DEMO SI RIPORTANO DI SEGUITO A SCOPO ILLUSTRATIVO ALCUNI BRANI DELL EDIZIONE 2014 DEL VOLUME SCARICHI & SCARICHI

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2 DEMO SI RIPORTANO DI SEGUITO A SCOPO ILLUSTRATIVO ALCUNI BRANI DELL EDIZIONE 2014 DEL VOLUME SCARICHI & SCARICHI

3 SCARICHI & SCARICHI SCARICHI & SCARICHI La disciplina normativa dei liquami aziendali, privati e pubblici tra regole e prassi Edizione 2014 Diritto all ambiente - Edizioni Segreteria organizzativa: Viale Donato Bramente n Terni Tel. 0744/301558; Fax 0744/ edizioni@dirittoambiente.net Sede di Roma: Via Guglielmo degli Ubertini n Roma Tel./ Fax 06/299891; sederoma@dirittoambiente.net copyright Diritto all ambiente Edizioni, 2014 ISBN Proprietà letteraria e tutti i diritti riservati. I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione, l adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le fotocopie) sono riservati per tutti i paesi. Cura dell impaginazione staff tecnico di Diritto all ambiente - Edizioni Finito di stampare nel mese di maggio 2014 presso Leoni Grafiche s.n.c Amelia - Via Europa, 78/80 pag. 2

4 INTRODUZIONE Introduzione alla prima edizione Perché un libro dal titolo Scarichi & Scarichi? Perché sul nostro territorio ci sono scarichi e scarichi! E cioè scarichi veri e propri e liquami erratamente classificati come tali (in buona o cattiva fede) che - invece - sono tutt altra cosa. E non è una differenza teorica e di poco conto, per tutti: aziende, pubbliche amministrazioni, organi di controllo. Da questa problematicità trae spunto questo volume. Non abbiamo, dunque, voluto scrivere un manuale di lettura e di analisi di tutta la normativa sulle acque, parafrasando la legge di settore con qualche commento aggiuntivo; né un codice che riporta meramente tutte le norme di settore o un volume di teorie astratte sugli scarichi e relative competenze. Ma abbiamo voluto fare qualcosa di diverso: un testo con gli stivali ai piedi, sul campo, che affronti alcuni degli aspetti più controversi e dibattuti delle regole giuridiche sui liquami di scarto di aziende, case private e depuratori comunali. Partendo come spunto dai problemi pratici riscontrati sul territorio in molti anni di impegno diretto, sia a livello didattico e seminariale che pratico sul territorio. Per offrire un contributo di chiave di lettura per questi aspetti critici della normativa sui liquami. E per dare in primo luogo loro un nome. Che tipo di liquami sono? Scarichi o rifiuti liquidi? Rifiuti liquidi o rifiuti liquidi di acque reflue? Sono nella parte terza o nella parte quarta del D.Lgs. n. 152/06? E siamo partiti - come primo problema - dagli equivoci terminologici. Perché è proprio dalle diffuse inesattezze terminologiche che poi si originano equivoci interpretativi ed applicativi che nel tempo diventano prassi consolidate a tal punto da assumere un ruolo di alternativa di fatto alle regole giuridiche ufficiali. Ecco, quelli che derivano da queste inesattezze sono gli scarichi tra virgolette... che non sono scarichi reali ma qualcosa di radicalmente diverso, anche se tutti pensiamo che sono scarichi. E da qui si generano equivoci a catena in tutti i campi, perché dalle aziende ai depuratori comunali alla fertirrigazione (ed in tanti altri campi) dall errore terminologico derivano poi errori applicativi della legge ed incrostazioni anomale di prassi difficile da demolire. Abbiamo selezionato una serie di temi di primaria importanza, entro i quali il concetto di scarico, la disciplina, le sanzioni sono oggetto di dibattito e distonie di lettura da tempo, ed abbiamo cercato di tracciare qualche riflessione sulla esatta natura di regole sostanziali e procedurali su questi aspetti specifici. Assegnando a ciascun liquame, a ciascun impianto, a ciascun veicolo un nome giuridico esatto e la relativa procedura per esistere ora dentro l una ora dentro l altra norma. Gli scarichi (quelli veri) ed i rifiuti liquidi (soprattutto quelli sconosciuti come tali) sono un tema sottovalutato e spesso dimenticato. Noi abbiamo voluto dedicargli un libro. Per chi? Per le aziende? Per gli operatori delle pubbliche amministrazioni? Per le forze di polizia? pag. 3

5 SCARICHI & SCARICHI Noi crediamo per tutti, ciascuno dal suo punto di vista. Perché il problema è unico, ma la visione è diversa secondo il proprio ruolo ed il proprio interesse personale. Ma anche la disciplina è unica, e va letta in modo trasversale ed unitario. E crediamo che una riflessione su questo tema possa essere utile e stimolante anche per i non addetti ai lavori, e cioè per tutti coloro che non operano direttamente nel settore ma che sono comunque interessati alla normativa ambientale. Perché gli scarichi e gli scarichi sono comunque una realtà prioritaria e puntiforme dentro la normativa ambientale e su tutto il territorio nazionale. Dunque, buona lettura a tutti! Gennaio 2011 Maurizio Santoloci e Valentina Vattani Introduzione alla edizione 2014 Perché una nuova edizione del libro dal titolo Scarichi & Scarichi? Perché sul nostro territorio continuiamo ad esserci scarichi e scarichi! E cioè scarichi veri e scarichi falsi. E nelle more di tempo intercorso tra la precedente e l attuale edizione i drammatici fatti di cronaca sui sotterramenti di rifiuti anche e soprattutto liquidi hanno confermato la nostra intuizione iniziale che aveva costituito il presupposto di base generale della stesura del presente volume nella originaria impostazione. I rifiuti liquidi, spacciati come scarichi, continuano a dominare la scena ambientale con le loro interpretazioni errate e le prassi che prendono il sopravvento sulle regole, ma anche con le applicazioni fraudolente e le appendici criminali connesse. Abbiamo dunque deciso, attesa anche la fortunata diffusione della prima edizione, di lasciare inalterato l impianto del volume, operando naturalmente aggiornamenti e modifiche ed inserendo nuovi temi. L obiettivo resta quello di offrire un nostro contributo per un percorso di corretta lettura ed applicazione della disciplina degli scarichi e dei rifiuti liquidi in modo unitario e coordinato, per offrire spunti di chiarezza alle aziende che intendono seguire percorsi di legalità e per offrire agli addetti ai controlli strumenti utili - anche di riflessione - per contrastare le illegalità che traggono radice da questo specifico settore. Ma questa edizione rinnovata del volume vuole essere anche un contributo utile per studenti, operatori del diritto e partecipanti ai concorsi pubblici per approfondire alcuni aspetti specifici di una materia spesso sottovalutata e trascurata. Dunque, anche per questa nuova edizione, buona lettura a tutti! Maggio 2014 Maurizio Santoloci e Valentina Vattani pag. 4

