COMUNE DI NEIRONE. Raffaella Spinetta NEIRONE. Natura Storia Arte. contributi di

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2 COMUNE DI NEIRONE Direzione Generale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico della Liguria Raffaella Spinetta NEIRONE Natura Storia Arte contributi di Angela Acordon - Paola Cavaciocchi Andrea Cevasco - Maria Di Dio Roberto Ghelfi - Luciano Maggi Roberto Maggi - Piera Melli Stefano Montinari - Caterina Ottomano Roberto Ricci - Cristina Sanguineti Cura redazionale Michela Bolioli COMUNE DI NEIRONE PROVINCIA DI GENOVA COMUNITÀ MONTANA FONTANABUONA

3 Autori Angela Acordon, Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico della Liguria Paola Cavaciocchi, Architetto Andrea Cevasco, Dip.Te.Ris. - Università degli Studi di Genova Maria Di Dio, Direzione Generale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria Roberto Ghelfi, Architetto Luciano Maggi, Architetto Roberto Maggi, Direzione Generale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria Piera Melli, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria Stefano Montinari, Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria Caterina Ottomano, DARFICLET, Università degli Studi di Genova Roberto Ricci, ISCUM, Genova Cristina Sanguineti, Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria Raffaella Spinetta, Naturalista, Esperto in gestione dei beni naturali Si ringraziano Anna Panarello, Assessore alla Cultura della Provincia di Genova Alessandro Repetto, Presidente della Provincia di Genova Gianfranco Arata, Presidente della Comunità Montana Fontanabuona Claudio Solari, Assessore alla Cultura della Comunità Montana Fontanabuona Marzia Cataldi Gallo, Soprintendente per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico della Liguria Maurizio Galletti, Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria Giuseppina Spadea, Soprintendente per i Beni Archeologici della Liguria Agnese Avena, Giacomo Baldaro, Sonia Balderi, Massimo Bartoletti, Remo Bernardello, Mauro Bianco, Franco Boggero, Rosanna Bonito, Marco Campini, Santino Capurro, Rina Corsiglia, Rita Corsiglia, Vittorina Corsiglia, Giorgio Costa, Marco Desiderio, Piero Donati, Daniela Frati, don Paolo Gaglioti, Salvatore Gentile, mons. Francesco Isetti, Alessandra Molinari, Germano Mulazzani, don Mario Ostigoni, Anna Orlando, Antonello Pandolfo, Nadia Pezzolo, Guido Rossi, Daniele Sanguineti, Elia Schiappacasse, don Mario Soldi, Marina Sommaruga, Agostino Spinetta, Fabrizio Spinetta, Paola Traversone, Alessandra Toncini Cabella, Daria Vinco, Gianluca Zanelli. Un ringraziamento particolare al personale del Comune di Neirone per la preziosa e costante collaborazione. Ricerca d archivio Chiese di San Maurizio di Neirone e San Lorenzo di Roccatagliata: Angela Acordon, Cristina Sanguineti Chiese di San Rocco di Ognio e San Marco d Urri: Angela Acordon, Stefano Montinari Archivio della Curia di Chiavari: Angela Acordon Abbreviazioni APSMN (FN): Archivio Parrocchiale chiesa di San Maurizio di Neirone (Fondo Neirone) APSMN (FR): Archivio Parrocchiale chiesa di San Maurizio di Neirone (Fondo Roccatagliata) APSRO: Archivio Parrocchiale chiesa di San Rocco di Ognio APSMU: Archivio Parrocchiale chiesa di San Marco d Urri ACC: Archivio Curia di Chiavari Impaginazione Graziano Parodi In copertina Neirone, paesaggio invernale (foto Raffaella Spinetta) Proprietà artistica e letteraria riservata Vietata la riproduzione, anche parziale, senza espressa autorizzazione Comune di Neirone, 2004

