 e l incidenza di aziende con un ROI negativo è più che raddoppiata (passando dal 5,4% al 12,2%). La redditività del capitale netto, al contrario, mostra una inversione di tendenza già a partire dal 2012 a favore delle aziende familiari, 8 seppur nel quadro di una dura contrazione negli ultimi anni. Una conferma in tal senso arriva dalla significativa riduzione del numero di aziende con ROE alto (tra il 10 e il 20%) o molto alto (superiore al 20%), passate complessivamente dal 48,9% nel 2007 al 31,4% nel Strettamente collegate appaiono anche le considerazioni sulla capacità di ripagare il debito, misurata dal rapporto PFN/EBITDA. 9 Tale indicatore, passato da 4,8 agli inizi della crisi a 5,8 nel 2009, sembrava essersi stabilizzato nel biennio successivo. I dati del 2012 mostrano invece un ulteriore peggioramento di tale indicatore, confermato anche dai nuovi dati 2013 (con un rapporto pari a 6,1). Tale trend deve far riflettere soprattutto se comparato a quello delle aziende non familiari, che hanno ridotto il proprio rapporto PFN/EBITDA passando da 5,4 a 4,8 nell ultimo biennio. Ciononostante, i dati dell Osservatorio indicano come circa 1 azienda familiare su 5 abbia liquidità in eccedenza rispetto ai debiti finanziari (ovvero PFN negativa), e che l incidenza delle aziende con EBITDA negativo, nonostante l incremento degli ultimi anni, sia inferiore rispetto a quella di altre classi di aziende. 10 Sul fonte patrimoniale, invece, le aziende a controllo familiare non solo si confermano le meno dipendenti dal capitale di terzi, ma nel 2013 si sono ulteriormente rafforzate patrimonialmente: il rapporto di indebitamento si è ridotto nel corso dell ultimo anno, passando da 5,6 nel 2012 a 5,1 nel 2013, e tale valore risulta inferiore di circa 2 punti rispetto a quello delle aziende non familiari. 11 Tale trend appare ancora più positivo alla luce dell andamento di una delle sue determinanti: negli ultimi anni la crescita dell Attivo Netto nelle aziende familiari è sempre stata positiva e superiore rispetto a quella delle aziende non familiari. Pertanto, è possibile affermare come il rafforzamento patrimoniale non sia avvenuto bloccando la politica di investimenti in azienda, ma rafforzando il patrimonio aziendale in misura superiore rispetto alla crescita del capitale investito. 6 I dati di bilancio 2013 sono relativi all 80% di aziende incluse nell Osservatorio AUB all inizio del Il ROI delle aziende familiari è passato dal 10,3% nel 2007 al 6,9% nel Se alla fine del 2011 il gap di redditività si era quasi annullato (+0,5 punti di ROE), nel 2012 e nel 2013 il gap di redditività a favore delle aziende familiari è tornato a crescere, e risulta pari, rispettivamente, a +1,6 e +1,4 punti di ROE. 9 La base di calcolo è costituita dalle sole aziende con entrambi i valori di PFN e EBITDA positivi (Fonte: Aida). 10 L incidenza delle aziende familiari con EBITDA negativo è pari al 6,1% nel 2013, contro il 7,2% delle aziende statali, l 11,1% delle cooperative e consorzi, l 11,3% delle coalizioni e il 12,0% delle filiali di imprese estere. 11 Rapporto di indebitamento: Attivo Netto / Patrimonio Netto (fonte: Aida). 2

3 Le sfide per il rilancio della competitività Anche quest anno l Osservatorio AUB propone alcune sfide da raccogliere affinché le aziende familiari e le famiglie imprenditoriali del nostro Paese possano rispondere con successo ai cambiamenti in atto nel mutato contesto competitivo internazionale. Delle sfide di seguito presentate, alcune riprendono e rafforzano le evidenze che si sono andate via via consolidando nel corso delle diverse edizioni dell Osservatorio sui temi della leadership, del ricambio al vertice, dell apertura verso i giovani e i non familiari; altre emergono da nuovi approfondimenti tematici. In particolare, sul fronte delle strategie di crescita sono state analizzate tutte le operazioni di acquisizione e quelle di internazionalizzazione realizzate mediante investimenti diretti all estero (IDE) dalle aziende italiane, indagando le determinanti e i risultati prodotti da tali opzioni di crescita nei diversi tipi di aziende. 