6 DISCIPLINA NORMATIVA E REGIME GIURIDICO DEGLI SCARICHI PARTE PRIMA La disciplina normativa ed il regime giuridico degli scarichi pag. 7

7 DISCIPLINA NORMATIVA E REGIME GIURIDICO DEGLI SCARICHI 3 LA NOZIONE DI SCARICO : ASPETTO PRELIMINARE DI RILEVANZA PRIMARIA PER L APPLICAZIONE DI TUTTO L IMPIANTO NORMATIVO 3.1 Il concetto formale di scarico previsto dal decreto 152/06 Il D.Lgs. n. 152/06, nell articolo 74, comma 1, alla lettera ff), riporta la seguente definizione ufficiale di scarico : qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all articolo 114; (lettera così modificata dall art.2, comma 5, D.Lgs. n. 4/2008). Il delineato concetto di scarico appare nozione assolutamente fondamentale e prioritaria per l esatta comprensione dei principi della Parte terza del decreto legislativo n. 152/06. Infatti, il concetto deve essere valutato ed inteso in senso formale giuridico così come tracciato dallo stesso decreto. Va sottolineato che ai fini giuridici, e in particolare ai fini dell applicazione della normativa specifica di settore, non è scarico tutto ciò che nel gergo comune e nel linguaggio ordinario intendiamo come scarico. Infatti i due concetti non sempre, e anzi molto spesso, non coincidono. Prendiamo ad esempio lo scarico del camper: noi nel nostro linguaggio comune indichiamo comunemente come scarico l azione del camperista che apre la valvola delle acque nere del veicolo e le riversa su un prato (o un altro sito). In realtà tale attività non rappresenta uno scarico in senso giuridico nell ottica della parte terza del decreto legislativo 152/06. È dunque assolutamente importante e prioritario chiarire e delineare assolutamente qual è il confine dello scarico così come delineato dal decreto legislativo di settore per poi passare ad esaminare la normativa conseguente. Il concetto di scarico appare importante non soltanto per la comprensione della normativa di settore ma, ancora prima, per intuire quando e come uscire dal dettato regolamentativo della Parte quarta del decreto legislativo 152/06 che disciplina, invece, i rifiuti. 3.2 Lo scarico come sottospecie dei rifiuti liquidi Va ricordato e sottolineato che lo scarico rappresenta una sottospecie della più vasta categoria dei rifiuti liquidi disciplinata in modo trasversale dal D.Lgs. n. 152/06 parte quarta. Quest ultima disciplina, nel presentarsi come normativa quadro anche su tale specifico aspetto, prevede poi che, laddove il rifiuto liquido sia un acqua di scarico (art. 185, c. 2, lett. a, D.Lgs. n. 152/06 come modificato dal D.Lgs. n. 205/2010), viene derogata la disciplina generale con rinvio alla normativa specifica di settore (si rinvia, dunque, alla parte terza del D.Lgs. n. 152/06). Capire, ed intuire, pertanto, cosa è lo scarico rappresenta un operazione prio- pag. 13

8 SCARICHI & SCARICHI ritaria per individuare esattamente il momento ed il campo nel quale usciamo dal decreto 152/06 parte quarta sui rifiuti ed entriamo nel D.Lgs. n. 152/06 parte terza. Perché se lo scarico che abbiamo di fronte non è scarico in senso tecnico, giuridico e formale (così come delineato dal decreto 152/06 parte terza) le ipotesi sono due: o restiamo nell ambito disciplinare del D.Lgs. n. 152/06 parte quarta come concettualità generale di rifiuto liquido oppure, in alternativa, potrebbe trattarsi di un qualcosa inesistente ai fini della regolamentazione specifica di settore (eventualmente potrebbe trattarsi di altre attività disciplinate da diverse normative o affatto disciplinate ed irrilevanti ai fini giuridici). Va ribadito che le definizioni normative sono esattamente puntuali e specifiche. Come in ordine al concetto di rifiuto. Infatti non è rifiuto in senso giuridico tutto ciò che comunemente intendiamo in senso sociale, nel gergo comune, come rifiuto. Il rifiuto previsto dalla parte quarta del c.d. T.U. ambientale è esattamente e soltanto quello delineato nella definizione ufficiale dello stesso decreto. Tutte le altre sostanze che nel lessico comune si intendono come rifiuti non sempre corrispondono al rifiuto in senso giuridico. E se non è rifiuto in senso giuridico non scatta la normativa di settore e i relativi adempimenti amministrativi ed illeciti. Il discorso è esattamente analogo anche per il concetto di scarico. Se la fattispecie che abbiamo di fronte non rientra e non si identifica perfettamente e puntualmente con quanto previsto nella definizione ufficiale virgolettata del D.Lgs. n. 152/06 parte terza non abbiamo uno scarico in senso tecnico-giuridico e dunque non scatta la disciplina regolamentativa del decreto legislativo di settore. Di conseguenza non scattano neppure le ipotesi sanzionatorie. Vediamo dunque che cosa è lo scarico delineato dal D.Lgs. n. 152/06 parte terza; e per tale individuazione dovremo attenerci esclusivamente e strettamente dentro la virgolettatura sancita dallo stesso decreto. Successivamente nel capitolo II del presente volume andremo ad approfondire il principio del confine tra lo scarico, che stiamo delineando in questi primi paragrafi, ed il rifiuto liquido di cui andremo a trattare successivamente. 3.3 Gli elementi essenziali nel concetto di scarico : la immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento Come abbiamo già sottolineto, la necessità di capire esattamente quale sia lo scarico appare determinante in ragione del fatto che la disciplina sui rifiuti non si applica alle acque di scarico (art. 185, comma 2, lett. a, D.Lgs. n. 152/06); essa, invece, si applica ai rifiuti liquidi costituiti da acque reflue. Per cui, il saper cogliere tale puntuale linea di discrimine è determinante al fine di comprendere quali siano i regimi amministrativi e sanzionatori applicabili (quelli previsti dalla parte terza, sulla tutela delle acque o quelli disposti dalla parte quarta, sulla gestione dei rifiuti, D.Lgs. n. 152/2006). pag. 14

