- Vajont, un nome che rivive in un nuovo progetto. - Il bacino idroelettrico del Vajont un opera grandiosa, finita drammaticamente

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1 Pier Federico Barnaba - Vajont, un nome che rivive in un nuovo progetto premessa a: - Il bacino idroelettrico del Vajont un opera grandiosa, finita drammaticamente 1 APVE Associazione Pionieri e Veterani Eni San Donato Milanese dicembre

2 Vajont, un nome che rivive in un nuovo progetto Questa è una breve premessa al testo che viene riportato qui di seguito, suggeritami da una recente novità che ritengo degna di interesse e che dà nuova vita al triste ricordo del Vajont. Il Torrente Vajont, un importante affluente di sinistra del Fiume Piave, ci ricorda infatti una tremenda tragedia degli anni Sessanta. Le acque del torrente erano state allora imbrigliate da una diga di dimensioni eccezionali, tanto che risultava la più alta al mondo, con un considerevole invaso, della capacità di oltre 150 milioni di metri cubi. Nell infausta giornata del 9 ottobre 1963, quando il bacino idroelettrico era ormai pronto ad entrare in servizio, una gigantesca frana si staccò improvvisamente dalla montagna e precipitò nel sottostante lago formato dalle acque del Vajont, producendo una ciclopica ondata che superò la diga e si scaricò verso valle, come una valanga, investendo l abitato di Longarone e seminando morte e distruzione, con un numero di vittime vicino alle due mila. In questi ultimi tempi, dopo quasi mezzo secolo, il Vajont sta ritornando di attualità, grazie ad un nuovo progetto di utilizzazione delle acque del torrente a scopi energetici; tale progetto, promosso da due Società italiane, la bellunese En&En e la friulana Martini e Franchi, prevede la costruzione di una centrale idroelettrica alimentata dalle acque dell attuale lago del Vajont, che è delimitato dai depositi di frana del Monte Toc. Secondo il programma, le acque saranno incanalate e trasferite alla Centrale, posta a valle, mediante una condotta sotterranea che attraverserà i depositi franosi e la zona della diga, resa famosa dal disastro accaduto in passato. A questo progetto sono interessati in particolare i quattro Comuni di Erto, Casso, Longarone e Castellavazzo, i primi due in Provincia di Pordenone, Regione Friuli-Venezia Giulia, gli altri due in Provincia di Belluno, Regione Veneto. Le varie Amministrazioni coinvolte nel progetto avrebbero già espresso un parere favorevole all attuazione, nonostante l opinione contraria di una parte della popolazione della zona. Il tutto fa ritenere che il progetto sarà comunque attuato e tra qualche anno la Valle del Piave potrà contare su una nuova Centrale idroelettrica che si aggiungerà Alle altre già operanti da molti anni, come ad esempio quelle di Vigo di Cadore, di Pieve di Cadore, di Soverzene ed altre. Avendo avuto personalmente l opportunità di seguire le vicende del bacino del Vajont fin dai tempi in cui stava nascendo e la diga era in costruzione, mi sento particolarmente interessato a questo nuovo progetto, che potrà ridare forza e significato pratico alle acque del Vajont. 2

3 Sono pertanto favorevolmente incline all iniziativa, purchè la realizzazione del progetto venga subordinata ad una severa valutazione della situazione idrogeologica e ambientale del territorio che ospiterà il nuovo impianto; la realizzazione del progetto apporterà in ogni caso un valido contributo alla produzione di energia idroelettrica nella Valle del Piave. Nello stesso tempo mi auguro, forse con un eccesso di sentimentalismo, che la concretizzazione di questa iniziativa possa rappresentare una rivincita nei confronti della tragedia di tanti anni fa, ad onore e ricordo delle vittime innocenti di quella tristissima esperienza, maturata purtroppo non soltanto per influenze negative della natura, ma anche per qualche errore umano. Con questo pensiero rimando al seguito, in cui è riportato quanto scrissi qualche anno fa nella Rivista tecnica Acque sotterranee del dicembre 2002, sotto il titolo Il bacino idroelettrico del Vajont, un opera grandiosa, finita drammaticamente. P.F.Barnaba dicembre