1. Imparare a gestire la leadership collegiale (o cambiare modello) Come rilevato nelle precedenti edizioni dell Osservatorio, le aziende familiari si caratterizzano per un ampia varietà dei modelli di leadership, e nel corso dell ultimo decennio un numero crescente di aziende si è orientata verso modelli di vertice più strutturati. In particolare, il numero di aziende guidate da due o più Amministratori Delegati (c.d. leadership collegiale) è cresciuto in modo progressivo a partire dagli anni duemila (di circa 10 punti), a discapito dei modelli più semplici come il Presidente Esecutivo e l Amministratore Unico, pur se tali modelli mantengono ancora una diffusione molto elevata. 12 Nonostante questo maggior orientamento verso la collegialità al vertice, le aziende guidate da un leader solo al comando mostrano performance reddituali mediamente superiori. Tali risultati indicano come la leadership collegiale sia un modello più complesso da gestire e che l unicità di comando permetta non solo una maggiore velocità e flessibilità decisionale, ma possa evitare la formazione di possibili conflitti al vertice, con conseguenti stalli decisionali. Ulteriori approfondimenti volti a comprendere le motivazioni insite in questa apparente contraddizione tra la crescente diffusione della collegialità e le sue performance meno positive indicano come tali risultati siano motivati, in particolare, dalla presenza di AD appartenenti a generazioni differenti nel team di vertice (c.d. team intergenerazionale). Ciò conferma che nelle imprese familiari italiane si procede in media con troppa lentezza a dare la totale responsabilità dell azienda ai membri della nuova generazione. 2. Pianificare la successione al vertice Un atteggiamento di maggior prudenza verso il ricambio al vertice ha caratterizzato le aziende familiari a partire dal 2010, in quanto meno di 4 aziende su 100 all anno sono state interessate da una successione nell ultimo triennio di analisi. 13 Se già nella passata edizione era stato osservato come un turnover al vertice più elevato abbia interessato principalmente aziende in difficoltà economica, arrivando a concludere che in molti casi si sia trattato quantomeno di un processo non programmato, i dati provenienti dal censimento Istat del 2011 possono rappresentare un benchmark di confronto appropriato per ulteriori riflessioni. Dal questionario somministrato a tutte le aziende con più di 3 dipendenti, è emerso come tale difficoltà nel preparare per tempo il passaggio generazionale non costituisca un elemento distintivo delle sole aziende familiari in oggetto, ma una forte continuità al vertice caratterizza tutte le imprese italiane: la rilevazione Istat ha fotografato una popolazione in cui circa sette realtà imprenditoriali su dieci non sono state coinvolte in un passaggio generazionale nei cinque anni precedenti (al 2011) e non lo saranno neanche nei prossimi cinque (fino al 2016). Un maggior dinamismo al vertice sembra invece auspicabile osservando i dati delle aziende che hanno effettuato investimenti diretti all estero (come si vedrà più avanti). Infatti, osservando i trend delle successioni avvenute nell ultimo decennio, sono state le aziende internazionalizzate, in particolare quelle che hanno avviato questo processo dal 2005, a caratterizzarsi per un maggior turnover al vertice. Tale fenomeno induce a ritenere che un processo di successione realizzato liberi nuove risorse imprenditoriali in grado di procedere a decisioni forse a maggior rischio ma sicuramente indispensabili, come quelle relative a forme di internazionalizzazione più stabili. 12 La percentuale di aziende con una leadership collegiale è passata dal 30,4% nel 2000 al 38,2% nel 2012, mentre i modelli con un Amministratore Unico sono passati dal 24,2% al 19,2% nello stesso periodo di tempo. 13 Fino al 2010, il turnover al vertice è stato pari, in media, al 5% circa. 3