4 Dopo anni di ricerca e di ipotesi sul patrimonio naturalistico e storico-culturale di Neirone, si è reso necessario scegliere un equipe di studiosi per raccogliere, in un unico testo, non più supposizioni o il sentito dire circa le caratteristiche ambientali e le datazioni storiche di chiese e di altri manufatti esistenti sul territorio neironese, ma cose certe, se pur con una ragionevole approssimazione, sulle peculiarità storico-naturalistiche del Comune di Neirone. È pensando al domani che si sente il bisogno di lasciare alle generazioni future un qualcosa di scritto, affinché l era del computer non cancelli l ingegno di quelle generazioni passate che con tanti sacrifici hanno saputo trasmettere a noi opere così ben realizzate e conservate da stupire i migliori studiosi del nostro tempo. Neirone Natura Storia Arte : è con questo titolo che si è pensato di redigere un libro per far sapere al lettore che cosa rappresenta oggi Neirone in riferimento all ambiente, alla natura incontaminata che avvolge quei nuclei abitati sparsi tanto caratteristici di un territorio montano che tanto ha dato a quella civiltà contadina che con laboriosità ha saputo preservare un habitat ricco di flora e di fauna di raro pregio. Se ci rifacciamo alla storia non vi è dubbio e si può facilmente constatare in oggi quanta importanza abbia avuto Neirone nei secoli passati: dalla Tomba di Roccatagliata al Castello dei Fieschi, dal Percorso Fliscano ai numerosi ponti rinascimentali che testimoniano le importanti vie di comunicazione dalle quali Neirone era attraversato. Da evidenziare in particolare le chiese che, oltre a testimoniare la cristianità nei secoli dei Neironesi, nel loro interno sono da considerarsi dei piccoli musei d arte. Si è ritenuto pertanto di raccogliere in un testo, impreziosito dalla conoscenza e dalla competenza degli autori, tutte le bellezze naturali storiche e artistiche presenti sul territorio neironese, per lasciare ai posteri una testimonianza di come hanno saputo conservare questa nostra preziosità nei secoli i nostri avi e perché questo serva da stimolo per le generazioni future. Stefano Sudermania Sindaco di Neirone - 3 -

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6 Ancora una volta il territorio provinciale rivela caratteri e storia da vero protagonista culturale. Il lavoro su Neirone, nel confermare la ricchezza artistica dei beni presenti sul territorio, ambisce tuttavia a presentare un quadro più complesso ed articolato, in cui trovano spazio non solo questo tipo di risorse ma anche di altra natura: in particolare ambientali e storiche. Il risultato è ora tra le mani del lettore, uno studio sistematico che spazia dalle querce secolari di Montefinale agli itinerari fliscani, dagli strumenti della cultura contadina ai ponti in pietra della valle di Neirone, con una sua indiscutibile coerenza interna; una serie di studi che, proprio per la visione complessiva di cui fanno parte, evitano il rischio della disomogeneità e della frammentazione. Tutto appare, invece, coerente in questo volume, risultato assicurato dal fatto che le singole voci, pur trattando argomenti assai diversi tra loro, hanno saputo porsi anche il problema della prospettiva editoriale in cui andavano ad inserirsi. Merito degli studiosi senza dubbio che, inoltre, hanno saputo conciliare le necessità della divulgazione con quelle del rispetto delle rispettive discipline storiche, artistiche o scientifiche. A 2004 avviato questa opera si pone con una sua indiscutibile autorevolezza nel già affollato panorama editoriale delle pubblicazioni preparate per questo evento. Autorevolezza che deriva sia dalla specificità dei caratteri interni all opera sia dal fatto che raramente si è potuto contare su guide di tale spessore e ampiezza tematica. Inoltre questa pubblicazione è una confortante conferma della necessità di studi di questo tipo e, di riflesso, della validità delle iniziative avviate dalla Provincia di Genova con la stragrande maggioranza dei Comuni e delle Comunità Montane del territorio. La condivisione e l elaborazione di tre grandi percorsi tematici sulla storia, sulla società, sull arte e sull economia è apparsa come una tappa quasi obbligata per il Un appuntamento in cui tutto il territorio provinciale ha la possibilità e l occasione di presentare una immagine significativa del proprio passato con la prospettiva, però, di una progettualità futura. Le stesse linee teoriche che legano tra loro, come un filo invisibile, queste pagine su Neirone. Alessandro Repetto Presidente della Provincia di Genova - 5 -