4 Il bacino idroelettrico del Vajont, un'opera grandiosa, finita drammaticamente P.F. Barnaba, Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Milano. (Estratto dalla rivista Acque sotterranee, Fascicolo 80, Dicembre 2002). 1. Introduzione La vicenda del Vajont nasce negli anni , con la presentazione dei primi due documcnti tecnici: un progetto preliminare dell impianto idroelettrico firmato dall'ing.carlo Semenza, allora dirigente della SADE, Società Adriatica di Elettricità, e una relazione geologica sulla Valle del Vajont del Prof. Giorgio Dal Piaz dell'università di Padova. Ma è soltanto nella seconda metà degli anni quaranta che la SADE decide di dare inizio ali 'ambizioso progetto con il quale si prevedeva di realizzare la diga più alta del mondo. Fu avviata così una superba impresa, certamente non fortunata che, tra entusiasmi e tante ansie, proseguì per alcuni anni chiudendosi poi drammaticamente nella notte del 9 ottobre Una parte di questa vicenda l'ho vissuta personalmente nella veste di studente universitario della Scuola geologica di Padova, compagno di studi e amico di Edoardo Semenza, divenuto più tardi uno dei protagonisti, unitamente a suo padre, della storia del Vajont. La stretta vicinanza con queste persone ha fatto sì che il mio interesse professionale, oltre che umano, per il progetto Vajont sia rimasto intensamente vivo attraverso gli anni. Nel 1963 mi trovavo nel Sahara tunisino, impegnato nella ricerca petrolifera con l'agip, quando appresi con sgomento la tremenda notizia di Longarone, Erto e Casso. Successivamente alla tragedia ho fatto più di una visita sul posto, riguardando da geologo quanto avevo visto in occasione di una o due escursioni effettuate ai tempi dell'università. Dopo tanti anni ho ripreso in mano l'argomento, mi sono letto qualche pubblicazione, ho rivisto qualche filmato e ho voluto rivivere questa intricata vicenda, cercando di interpretarne i delicati risvolti, spinto anche dalla lettura del libro dell'amico Edoardo (bibi.7), pubblicato pochi mesi prima della sua prematura scomparsa. Sono comunque conscio che con il senno del poi diviene molto agevole giudicare gli atti altrui. 2. Un po di storia E' da ricordare che all'origine, per il progetto Vajont erano in discussione due possibili ubicazioni della diga: in località Ponte del Colombèr, dove è stata poi realizzata, e in località Ponte di Casso, circa 2 Km più a monte; la prima di queste ubicazioni era stata suggerita da G. Dal Piaz, sia per il maggiore volume dell'invaso rispetto all'altra soluzione, che per la buona tenuta complessiva del bacino; l'altra ipotesi era stata invece proposta dal Prof. J. Hug di Zurigo, che riteneva troppo rischiosa la soluzione Colombèr, a causa della intensa fratturazione che la roccia presentava nella zona di imposta della futura diga. Nel 1945 si decide per la soluzione Colombèr, con una quota di invaso massimo pari a 667 m sul l.m., successivamente innalzata a 679 e infine, considerata la crescente domanda di energia elettrica del momento, a 722,50. Nel 1948, a seguito di un controllo geologico, Dal Piaz accenna alla possibilità che nell'area del futuro invaso si possa manifestare qualche fenomeno franoso di modesta entità, ma conferma il suo giudizio tranquillizzante sulla zona. 4

5 Il bacino del Vajont, nella media Valle del Piave In vista della costruzione della diga, questo sarebbe stato il periodo più indicato per un opportuno confronto di opinioni con altri esperti, sia geologi che geotecnici, da affiancare a Dal Piaz, ma non se ne fa nulla. A questo comportamento si può forse trovare una giustificazione nel fatto che prima degli anni sessanta l'argomento frane, soprattutto in Italia, non veniva ancora affrontato con il dovuto impegno tecnico c scientifico, per mancanza di una cultura e di una scuola. Qualche anno dopo, nel 1957, soltanto Mueller, geotecnico austriaco, accenna alla presenza di fenomeni di instabilità rilevati nella zona di Pian del Toc, lungo il versante sinistro del bacino. Proseguendo nella storia, un improvviso e forte campanello d'allarme per il Vajont si manifesta nel marzo 1959, quando nella non lontana Val Zoldana una grande frana di 3 milioni di mc precipita nel lago artificiale di Pontesei, delimitato da una diga della stessa SADE, di recentissima costruzione (1956). La zona del bacino idroelettrico del Vajont, con la frana del 9 Ottobre La topografia è quella successiva alla frana 5

