Il rimborso dell iva indebita alla luce della giurisprudenza della Cassazione

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1 maurizio logozzo * Il rimborso dell iva indebita alla luce della giurisprudenza della Cassazione e della Corte di Giustizia UE So m m a r i o: 1. Le questioni relative al rimborso dell IVA indebita. 2. L IVA erroneamente indicata in fattura non è rimborsabile al cessionario UE non residente. 3. Il rimborso dell IVA indebita compete al soggetto emittente la fattura. 4. Apertura della Corte UE al rimborso a favore del cessionario. 1. Le questioni relative al rimborso dell IVA indebita La sentenza della Corte di Giustizia UE, 15 marzo 2007, causa C 35/05 1 ci offre lo spunto per esaminare la rilevante questione del rimborso dell IVA indebita alla luce della giurisprudenza nazionale e comunitaria. La Corte di Giustizia, con detta sentenza, si è pronunciata sulla conformità ai principi comunitari del sistema comune IVA in relazione a due questioni, tratte dalla normativa interna italiana, che coinvolgono aspetti fondamentali della tematica del rimborso dell IVA indebitamente fatturata e versata. Le due questioni sottoposte al vaglio dei giudici comunitari dalla Corte di Cassazione 2 sono così sintetizzabili: - se gli artt. 2 e 5 dell ottava direttiva (6 dicembre 1979, n. 79/1072/CEE), che prevedono il rimborso a favore del cessionario o committente residente in uno Stato UE diverso da quello in cui risiede il soggetto che effettua l operazione imponibile, possano essere interpretati nel senso che l IVA, non dovuta ed erroneamente addebitata in rivalsa e versata all erario, sia rimborsabile, tenuto conto che la norma nazionale (nel caso di specie, l art. 38 ter D.P.R. n. 633/1972) esclude il rimborso direttamente al cessionario committente non residente nel caso di non detraibilità dell imposta indebitamente fatturata; - se sia compatibile con la disciplina comunitaria e, in particolare con i principi di neutralità dell IVA, di effettività e di non discriminazione, la mancata attribuzione, nel diritto interno, al cessionario/committente che sia soggetto ad IVA, e che la legislazione nazionale considera come destinatario degli obblighi di fatturazione e di pagamento dell imposta, di un diritto al rimborso nei confronti dell Erario nel caso di addebito e di versamento di imposta non dovuta, nonostante che, nel campo delle imposte dirette, i soggetti del rapporto di sostituzione tributaria (sostituto e sostituito) siano entrambi legittimati a chiedere il rimborso all Erario. * Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. 1 In Giur. trib., n. 7/2007, pag Cass., Ord., 19 gennaio 2005, n. 1015, in Giur. trib., n. 7/2005, pag. 633, con commento di G. ALEMANNO, Rimessa al vaglio della Corte di Giustizia la problematica sul recupero dell IVA indebitamente pagata dal cessionario non residente. 179

2 2. L IVA erroneamente indicata in fattura non è rimborsabile al cessionario UE non residente Nel caso di specie, una società tedesca aveva presentato l istanza di rimborso ai fini IVA all Amministrazione finanziaria italiana, in quanto l imposta era stata addebitata erroneamente in fattura dal cedente / prestatore italiano (in base ai principi comunitari l IVA doveva essere assolta nello Stato di residenza del committente / cessionario). Con riguardo ai soggetti UE non residenti, l art. 38-ter, primo comma, D.P.R. n. 633/1972, conformemente al dettato normativo comunitario (VIII Direttiva n. 79/1072/CEE) subordina il diritto al rimborso alla detraibilità dell imposta. Sul punto si pone una chiara simmetria tra il diritto alla detrazione e il diritto al rimborso. Secondo la tesi sostenuta dalla società tedesca, il rimborso dell IVA indebita competerebbe al soggetto passivo UE non residente per il semplice fatto che l IVA sia stata indicata in fattura. Al contrario, secondo l orientamento della giurisprudenza della Corte di Giustizia, ribadito dalla sentenza in commento, il profilo sostanziale prevale su quello formale