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8 La Fontanabuona ha saputo costruire, negli anni e nei secoli, davvero tanto; lo ha fatto al proprio interno e (spesso) all esterno con i suoi emigranti. Sono passati in tanti, da queste parti: Genovesi, Fieschi, Armate Napoleoniche, Regnanti piemontesi e Garibaldini, qualcuno sostiene che sia transitata da qui perfino qualche frangia dell esercito di Annibale. E a dire il vero qualcuno se ne è anche andato con discreto successo, come il fondatore della Bank of America o la madre di Frank Sinatra, per non dire di un certo Cristoforo Colombo. Insomma, forse la grande storia ci ha solo sfiorati, ma certo non ci ha ignorati del tutto. Ma la vera storia della Fontanabuona non è questa. La vera storia è quella della sua gente che ha vissuto di mestieri ingrati, di avarissima agricoltura e di duro lavoro per anni e anni, con tenacia e con testardaggine, volendo restare sulla sua terra anche quando vi sarebbero state strade più facilmente percorribili. Sono loro che oggi, conquistato un discreto benessere, sentono il bisogno di valorizzare le vecchie tradizioni, perdute negli anni, scoprendo nel frattempo tutta una serie di peculiarità artistiche e culturali, che facevano parte della vita dei loro antenati. La loro vera storia. Non esiste Comune della Fontanabuona che non abbia un percorso di tal genere da riscoprire e, specialmente in quest epoca di globalizzazione artificiosa dove le nostre radici diventano sempre più labili e confuse, è davvero indispensabile rivendicare in questa maniera la nostra identità, e farlo anche con orgoglio. Complimenti quindi all Amministrazione di Neirone e ai bravissimi Autori. Hanno saputo cogliere lo spirito dei suoi abitanti e, da valore locale, farlo diventare valore universale. Gianfranco Arata Presidente della Comunità Montana Fontanabuona - 7 -

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10 Il nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, nel quale - oltre a normative minori o successive - sono confluite, con aggiornamenti e variazioni, le due gloriose leggi di tutela del 1939 (quella per le cose storico artistiche n e quella per il paesaggio n. 1497), mentre scrivo in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, offre una interessante definizione di tutela, che dimostra quanto sia ormai matura per il legislatore la consapevolezza della necessità della conoscenza preventiva ad ogni piano, programma, o intervento sul territorio: l art. 3 recita infatti la tutela consiste nell esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione. Ancora, l art. 29 recita che l attività di conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione, restauro. Inoltre, recependo gli indirizzi della Convenzione europea sul paesaggio,all art. 2 il Codice inquadra i beni paesaggistici nel patrimonio culturale ed innova le norme precedenti definendoli beni costituenti espressione dei valori storici, culturali, morfologici ed estetici del territorio. Dunque, la legge dispone che l attività conoscitiva faccia parte delle azioni stesse di tutela e di conservazione del patrimonio culturale. E sancisce che l insieme dei valori del territorio è il patrimonio culturale di una comunità e che questo patrimonio deve essere protetto e conservato per la pubblica fruizione e godimento. Sembra ovvio, ma ovvio non è: basta guardarsi intorno e si vedranno centinaia di esempi di beni culturali guastati da interventi inconsapevoli o scorci del nostro splendido Paese deturpati da opere o costruzioni realizzate senza che nessuno si ponesse il problema della compatibilità di questi interventi con la bellezza e la storia del paesaggio, pregiudicando di fatto - ed ora finalmente se ne ha qualche consapevolezza - la qualità della vita delle generazioni future. Purtroppo, non valgono leggi, piani, regolamenti o uffici centralizzati di tutela (siano statali, siano regionali, siano pure provinciali) ad ottenere qualità e misura degli interventi ed attenzione ai valori insiti nel patrimonio di beni che le nostre generazioni hanno ereditato. Occorre che siano le comunità locali stesse a farsi orgogliose e responsabili del proprio territorio, della propria storia, del proprio patrimonio di cultura e natura, così da essere capaci di difenderlo come si difende quello che fa parte di noi e che si ama. Ecco, con evidenza questo volume sulla natura, la storia, l arte di Neirone, che del patrimonio dei valori di questo comune dell entroterra ligure - che oggi conta meno di mille abitanti - ci offre una lettura densa, approfondita, meticolosa ed entusiasmante per la varietà delle tematiche affrontate e per la ricchezza dei risultati di studio raggiunti, è proprio nato così, diciamo con parole ormai datate, dal basso : la sua pubblicazione è stata tenacemente voluta dal suo Sindaco, ad essa hanno contribuito gli altri Enti locali interessati (Comunità montana, Provincia di Genova), alla sua realizzazione hanno lavorato molti studiosi e le Soprintendenze liguri con i loro specialisti, offrendo, tutti insieme, l esempio di un impegno importante, di sinergia istituzionale ma prima di tutto umana, disciplinare, professionale, un impegno appassionato d amore verso questo territorio e le centinaia di generazioni che con la loro vita, lavoro, fede, l hanno segnato e plasmato. Un impegno che ha una finalità chiara, quella di offrire a chi oggi opera ed alle generazioni che verranno, certamente, tanti dati di conoscenza, ma soprattutto un indirizzo ed un atteggiamento di metodo, che è quello di lavorare a costruire il futuro in armonia e continuità con quanto la storia ci ha consegnato, accostandosi a quel bene prezioso che è il territorio con rispetto, attenzione e la capacità di valorizzarne gli aspetti peculiari e caratterizzanti, sulla base dello studio e della conoscenza, tenendo ben presente che solo in questo processo di cura e di attenzione di cui la comunità locale sia protagonista sta la garanzia per la vita futura di queste terre e dei loro abitanti. Genova, febbraio 2004 Liliana Pittarello Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria - 9 -