4 3. Aprire ai giovani Nelle aziende familiari rimane alta la percentuale di leader senior al vertice: circa il 20% delle aziende familiari risulta guidato da una persona ultrasettantenne. Di converso, come peraltro già emerso nelle precedenti edizioni, la percentuale di leader giovani è in calo, nonostante l evidenza empirica mostri come le aziende condotte da leader under 50 abbiano conseguito performance mediamente più elevate, sia in termini di redditività che di crescita. Anche in questo caso, i nuovi dati rilevati dall Istat nel corso dell ultimo censimento del 2011 si prestano ad alcuni confronti, dai quali emerge come le aziende familiari dell Osservatorio AUB siano guidate da leader mediamente più anziani rispetto alla media nazionale: il 21,9% degli imprenditori italiani ha meno di 40 anni, contro il 7,3% dei leader nell Osservatorio AUB. Certamente l assenza di start up tra le aziende dell Osservatorio contribuisce a spiegare tale differenza, ma rimane la sensazione che nelle aziende familiari AUB si proceda con lentezza a ringiovanire i vertici imprenditoriali. 4. Aprire ai non familiari Sulla base della classificazione dei modelli di leadership adottata a partire dalla precedente edizione, 14 i dati dell Osservatorio confermano come la leadership sia saldamente nelle mani delle famiglie proprietarie: le strutture puramente familiari sono adottate da oltre sette aziende familiari su dieci (il 72%). Peraltro, contrariamente a quanto ipotizzato dai sostenitori di una maggiore professionalizzazione del top management, la leadership familiare nel corso dell ultimo decennio ha permesso di conseguire performance mediamente più elevate. Tali dati impongono cautela nell interpretazione del fenomeno, che necessita alcuni approfondimenti. In primo luogo, combinando i modelli di leadership con quelli di governance emerge come le soluzioni premianti in termini di performance siano quelle con una leadership familiare e un CdA più aperto verso la componente non familiare o, viceversa, una leadership non familiare affiancata ad un CdA più familiare. Tale risultato porta ad affermare che anche una leadership non familiare può essere di beneficio, a patto che si instauri una buona ed equilibrata dialettica tra soggetti interni, portatori dei valori e della cultura familiare, ed esterni, generalmente dotati di competenze professionali specifiche e complementari. Inoltre, la diffusione dei modelli puramente familiari sembra mostrare un inversione di tendenza nel corso degli ultimi anni. L analisi delle successioni al vertice mostra un maggior ingresso di manager esterni alla famiglia di controllo a partire dal La ricerca di professionalità esterne alla famiglia può essere ascrivibile ad una reazione delle aziende familiari alla crisi in corso, legata all avvio di alcune importanti scelte strategiche. Come si vedrà più avanti, infatti, le aziende che hanno perseguito strategia di crescita esterna e/o avviato un percorso di internazionalizzazione sono quelle più aperte al contributo dei non familiari sia negli organi di governo sia nella leadership. Pertanto, se la leadership familiare è stata fino ad oggi in grado di assicurare buone performance, una maggiore apertura verso i non familiari sarà un passaggio obbligato per realizzare percorsi di crescita profittevole nei prossimi anni. 5. Imparare a crescere tramite acquisizioni Nel tentativo di comprendere le strategie implementate dalle aziende familiari per operare con successo in un ambiente competitivo sempre più complesso, nella precedente edizione dell Osservatorio l attenzione era stata posta sulle operazioni di acquisizione effettuate dalle aziende familiari. 