6 Per fortuna i danni sono limitati: una ondata di una ventina di metri si esaurisce contro la sponda opposta del bacino e provoca una vittima. E' comunque un severo ammonimento per il Vajont, data la similitudine dei materiali rocciosi coinvolti e l'elevata velocità assunta dalla frana, che è un elemento aggravante per le conseguenze materiali che può provocare. Pontesei presenta una tremenda analogia con quanto accadrà, in dimensioni molto maggiori, quattro anni dopo al Vajont. Ma qui nel frattempo la diga è cresciuta e nel settembre 1959 viene ultimata con i suoi 261,60 m di altezza (corrispondenti a 725,50 di quota) e 190,15 m di lunghezza al coronamento; lo spessore della diga varia dai 22,11 m della base ai 3,40 m della sommità; si rileva che per la costruzione sono stati impiegati 360 mila mc di calcestruzzo e asportati 400 mila mc di roccia. Nell'ottobre 1959 la diga viene collaudata e ha inizio il primo invaso. Il versante sinistro del bacino continua a destare qualche preoccupazione sotto il punto di vista della stabilità e si decide di commissionare, con evidente ritardo, uno studio geologico di dettaglio; vengono programmati inoltre alcuni profili geofisici di controllo, da effettuare mediante rilievo sismico a rifrazione, con lo scopo di studiare la natura litologica e le caratteristiche geotecniche del sottosuolo, con particolare riguardo all'area sottostante a Pian del Toc. I risultati di questa indagine geofisica sembrano evidenziare, secondo l'interpretazione del Prof. Caloi, la presenza di un potente supporto roccioso stabile, ricoperto da un esiguo spessore di detrito superficiale. Sembrano trovare così conferma le precedenti affermazioni di Dal Piaz che, pur ammettendo la possibilità di smottamenti superficiali, esclude l'esistenza di importanti fenomeni profondi che possano compromettere seriamente la stabilità del versante. Ma le tranquillizzanti conclusioni geologiche di Dal Piaz e Caloi, già minate dalle notizie riguardanti un incidente accaduto nel frattempo (dicembre 1959) in un altro bacino idroelettrico, cioè il crollo della diga del Fréjus, non trovano appoggio e conferma da parte di E. Semenza che, nel giugno 1960, a conclusione del suo studio geologico commissionato dalla SADE ed eseguito in collaborazione con E. Giudici, comunica di aver individuato nel versante sinistro del bacino una vasta area instabile che potrebbe costituire una seria minaccia per il sottostante lago artificiale e di conseguenza per i vicini abitati. Semenza lancia così un drammatico messaggio ai responsabili della SADE e in particolare a suo padre, direttore e progettista della diga; tutto ciò avviene mentre è già in corso il riempimento del bacino. Oggetto della segnalata instabilità è un complesso roccioso formato principalmente dai calcari stratercllatì con argille di Fonzaso - Socchèr (Giura sup.- Cretaceo inf.), sormontati dai calcari dei Banchi di Socchèr (Cretaceo inf. e in parte sup.). Questo corpo roccioso, interessato localmente da fratture e fessurazioni, si estende in superficie su un fronte di oltre due chilometri, è potenzialmente franoso e risulta sia stato interessato in passato da uno scivolamento gravitatiivo (paleofrana); esso è appoggiato su un supporto calcareo stabile, rappresentato dai Calcari di Vajont, del Giurassico medio. Secondo Semenza, la superficie di contatto tra le due unità, la instabile al di sopra e la stabile al di sotto, è inclinata verso nord da 30 a 55 e pertanto, in caso di movimento, sarebbe certamente in grado di favorire lo scivolamento della massa franosa verso il lago artificiale. Vi è inoltre il dubbio che lungo tale superficie siano presenti livelli di natura argillosa che, se imbevuti di acqua, potrebbero agevolare ulteriormente la mobilizzazione della massa sovrastante. Si tratta di un quadro geologico - geotecnico di estrema gravità, considerati gli elevati rischi che esso comporta. Nonostante ciò non viene presa in esame la possibilità di rallentare o di arrestare il progetto Vajont; al contrario, si procede programmando qualche indagine che possa confortare la prosecuzione delle operazioni, aggiungendo forse una invocazione alla buona sorte. Dal Piaz, pur non concordando sull'allarme destato dai giovani geologi Semenza e Giudici, consiglia tuttavia una sistematica sorveglianza del bacino. Qualche mese dopo, il 4 novembre 1960, mentre al Vajont è in corso l'operazione di riempimento del bacino e l'invaso ha raggiunto i 660 m di quota, una frana di circa 700 mila mc di volume si stacca improvvisamente dal versante sottostante al Pian del Toc, su una fronte di 300 m, e si abbatte sul lago; in conseguenza di questo movimento franoso, viene a delinearsi con sempre maggiore evidenza una fessurazione a forma di M, già 6