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14 INDICE INTRODUZIONE - Raffaella Spinetta 15 AMBIENTE E GEOGRAFIA IL RUOLO DEI TERRITORI MONTANI IN LIGURIA - Raffaella Spinetta IL TERRITORIO - Raffaella Spinetta Confini amministrativi Confini geografici Morfologia: una terra di colline e montagne Idrografia: da Siestri alla fiumana bella Il Clima ASPETTI GEOLOGICI E GEOMORFOLOGICI DEL TERRITORIO COMUNALE DI NEIRONE - Andrea Cevasco Il quadro geologico L unità del Gottero Le rocce ed il paesaggio Fenomeni di dissesto NATURA. IL MONDO DEI VIVENTI - Raffaella Spinetta I Boschi: quanti e quali? I prati e le fasce Vegetazione e flora La flora Le querce secolari di Montefinale La fauna Fauna minore: conoscerla per non perderla Il mondo nascosto IL PAESAGGIO - Raffaella Spinetta Un mare dai monti GUIDA ALL ITINERARIO DEI FEUDI FLISCANI E ALLE PRINCIPALI VIE ESCURSIONISTICHE - Raffaella Spinetta L Itinerario dei feudi fliscani Il sentiero delle querce Il sentiero del M. Caucaso Il sentiero didattico del M. Rocio, un percorso di confine Da San Marco d Urri al M. Lavagnola PATRIMONIO STORICO - CULTURALE NEIRONE: TERRITORIO, PAESAGGIO E CULTURA - Maria Di Dio ALLE RADICI DELLE TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO - Roberto Maggi CALVARI - CIAN DEI TENENTI E ISOLALUNGA: ASPETTI SEDIMENTOLOGICI E MICROMORFOLOGICI DELLA SUCCESSIONE STRATIGRAFICA - Caterina Ottomano IL TERRITORIO DI NEIRONE NELLA VAL FONTANABUONA - Roberto Ghelfi Schema della struttura orografica del Tigullio La fisionomia della valle Aspetti del territorio di Neirone La podesteria di Neirone

15 NEIRONE E IL TERRITORIO DEI TIGULLII. POPOLAMENTO E SVILUPPO FINO ALLE SOGLIE DEL MEDIOEVO - Piera Melli 119 I PONTI IN PIETRA NELLA VALLE DI NEIRONE E LE PROBLEMATICHE LEGATE AD UNA LORO DATAZIONE - Paola Cavaciocchi NOTA SUI MATERIALI DI ALCUNI PONTI IN PIETRA DELLA VALLE DI NEIRONE - Roberto Ricci ANALISI PERCETTIVA DEL TERRITORIO COMUNALE DI NEIRONE - Luciano Maggi NEIRONE. FASI COSTRUTTIVE ED INTERVENTI DI RESTAURO DELLA CHIESA DI SAN MAURIZIO - Cristina Sanguineti NEIRONE. NOTE SUL PATRIMONIO ARTISTICO - Angela Acordon ROCCATAGLIATA. NOTE SULLA CHIESA DI SAN LORENZO E SUL SUO TERRITORIO - Cristina Sanguineti ROCCATAGLIATA. NOTE SUL PATRIMONIO ARTISTICO - Angela Acordon CHIESA DI SAN ROCCO DI OGNIO. NOTIZIE STORICHE - Stefano Montinari OGNIO. NOTE SUL PATRIMONIO ARTISTICO - Angela Acordon CHIESA DI SAN MARCO D URRI. NOTIZIE STORICHE - Stefano Montinari SAN MARCO D URRI. NOTE SUL PATRIMONIO ARTISTICO - Angela Acordon BREVE STORIA DELL OCCUPAZIONE UMANA - Stefano Montinari SOCIETÀ ED ECONOMIA UN MONDO DI CONTADINI - Raffaella Spinetta Il territorio agricolo comunale Ronchi, seccatoi, carbonine Valori ed attività da salvaguardare Alcuni problemi da risolvere Il caso della patata quarantina: territori e pratiche storiche LE AMMINISTRAZIONI DAL DOPOGUERRA AD OGGI ATTUALITÀ E POTENZIALITÀ FUTURE - Raffaella Spinetta Cenni sull uso del suolo dal dopoguerra ad oggi Cronache d epoca e immagini del passato BIBLIOGRAFIA