della mera indicazione dell imposta in fattura. Difatti, è dubbio che tecnicamente l importo indicato erroneamente in fattura come IVA abbia natura d imposta poiché esso non corrisponde alle norme che disciplinano il regime dell operazione, come la base imponibile, l aliquota ad essa applicabile, ovvero, addirittura, l assoggettamento dell operazione all IVA (come accaduto nel caso di specie, ove l IVA doveva essere assolta nello Stato di residenza del committente). L indicazione nella fattura dell IVA indebita comporta solo il sorgere dell obbligo di corrispondere l imposta, ma non attribuisce al soggetto destinatario della fattura una corrispondente situazione attiva consistente nel diritto alla detrazione o al rimborso. L orientamento a cui si fa riferimento nella sentenza della Corte di Giustizia sopra indicata è quello accolto dalla stessa Corte nella sentenza Genius Holding 3 e riconfermato con la sentenza Schmeink & Cofret e Strobel 4 con il quale è stato affermato il principio secondo cui l esercizio del diritto di detrazione è limitato soltanto alle imposte dovute, cioè a quelle che corrispondono ad un operazione soggetta ad IVA o comunque versate in quanto dovute, posto che non è legittima la detrazione dell imposta non corrispondente ad un operazione determinata, perché è più elevata di quella dovuta per legge o perché l operazione di cui trattasi non è soggetta ad IVA. Vale la pena di sottolineare che la Corte nel caso Genius Holding si è pronunciata specificamente sull esercizio del diritto di detrazione in presenza di un imposta erroneamente indicata in fattura, fornendo l interpretazione dell art. 17, n. 2, lett. a), della VI Direttiva, ed ha precisato che l interpretazione che preclude l esercizio di tale diritto è quella che meglio consente di prevenire le frodi fiscali che sarebbero agevolate qualora ogni imposta fatturata potesse essere detratta. 3 Corte di Giustizia CE, 13 dicembre 1989, causa C 342/87. 4 Corte di Giustizia CE, 13 dicembre 1989, causa C 342/87 e Corte di Giustizia CE, 19 settembre 2000, causa C 454/

3 Tale precisazione è fondamentale perché in dottrina è diffusa l opinione (molto probabilmente errata) che con la successiva sentenza Langhorst 5 la Corte abbia mutato orientamento, riconoscendo la detraibilità dell IVA erroneamente fatturata in quanto indicata nel documento contabile 6. Tale ultima sentenza è stata citata a proprio favore dalla società ricorrente nel caso di specie, ma la Corte di Giustizia, sia pure implicitamente, sembra negare le conclusioni cui perviene <<incidentalmente>> detta sentenza. Da un attenta lettura di quest ultima non pare possa fondatamente sostenersi il revirement del pensiero della Corte: l indetraibilità dell imposta erroneamente indicata in fattura nella sentenza Genius Holding è stata espressamente affermata nel dispositivo della sentenza in risposta al quesito oggetto del ricorso pregiudiziale, mentre nella sentenza Langhorst il ricorso pregiudiziale riguardava tutt altra questione (l esigibilità dell imposta fatturata e non contestata tra le parti) e la detraibilità dell imposta è stata incidentalmente affermata nella motivazione (dunque, un obiter dictum) al solo fine di spiegare il titolo per cui l imposta fatturata doveva essere versata (assicurare in via cautelativa la neutralità dell imposta, potendo, ma non dovendo, il destinatario della fattura detrarre l imposta) 7. Orbene, tenuto conto della funzione di integrazione del diritto comunitario propria della giurisprudenza della Corte di Giustizia, si può affermare che la problematica in esame deve essere risolta nel senso della indetraibilità dell imposta erroneamente indicata in fattura, fermo restando che i rispettivi ordinamenti interni degli Stati membri devono prevedere la possibilità di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata a causa di un errore del soggetto emittente. La giurisprudenza della Cassazione si è allineata all interpretazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia, privilegiando l aspetto sostanziale del diritto di detrazione rispetto al profilo formale rappresentato dal possesso della fattura: questa costituirebbe una modalità (assieme alla registrazione della stessa) di esercizio del diritto medesimo. La giurisprudenza di legittimità valorizza la locuzione imposte dovute, usata sia dalla legislazione comunitaria che da quella nazionale, per escludere la detrazione dell imposta assolta, ma indicata erroneamente in fattura, e ciò a prescindere dalla buona fede del destinatario della fattura medesima 8. 