7 precedentemente indicata da E. Semenza, che si sviluppa, da est a ovest, per 2500 metri. Il materiale di frana riversato nel bacino provoca la separazione del lago in due settori; da qui la necessità di costruire una galleria di comunicazione, detta di sorpasso, che consenta di utilizzare l'acqua di ambedue i sottobacini formatisi a monte e a valle della massa franata. A questo punto il Prof. Mueller, il geotecnico di Salisburgo, interviene nuovamente e sostiene, in accordo con altri, l'urgente necessità di impostare una rete di controllo dell'area instabile delimitata dalla fessura a M; vengono effettuati alcuni sondaggi e fissati alcuni piezometri spinti in profondità fino a 220 metri, con lo scopo di rilevare lo spessore della massa rocciosa interessata dal!'instabilità e di controllare lo stato e i movimenti degli acquiferi presenti nel corpo e alla base del complesso franoso. Nella stessa area viene inoltre eseguita una seconda campagna geofisica, i cui risultati, secondo l'interpretazione Caloi (1961), rivelano sorprendentemente una situazione del sottosuolo ben diversa da quella emersa dopo la campagna : non più il presunto supporto roccioso stabile, ma un ammasso roccioso molto fratturato, con netto decadimento delle proprietà elastiche della roccia. Secondo le più recenti valutazioni di E. Semenza, la massa instabile del Pian di Toc avrebbe un volume dell'ordine di 250 milioni di mc, uno spessore variabile tra i 100 e i 250 metri e sarebbe delimitata in profondità, come ipotizzato in precedenza, da un piano inclinato verso valle. Il Mueller concorda su questi elementi, ma propende, al contrario di E.Semenza, per un corpo di frana suddiviso in due settori in corrispondenza della Valle Massalezza; in quest'ultimo caso il rischio legato al fenomeno frane dovrebbe essere indubbiamente più moderato. Sospinta dalle preoccupanti notizie sui rischi che minacciano l'impianto del Vajont, la SADE decide, nel corso del 1961, di costruire presso il proprio Centro di Nove (Belluno) un modello idraulico del bacino, in scala ridotta, che sia possibilmente in grado di valutare gli effetti provocati da una frana sulle vicine zone abitate, sia a monte che a valle della diga. Dirige l'operazione il Prof. Ghetti dell'università di Padova. II modello presenta notevoli difficoltà di realizzazione, essendo influenzato da numerosi parametri di non facile definizione e trasferimento su modello fisico; tra le variabili ci sono infatti: la composizione litologica del corpo franoso, il volume e la forma dello stesso, la velocità dello scivolamento, i caratteri fisici della superficie di movimento, la quota dell'invaso, la morfologia superficiale e via dicendo. I risultati desunti da alcune prove sul modello, che comunque difficilmente potrebbero raggiungere un elevato grado di attendibilità, si limitano a indicare che l'ondata provocata dalla frana non sarà tale da provocare danni di particolare gravità; è comunque consigliabile che la quota di invaso non superi i 700 m, quota che sarà tenuta in considerazione dagli operatori nella fase finale della vicenda. Nel breve arco di pochi mesi, tra l'ottobre 1961 e l'aprile 1962, scompaiono i due principali artefici del progetto Vajont, l ing. Carlo Semenza e il Prof. Giorgio Dal Piaz. Il nuovo direttore del progetto è l'ing. A. Biadenc. Tra febbraio e aprile 1962, con l'invaso al di sopra dei 650 m, nel versante sinistro del Vajont si manifestano ripetute scosse sismiche, più o meno forti, talora accompagnate da boati; nello stesso periodo si osservano dissesti agli edifici dell'area intorno al bacino e, grazie al controllo diretto sui capisaldi, spostamenti della massa franosa verso valle con valori di qualche centimetro al giorno. Queste manifestazioni confermano i timori di alcuni tecnici e in particolare di Mueller, il quale aveva affermato in passato che l'instabilità del corpo franoso sarebbe aumentata in parallelo con il livello del lago. I piezometri installati stanno dimostrando infatti che le acque, infiltrandosi in sinistra del bacino, saturano i livelli permeabili, sia alla base che nel corpo dell'ammasso franoso, rendendo così maggiormente precaria la stabilità dello stesso; ma non è escluso che anche l'elevata piovosità e quindi l'infiltrazione di queste acque nel sottosuolo possano aggravare la situazione. 7