16 INTRODUZIONE Raffaella Spinetta Spesso si ricordano le persone per averci lasciato gioia, forza e speranza. Voglio dedicare, per questo, una panoramica su Neirone a mio nonno, Giobatta Corsiglia di Orticeto, Baciccia, per la serenità e la grinta dei suoi gesti e per gli insegnamenti ricevuti. Molte delle pagine di questo libro sono state scritte con l entusiasmo giovanile e la riconoscenza di chi, come me, deve moltissimo alla fatica e alla dignità di chi vive e lavora in queste strette e ricche colline di Liguria. Nessun sogno, infatti, è impossibile da realizzare se condiviso con chi ci ama. Una terra di tradizioni e sviluppo merita studi e ricerche continui. Neirone, in particolare, comune montano della Val Fontanabuona, sarà l oggetto delle descrizioni e delle notizie che vi accompagneranno, durante le vostre escursioni e nelle giornate dedicate alla natura e al risveglio delle radici. Il territorio della Val Fontanabuona presenta numerose montagne da esplorare. Le più alte sono il M. Ramaceto (1345 m s.l.m.) e il M. Caucaso (1245 m s.l.m.). Mentre il M. Ramaceto abbraccia territori collocati nell area orientale della valle, il M. Caucaso, sito tra quattro comuni - Lorsica, Favale, Moconesi e Neirone - padroneggia sui boschi e le aree abitate di gran parte del Comune di Neirone. Al confine con il sito M. Caucaso, dal 1992 tra i siti di interesse naturalistico della Comunità Europea (S.I.C. dir. Habitat 92/43/CEE), l ambiente del territorio di Neirone spazia tra i vasti orizzonti della vetta del M. Lavagnola e le vallecole umide del rio Urri, dei torrenti Neirone e Rissuello, un tempo regno delle anguille e di numerose specie di anfibi, ma anche habitat ideale per la flora di pregio e di molte altre forme di vita illustrate nelle pagine e nelle immagini di quest opera. Ambiente e Territorio, ma anche Storia e Arte: vicende di popoli, civiltà contadine e caste nobiliari genovesi. Disseminati tra le colline dell intera zona non mancano resti di prestigiosi castelli, operosi mulini, importanti ponti e agglomerati rurali, accanto alle tracce della vita religiosa dell intera popolazione fontanina dal Medioevo fino ad oggi. Questo ed altro è ciò che si sa e si può approfondire sulla realtà del Comune di Neirone. L insieme dei testi contenuti nell opera si articola, per ragioni divulgative e didattiche, in tre sezioni, suddivise in capitoli ricchi di immagini e spunti di riflessione, che trasformano ogni lettore nel protagonista di questo viaggio sperimentale in uno dei comuni più ricchi di natura e di storia dell intero entroterra ligure. Il paesaggio di Neirone dal M. Spina (foto R. Spinetta)