15 In questa edizione, per la prima volta, il monitoraggio è stato esteso a tutte le aziende italiane con fatturato superiore a 50 milioni di euro, ed è emerso come circa 9 aziende su 10, anche tra le aziende non familiari, non abbiano effettuato alcuna operazione di acquisizione tra il 2000 e il Anche in termini di numero di operazioni effettuate 14 I modelli di leadership delle aziende familiari sono stati classificati in tre tipologie: i) puramente familiari, ovvero con una leadership interamente familiare (sia che si tratti di un singolo, sia che si tratti di un team); ii) puramente esterni, ovvero con una leadership (individuale o collegiale) totalmente esterna alla famiglia di controllo; iii) misti, ossia con una compresenza (nei soli modelli collegiali) di leader familiari e non. 15 Sono state considerate le sole operazioni di acquisizione del controllo, ovvero volte volte ad acquisire almeno il 50% del capitale della target se non quotata e il 25% se quotata. 16 Le aziende familiari che hanno effettuato almeno una acquisizione nel periodo sono pari al 10,2%, contro il 10,1% delle aziende non familiari. 4

5 non si registrano rilevanti differenze tra aziende familiari e non: delle operazioni complessivamente monitorate, il 55% circa è riconducibile ad aziende familiari, una percentuale in linea con l incidenza stessa delle aziende familiari (pari al 58%). Nonostante tale modalità di crescita sia stata implementata da un numero molto limitato di aziende, i dati dell Osservatorio indicano come le aziende che hanno fatto acquisizioni ed in particolare quelle che hanno fatto più di 1 acquisizione siano cresciute più delle aziende che hanno invece intrapreso un percorso di crescita puramente organica. 17 Se sul fronte della crescita tale relazione sembra valere per tutte le aziende (familiari e non), sul fronte delle performance reddituali emergono alcune differenze: tra le aziende familiari quelle che hanno effettuato più di una acquisizione mostrano tassi di redditività più elevati, mentre tra le aziende non familiari sono le non Acquiror a performare meglio. Alla luce di tali risultati emerge una duplice riflessione: i) a fronte di un maggior supporto alla crescita, l implementazione di tale strategia richiede un attento monitoraggio della dinamica reddituale e le aziende familiari si sono dimostrate più accorte nel preservare i margini di redditività; ii) esiste un effetto apprendimento nelle operazioni di acquisizione, come dimostrano le maggiori performance realizzate dalle aziende che hanno effettuato più di una acquisizione. Concentrando l attenzione sulle aziende familiari, si rileva anche come la propensione verso strategie acquisitive appaia correlata a due fattori: i) l implementazione di modelli di leadership più strutturati; ii) il coinvolgimento di non familiari al vertice e nel CdA. 18 Ove si condivida la diagnosi che le imprese italiane debbano nei prossimi anni procedere con maggior velocità a conquistare posizioni di rilievo nel settore di appartenenza e nei mercati internazionali attraverso processi di acquisizione, allora risulta evidente come le imprese stesse debbano prepararsi a tale nuovo modello di crescita adottando modelli di governance più evoluti e aumentando le competenze manageriali per gestire i processi di acquisizione e le indubbie complessità delle fasi di integrazione post acquisizione. 6. Approdare rapidamente sui mercati in crescita La maggiore competizione internazionale e la contrazione della domanda interna hanno portato le aziende italiane a guardare sempre più spesso oltre confine per espandere o consolidare la propria attività. Tra le opzioni a disposizione, l avvio di un percorso di internazionalizzazione tramite investimenti diretti all estero (IDE) è la strategia che consente di radicarsi in un mercato estero per sostenere un piano di crescita a lungo termine. A questo proposito, i dati dell Osservatorio indicano come ci siano ancora ampi spazi di crescita. L analisi dei bilanci aziendali mostra che le aziende italiane hanno in portafoglio circa partecipazioni in aziende estere, 19 dato in crescita rispetto a quanto registrato nell edizione precedente dell Osservatorio AUB, ma tali investimenti sono stati compiuti da meno della metà delle aziende (il 42,4%). Tra queste, distinguendo per assetto proprietario, sono le aziende familiari a mostrare una maggiore propensione verso l internazionalizzazione tramite IDE: il 49,2% delle aziende familiari ha effettuato oltre il 75% degli IDE complessivi. 