5 Corte di Giustizia CE, 17 settembre 1997, causa C 141/96, in Banca Dati BIG, IPSOA. 6 Così, tra gli altri, M. BASILAVECCHIA, In tema di recupero dell IVA non dovuta; presupposti, condizioni, modalità, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 2004, II, 53; F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, vol. II, Torino, 2002, pag. 216; in senso difforme A. COMELLI, IVA comunitaria e IVA nazionale. Contributo alla teoria generale dell imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000, pag. 817, nota 82, il quale sottolinea come la problematica in questione non può essere risolta sulla base della sentenza Langhorst in quanto alla detraibilità dell imposta si perviene sulla base di un obiter dictum, il quale non è motivato dalla Corte nel contesto della sentenza, e non sembra sufficiente a costituire il presupposto per un vero e proprio revirement giurisprudenziale. 7 Il confronto tra le due sentenze della Corte di Giustizia citate nel testo è esaustivamente svolto da M. GIORGI, Il soggetto obbligato ad emettere la fattura, in Dialoghi di diritto tributario, 2003, pag. 464, il quale osserva che per quanto riguarda la problematica dell imposta erroneamente indicata in fattura, si deve evidenziare che, mentre nel caso Genius Holding il ricorso pregiudiziale aveva ad oggetto la detraibilità dell imposta in questione, nel caso oggetto della sentenza Langhorst il ricorso pregiudiziale riguardava tutt altra questione. Tuttavia, l Autore, sulla base delle motivazioni (generiche) di altre sentenze della Corte europea perviene alla conclusione della detraibilità dell imposta indicata erroneamente in fattura anche per coerenza con il meccanismo generale della detrazione (pag. 463). 8 Tra le ultime sentenze, Cass., 5 giugno 2003, n. 8958, in Banca Dati BIG, IPSOA; Id., 26 marzo 181

4 Con la sentenza 15 marzo 2007, causa C 35/05, la Corte di Giustizia ha definitivamente risolto la questione di carattere generale, nel senso che non compete il diritto alla detrazione dell IVA indebitamente fatturata ai sensi dell art. 17 della VI Direttiva CEE. Sulla base di tale principio generale la Corte ha risolto il caso concreto nel senso che l IVA non dovuta ed erroneamente fatturata al destinatario della prestazione, cessionario / committente U.E. non residente, non può formare oggetto di rimborso in base alle disposizioni contenute nella VIII Direttiva. Il che non vuol dire che l IVA indebita rimane sempre comunque acquisita dall Erario, ma, più semplicemente, che l azione di rimborso può essere esperita unicamente dal soggetto italiano emittente la fattura. 3. Il rimborso dell IVA indebita compete al soggetto emittente la fattura Di qui la seconda questione affrontata dalla Corte di Giustizia relativamente alla conformità ai principi comunitari di effettività e di non discriminazione, in tema di rimborso di IVA non dovuta, di una disciplina nazionale ricavata dall interpretazione datane dai giudici nazionali che consente al cessionario / committente di agire solo nei confronti del cedente / prestatore del servizio, e non nei confronti dell Erario, pur nell esistenza nell ordinamento nazionale di un caso simile, costituito dalla sostituzione nel campo delle imposte dirette, nel quale entrambi i soggetti (sostituto e sostituito) sono legittimati chiedere il rimborso all Erario. In osservanza del principio di legalità, qualsiasi forma di imposizione non ancorata alla reale esistenza del