9 DISCIPLINA NORMATIVA E REGIME GIURIDICO DEGLI SCARICHI 5 GLI SCARICHI ASSIMILABILI COME REGIME INTERMEDIO DI DEROGA 5.1 Un sistema residuale di deroga rispetto alle tipologie di base Il concetto degli scarichi assimilabili nel contesto del D.Lgs. n. 152/06 sugli scarichi e la tutela delle acque merita qualche approfondimento. Abbiamo sopra visto che la parte terza del decreto n. 152/06 prevede una precisa costruzione degli insediamenti che vanno classificati come scarichi domestici. In modo contestuale prevede analoga e puntuale disciplina per il settore opposto e cioè quello degli scarichi industriali. Si tratta, in pratica, dei due pilastri portanti del sistema di classificazione degli scarichi nell attuale regime giuridico. Per quanto riguarda il settore specifico degli insediamenti industriali, il decreto stabilisce alcuni parametri di individuazione formali e prestabiliti. Per alcuni tipi di insediamenti, che a prima vista nel nostro tessuto sociale ed economico possono in alcuni casi apparire strutturalmente come industriali, sussiste poi una possibilità di deroga, in base alla quale alcuni tipi di insediamenti, proprio perché di natura più modesta e dunque di portata inquinante potenzialmente molto più limitata, possono essere estrapolati da tale regime base e ricondotti (si sottolinea in via derogatoria) nella disciplina degli assimilabili ai domestici. In altre parole, la norma prevede un regime intermedio a cavallo tra lo scarico domestico in senso stretto (geneticamente tale in modo assoluto e permanente) e lo scarico industriale (anch esso geneticamente tale in modo assoluto e permanente). Questi due tipi di scarico rappresentano tipologie standard e prefissate dal carattere stabile e preordinato. Ma, nella realtà delle cose concrete, esistono poi situazioni che in via assoluta e formale possono non rientrare né nella prima categoria e neppure nella seconda. Dunque la norma prevede una disciplina intermedia di raccordo, in base alla quale per scelta residuale e derogatoria quello scarico che a livello formale e sostanziale non rientra in modo totale nel concetto (molto preciso e limitato) di scarico industriale così come santificato dalla parte terza del decreto n. 152/06, scivola per così dire verso una assimilabilità sostanziale nello scarico domestico. Va sottolineato che non diventa scarico domestico in modo assoluto e genetico, ma entra in un campo intermedio di sostanziale assimilabilità che lo equipara, in modo fittizio e formale, a tale tipo di scarico. Ma sempre in modo derogatorio e residuale e certamente anche transitorio, visto che non essendo classificabile domestico in senso genetico, ma soltanto residualmente assimilabile, consegue che tale criterio di residualità potrebbe venir meno e quindi lo scarico in questione di conseguenza sarebbe attirato nuovamente verso la categoria base degli industriali. pag. 43

10 SCARICHI & SCARICHI 5.2 Uno scarico assimilabile al domestico non è geneticamente uno scarico domestico Per chiarezza, va ricordato che specialmente in passato, ma ancora oggi in molti casi, il concetto di scarico assimilabile al domestico è stato (ed è tutt oggi) considerato come assolutamente identico ed equivalente allo scarico domestico. In altre parole per prassi comune quando si indicava, e si indica, uno scarico assimilabile al domestico si sottintende comunemente che si tratta esattamente della stessa identica cosa. In realtà non è affatto così. L equivoco interpretativo nasce dal fatto che alla fine ed in pratica sostanzialmente il regime autorizzatorio, gestionale, disciplinatorio e sanzionatorio è veramente identico tra uno scarico domestico ed uno scarico assimilabile al domestico; questo porta di conseguenza a identificarli come speculari. Invece nonostante tale identico trattamento normativo finale, il presupposto iniziale delle due discipline è totalmente diverso. Infatti, lo scarico domestico nasce geneticamente e fisiologicamente come tale e resterà sempre e comunque domestico perché deriva da un meccanismo di vivibilità sociale basato essenzialmente non solo sul metabolismo umano, ma anche dalla collocazione di tale metabolismo dentro un entità appunto domestica e quindi in un certo senso familiare e casalinga. Altro non ci potrà mai essere in questo scarico, proprio perché deriva da una casa privata di una famiglia. Diversamente, lo scarico assimilabile al domestico non ha affatto questa origine genetica, perché non deriva dai reflui di un nucleo familiare ma promana da una struttura che in se stessa è sostanzialmente industriale o commerciale (tant è vero che quella struttura sotto il profilo di altre normative - ad esempio legislazione antinfortunistica o sicurezza impiantistica e sul luogo di lavoro o fiscale e tributaria - viene regolata appunto come industriale o commerciale), e dunque originariamente dovrebbe essere uno scarico industriale. Ma laddove il carico inquinante di tale struttura risulti poi non corrispondere ai parametri specifici dello scarico industriale così come specificamente delineato dalla norma (come sopra descritto), non potendo per principio essere classificato appunto come scarico industriale, viene ricompreso in modo residuale e fittizio come simile ad uno scarico domestico. In questo caso si classifica assimilabile al domestico. Tuttavia assimilabile non è esattamente come domestico in modo originario e genetico. È qualcosa di diverso, ma molto simile. In questo caso si tratta di una categoria residuale intermedia per esclusione, giacché quello scarico (seppur deriva da una struttura che in se stessa è oggettivamente e sotto ogni altro qualsiasi profilo industriale o commerciale) non presenta dentro la specifica normativa della parte terza del D.Lgs n. 152/06 le caratteristiche qualitative per essere classificato come scarico industriale e dunque scivola, per così dire, in quell area intermedia classificata come assimilabile. Una specie di limbo al confine tra i due concetti. pag. 44