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18 AMBIENTE E GEOGRAFIA

19 Neirone nel contesto della Val Fontanabuona (su concessione di SAGEP, Libri & Comunicazione)

20 IL RUOLO DEI TERRITORI MONTANI IN LIGURIA Raffaella Spinetta La Liguria è tuttora poco studiata dal punto di vista del paesaggio. Ridotta ad un esile striscia tra montagna e litorale, ad essa si possono attribuire sia aspetti del clima mediterraneo che di quello centroeuropeo ed ha una struttura geologica diversificata, a cui si deve l esistenza di oltre 3000 specie floristiche ed innumerevoli elementi faunistici di pregio. Pur essendo nota soprattutto per il suo carattere litorale, la Liguria presenta anche rilievi notevoli. Il M. Maggiorasca (1779 m), il M. Gottero (1640 m) e il M. Antola (1597 m), collocati nella fascia della faggeta, sono i siti più amati da escursionisti e ricercatori che non a caso visitano boschi e prati, consapevoli delle bellezze ambientali e dell aria di storia e di vita che in essi si respira. Le pendici delle Alpi Marittime, che in territorio ligure superano di poco i 2000 m, raggiungono la fascia subalpina. Questa straordinaria varietà di condizioni ci fa comprendere il perché la Liguria, al terzultimo posto per superficie tra le regioni italiane, è al primo posto come ricchezza della flora. Questa è solo una delle molteplici motivazioni che ci spingono a voler promuovere al massimo i territori montani. Essi sono uno scrigno di sapere, un insieme variopinto di forme di vita, il regno di uomini semplici e saggi, e quindi un valore da preservare compatibilmente allo sviluppo umano. A questo proposito, numerose leggi regionali sono state elaborate e approvate allo scopo di tutelare i territori montani e le comunità in essi collocate. A prova di ciò, esistono la legge sulla montagna, i piani di sviluppo rurale, le leggi forestali, le leggi regionali sulla pianificazione dei Parchi Liguri, le norme a protezione delle aree carsiche e le leggi sulla tutela della flora, della fauna minore, nonché le normative in materia di attività venatoria. Esistono poi provvedimenti continuamente aggiornati atti alla tutela e alla promozione del turismo verde e del patrimonio rurale. Il territorio della montagna mediterranea è un patrimonio dei contadini che da sempre hanno mantenuto in equilibrio dinamico boschi, rii, fasce terrazzate, ma soprattutto è un dono fatto a tutti gli uomini perché sensibilmente possano conoscere, apprezzare e quindi tutelare realtà sociologiche e ambientali, arginando il temuto abbandono della montagna. Per limitare questa problematica sono stati predisposti progetti di recupero di sentieri e percorsi storici, stanziati finanziamenti ed individuate aree dove intervenire per promuovere e valorizzare reperti storici e religiosi: mulini, ponti, castelli, chiese e aree di importanza storica legati all insediamento e alle attività dell uomo. Questo stesso libro è un mezzo per contribuire alla salvaguardia e tutela dei valori montani. Orografia dell alta valle del Neirone. Il M. Lavagnola e, sullo sfondo, il Promontorio di Portofino (foto R. Spinetta)

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22 IL TERRITORIO Raffaella Spinetta Confini amministrativi Con una superficie di circa 30 kmq, il comprensorio del Comune di Neirone è costituito da nove frazioni: Neirone, Roccatagliata, Corsiglia, Giassina, Forcossino, Ognio, Acqua di Ognio, San Marco d Urri, Donega. L area si trova al limite nord-occidentale della Val Fontanabuona e confina, tramite lo spartiacque del M. Lavagnola, con la Valle del Trebbia. L intero territorio confina a Sud Est col Comune di Moconesi, da cui è separato dal crinale dei Monti Spina (737 m), Rocio (852 m), Caucaso (1245 m). I Monti Caucaso e Larnaia (1180 m) lo separano ad Est dai comuni di Favale e Lorsica. Il rio di Bocco e, più a Nord, il M. Carmo (1036 m) dividono Neirone dal Comune di Lorsica. Scendendo verso Ovest, attraverso il crinale dei Monti Carmo e Lavagnola (1118 m), i confini mostrano a Nord Torriglia e la Val Trebbia e, più a Ovest, parte dell Alta Val Fontanabuona con le limitrofe frazioni di Rossi, Tassorello, Craviasco e Lagomarsino nel Comune di Lumarzo. A Sud, infine, l area acquista un perimetro articolato e confina con i Comuni di Tribogna e Moconesi. Le nove frazioni del Comune sono tutte raggiungibili con mezzi di trasporto, molte sono interessate dal passaggio degli autobus pubblici. Da Sud a Nord, in senso antiorario, le zone abitate più note e caratteristiche del Comune sono: Donega, Acqua di Ognio, Ognio, Orticeto, Cerisola, Montefinale, Rosasco, Carpeneto, Neirone, Cugno, Feia, Il Poggio, Aia Zanello, Siestri, Bugne, Sciarre, Pian di Terrile, Bassi, Lezzaruole, Bozzola, Cazarina e Pian Croso. Donega è un piccolo centro urbano nato sul torrente Lavagna con poche case, alcuni centri turistici, ristoranti e aree sportive attrezzate. Ognio è nota per la chiesa dal grande campanile, per le festività del mese di agosto, per la cucina tradizionale. Orticeto è un area ben esposta a solatio; ha case a schiera e coltivi abbarbicati lungo un versante acclive. Cerisola è un piccolo sito con pochi abitanti, numerose case contadine, orti e frutteti. Montefinale presenta due grandi querce secolari. Rosasco è una zona ricca di mulini e corsi d acqua, vicino alla quale si trova Carpeneto, un centro agricolo limitrofo a Neirone. Neirone è un centro urbano popolato, sede municipale e area storico-ambientale di pregio per la presenza di testimonianze del culto religioso e della rivolta partigiana. Cugno e Feia sono due piccole aree rurali per la maggior parte in abbandono, da cui iniziano le vie secondarie dei sentieri più caratteristici dell area. Ripalata, Il Poggio e Aia Zanello sono tre suggestivi borghi di cui l ultimo rappresenta un ideale punto di visita per capire l architettura degli agglomerati rurali di alta montagna. Spostandosi verso il M. Bocco (1090 m) e il M. Carmo, troviamo l'insediamento di Giassina, ridente area montana dove è tuttora praticato l allevamento tradizionale del bestiame e punto nevralgico dell Alta Via dei Monti Liguri, fornito anche di punto ristoro per gli escursionisti. Più a Sud si incontrano Forcossino, Cugno Bello e i più grandi e noti centri di Roccatagliata e Le Corsiglie (usualmente noto come Corsiglia). Scendendo verso Ovest alle falde del M. Lavagnola, si trovano Siestri, Bugne, Sciarre, Pian di Terrile, Bassi. Infine, ad Ovest, sui contrafforti dei Monti Bragaglino (965 m), Perdono (909 m) e Carpena (907 m) si trovano Lezzaruole, Bozzola, Cazarina e Pian Croso. All estremità occidentale, al confine con Tassorello (Comune di Lumarzo), è collocato San Marco d Urri, un centro montano da cui