presupposto (nell an e nel quantum) è fonte di indebito per l Amministrazione finanziaria, la quale sarà esposta all azione di rimborso da parte di colui che è qualificato dalla legge come soggetto passivo. Nel nostro ordinamento, per la regolarizzazione dell IVA non dovuta, è previsto il procedimento di variazione dell imponibile o dell imposta di cui all art. 26 D.P.R. n. 633/1972. Qualora non fosse attuabile dal soggetto passivo la procedura di variazione ex art. 26, la tutela della sua posizione soggettiva impone di consentirgli di domandare all Amministrazione la restituzione di quanto versato in eccedenza mediante l azione generale di rimborso prevista dall art. 21, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/ , n. 4419, in C. T. n. 24/2003, pag. 1982, con commento di A. SANTI; Id., 2 settembre 2002, n , in Banca Dati BIG, IPSOA. Quanto all esclusione della detrazione nel caso in cui l operazione, sia pure fatturata, non rientri nel campo di applicazione del tributo, cfr. Cass., 10 giugno 1998, n. 5733; Id., 12 dicembre 1996, n ; Id., 25 novembre 1996, n ; Id., 10 luglio 1993, n. 7602; Id., 28 aprile 1990, n. 3602, tutte in Banca Dati BIG, IPSOA; in senso difforme, con riguardo a quest ultima problematica: Cass., 18 febbraio 1999, n. 1348, Banca Dati BIG, IPSOA e in Riv. Dir. Trib., 1999, II, 751, con nota di CORRADO, In caso di cessione d azienda l Iva erroneamente addebitata in rivalsa può essere detratta dal cessionario. 9 Sulla compatibilità dell azione di rimborso con la procedura dettata dall art. 26 del decreto IVA, v. F. TESAURO, Credito di imposta e rimborso da indebito nella disciplina Iva, in Boll. trib., 1979, pag. 1466; in senso favorevole alla proposizione dell istanza di rimborso nell ipotesi in esame, C. GLENDI, Mezzi di recupero dell Iva non dovuta, in Giur. trib., n. 11/1997, pag Inoltre, v. Cass., 28 aprile 1990, n. 3602, in Banca Dati BIG, IPSOA; Cass., Sez. Un., 13 dicembre 1991, n , ivi; Cass., Sez. Trib., 13 marzo 2000, n. 2868, in Rass. trib., 2000, pag In senso critico rispetto a quest ultima sentenza, fra i tanti, v. N. MAZZITELLI, Un interpretazione 182

5 Così posta la preminenza della procedura di variazione in diminuzione quando non siano decorsi i termini per effettuarla 10, deve ritenersi che il cessionario abbia il diritto di ripetere dal cedente e, correlativamente, quest ultimo abbia l obbligo di restituire al cessionario l importo pagato indebitamente. Pertanto, è da condividere l orientamento univoco della giurisprudenza di legittimità in base al quale se l operazione è stata erroneamente assoggettata all IVA, in quanto esclusa dalla sfera di applicazione del tributo, sono privi di fondamento il pagamento dell imposta da parte del cedente, la rivalsa da costui effettuata nei confronti del cessionario e la detrazione da quest ultimo operata nella sua dichiarazione IVA e pertanto: il cedente ha diritto di chiedere all amministrazione il rimborso dell IVA; il cessionario di chiedere al cedente la restituzione dell IVA versata in via di rivalsa; l amministrazione ha il potere (dovere) di escludere la detrazione dell IVA pagata in rivalsa dalla dichiarazione IVA presentata dal cessionario 11. Queste tre azioni sono autonome, in quanto si svolgono tra soggetti diversi, e non interferiscono fra loro. Inoltre, le stesse sono intimamente connesse ai vari rapporti intercorrenti fra i soggetti interessati, sia di natura tributaria, cedente fisco e cessionario fisco, sia di diritto privato, cedente cessionario. L autonomia dei rapporti la si desume anche dal fatto che viene negata la detrazione al cessionario dell imposta erroneamente addebitatagli 12. La più recente giurisprudenza della Cassazione 13 conferma che i tre rapporti che derivano dal compimento di un operazione imponibile, pur essendo collegati, non interferiscono tra di loro; per cui si può senza dubbio affermare che l autonomia dei rapporti, derivante ex lege dalla disciplina dell IVA, è ormai un principio pacifico. Ogni soggetto che