11 IL CONFINE TRA SCARICO E RIFIUTO LIQUIDO PARTE SECONDA Il confine tra scarico e rifiuto liquido pag. 69

12 SCARICHI & SCARICHI 1 ACQUE DI SCARICO E RIFIUTI ALLO STATO LIQUIDO: DOV È IL CONFINE? I riversamenti di acque reflue aziendali in vasche e cisterne, con successivo prelievo e trasferimento dei liquami, ed il trasporto dei liquami medesimi con successivo riversamento verso un impianto di destinazione, nel gergo comune impropriamente vengono indicati come scarichi. Infatti è frequente la frase l azienda scarica i propri liquami in vasca oppure l autospurgo scarica il contenuto nell impianto. Tali espressioni terminologiche sono profondamente errate e generano pericolosi equivoci interpretativi e soprattutto applicativi sia da parte delle aziende che da parte delle forze di polizia e dei tecnici amministrativi. Se si parte, infatti, dalla convinzione di prassi comune (totalmente inesatta) che un azienda scarica in vasca, la conseguenza logica è che tutta la connessa disciplina (autorizzatoria, gestionale e sanzionatoria) va individuata nella parte terza del D.Lgs n. 152/06. Il che è radicalmente inesatto e ci porta a conseguenze del tutto fuorvianti in ogni sede. L azienda rischia pesanti sanzioni e sequestri per tale errata interpretazione della norma, l organo di polizia rischia la nullità ed inefficacia dei verbali, l organo tecnico della pubblica amministrazione rischia di rilasciare atti autorizzatori abnormi ed illegittimi. Tutto questo per una errata individuazione ed interpretazione del concetto formale di scarico basata su prassi antiche e radicate ma del tutto inesatte. Vediamo dunque di delineare gli esatti parametri del sistema normativo in questione, senza eccessive semplificazioni prontuaristiche (che possono in questi casi risultare limitative e dannose) ma seguendo con un po di pazienza un percorso ragionato di corretta e puntuale lettura della norma. Anzi, delle norme. In via preliminare, dobbiamo ricordare, in modo inequivocabile, che l ex scarico indiretto non esiste più. Questo è un punto di estrema importanza perché molte aziende, ma anche molti tecnici amministrativi, ancora ritengono in modo assolutamente improprio che tale concetto sia ancora vitale. D altra parte le sbagliatissime espressioni terminologiche che abbiamo sopra citato (in particolare quella: l azienda scarica in vasca ) sottintendono in modo inequivocabile che tale concetto, seppur non viene espressamente dichiarato e manifestato, alberga comunque ancora in modo silente e latente dentro il pensiero di molti operatori sia di aziende private che della pubblica amministrazione. Altrimenti tali espressioni non verrebbero usate in modo molto comune e diffuso. Infatti il concetto di scarico in vasca o di scarico da autospurgo rappresenta l esatta e puntuale esternazione verbale del principio dello scarico indiretto, in quanto in un passato molto remoto tali realtà erano in tal modo classificate. pag. 70

13 IL CONFINE TRA SCARICO E RIFIUTO LIQUIDO Infatti in tempi arcaici, vigente la legge n. 319/76 (cosiddetta legge-merli sull inquinamento idrico), il liquame che dall azienda veniva riversato in vasca per poi essere prelevato e trasportato altrove, era sempre disciplinato dalla norma in questione come scarico indiretto ; ma oggi detta figura giuridica non esiste assolutamente più (e questo fin dalla pregressa normativa del D.Lgs. n. 152/99). Consegue dunque che la disciplina giuridica delle vasche e comunque di ogni struttura destinata a ricevere i liquami, come cisterne interne all azienda o fusti o altro, trasforma automaticamente il liquame non più in uno scarico bensì in un rifiuto liquido costituito da acque reflue e dunque soggetto alla disciplina giuridica del D.Lgs. n. 152/06 parte quarta sui rifiuti. 1.1 Perché il confine tra scarico e rifiuto liquido è di estrema importanza per tutti (soprattutto per le aziende) Il confine tra acque di scarico e rifiuti liquidi è fonte molto spesso di equivoci interpretativi ed applicativi da parte di molti titolari di aziende e molti organi di P.G., pur essendo campo di gravissime illegalità. Non va sottaciuto un dato importante in modo trasversale: chi delinque con i liquami (settore che costituisce una vera e propria nuova frontiera di temibile importanza nel contesto della criminalità organizzata in materia ambientale) tende a spacciare la propria attività come scarico per rientrare nelle sanzioni della parte terza del D.Lgs. n. 152/06 che sono molto più modeste di quelle contenute invece nella parte quarta che riguarda i rifiuti anche liquidi. La parte terza è infatti sostanzialmente depenalizzata o microcriminalizzata, prevede regole di sola forma e di scarsa sostanza, è limitata da procedure per il controllo, prelievo ed analisi estremamente complesse che rendono spesso vani gli accertamenti della P.G.. Per questi motivi la tendenza di chi smaltisce rifiuti liquidi, anche pericolosi, è quella di ingannare a livello giuridico e sostanziale l organo di controllo per indurlo ad operare entro il contesto molto più blando a livello regolamentativo e soprattutto sanzionatorio delle norme sugli scarichi anziché nel contesto normativo dei rifiuti liquidi. Ecco dunque che percepire bene gli esatti parametri di questo confine tra le due parti del D.Lgs. n. 152/06 è straordinariamente importante per gli organi di polizia giudiziaria. In tale contesto generale, ricco di forti elementi di illegalità sistematica, capita anche spesso che aziende in buona fede, che non hanno certamente la tendenza a violare la legge come principio ma che sono trascinate spesso imprudentemente nella illegalità a causa della imprudente osservanza di regole e di prassi comuni arcaiche e superate, si trovano all improvviso (loro malgrado) inserite nel sistema sanzionatorio della gestione illegale dei rifiuti - di straordinaria importanza e di forte incidenza come responsabilità personale - pur non avendo certamente a monte una volontà di violare la legge. pag. 71

