2. Sia K il corpo reale o quello complesso. Associamo ad ogni spazio topologico

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1 Introduzione Questa nota contiene una discussione relativa al teorema del punto fisso di Brouwer, finalizzata a esemplificare un modo di ragionare per proprietà dei diagrammi (in termini tecnici per categorie e funtori). L idea è quella di considerare classi di oggetti di un determinato tipo collegati da frecce tra essi; per semplicità ci restringeremo per ora a trattare casi in cui gli oggetti sono insiemi dotati di una qualche data struttura e le frecce sono applicazioni tra tali insiemi che rispettano tali strutture. Ad esempio possiamo considerare come classe di oggetti gli {spazi topologici} o le {coppie di spazi topologici} (ossia coppie (X, A) in cui X è uno spazio topologico ed A un suo fissato sottoinsieme), oppure i {gruppi} o {gruppi abeliani}. Le frecce, dette morfismi, saranno applicazioni φ di un oggetto in un altro (detti rispettivamente dominio e codominio di φ); per spazi topologici tali morfismi saranno le applicazioni continue; per coppie di spazi un morfismo φ : (X, A) (Y, B) sarà una applicazione continua di X in Y che manda A entro B; per i gruppi o gruppi abeliani come morfismi prenderemo gli omomorfismi usuali. In ogni caso l identità di un oggetto in se stesso, dovrà essere considerata tra i morfismi e l applicazione composizione di due morfismi dovrà appartenere anch essa ai morfismi. Ne risulta che in ogni tale mondo (= categoria) sull insieme dei morfismi esiste una operazione (la composizione di applicazioni). Essa in genere non sarà definita per tutte le coppie di morfismi ma solo per quelle in cui il codominio della seconda coincide col dominio della prima. Così una categoria (più precisamente: l insieme dei suoi morfismi) è dotato di una struttura algebrica. Supponiamo adesso che ad ogni oggetto X di una categoria A sia associato un oggetto F (X) di un altra data categoria B e (cosa più importante) ad ogni morfismo φ : X Y sia associato un morfismo F (φ) : F (X) F (Y ). Diremo che tale F è un funtore (e scriveremo F : A B) se le composizioni commutano con F : ossia se date φ : X Y e ψ : Y Z in A si ha F (ψ φ) = F ψ) F (φ); in altri termini si ottiene lo stesso risultato componendo due morfismi in A e trasformando poi il risultato in B oppure trasformando prima i due morfismi in B, componendo poi li quelli così ottenuti. Si richiede inoltre che F porti le identità di A in quelle di B (ossia se i : X X è il morfismo identità, allora anche F (i) : F (X) F (X) è il morfismo identità. 1

2 Alcuni esempi di funtori 1. A ={gruppi} e B ={gruppi abeliani}. Ad ogni gruppo G associamo il sottogruppo F (G) generato dagli elementi del tipo [x, y] = xyx 1 y 1 ; se φ : G G è un omomorfismo di gruppi esso manda F (G) entro F (G ): definiamo quindi F (φ) come la restrizione di φ. Si noti che F (G) è un sottogruppo invariante di G ed è quindi definito il quoziente Ab(G) = G/F (G); esso viene detto abelianizzato di G (è il più grande gruppo quoziente di G che sia abeliano). Si vede facilmente che Ab può essere completato (definedo anche come trasforma i morfismi) in un funtore da {gruppi} in {gruppi abeliani}. Fissiamo adesso un gruppo abeliano H (ad esempio H = Z o H = Z/2Z). Associamo ad ogni gruppo G il gruppo abeliano D(G) =Hom(G, H) degli omomorfismi di G in H. Questa volta non esiste un modo naturale di associare ad ogni omomorfismo di gruppi φ : G G un omomorfismo (di gruppi abeliani) D(φ) : D(G) D(G ); stiamo facendo una sorta di duale e quel che è associabile in modo naturale a φ è un morfismo da D(G ) in D(G) precisamente la trasposta che ad un omomorfismo α : G H (ossia un elemento di D(G ) associa la composizione α φ : G H (che è un elemento di D(G). Insomma quel che è naturale in questo caso è associare una freccia di verso contrario a quello di partenza; a parte questo, le altre proprietà di commutazione (fare prima o dopo le composizioni) ed il fatto che le identità siano mandate in identità sono verificate. Diremo allora che tale D è un funtore controvariante mentre quelli trattati avanti (quelli che conservano la direzione delle frecce) sono detti funtori covarianti. 2. Sia K il corpo reale o quello complesso. Associamo ad ogni spazio topologico X l anello C(X) delle funzioni continue da X in K. E facile completare C ad un funtore controvariante dalla categoria degli spazi topologici in quella degli anelli commutativi (più utilmente si dovrebbe considerare come categoria di arrivo quella delle K algebre, ossia anelli commutativi A che sono anche spazi vettoriali su K, restringendo gli omomorfismi di anello a quelli che sono anche K lineari per tali strutture). Si può dimostrare che per spazi topologici abbastanza buoni (ad esempio: localmente compatti a base numerabile) questo funtore non dimentica niente : ogni spazio topologico X può essere ricostruito dalla conoscenza di C(X) ed ogni applicazione continua φ : X Y dalla conoscenza di C(φ). Siccome spesso occorre semplificare la categoria di partenza, per facilitare problematiche che sono troppo complicate in essa, si può comporre questo 2