interviene nell ambito dei rapporti così delineati può esercitare i propri corrispondenti diritti, cosicché: l amministrazione finanziaria non può opporre al cedente, che agisca per il rimborso dell indebito, il fatto che abbia esercitato positivamente la rivalsa sul cessionario 14 ; il cedente non può opporre al cessionario, che agisca per la restituzione, il fatto che la corrispondente imposta sia stata versata all erario; il cessionario non può eccepire all amministrazione, che esclude la detrazione, il fatto che abbia pagato in via di rivalsa al cedente, né che costui abbia a sua volta versato l imposta. troppo riduttiva sull emanazione di note di variazione ai fini dell imposta sul valore aggiunto, in Rass. trib., 2000, pag v. anche A. COMELLI, La restituzione dell Iva versata e non dovuta e variazione dell imponibile o dell imposta, in Giur. trib., 2000, pag In tal senso rispetto alla più recente giurisprudenza di legittimità, v. Cass., 28 aprile 1990, n. 3602, in Banca Dati BIG, IPSOA, la quale ha affermato che la procedura di variazione di cui al terzo comma dell art. 26 ha preminenza rispetto all istanza di rimborso, nel senso che quest ultima è ammessa quando sia decorso il termine annuale per la relativa rettifica. La tesi è condivisa dalla prassi amministrativa, cfr. R.M. 30 aprile 1991, n , in Banca Dati BIG, IPSOA; Id. 6 aprile 1993, n , ivi. 11 Cass., 10 giugno 1998, n. 5733, in Banca Dati BIG, IPSOA. 12 Cass., 26 marzo 2003, n in Banca Dati BIG, IPSOA. 13 Cass., Sez. Trib., 22 aprile 2003, n. 6419, idem, Cass., 5 maggio 2003, n Contra, nel senso che il cedente non può agire in giudizio per il rimborso, in caso di erronea applicazione dell IVA e, a sua volta, il cessionario non può proporre azione di indebito nei confronti del cedente, v. S.M. MESSINA, Note in tema di rimborso e risarcimento dei danni per erronea applicazione dell IVA, in Riv. trib., 1991, I, pag Allo stesso modo, in precedenza, altra autorevole dottrina, S. LA ROSA, A proposito della pretesa in detraibilità dell Iva non dovuta, in Il fisco, 1990, pag

6 Pertanto, la rettifica in diminuzione costituisce una facoltà e non un onere per il soggetto emittente la fattura: la mancata attivazione di questa procedura nel termine stabilito non fa venir meno il diritto al rimborso, ma solo il diritto di recuperare il credito mediante detrazione. Perciò la scadenza del termine annuale entro cui può procedersi alle variazioni di cui all art. 26 non preclude al cedente l esercizio dell azione di restituzione dell imposta non dovuta, che può essere esercitata, come si è detto, attraverso l istanza di rimborso e l impugnazione dell eventuale silenzio-rifiuto dell Amministrazione finanziaria. Si sottolinea che tale soluzione trova fondamento anche nella normativa comunitaria. Difatti, l art. 18, quarto comma, della VI Direttiva prevedeva espressamente il rimborso di quanto erroneamente versato e tale norma era da ritenersi immediatamente applicabile nell ordinamento interno in quanto incondizionata e sufficientemente precisa 15. Ne consegue che solo il cedente ha titolo ad agire nei confronti dell Amministrazione finanziaria per il rimborso dell IVA indebitamente versata, mentre il cessionario ha la possibilità di esperire l azione di rivalsa, secondo le norme del codice civile, per le somme indebitamente versate al cedente/prestatore, restando escluso ogni suo possibile intervento nel procedimento di rimborso verso l amministrazione finanziaria 16. Pare opportuno ricordare che l azione esperibile ai sensi dell art c.c. è soggetta all ordinario termine di prescrizione decennale stabilito dall art c.c. Il soggetto passivo nel rapporto tributario determinato dalla fatturazione delle operazioni attive è il cedente o prestatore e non il cessionario o committente, per cui le controversie in merito al rapporto di rivalsa fra i due soggetti non attengono al rapporto tributario e, pertanto, esulano dalle attribuzioni giurisdizionali delle Commissioni Tributarie 17, per rientrare