8 Sezione geologica da Sud a Nord attraverso la zona della frana del 9 Ottobre 1963 con i profili dei sondaggi geofisici (da E. Semenza 2001) Affioramento del futuro corpo franoso di Pian del Toc, costituito dai Calcari di Socchèr e dai sottostanti Strati di Fonzaso-Socchèr. (E. Semenza, apr. 1960). 8

9 Si decide allora di abbassare l'invaso di una decina di metri (svaso fino a 647,50 m), osservando di conseguenza un rallentamento del movimento franoso; ma poco dopo (maggio 1962), viene richiesta dalla SADE al Ministero LLPP l'autorizzazione a incrementare l'invaso fino ai 700 m di quota. Alla fine del 1962 l'enel subentra ufficialmente alla SADE, ma non ci sono importanti spostamenti fra i tecnici. E comunque un evento che pare creare qualche scompenso di carattere organizzativo. Viene avanzata una nuova richiesta di elevare ulteriormente l'invaso a 715 m; il l0 Aprile 1963, ricevuta l'autorizzazione, s avvio al terzo ed ultimo invaso, che dovrebbe portare al collaudo definitivo dell'impianto. Nonostante i notevoli movimenti franosi riscontrati in superficie, viene notato che le attrezzature piezometriche risultano integre in profondità e ciò dimostra che la massa rocciosa in movimento non è limitata in superficie, ma ha uno spessore superiore alla lunghezza delle tubazioni dei piezometri, massimo di 220 m, e ciò è in accordo con quanto sostenuto da alcuni tecnici, E: Semenza e Mueller in particolare. Nel luglio 1963, con l'invaso a 705,50 m, in risalita di circa 20 cm al giorno, vengono registrate numerose scosse sismiche e boati, i cui epicentri sono localizzati nella zona di Pian del Toc; la piovosità è molto elevata e il 2 settembre la superficie del lago raggiunge i 710 m; nella stessa giornata viene registrata una forte scossa, del 5-6 Mercalli, rilevata anche a Longarone. Ci si avvia ormai verso la drammatica fase finale; a metà settembre 1963, nella zona sottostante al Pian del Toc si osservano nuove fessurazioni, dissesti vari, spostamenti dei capisaldi di cm al giorno ed una anomala inclinazione degli alberi, delle palificazioni elettriche, ecc. Si decide pertanto di scendere con l'invaso per raggiungere i 700 m di quota, suggeriti dal modello idraulico di Nove. Nei primi giorni di ottobre il movimento franoso è in aumento (50-60 cm al giorno) ed è accompagnato da locali crepitii, da rotolamento di sassi e da un incremento dell inclinazione degli alberi e dei dissesti al suolo. L'invaso è a 701 m. Alle del 9 ottobre 1963 un pauroso boato accompagna la velocissima discesa dei 260 milioni di mc della massa franosa che si riversa nel lago, provocando una violenta ondata di oltre 50 milioni di mc di acqua; di questo immenso volume di acqua, una parte risale con irruenza il versante opposto del bacino, colpendo alcune frazioni di Erto e lambendo l'abitato di Casso, mentre una parte (circa 25 milioni mc) supera la diga del Colombèr, che resiste al violento impatto, si incanala nella stretta gola del Vajont, acquistando energia nella impetuosa discesa a valle, attraversa il letto del Piave e si abbatte violentemente dapprima sull'abitato di Longarone e successivamente su alcuni altri centri minori, sia a nord che a sud. Il numero delle vittime è elevatissimo: circa duemila. 3. Qualche riflessione Ribadendo quanto già detto, che a posteriori è facile emettere giudizi, tentiamo ora di analizzare quali siano, dal punto dì vista geologico, i punti critici di questa drammatica vicenda, che a mio parere, possono essere individuali in alcune particolari decisioni prese dai responsabili del progetto, decisioni che si sono poi rivelate determinanti nella sfortunata storia del Vajont. Il disastro è stato determinato, come noto, dalla grande frana di Pian del Toc, che si è abbattuta sul lago artificiale. Di questa frana, o meglio di quella che allora era soltanto una potenziale area franosa, si ebbe notizia solamente tre anni prima della tragedia, quando ogni decisione operativa sui bacino era già sta!a presa da tempo, la diga era stata completata ed il bacino era ormai in corso di riempimento. L'ubicazione della diga e del relativo bacino idroelettrico era stata dunque decisa in assenza di un accurato studio geologico della zona, che avrebbe dovuto riguardare la tenuta e la stabilità del bacino stesso, oltre che le condizioni delle rocce di imposta della futura diga. La presenza di alcuni affioramenti rocciosi disposti a franapoggio (questo termine tecnico è chiaro indice di instabilità), come quelli che emergevano sotto Pian del Toc, avrebbe dovuto allarmare gli operatori e suggerire loro di ricorrere ad una indagine geologica adeguata all'importanza del progetto, prima di procedere nel 1945 alla decisiva scelta del luogo dove impostare la diga: a Ponte di Casso, come suggerito da Hug oppure al Colombèr, come proposto da Dal Piaz. 9