20 Appare pertanto evidente come il processo di internazionalizzazione nel nostro Paese sia trainato dalle aziende familiari. Valutando le operazioni d internazionalizzazione delle aziende familiari dal punto di vista geografico e provando a comprendere le destinazioni in relazione al periodo d investimento, si può notare come nel corso degli ultimi anni l attenzione si sia gradualmente spostata verso il continente asiatico: se prima del 2005 gli IDE localizzati in tale area erano pari al 6,6%, l incidenza è quasi triplicata dopo il 2007 (17,5%). Di converso, se prima del 2005 l Europa Occidentale era in grado da sola di attrarre il 55,7% degli IDE complessivi, tale incidenza si è ridotta al 34,0% dopo il 17 Ai fini delle presenti analisi, sono state considerate le aziende che hanno effettuato almeno una acquisizione tra il 2007 e il In particolare, se nelle aziende non Acquiror l Amministatore Unico è presente in 1 azienda su 5, tale modello è quasi assente nelle aziende che hanno effettuato acquisizioni (3,4%). Inoltre, quasi il 50% delle Acquiror adotta un modello di leadership diverso dal Pure Family (contro il 26,5% delle non Acquiror) e il 57,3% delle Acquiror ha un CdA composto in maggioranza da non familiari (contro il 24,5% delle non Acquiror). 19 Le partecipazioni dirette estere complessivamente detenute dalle aziende italiane al 31/12/2012 sono , di cui l 85,8% di maggioranza, il 3,2% paritarie e l 11,1% di minoranza. Dalla popolazione di aziende italiane con fatturato superiore a 50 milioni di euro sono state escluse le filiali di imprese estere. 20 Di converso, il 30,3% delle aziende non familiari ha effettuato il restante 24,4% degli IDE. Tra queste, soltanto le aziende controllate da un private equity mostrano un livello di internazionalizzazione superiore alle aziende familiari (il 51,4% ha IDE). 5

6 2007 (con una riduzione di oltre 20 punti). Anche la presenza in Nord America, un area che per dimensione e tasso di crescita rimane la più importante del mondo, è cresciuta dal 10,9% al 12,7%. Pertanto, nonostante in termini assoluti l Europa Occidentale continui a rimanere la principale destinazione, appare evidente come sia in atto un cambiamento del focus geografico e come le aziende familiari si siano mosse più rapidamente delle aziende non familiari di fronte al cambiamento: l incidenza dell Europa Occidentale per tali aziende è passata dal 48,7% ante 2005 al 39,1% post 2007, una riduzione inferiore di oltre 10 punti rispetto a quella delle aziende familiari. Se si considera poi che le aziende familiari con IDE sono quelle più redditizie, 21 appare evidente come il rilancio della competitività del Paese passi per la capacità delle famiglie imprenditoriali di procedere con coraggio nel processo di internazionalizzazione. D altro canto, se si concentra l attenzione sul periodo d investimento, si evince come l accelerazione sul fronte dell internazionalizzazione sia stata una delle risposte più efficaci alla crisi degli ultimi anni: circa il 40% degli IDE sono stati effettuati dopo il 2010 e le aziende che hanno avviato un percorso di internazionalizzazione dopo il 2005 sono quelle che hanno registrato i tassi di crescita più alti, oltre ad aver realizzato performance reddituali superiori alle aziende non internazionalizzate durante l intero periodo analizzato. 