in quelle del giudice ordinario. Tale tesi è affermata dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione. Alla luce delle precedenti argomentazioni è prospettabile una situazione del tutto speculare all ipotesi dell imponibilità della relativa operazione; più specificamente, alla consequenzialità degli adempimenti relativi al versamento rivalsa detrazione dell imposta, si contrappone una situazione inversa, che si fonda sul rimborso ripetizione dell indebito-rettifica della detrazione da parte dell Amministrazione finanziaria, mediante azioni tra loro autonome, al fine di riportare l operazione nella sua giusta collocazione. Dette azioni, qualora correttamente esercitate, non fanno scaturire né duplicazioni di imposta né passaggi economici privi di imposizione. Peraltro, la soluzione accettata si ricollega al fatto che, affinché un operazione possa determinare un debito d imposta in capo al soggetto che la realizza, è necessario che la stessa sia considerata imponibile (oltre che assoggettata alla relativa aliquota) e dunque, venendo meno la causa dell obbligazione tributaria o la sua esatta determinazione, è consentito al cedente di agire per ottenere il rimborso nei confronti dell amministrazione finanziaria. 15 Corte di Giustizia CE, 6 luglio 1995, causa C 62/ M. BASILAVECCHIA, In tema di recupero dell Iva non dovuta, cit., Come delineate dall art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, anche dopo la novella di cui all art. 12 della L. 28 dicembre 2001, n

7 L impostazione sopra descritta è stata accolta dalla Corte di Giustizia con la sentenza 5 marzo 2007, causa C 35/05, nella quale è stato affermato che i principi di neutralità, effettività e non discriminazione non ostano ad una legislazione nazionale, quale quella italiana, secondo cui soltanto il prestatore di servizi è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di IVA, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un azione civilistica di ripetizione dell indebito nei confronti del prestatore. Tale soluzione, se confrontata con la previsione nel sistema di tassazione sui redditi dell istituto della sostituzione tributaria (in base al quale il sostituto e il sostituito sono entrambi legittimati alla proposizione dell istanza di rimborso), secondo la Corte di Giustizia, non contrasta con il principio comunitario di non discriminazione in quanto il sistema di tassazione diretta, nel suo complesso, non ha alcun rapporto con quello dell IVA. 4. Apertura della Corte UE al rimborso a favore del cessionario Tuttavia, il punto nodale della sentenza in commento consiste nell affermazione che la regola generale, in base alla quale il legittimato al rimborso dell IVA indebitamente versata è il soggetto emittente la fattura, è derogata nel caso in cui il rimborso divenga impossibile o eccessivamente difficile (come nell ipotesi di insolvenza del prestatore). Gli Stati membri devono prevedere in ipotesi di tal genere, conformemente al principio di effettività, adeguati strumenti che consentano al cessionario/committente di recuperare l imposta indebitamente fatturata direttamente nei confronti dell amministrazione finanziaria. Il problema si pone quando gli ordinamenti nazionali (come quello italiano) nulla prevedono al riguardo. Si può ritenere che in tali ipotesi, in forza dei principi comunitari di effettività, da una parte, e di neutralità dell imposta, dall altra, debba essere comunque riconosciuta la legittimazione al cessionario/committente di agire per il rimborso direttamente nei confronti dell amministrazione finanziaria. Altrimenti, sulla base del principio di neutralità, dovrebbe consentirsi la detrazione dell IVA indebita da parte del cessionario. Opinare diversamente vorrebbe dire legittimare l acquisizione definitiva dell IVA indebita da parte dello Stato in aperto contrasto non solo con i principi comunitari che disciplinano l imposta, ma anche con la giurisprudenza comunitaria. 185

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