3 funtore con un altro a valori in un altra categoria algebrica che sia più maneggevole: è quello che tra poco faremo proprio per il funtore ora descritto, mostrando quanto può essere utile tale procedura. Nota. La descrizione appena data di categorie e funtori è più di carattere evocativo che propriamente matematico. La definizione astratta (e formalmente precisa) di categorie e funtori può essere trovata in molti testi (o in rete) e risulterà probabilmente più breve di quanto qui svolto. Si consiglia comunque di rileggere questa dopo aver memorizzato l altra. Nel seguito tratteremo anche alcune categorie nelle quali gli oggetti non sono insiemi e/o i morfismi non sono applicazioni. In tal caso il morfismo identità di un oggetto in se, non è automaticamente definito (nel caso precedente esso era semplicemente l applicazione identità insiemistica) e va ipotizzata soddisfacente opportune proprietà; per la stessa ragione bisogna ipotizzare eslicitamente che la composizone di morfismi sia associativa. Retratti Siano X uno spazio topologico ed A un suo sottospazio. Diremo che A è retratto di X se esiste una applicazione continua r : X A tale che r(a) = a per ogni a A. Se φ : X X è una applicazione di un insieme X in se stesso, ogni x X per cui φ(x) = x sarà detto un punto fisso di φ. Il disco di dimensione n è (lo spazio topologico) D n = {x R n : x 1}; la sua frontiera (in R n ) D n = S n 1 è la sfera di dimensione n 1. Faremo ora vedere come si può dedurre un teorema di esistenza di punto fisso da un teorema di non esistenza di retrazione. Teorema 1 (di non retrazione) La sfera S n 1 non è retratto di D n Teorema 2 (teorema del punto fisso di Brouwer) Ogni applicazione continua di D n in se possiede almeno un punto fisso Mostreremo adesso come ottenere il teorema 2 utilizzando il teorema1. Il teorema 1 è banale per n 1. Nel prossimo paragrafo ne daremo una dimostrazione per n = 2; avremo così una dimostrazione del teorema di Brouwer per applicazioni di D 2 in se. Dim. che teorema 2 segue da teorema 1 3