22 Infine, i risultati dell Osservatorio mostrano come il ritardo nell avvio di un percorso di internazionalizzazione sia attribuibile a due fattori: i) l adozione di modelli di leadership meno strutturati come quello dell Amministratore Unico; ii) la minore apertura dei CdA e della leadership verso i non familiari. Un confronto internazionale Per la prima volta nell Osservatorio AUB è stato effettuato un confronto tra le aziende italiane di maggiori dimensioni e quelle di altri 5 Paesi europei con l obiettivo di comprendere le somiglianze/differenze del tessuto imprenditoriale italiano. A tal fine, sono state identificate le prime 300 aziende (per fatturato) localizzate in sei principali Paesi europei: Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, Svezia. 23 Le popolazioni di riferimento L analisi delle strutture proprietarie evidenzia come la proprietà familiare sia la forma più diffusa in 5 dei 6 Paesi europei analizzati: la popolazione delle prime 300 aziende italiane si caratterizza per la maggiore presenza di aziende familiari (pari al 40,7%), ma anche gli altri Paesi europei hanno un incidenza compresa tra il 36,7% (in Germania) e il 32,9% (in Svezia). Soltanto nel Regno Unito le aziende familiari rappresentano una quota più ridotta della popolazione (intorno al 15%), dato ascrivibile alla specifica struttura economico produttiva di quel Paese, maggiormente sbilanciata verso il settore finanziario e assicurativo. In particolare, la Spagna è il Paese più simile all Italia, con un elevata presenza di imprese familiari e di filiali di imprese estere (circa 1 azienda su 3). Francia, Germania e Svezia sono Paesi con strutture proprietarie molto simili, che si differenziano dal modello italiano per una minore presenza di filiali di imprese estere (circa 1 azienda su 5) e più public company e/o fondi di investimento (tra cui private equity). Il Regno Unito, invece, ha strutture proprietarie molto differenti dall Italia: circa 1 azienda su 4 è una public company (che in Italia, come noto, non esistono), le aziende controllate da fondi d investimento (e private equity) sono pari al 15% circa (in Italia rappresentano poco più dell 1%), e sono quasi del tutto assenti le aziende statali (il 3,7%, a fronte del 15,7% per l Italia). Il principale elemento di contatto con le strutture proprietarie del nostro Paese è rintracciabile nella diffusione delle filiali di imprese estere, presenti tanto in Regno Unito quanto in Italia (34,9% vs 30,3%). Un secondo elemento che può aiutare a comprendere analogie e differenze tra le strutture proprietarie dei diversi Paesi è l apertura del capitale: la maggiore incidenza di aziende quotate in un mercato regolamentato si registra in Francia (32,0%) e Regno Unito (25,5%), che si caratterizzato per un mercato dei capitali di maggiori 21 Dal 2007 al 2013 le aziende familiari con IDE hanno registrato tassi di redditività operativa (ROI) più elevati rispetto alle aziende non familiari con IDE. 22 In particolare, le aziende che hanno effettuato IDE tra il 2005 e il 2007 sono cresciute del 46,6% tra il 2007 e il 2013, contro il 42,3% delle aziende con IDE dopo il Entrambe le tipologie di aziende hanno realizzato tassi di redditività operativa (in termini di ROS) superiori, in media, di 2 punti rispetto alle aziende non internazionalizzate durante l ultimo quinquennio. 23 Ai fini della presenti analisi sono state escluse le banche e le assicurazioni (fonte: Orbis). 6

7 dimensioni, a cui seguono Svezia (19,0%), Germania (18,0%), Italia (15,3%) e Spagna (14,6%). 24 Pertanto l incidenza molto contenuta di aziende quotate, che costituisce spesso un elemento di dibattito nel nostro Paese, non sembra essere un fenomeno esclusivamente italiano e sembra trarre origine da una minore propensione alla quotazione delle aziende con assetti proprietari non familiari (eccezion fatta per Regno Unito e Germania). 