10 Panoramica vista da Casso verso sud: in primo piano la fronte della frana; in secondo piano il versante settentrionale del M. Toc con la superficie di distacco e scivolamento della frana del 9 ottobre La diga è fuori foto, sulla destra (Ovest), (P. F. Barnaba, dic.1964) Comparazione tra precipitazioni atmosferiche, livello dell invaso e misure dei piezometri nell area franosa (anni ) (da Hendon e Patton 1985) E' evidente che questa seconda soluzione è stata preferita soprattutto per il maggiore invaso che essa consentiva (superiore di oltre cento milioni di mc rispetto all'altra). Desta comunque notevoli perplessità il fatto che una impresa grandiosa come quella del Vajont, con la diga più alta al mondo e con un invaso di oltre I50 milioni di mc, sia stata condotta e portata a termine senza una adeguata copertura conoscitiva delle condizioni geologiche, geotecniche e idrologiche di quello che sarebbe divenuto uno dei più importanti bacini idroelettrici europei. 10

11 La conoscenza della vera immagine geologica fu sì acquisita, ma con grave ritardo, soltanto alla fine del 1959 quando, in seguito ad alcuni allarmi diffusi dopo la frana di Pontesei, si decise in qualche modo di rimediare. II tardivo rimedio fu individuato nella esecuzione di uno studio geologico - geotecnico, esteso in tutta l'area del bacino, che permise a E. Semenza di richiamare l'attenzione sulla zona franosa sottostante al Pian del Toc, futura responsabile della tragedia dell'ottobre Nell'area di maggiore rischio così evidenziata furono programmate ed eseguite anche alcune indagini di natura geofisica e geotecnica, con l'aiuto di sondaggi, di piezometri c di capisaldi di controllo fissati al suolo, nonché di un modello idraulico del bacino. I risultati, come accennato in precedenza, furono talora contradditori, come nel caso dei rilievi sismici, oppure condotti in maniera non sufficientemente approfondita, come per il modello idraulico. Le indagini geofisiche eseguite non furono infatti del tutto attendibili, date le contrastanti interpretazioni presentate; per migliorare le conoscenze del sottosuolo, in particolare della superficie di distacco della frana, sarebbe stato opportuno ricorrere ad un programma geofisico maggiormente esteso e impostato su metodologie di qualità più elevata. Lo studio del modello idraulico si arrestò con la morte dell'ing. Carlo Semenza, che l'aveva voluto e seguito personalmente; la prosecuzione dello studio sarebbe stata auspicabile, considerati i risultati parziali fino ad allora acquisiti; ulteriori affinamenti e nuove prove avrebbero potuto forse modificare e perfezionare tali risultati e le conseguenti decisioni operative. Dall'aereo si distingue, dal basso in alto: la diga, l'ammasso franoso, sceso da destra verso sinistra e, più in alto, quanto è rimasto del bacino lacustre, delimitato verso valle dalla frana stessa. (Eddy, mag. l964) 11