23 partono numerosi sentieri per il M. Lavagnola. Scendendo ancora, a Sud Ovest, presso il M. Cavello, ci sono alcuni piccoli agglomerati di case (Case Cavello). Non va dimenticata l area di Acqua (nota come Acqua di Ognio), che come dice il nome è collocata alla confluenza di due corsi d acqua: il rio Lumarzo e il torrente Lavagna. Confini geografici Considerata la forma dell area che è approssimativamente quella di un grande pentagono e leggendo con occhio critico la carta topografica, si nota come l intero perimetro comunale sia condizionato dalla presenza di crinali, ripe scoscese e, a valle, da corsi d acqua di portate variabili. Più precisamente, da Meridione, in senso antiorario, l area di Neirone è delimitata a Sud e a Est dal torrente Lavagna, dal lungo crinale dei Monti Rocio (852 m) e Caucaso (1245 m), in cui si colloca il Passo della Croce, sito di notevole interesse storico e culturale collocato a 834 m s.l.m., colorato in autunno da rosee brughiere. Sempre a Est, allontanandosi dal triplice di confine prossimo alla vetta del M. Caucaso e risalendo verso Settentrione, si incontrano il Bricco della Guardia (1159 m), il Passo del Gabba (1109 m), il crinale e la cima del M. Larnaia (1180 m). Dal M. Larnaia la linea di confine con il Comune di Lorsica fa una brusca piega e, lasciato lo spartiacque, coincide con il Rio di Bocco, vicino ad un piccolo rudere, chiamato Casa di Gialin. Da qui il rio di Giassina conduce il confine sino al M. Carmo (1038 m). Un versante meridionale scosceso e accidentato separa a Nord il territorio comunale dalla Val Trebbia: si tratta dello spartiacque dei Monti Corsica (1082 m), presso il Passo del Portello, Montaldo (1132 m) e Lavagnola (1118 m). Un appunto a parte merita questa zona: si tratta di un area estremamente panoramica e strategica sotto il punto di vista ambientale e quindi storico. Si ricorda, anche per i camminatori Antichi insediamenti a schiera presso Corsiglia (foto R. Spinetta)