14 SCARICHI & SCARICHI Questo accade piuttosto frequentemente laddove il titolare dell azienda cade nella trappola terminologica che lo induce a scambiare un riversamento di liquami in vasca (o in altro contenitore) - con il successivo trasporto - verso un impianto terzo con l improprio ed ormai abolito concetto dello scarico indiretto. Infatti, andando a gestire questo riversamento di liquami come uno scarico secondo le regole della parte terza del D.Lgs. n. 152/06, anziché come un rifiuto liquido, disciplinato dalla parte quarta della stessa norma, in sede di controllo si trova esposto ai gravi reati di gestione illegale di rifiuti liquidi. 1.2 Le basi del confine tra scarico e rifiuto liquido La parte quarta del D.Lgs. n. 152/2006 rappresenta la legge-quadro in materia di inquinamento e disciplina tutti i rifiuti solidi e liquidi, mentre sono estranei dal suo campo di applicazione le acque di scarico (cfr. articolo 185, comma 2, lett. a, D.Lgs. n. 152/2006). Poiché lo scarico delle acque reflue è disciplinato ora dalla parte terza dello stesso D.Lgs 152/06 (mentre prima era disciplinato dal decreto legislativo n. 152/99 e prima ancora dalla Legge Merli ), le disposizioni sui rifiuti dettate dal c.d. T.U. ambientale troveranno applicazione solo per la parte che il sistema della parte terza del D.Lgs. 152/06 in materia di scarichi e tutela delle acque non regolamenta. Quindi: la parte quarta del D. Lgs. 152/06 disciplina i rifiuti allo stato liquido, mentre la parte terza dello stesso decreto disciplina le acque di scarico. Il criterio interpretativo fondamentale per l applicazione della normativa sui rifiuti risiede nel fatto che la parte quarta del D.Lgs. n. 152/06 disciplina tutte le singole operazioni di gestione (ad esempio: conferimento, raccolta, trasporto, stoccaggio, etc.) dei rifiuti prodotti da terzi, siano essi solidi o liquidi, fangosi o sotto forma di liquami. Restano escluse quelle fasi, concernenti rifiuti liquidi (o assimilabili), relative allo scarico e riconducibili alla disciplina stabilita dalla norma specifica sugli scarichi. Ne consegue che la disciplina degli impianti di trattamento dei rifiuti liquidi in conto terzi e relative ulteriori operazioni, che presuppongono il trasporto non canalizzato delle acque di processo, ricade sotto la normativa della parte quarta del D.Lgs. n. 152/2006, mentre le operazioni connesse allo scarico delle acque, cioè all immissione diretta ed al trattamento preventivo delle stesse - poste in essere dallo stesso titolare dello scarico - sottostanno alla disciplina sulle acque. Dunque lo scarico previsto dalla parte del D.Lgs. n. 152/06 sulle acque appare come una deroga al concetto generale di rifiuto liquido. La costruzione di geografia politica e giuridica del settore presenta il rifiuto liquido della parte quarta del D.Lgs. n. 152/06 come categoria generale di base; le acque di scarico, provenienti solo dallo scarico, costituiscono una specie di sottocategoria di deroga che esula dal campo regolamentativo delle disposizioni sui rifiuti. Tale deroga, per trasformare giuridicamente un rifiuto liquido in un acqua reflua di scarico, ha come presupposti ineludibili due concetti: la fonte fissa e stabile pag. 72

15 IL DEPURATORE PARTE TERZA Il depuratore pag. 95

16 SCARICHI & SCARICHI 1 IL DEPURATORE DI ACQUE REFLUE - LA DIFFERENZA CON L IMPIANTO DI TRATTAMENTO DEI RIFIUTI LIQUIDI 1.1 Le acque reflue ed i rifiuti liquidi : differenza nella disciplina e nella terminologia degli impianti tecnici Abbiamo visto in precedenza che oggi la rinnovata normativa sinergica tra parte quarta e parte terza del decreto n. 152/06 distingue nettamente il rifiuto liquido (compreso il rifiuto liquido costituito da acque reflue ) dalle acque reflue dello scarico. La differenza non è solo terminologica, ma profondamente incidente sulla sostanziale diversificazione tra le due normative e sui regimi autorizzatori e sanzionatori. Infatti i rifiuti liquidi ordinari ed i rifiuti liquidi costituiti da acque reflue sono disciplinati dalla parte quarta del decreto 152/06; di conseguenza l impianto tecnologico relativo che li riceve assume la qualifica di impianto di trattamento rifiuti (liquidi). Le acque reflue di uno scarico, invece, sono disciplinate, in deroga, dalla parte terza dello stesso decreto 152/06 e l impianto relativo che le riceve assume la qualifica formale di depuratore. Attenzione, la tecnologia impiantistica può essere in ambedue i casi apparentemente e visivamente quasi identica: infatti a livello strutturale e di immagine esterna l impianto può essere fungibile ed identico. Quello che differenzia i due campi sopra delineati, dunque, non è la tecnologia dell impianto ma l uso che di tale impianto viene svolto. E soprattutto il tipo di liquame che viene introitato, ma ancora prima l origine e la destinazione di questo liquame. Un errore di lettura nella sostanza, ma anche nella sola forma (terminologia esatta) può determinare effetti di nullità ed inutilizzabilità degli atti realizzati e degli accertamenti svolti, oltre a determinare pericolose forme di confusione. 1.2 Lo schematismo di differenza tra gli impianti destinati a trattare e depurare i liquami Vediamo dunque uno schema riassuntivo: 1) da una fonte di produzione di rifiuti liquidi normali, oppure di rifiuti liquidi costituiti da acque reflue, deriva un sistema normativo di deposito, gestione, trasporto e smaltimento o recupero finale che viene totalmente ed unicamente disciplinato dalla parte quarta del D.Lgs. n. 152/06; l impianto che si trova su questa linea di gestione è di trattamento rifiuti liquidi (e non un depuratore); 2) da una fonte di produzione di uno scarico deriva un sistema normativo di regolamentazione di tale riversamento di acque reflue verso un corpo ricettore che viene totalmente ed unicamente disciplinato dalla parte terza del D.Lgs. n. 152/06; l impianto che si trova su questa linea di scarico è un depuratore di pag. 96

17 IL DEPURATORE acque reflue. Dunque, nel sistema giuridico della parte terza del citato decreto, il depuratore è un impianto che interviene sulle acque reflue nella linea dello scarico prima del riversamento dei liquami nel corpo ricettore con il fine di abbattere il livello tabellare degli elementi inquinanti per adeguare lo scarico ai parametri stabiliti dalle tabelle allegate al decreto in questione. 1.3 La configurazione giuridico/formale del depuratore Va sottolineato che il depuratore per le aziende private non si presenta come un obbligo giuridico codificato per le aziende in senso stretto. Infatti, nella parte terza del decreto n. 152/06 il depuratore non appare mai imposto alle aziende come un obbligo giuridico in se stesso perché il titolare dell azienda non è obbligato dalla legge ad installare un depuratore, ma è solo obbligato a rispettare il regime tabellare. Le due cose, anche se di fatto sostanzialmente coincidono, a livello puramente formale sono totalmente diverse. E quindi anche le conseguenze a livello gestionale e sanzionatorio sono proporzionalmente ben distinte. Infatti, va sottolineato che l installazione del depuratore oggi è, per così dire, una scelta obbligata a livello tecnico per il titolare dell azienda, il quale non ha verosimilmente altra scelta legale e sostanziale per raggiungere l obiettivo voluto dalla norma: e cioè il rispetto delle tabelle allegate al decreto n. 152/06. Non vi sono oggi altre soluzione tecnico/egali per abbattere il regime tabellare e, quindi, adeguarsi alle imposizioni previste dal decreto medesimo. Altre soluzioni sarebbero certamente illegali (vedi, ad esempio, quella della diluizione del liquame prima del riversamento nel corpo ricettore, attività che certamente sortirebbe l effetto di abbattere in modo rilevante il regime tabellare, ma è espressamente proibita dalla legge e - quindi - palesemente illegale). Consegue, dunque, che anche la giurisprudenza, in verità già vigente la antica legge n. 319/76, ed in modo coerente ancora oggi, si è sempre attestata su precisi principi conseguenti a tale concetto di fondo connaturale alla nostra normativa contro l inquinamento idrico. Infatti, se il depuratore non è un obbligo di legge in se stesso, ma rappresenta sostanzialmente libera scelta aziendale per raggiungere il fine voluto dalla norma, consegue che tutte le responsabilità soggettive a livello doloso o colposo connesse alla scelta o alla gestione del depuratore ricadono direttamente sul titolare dell azienda (o suo delegato). Ulteriore conseguenza di questa costruzione giuridica è individuabile nel fatto che la installazione di un depuratore non pone automaticamente l azienda in regola con la legge. D altra parte le sanzioni della parte terza del decreto 152/06 non sono connesse alla mancata installazione di tale impianto e/o al suo cattivo funzionamento, bensì al mancato rispetto dei livelli tabellari di legge. Mai si ipotizza, direttamente o indirettamente, una sanzione per chi non installa un depuratore o mal gestisce lo stesso o causa un riversamento a causa di una errata o copag. 97