4 Per assurdo supponiamo esista una applicazione continua φ : D n in se per la quale x φ(x) per ogni x D n. Allora per ogni x D n, la semiretta aperta di origine φ(x) che passa per x è ben definita ed interseca S n 1 in un unico punto che indichiamo con r(x). E abbastanza credibile che effettivamente in tal modo si ottiene una applicazione ben definita e continua e per la quale ogni x S n 1 è un punto fisso: quindi r sarebbe una retrazione di D n su S n 1 il che sarebbe in contraddizione col teorema 1. Una dimostrazione rigorosa di ciò, segue dal seguente lemma, la cui dimostrazione non contiene quasi calcoli, immaginando solo di farli. Lemma 3 Sia la diagonale in D n D n (ossia = {(a, b) D n D n : a b}). Per ogni (a, b) D n D n esiste uno ed un sol punto r(a, b) D n che appartiene alla semiretta aperta di origine b e che contiene a. L applicazione r : D n D n S n 1 è continua e si ha r(a, b) = a se a S n 1 Dim. Parametrizziamo la retta L per a, b con un parametro t R in modo che la semiretta aperta di origine b che passa per a corrisponda ai t > 0; precisamente consideriamo l applicazione σ(t) = b t(a b). Stiamo cercando i t > 0 per cui P (t) = σ(t) 2 1 = 0. Ora P (t) è un polinomio di secondo grado in t i cui coefficienti sono funzioni continue di (a, b) D n D n. Per t = 1/2 si ha che σ(t) è il punto medio tra a e b ed è quindi interno a D n : quindi P (1/2) è negativo. Ne segue che P si annulla esattamente una volta per t > 1/2 ed una volta per t < 1/2. L unico t che ci interessa è quindi univocamente determinato ed è espresso dalla formula risolutiva dell equazione di secondo grado in cui si prende la radice quadrata positiva del discriminante: ciò mostra che t è funzione continua di (a, b) e quindi anche che r è continua. Dimostrazione del teorema 1 per n = 2 Sia S 1 = {z C : z = 1}. Supporremo noto l omomorfismo continuo : R t exp(t) = cos t + i sin t che dà un omeomorfismo tra ] π, π[ e S 1 { 1} e che vale 1 in π e in π (sarà introdotto ex-novo all inizio dello studio della variabile complessa). Se X è uno spazio topologico, indicheremo con C = C(X) la C algebra delle funzioni continue a valori complessi definite su X e con C = C (X) il gruppo moltiplicativo formato dai suoi elementi invertibili; C coincide quindi con l insieme delle funzioni continue su X aventi valori in C. 4

5 Se p N, diremo che g C è una radice p-esima di f C se si ha g p (x) = f(x) per ogni x X; se ω C è una radice p esima di 1 C (ossia ω p = 1), allora anche ωg sarà una radice p esima di f. Su X = R per p 1, la funzione g(x) = exp(x/p) vale 1 nel punto 0 ed è una radice p esima della funzione exp : R S 1 C. Consideriamo l applicazione di R + S 1 C (ove R + indica il gruppo moltiplicativo dei reali positivi) che alla coppia (ρ, s) fa corrispondere z = ρ s; essa è un isomorfismo algebrico ed un omeomorfismo. La sua inversa è data da C z ( z, z/ z ) Per trovare una radice p-esima dello z C che corrisponde a (ρ, s) basta prendere la radice p esima reale positiva di ρ che è univocamente determinata, e scegliere poi una radice p esima di s S 1 : se s 1 una di tali radici è ottenibile rappresentando s come immagine per exp di un reale x ] π, π[ e prendendo poi exp(x/p). Ne segue che una f C (X) ha radice p-esima se e solo se f/ f ne possiede una. Osserviamo che gli elementi di C (X) che hanno una radice p esima costituiscono un sottogruppo: indicheremo con R p (X) il gruppo quoziente di C (X) modulo il sottogruppo di quelle che ammettono una radice p esima. Dalla discussione precedente, si ha che questo gruppo, (che misura la possibilità di estrarre radici p esime delle funzioni a valori in C ) è isomorfo in modo naturale all analogo fatto solo con funzioni a valori in S 1. Se φ : X Y è una applicazione continua tra gli spazi topologici X, Y, si ha un omomorfismo di C algebre φ : C(Y ) C(X) (funtore controvariante discusso nell esempio 2); è chiaro che esso applica elementi che hanno una radice p-esima in C (Y ) in elementi che hanno radice p-esima in C (X) (semplicemente perché è un omomorfismo). Si ottiene così che tale φ induce un omomorfismo di gruppi R p (φ) : R p (Y ) R p (X). Si è quindi costruito un funtore controvariante da {spazi topologici} a {gruppi abeliani}. Mostreremo adesso che per p 2 il gruppo R p (S 1 ) è non nullo mentre esso si annulla per D 2. Lemma 4 Siano g 1, g 2 due radici p esime di una applicazione continua f : X S 1. L insieme T degli x X per cui g 1 (x) = g 2 (x) è aperto e chiuso Dim. Che T sia chiuso discende dalla continuità di g 1, g 2 e dal fatto che S 1 è di Haudorff. Mostriamo che è anche aperto: se x 0 T, possiamo supporre che sia g 1 che g 2 assumano il valore 1 in x 0 ; si utilizzi allora il fatto che exp è localmente invertibile tra 0 R ed 1 S 1. 5