25 Le performance economico finanziarie Le aziende localizzate nel Regno Unito sono quelle che hanno sofferto meno la difficile congiuntura economica degli ultimi anni, realizzando un incremento dei ricavi del 47,2% nel periodo , pari ad un CAGR medio dell 8,0%. Seguono Svezia e, forse sorprendentemente, Italia (con un CAGR medio pari, rispettivamente, al 7,3% e al 7,0%), Germania (con un CAGR del 6,2%), Francia (4,6%) e Spagna (4,3%). Se si esclude la Spagna, in tutti i Paesi le aziende familiari hanno registrato tassi di crescita superiori rispetto alle aziende non familiari. Analizzando congiuntamente i dati di crescita e l andamento macroeconomico di ciascun Paese, emerge un primo elemento di riflessione, in quanto le dinamiche di crescita delle aziende analizzate non sembrano collegate all andamento del PIL. Tale evidenza indica come le dinamiche di crescita siano prevalentemente guidate dall andamento delle economie dei Paesi esteri in cui tali aziende operano. Ad esempio, in Italia si è registrata la maggiore contrazione del PIL ( 8,7% a partire dal 2007) mentre le aziende di maggiori dimensioni hanno registrato tassi di crescita dei ricavi in linea con la Svezia e di poco inferiori al Regno Unito. Inoltre, combinando i tassi di crescita e la proporzione di aziende di elevate dimensioni presenti in ciascun Paese (con fatturato superiore a 5 miliardi di euro), è stato possibile individuare dei cluster di analisi. Se si considera che quanto più elevata è l incidenza delle aziende di elevate dimensioni tanto più è difficile realizzare elevati tassi di crescita, il Regno Unito è da collocare insieme alla Germania nel cluster delle aziende più virtuose : nonostante l alta incidenza di aziende con fatturato superiore ai 5 miliardi di euro (superiore al 40%), queste aziende sono cresciute a tassi più elevati nel quinquennio analizzato. Tassi di crescita simili sono stati realizzati dalle aziende italiane e svedesi, dove però l incidenza di aziende molto grandi è di gran lunga inferiore (pari, rispettivamente, all 11,9% e al 19,4%). Il cluster di aziende meno virtuose è quello delle aziende spagnole, che ha registrato i tassi di crescita più bassi nonostante la minore percentuale di aziende molto grandi (16,3%), comparabile a quella di Svezia e Italia. La Francia, a fronte di tassi di crescita simili a quelli spagnoli, registra una maggiore incidenza di aziende di elevate dimensioni (38,7%). Dal punto di vista delle performance reddituali, in tutti i Paesi analizzati le aziende non hanno recuperato i livelli di ROE pre crisi, anche se gli andamenti sono stati molto differenti. In particolare, le aziende svedesi si sono distinte per tassi di redditività molto alti (con un ROE medio superiore al 23% nel quinquennio analizzato), e le aziende tedesche, pur partendo da una redditività inferiore, sono state quelle meno colpite dalla caduta del ROE ( 4,3 punti dal 2007 al 2012). Di converso, l Italia ha registrato il maggiore calo di redditività, passando da un ROE del 13,8% nel 2007 al 2,3% nel Tra i Paesi analizzati, soltanto la Francia ha registrato una contrazione simile ( 11,2 punti di ROE). Sul fronte del livello di patrimonializzazione, non si evincono differenze rilevanti tra le aziende dei diversi Paesi europei: si passa da una incidenza dei mezzi propri sull attivo totale del 34,1% in Svezia al 28,3% in Italia, mentre gli altri Paesi europei hanno un ratio intorno al 30%. Confrontando la situazione tra il 2007 e il 2012 si evince però come in 2 Paesi (Spagna e Francia) il livello di patrimonializzazione si sia ridotto, mentre nei restanti 4 Paesi tale ratio sia migliorato. Peraltro, al pari di quanto rilevato dall Osservatorio AUB su tutta la popolazione di medie e grandi dimensioni italiane, tale incremento risulta sostenuto dalle aziende familiari in quasi tutti i Paesi. Le strutture di governance L analisi delle strutture di governance restituisce un quadro abbastanza articolato delle aziende dei principali Paesi europei, dal quale emergono alcune analogie tra i modelli di leadership, ma soprattutto importanti differenze nei diversi Paesi sul grado di familiarità degli organi di governo. 24 Dalla presente analisi sono state escluse banche ed assicurazioni, che soprattutto in Regno Unito rappresentano una quota rilevante della popolazione di aziende quotate in un mercato regolamentato. 25 L incidenza delle aziende quotate è superiore tra le aziende familiari in Francia (46,3 vs 24,0% nelle aziende non familiari), in Svezia (36,1% vs 10,6%), Italia (22,1% vs 10,7%) e Spagna (21,9% vs 10,5%). 7