18 SCARICHI & SCARICHI munque inadeguata strutturazione dell impianto di trattamento acque. E soltanto indirettamente il depuratore, dunque, assume una visibilità entro il sistema di controllo. Ed infatti è un dato oggettivo che laddove un insediamento non abbia affatto installato alcun depuratore o, altra ipotesi manualistica alternativa, il depuratore sia installato ma venga mal gestito e quindi non svolga adeguatamente il proprio ruolo tecnico, ma dal controllo non emerga tuttavia in quel momento un superamento tabellare nessuna censura, nessuna sanzione specifica scatterebbe a carico del titolare dell azienda. Infatti, se andiamo a rileggere con attenzione tutto il sistema sanzionatorio in ordine all inquinamento previsto dalla parte terza del decreto n. 152/06, le violazioni sono inerenti formalmente esclusivamente al regime del superamento tabellare. Ed è ancora fatto oggettivo che laddove un insediamento abbia regolarmente installato un depuratore e, nonostante detta installazione, al controllo dell organo di vigilanza lo scarico risulti superante i limiti tabellari, le sanzioni (amministrative o penali) comunque scatterebbero. Certamente - poi - a livello di responsabilità soggettiva il fatto di avere installato il depuratore e di averlo magari funzionante possono incidere sull elemento soggettivo della buona fede e, comunque, costituire una attenuazione indiretta delle forme di responsabilità, ma l illecito scatterebbe a livello iniziale comunque in modo formale. Le conseguenze di tali principi sulla impostazione della metodologia delle scelte aziendali da un lato e sugli atti di accertamento e vigilanza è diretta e fondamentale. 1.4 Le responsabilità soggettive in relazione alle disfunzioni operative del depuratore Va rilevato, sulla scorta di quanto sopra esposto, che i guasti dell impianto di depurazione risentono in modo diretto della costruzione giuridica fin qui esaminata. Infatti, se è stato già precisato che il depuratore è una libera scelta dell azienda per raggiungere il risultato finale previsto dalla norma di non superamento dei limiti tabellari, consegue che ricadono con responsabilità dolosa o colposa sul titolare dell azienda stessa tutte le questioni connesse alla omessa installazione del depuratore o, più verosimilmente, in ordine alla cattiva situazione di gestione o manutenzione del depuratore stesso (salvo che non sussista un gestore in senso formale che supplisce eventualmente in tale caso nel contesto sanzionatorio). Richiamando infatti il principio basilare (spesso sottovalutato o dimenticato) in base al quale ogni reato si compone comunque di un elemento oggettivo (nel caso di specie il referto di analisi con superamento tabellare) ma anche e soprattutto di un elemento soggettivo (dolo o colpa), non vi è dubbio che l esame della scelta tecnica inerente il depuratore sia fortemente incidente in relazione alla reale sussistenza delle violazioni penali in primo luogo, ma anche amministrative. Infatti, è esattamente nella struttura del depuratore che l orpag. 98

19 LE POSIZIONI SOGGETTIVE NELLA GESTIONE DEGLI SCARICHI E DEI DEPURATORI PARTE QUARTA Le posizioni soggettive nella gestione degli scarichi e dei depuratori pag. 117

20 SCARICHI & SCARICHI 1 IL GESTORE DELL IMPIANTO DI DEPURAZIONE - LA DIFFE- RENZA CON LA DELEGA INTERNA ALL AZIENDA - LE CON- SEGUENZE SULLA POSIZIONE DI RESPONSABILITÀ SOGGETTIVA DEL TITOLARE DELLO SCARICO 1.1 Le evoluzioni della responsabilità penale all interno della grande azienda L accertamento della responsabilità in ordine alla gestione dello scarico aziendale privato presuppone l individuazione del responsabile dell impianto. Questi coincide - come principio base e di partenza - con il titolare dello scarico. E tale rimane nella piccola azienda. Tuttavia, se tale individuazione nelle aziende di piccole dimensioni non presenta particolari difficoltà, il problema può presentarsi maggiormente complesso nelle realtà di grandi dimensioni che hanno un articolazione in termini organizzativi/funzionali ampia ed estesa. Ove il titolare spesso - di fatto - è ben lontano dalla possibilità di potersi occupare realmente e direttamente in prima persona di tutte le questioni relative alla dinamica dello scarico, e spesso di più scarichi. La responsabilità penale all interno dell azienda di grande rilievo in caso di violazione delle normative ambientali ha subito a livello di principio in questi ultimi anni una profonda e per certi versi inaspettata evoluzione da parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione. Come appare logico ed evidente il tema non è secondario, giacché attiene a livello pratico e concreto alle situazioni di imputabilità personale con conseguenze sul piano penale del titolare della ditta e sui soggetti da esso delegati. Si tratta - dunque - di un istituto giuridico di primaria importanza che interessa da un lato il settore di dirigenza a diversi livelli e dall altro la pubblica amministrazione e gli organi di verifica e controllo. Tracciamo - di conseguenza - qualche riflessione su questo tema. Ed in realtà dovremmo iniziare a citare le norme specifiche che regolano questa delicata materia. Ma ci sono queste norme? La risposta - paradossale - è no! Provate a scrutare per bene sia la normativa sui rifiuti sia la normativa sulle acque dettate dal D. Lgs. n. 152/2006 e - ne siamo certi - non troverete un sistema di disciplina chiaro, diretto e specifico sulle singole posizioni di responsabilità aziendale. Certamente vi sono norme che affrontano a volte anche tali aspetti, ma sono solo regole satelliti ed integrative che presuppongono l esistenza di regole di base che in realtà non troviamo nelle leggi ambientali, ma nei principi generali e - fatto ancor più sorprendente - nella giurisprudenza. Vediamo dunque di focalizzare alcuni punti fermi così come tracciati dalla Suprema Corte. In via primaria, abbandoniamo un luogo comune: non esiste una responsabilità oggettiva del titolare dell azienda, come molti, invece, credono. E per giungere a tale conclusione si deve effettuare un esame sulla sua posizione soggettiva di dolo o colpa, che spesso non viene invece realizzato dando per scontato ancora una volta una sua presunta responsabilità oggettiva. pag. 118