6 Lemma 5 Per p 1, dati f : X S 1 continua ed x 0 X, esiste un aperto U di X che contiene x 0 e sul quale esiste una radice p esima di f U Dim. Supponiamo che sia f(x 0 ) = 1. La mappa exp induce un omeomorfismo tra ] π, π[ e S 1 { 1}. Componiamo l inversa di questa con la restrizione di f ad un intorno U di x 0 che venga mandato entro S 1 { 1}, dividiamo per p e componiamo con exp: il risultato sarà una radice p-esima della restrizione di f ad U. Se f(x 0 ) 1 si consideri una radice p esima della funzione f/f(x 0 ) e si moltiplichi la radice p esima di questa per una radice p esima del numero complesso f(x 0 ). Proposizione 6 Sia f : X S 1 continua ove X è uno spazio topologico connesso. Allora o essa non ha radici p esime o ne ha esattamente p Dim. Per il lemma 1, se due tali radici coincidono in un punto coincidono dappertutto. Si noti poi che se ω C è una radice p esima dell unità (ve ne sono esattamente p), allora per ogni g si ha che ωg è radice p esima di g p. Proposizione 7 L inclusione di S 1 in C non ha radici p esime per p 2 Dim. Se per assurdo ne esistesse una, la sua composizione con exp sarebbe una radice p esima di exp e dovrebbe valere 1 nei punti 0 e 2π, mentre la radice p esima di exp che vale 1 in 0 assume in 2π il valore exp(1/p) 1. Proposizione 8 Su X = {x R n ha radici p esime per ogni p N : x 1} ogni f : X S 1 continua Dim. Utilizziamo il fatto che D n è omeomorfo a [0, 1] n. Sappiamo che esiste un ricoprimento aperto di X su ogni cui elemento la f ha una radice p esima. Si verifica che allora (per la compattezza di X) esiste una qualche suddivisione 0 = a 0 < a 1 <... < a N = 1 tale che ogni prodotto di n intervalli del tipo [a i 1, a i ] dà un sottoinsieme di [0, 1] n sul quale la f ha una radice p esima (in una nota-appendice daremo i particolari di questo tipo di deduzioni da ipotesi di compattezza). Siccome la combinatoria del sistema di intersezioni di tale famiglia di sottoinsiemi è particolarmente semplice, si riesce, fissata una scelta arbitraria di tali radici, di modificarle moltiplicandole via via per radici p esime di 1 C in modo che concordino sulle intersezioni a due a due, così da costruire una radice p esima globale per f. (Si mettono d accordo tutte quelle in cui in primi n 1 fattori sono fissati, poi quelle in cui i primi n 2 sono fissati,...). 6

7 Dim. del teorema 1 per n = 2. Sia j : A X una applicazione continua tra spazi topologici e sia r : X A continua e sua inversa sinistra. Allora l immagine A di A tramite j è omeomorfa ad A ed è un retratto di X. Insoma, a meno di isomorfismi, i retratti sono dati dalle applicazioni j che hanno inversa sinistra (nella categoria degli spazi topologici). Applicando un funtore controvariante F, alla eguaglianza r j = id A si ottiene l eguaglianza F (j) F (r) = id F (A), ossia la freccia F (j) ha inversa destra. Ora se il funtore F è a valori in {gruppi abeliani} ed F (X) è il gruppo nullo mentre F (A) non lo è, nessuna freccia j : A X può avere inversa sinistra; infatti avere inversa sinistra vuol dire che l identità su A si fattorizza passando per X; ma l immagine di tale fattorizzazione non può esistere nella categoria in cui va F, perché l identità su un gruppo non nullo sarebbe fattorizzabile passando dal gruppo F (X) che è nullo. I calcoli del precedente paragrafo, dimostrano quindi il teorema 1 per n = 2. 7

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