8 In primo luogo, il modello di leadership con un singolo Amministratore Delegato è il più diffuso in tutti i Paesi, a discapito della leadership collegiale e dei modelli più semplici, presenti soltanto in alcuni Paesi. Ad esempio, l Amministratore Unico assume una certa rilevanza soltanto in Spagna (con una incidenza inferiore al 10%), insieme al Presidente Esecutivo (28,6% dei casi). Al contrario, la leadership collegiale è presente seppur con un incidenza molto bassa esclusivamente nelle aziende tedesche ed italiane (8,5% e 8,1% dei casi). Tale modello, che pur ha assunto una rilevanza crescente nell ultimo decennio nelle aziende dell Osservatorio AUB, sembra far perdere le proprie tracce nelle aziende di maggiori dimensioni di quasi tutti i Paesi analizzati. Alcune rilevanti differenze emergono invece laddove si prenda in considerazione la familiarità delle strutture di leadership e di governo. In particolare, all interno del contesto europeo, le aziende italiane si distinguono per il ruolo che le famiglie proprietarie ricoprono all interno dell azienda: oltre alla maggiore incidenza di leader familiari (circa il 50%), l Italia è il Paese con il più alto grado di partecipazione dei membri della famiglia nel CdA (circa 4 membri su 10). La presenza della famiglia in posizioni di leadership assume un ruolo importante anche nelle aziende inglesi e spagnole (circa 4 leader su 10 sono familiari) e, seppur in misura inferiore, in quelle francesi e tedesche (con 1 leader familiare su 3). Tra questi Paesi, però, soltanto la Spagna ha una percentuale di consiglieri familiari paragonabile all Italia (pari al 35% circa), mentre in Francia, Germania e Regno Unito la media è intorno al 15%. Differente è il caso della Svezia, che oltre ad avere una bassa incidenza di consiglieri familiari (pari al 12% circa), è caratterizzata da aziende guidate da manager esterni in 9 casi su 10. Considerando anche che la Svezia è il Paese con il maggior numero di aziende di minori dimensioni, 26 appare evidente come il contesto istituzionale e culturale in cui operano tali aziende sia profondamente differente da quello italiano. Inoltre, alcune differenze emergono anche dalle caratteristiche demografiche del leader aziendale. Sebbene in tutti i Paesi analizzati l età media del leader sia superiore a 50 anni, sono soprattutto le aziende familiari ad essere guidate da leader più senior. In particolare, le aziende italiane e spagnole hanno leader familiari con un età media di poco inferiore ai 60 anni (superiore di circa 5 anni rispetto ai propri connazionali non familiari), un dato probabilmente influenzato dalla figura del fondatore ancora attivo in azienda. Di converso, le aziende svedesi e inglesi hanno leader mediamente più giovani (con età media inferiore a 54 anni). Infine, considerando le evidenze dei precedenti rapporti annuali dell Osservatorio, anche in questo confronto internazionale si è dedicato uno spazio al tema dell apertura nei confronti delle donne. Se in Italia il rumore alimentato dal dibattito che ha accompagnato l entrata in vigore della normativa sulle cosiddette quote rosa non sembra aver ancora sortito grandi effetti, i dati mostrano come anche nelle maggiori aziende europee le donne abbiano un ruolo limitato sia nelle posizioni di leadership che nel CdA, con alcune differenze tra i diversi Paesi. Pertanto, pur in contesti istituzionali differenti, la dimensione si conferma il principale ostacolo che non favorisce la presenza delle donne in ruoli di responsabilità. 26 In Svezia il 42,9% delle aziende ha un fatturato inferiore al miliardo di euro, contro il 14,9% della Spagna e lo 0,3% dell Italia. In Francia, Germania e Regno Unito tutte le aziende hanno un fatturato superiore al miliardo di euro. 8

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