21 LE POSIZIONI SOGGETTIVE NELLA GESTIONE DEGLI SCARICHI E DEI DEPURATORI In pratica, seguendo un protocollo di base, dobbiamo chiederci prima chi è dentro l azienda il potenziale responsabile per quel caso concreto e poi accertare se a suo carico, rispetto sempre a quel caso concreto, risultano elementi di dolo o colpa. 1.2 Il titolare dell azienda può oggi delegare la sua responsabilità a livello interno: non lo stabilisce la legge ma la Cassazione Va premesso - per chiarezza generale - che la materia della responsabilità soggettiva all interno dell azienda e la possibilità di una delega interna non è regolata da nessuna legge di settore, in particolare dalle normative sull inquinamento idrico e sui rifiuti. Dobbiamo dunque ricercare i principi nella giurisprudenza costante e sistematica della Cassazione che, in qualche modo, crea un istituto di principio interpretativo diffuso. Come è noto e per certi versi elementare, la responsabilità penale nel nostro ordinamento giuridico è personale e non può essere certo trasferita volontariamente, in senso attivo e passivo, su altro soggetto. Questo è un principio basilare del nostro sistema di diritto. Per anni, dunque, il responsabile legale dell azienda è stato soggetto imputabile unico e primario in tutto il settore delle violazioni ambientali penalmente sanzionate. E la giurisprudenza passata era sempre attestata su tale indirizzo (si veda, per tutte: La delega di funzione tecniche non esclude di per sè la responsabilità dell imprenditore per l inquinamento prodotto - Cass., Sezione III, 29 marzo-6 maggio 1996, Bonaccorsi). Tuttavia tale costruzione giuridica aveva determinato l effetto di creare una specie di responsabilità oggettiva automatica e passiva per il titolare dell azienda che rispondeva sempre e comunque dei reati posti in essere magari da dipendenti lontani a livello di gestione, controllo e spesso territorio. In particolare per quanto riguarda le grandi aziende il problema era diventato rilevante giacché il responsabile legale unico e centralizzato di una ditta con diverse filiali diramate sul territorio nazionale diventava paradossalmente il catalizzatore di tutte le condanne per le violazioni poste in essere dai dipendenti frazionati nelle più remote periferie territoriali. Si era dunque creata una situazione che, seppur assolutamente coerente con il principio della responsabilità penale personale, creava all opposto una indubbia responsabilità oggettiva per il titolare della ditta. Il punto nodale era ed è tutt oggi costituito dal fatto che le vecchie e le nuove normative ambientali tale problema non se lo sono mai posto e hanno continuato sempre a ricollegare il sistema sanzionatorio al titolare. Creando così i presupposti per l abnorme applicazione della conseguente responsabilità penale. La Corte di Cassazione, evidentemente prendendo atto di tale situazione di fatto e dimostrando una lungimiranza ideologica molto positiva, ha affrontato il tema in termini per la verità molto coraggiosi cercando di adeguare il diritto alla realtà delle cose. Ma il percorso della Cassazione è stato difficile perché doveva conpag. 119

22 SCARICHI & SCARICHI ciliare, per così dire, due opposti estremismi. Da un lato, infatti, emergeva ormai inevitabile la necessità di eliminare questa responsabilità oggettiva assoluta del titolare dell azienda creando un meccanismo che potesse in qualche modo mitigare l assolutezza del principio. Dall altro lato, tuttavia, è sempre stato vitale il tentativo da parte di moltissime aziende di creare un capro espiatorio ad hoc delegando oralmente o tutt al più con una modesta lettera interna un dipendente per il settore ambientale cercando di riversare sul suo capo la responsabilità penale conseguente. Per anni in sede dibattimentale si è assistito a tentativi di dimostrare che il singolo dipendente (molto spesso un semplice operaio o comunque un soggetto praticamente di facciata) era stato delegato a quel settore e, dunque, doveva nelle mire del sistema difensivo surrogare il titolare automaticamente da ogni e qualsiasi responsabilità penale. 1.3 La delega aziendale interna trae origine nel common law di fatto nel sistema giuridico/normativo nazionale nel campo ambientale Dagli albori della disciplina a cavallo degli anni 70 fino ad oggi sostanzialmente il sistema normativo specifico in materia di inquinamento idrico appare sostanzialmente non soltanto carente a livello di previsioni generali, ma soprattutto stratificato e farraginoso nella impostazione di lettura e di coordinamento tra le varie regole giuridiche che si sono susseguite nel corso di questi tre decenni. Non si può parlare di carenza legislativa al livello quantitativo, perché paradossalmente forse la produzione normativa è stata anche eccessiva, ma uno dei problemi principali è stata l incapacità di volta in volta e di anno in anno di coordinare ed amalgamare le leggi medesime in un unico corpo giuridico tale da trasformarlo in un vero e proprio diritto penale dell ambiente. In questo contesto si sono verificati due elementi negativi: da un lato le incomprensioni di lettura e conseguenti difficoltà di applicazione di vari principi non coordinati ed a volte antitetici tra loro individuati nelle norme che si sono spesso sovrapposte tra loro, e dall altro una serie di importanti e significativi veri e propri vuoti legislativi derivanti dalla mancata cerniera di chiusura e collegamento tra le varie norme varate in momenti e condizioni politiche e culturali diverse e successive. Quest ultimo punto appare estremamente importante nell ottica di esame del tema che stiamo esponendo, in quanto nasce una giurisprudenza supplente ampia. Parallelamente al fenomeno dei vuoti normativi puntiformi esistenti nel contesto della disciplina ambientale del nostro paese, ulteriore fonte di derivazione della giurisprudenza supplente è stato comunque anche il meccanismo di grande difficoltà di lettura ed applicazione di alcuni principi contrastanti insorte delle varie discipline ambientali. Derivante sostanzialmente e principalmente da tali due aspetti specifici, è un dato di fatto oggettivo e documentale che dagli anni 70 fino ad oggi la giurisprudenza prima dei Pretori, poi dei Tribunali ed infine trasversalmente soprattutto della pag. 120