12 La stretta gola del Vaiont, vista dalla diga verso Longarone, con evidenti segni sul cemento armato prodotti dalla spaventosa ondata che superò il ciglio della diga. (P. F. Barnaba, dic. 1964) Per quanto si riferisce ai dati del sottosuolo, le registrazioni piezometriche confermarono l'esistenza della comunicazione idraulica tra il bacino lacustre e il corpo franoso, altamente permeabile, testimoniata dalla buona correlazione tra le quote dell'invaso e le quote piezometriche. Viene da chiederci se sia stato seriamente valutato il rischio causato dal! innalzamento dell'invaso effettuato nell'estate 1963, che portò al definitivo distacco della frana, sapendo che il movimento di questa sarebbe stato facilitato dalla elevata inclinazione del piano di scorrimento, a sua volta "lubrificato" dalla presenza di qualche livello argilloso, intercalato ai calcari, imbibito di acqua. In uno studio effettuato successivamente da Hendron e Pallon (1985) si è ipotizzata l esistenza, nel corpo franoso, di un secondo acquifero, alimentato dalle acque di precipitazione meteorica, dotato di un regime idraulico indipendente dall'acquifero principale. Secondo gli Autori, la differenza di pressione tra i due acquiferi avrebbe potuto favorire ulteriormente la mobilizzazione della massa franosa, come dimostrerebbero le strette relazioni tra la piovosità e i movimenti della massa stessa registrati in superficie. In questa vicenda desta inoltre perplessità il fatto che, di fronte ad una situazione di estremo rischio, che stava peggiorando di giorno in giorno e quindi di pericolo incombente per la popolazione, i responsabili siano rimasti apparentemente inerti, costringendo migliaia di persone della zona ad attendere, ignare e indifese, l'esplosione di un evento che certamente non era imprevedibile. Si potrebbe pensare che nella fase finale della vicenda gli operatori fossero ormai consci di non poter più arrestare la frana incombente, ma ugualmente fiduciosi, forse ingenuamente, di riuscire a controllarne il movimento e sopratutto la velocità di questo, in maniera tale da impedire gli effetti incontrollabili di uno scivolamento molto veloce, come invece purtroppo avvenne. Quanto sperato non si realizzò e la natura ebbe il sopravvento sugli errori di valutazione degli uomini. 12

13 La diga vista da valle; a monte della diga è visibile l'ammasso di frana precipitato nel bacino. (P. F. Barnaba, dic.1964) Il ricordo della tragedia del Vajont è tuttora vivo ed è riemerso nelle Prealpi Varesine quando, in seguito alle eccezionali precipitazioni del novembre 2001, si è fortemente temuto per la stabilità della zona di frana che incombe sul bacino artificiale di Creva, in Val Tresa. Bibliografia l) E. 5emenza: "Sintesi degli Studi Geologici sulla frana del Vajont dal 1959 al 1963" Memorie Museo Tridentino di Scienze Naturali, vol. XVI, fasc.1, ) D. Rossi - E. Semenza: "La bassa valle del Vajont e lo scivolamento gravitativo del 9 ott. 1963" in P. Leonardi e coll, Le Dolomiti - Manfrini, Rovereto, vol. II, ) A. J. Hendron F. D. Patton:: "The Vajont slide, a geotechnical analysis based on new geological observations of the failure surface" Technical report GL-85.5, US Army Corps of Engineers, Washington, )L. Mueller - "The Vajont Catastrophe, A personal review" Eng. Geol., voi. 24, 174, ) M. Paolini - G. Vacis: "Il racconto del Vajont" - Garzanti, ) T. Merlin: "Sulla pelle viva" - Cierre Edizioni ) E. 5emenza: "La storia del Vajont"-Tecomproject Edit. Multimediale,

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