23 CONTROLLO SUGLI SCARICHI, PRELIEVI ED ANALISI E RELATIVE DISCIPLINE PARTE QUINTA Controllo sugli scarichi, prelievi ed analisi e relative discipline pag. 133

24 SCARICHI & SCARICHI 2 IL CONTROLLO DEGLI SCARICHI CON FINI DI ACCERTA- MENTO SANZIONATORIO IL PUNTO DI PRELIEVO GLI ACCESSI PER GLI ORGANI ISPETTIVI - I PRELIEVI E LE ANALISI: DISCIPLINA E PROBLEMI OPERATIVI 2.1 Le diverse finalità dei prelievi e le conseguenti diverse competenze funzionali dei tecnici ARPA e degli operatori di P.G. A nostro avviso, i prelievi in materia di inquinamento idrico vengono operati per due motivi totalmente diversi. Infatti, esiste una sfera ampia di prelievi - e successive analisi di laboratorio - con finalità specificamente di gestione dello scarico in via preventiva/amministrativa; vi sono poi prelievi per connesse attività di monitoraggio e operatività funzionali collegate agli aspetti autorizzatori e di disciplina generale della pubblica amministrazione. Questo è un campo di stretta ed esclusiva competenza delle ARPA, e comunque degli altri tecnici specializzati della pubblica amministrazione. In tale specifico settore non vi è dubbio che le regole procedurali e tecnicoscientifiche da applicare (comprese quelle inerenti il tipo di campionamento ed il numero dei campioni) sono quelle riportate negli allegati alla parte terza del D.Lgs. n. 152/06, ed in particolare tutto il meccanismo di previsione delle tabelle appunto connesse a tale specifica norma. Dunque, il tecnico ARPA che opera in tale veste puramente amministrativa e - soprattutto - con tali finalità strettamente e limitatamente gestionali/amministrative (e dunque totalmente estranee ad ogni forma di attività di polizia giudiziaria e comunque di ricerca di illegalità di ogni tipo) deve necessariamente seguire queste regole tecniche e procedurali al fine a rendere valida a livello formale la sua attività (e le decisioni conseguenti della pubblica amministrazione). Tutto questo non c entra assolamente nulla con il regime sanzionatorio e l attività di repertazione connessa. Tuttavia, mentre tutti i tecnici ARPA hanno (come funzione storica) questa competenza di tipo amministrativo strettamente connessa con la loro professionalità scientifica, alcuni di essi (non tutti) presso ogni sede della loro amministrazione svolgono anche le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria. A seguito di alcune vicende amministrative ed anche giurisdizionali, va preso atto che diverse amministrazioni ARPA hanno cessato le funzioni di P.G. per tutti i dipendenti che in passato avevano svolto tale ruolo. Mentre altre amministrazioni conservano ancora tali funzioni. La situazione è in evoluzione. Laddove le funzioni di P.G. vengono ancora riconosciute sussiste, dunque, una funzione doppia per alcuni dei tecnici ARPA in questione che necessariamente ed inevitabilmente crea per loro una altrettanto doppia vita professionale a livello procedurale e sostanziale. Se, infatti, tale tecnico nell attività normale ed ordinaria pag. 140

25 CONTROLLO SUGLI SCARICHI, PRELIEVI ED ANALISI E RELATIVE DISCIPLINE (per così dire storica ) in materia di scarichi opera con le competenze e le funzioni amministrative che abbiamo visto nelle righe precedenti, e dunque in quella fase applica esclusivamente le connesse regole procedurali/scientifiche di cui alle tabelle allegate alla parte terza del D.Lgs. n. 152/06, nel momento in cui assume su un caso concreto le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria, cessa automaticamente ogni legame con la sopra accennata funzione storica e si trasferisce inevitabilmente entro le regole di procedura penale che disciplinano questa sua ulteriore funzione. L equivoco interpretativo ed applicativo arcaico nasce proprio in questo momento, giacché è spesso opinione comune che il tecnico ARPA che ha assunto le funzioni di P.G. di fatto anche in tale nuovo - e totalmente diverso - ruolo continua ad applicare le regole procedurali/scientifiche di cui alle tabelle allegate alla parte terza del D.Lg. n. 152/06 che fino a qualche minuto prima ha applicato nella ben diversa sua funzione amministrativa (con finalità - appunto - amministrative). Questo ha generato da tempo un malinteso meccanismo applicativo che vede - erratamente - il tecnico ARPA in ambedue le funzioni soggetto sempre ed unicamente a tali regole della normativa specifica sull inquinamento idrico. Con un doppio paradosso conseguente: da un lato l applicazione unica ed esclusiva delle regole procedurali/scientifiche di cui alle tabelle allegate alla parte terza del D.Lgs. n. 152/06 sia nell operazione di gestione amministrativa che nell operazione di polizia giudiziaria, e dall altro la conseguente pretesa competenza esclusiva del tecnico ARPA per i prelievi in ambedue le funzioni e procedure. Con conseguente totale esclusione dell applicazione nel campo delle attività di controllo sia del codice di procedura penale che della legge 689/81, ambedue sovrammodulati ed assorbiti - di fatto - dalle citate regole procedurali/scientifiche di cui alle tabelle allegate alla parte terza del D.Lgs. n. 152/06 entro le quali (e qui il paradosso trova la quadratura del cerchio) esiste anche la competenza esclusiva del tecnico ARPA in materia di prelievi. Ma non può essere certamente così. Perché è logico che le regole dettate nella normativa speciale di settore (oggi parte terza decreto 152/06, ieri decreto 152/99 e prima ancora legge 319/76) riguardano e possono riguardare solo esclusivamente gli aspetti amministrativi, gestionali e di disciplina dello scarico e non possono certo derogare ai principi generali connessi alle regole di procedura penale e, per quanto riguarda le sanzioni amministrative, alla disciplina della legge 689/81. È vero invece esattamente contrario: il tecnico ARPA che fino a quel momento ha svolto soltanto funzioni amministrative e ad un certo punto assume le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria, deve abbandonare (anche culturalmente e psicologicamente) le competenze amministrative e deve trasferirsi nel campo della disciplina - appunto - della polizia giudiziaria e, dunque, nel contesto delle norme del codice di procedura penale. Adesso non sta più eseguendo un prelievo per fini amministrativi/gestionali, ma è un organo di P.G. a tutti gli effetti che sta eseguendo un prelievo a fini sanzionatori nel campo della procedura penale (o - secondo i casi - nel contesto della legge 689/81). pag. 141

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