24 meno esperti, che proprio presso il Passo del Portello inizia il sentiero che porta alla vetta del M. Lavagnola che, incontrato a circa tre quarti del suo percorso l itinerario europeo, termina al cippo piramidale del M. Lavagnola, uno dei punti panoramici più suggestivi dell Appennino ligure. A Ovest, lasciato il M. Lavagnola, il confine taglia il M. Bragaglino (968 m). Tra il M. Lavagnola e il M. Bragaglino si colloca la Stretta del Ciappusso, area nota, come vedremo in seguito, per romantiche leggende popolari. Dal Bragaglino sino al limite meridionale dell area, il confine è segnato dal rio d Urri che, confluendo nel torrente Lavagnola, chiude a Sud Ovest il pentagono dell area comunale. Morfologia: una terra di colline e montagne La geomorfologia di un paesaggio descrive le forme e gli aspetti della sua superficie e ne segue l evoluzione. La forma di un territorio dipende, infatti, dalla lunga storia evolutiva che lo ha plasmato nel corso delle ere. L orogenesi, la natura delle rocce, il clima e, a piccola scala, l uso del suolo da parte degli esseri viventi (soprattutto l uomo) sono le quattro cause fondamentali da cui dipendono la presenza di crinali scoscesi, avvallamenti, altopiani, corsi d acqua profondi e superficiali, forme localizzate e paleofrane. Le montagne dell Appennino Ligure si sono formate approssimativamente durante il Cenozoico o Terziario, un era della storia geologica durata da circa 65 a milioni di anni fa e alla quale si fa risalire l Orogenesi Alpina. Le forme delle montagne dell area nord-occidentale della Val Fontanabuona sono, come si vedrà meglio in seguito, di natura sedimentaria e metamorfica. Quindi si tratta di substrati teneri e facilmente erodibili, se sedimentari, o fragili e sfaldabili se metamorfici, come gli argilloscisti del M. Spina e del Passo del Portello. L orografia dell area del Comune di Neirone comprende vette di modesta quota. Le più elevate sono quelle del M. Caucaso ad Est, dei Monti Lavagnola, Montaldo, Corsica, Carmo a Nord e ad Ovest. Le scarpate più accidentate coincidono con l area nord-occidentale, dove sono presenti rocce metamorfiche e sedimentarie debolmente calcaree. I rilievi della parte orientale appaiono più dolci, anche se più elevati come nel caso del M. Caucaso (1245 m). Il M. Caucaso, in particolare, ha i versanti più scoscesi nel territorio comunale di Moconesi. Esso è l emergenza morfologica di una grande piega coricata con la convessità rivolta in parte nel territorio di Neirone e in parte verso i centri di Favale e Lorsica. È per questo che Faggio Rotondo, Feia, Corsiglia hanno pendii dolci, terrazzamenti e avvallamenti. La zona del M. Lavagnola, con substrato di Il M. Lavagnola. Paesaggi in veste autunnale (foto R. Spinetta)

25 argilloscisti e calcareniti, pertanto, si osserva anche solo percorrendo la Strada Provinciale che porta al Passo del Portello. Essa presenta grandi dirupi ( rii e riassi ) e frane di grandi dimensioni. L area centrale del territorio comunale, a Est del M. Borghigiano (860 m) è piuttosto dolce e così si mantiene sino a Ognio, Montefinale e Orticeto, siti collocati su paleofrane fossili e spesso tristemente dinamiche. Le paleofrane si originano solitamente su terreni detritici, detriti di falda e di frana. Si tratta di substrati estremamente teneri e instabili soprattutto se collocati su rocce madri con stratificazioni a franapoggio. Le aree più pianeggianti dell intero territorio sono San Marco d Urri, Le Piane di Corsiglia, Cugno, Faggio Rotondo che, come dimostrano le carte geologiche, hanno substrati sedimentari e detritici. La morfologia dell area dipende per la parte Il centro di Neirone (foto R. Spinetta). più a Nord dal clima rigido e dal fenomeno del crioclastismo (rottura delle rocce a causa del ghiaccio) che, associato alla friabilità delle rocce metamorfiche, concorre alla formazione di frane e sbancamenti. Idrografia: da Siestri alla fiumana bella La piovosità elevata e la litologia tenera delle Ardesie del M. Verzi e delle Arenarie del M. Gottero hanno permesso la formazione di un reticolo idrografico ramificato e ricco. I corsi d acqua hanno letti generalmente poco profondi, anche se nei rii di montagna sono frequenti piccoli laghi di più di tre metri di profondità a causa dell erosione idrica da caduta tipica delle cascate. Le acque di sorgente sono spesso piene di inquinanti e pertanto ospitano svariate forme di vita, anche vulnerabili, soprattutto tra i macroinvertebrati (es. il portasassi). I corsi d acqua principali del territorio raggiungono anche i 4-5 chilometri di lunghezza e presentano cascatelle e massi erratici frequenti. Ricordiamo, in questo contesto, il torrente di Siestri che prende origine dal M. Lavagnola e confluisce nel torrente Neirone all altezza di Le Mandrie ai contrafforti del M. Borghigiano. Dal M. Carmo sorge un altro rio temporaneo, il rio del Cerrale. Esso, attraversate le terre scoscese di Sciarrè, Forcossino e Cugno Bello entra a Roccatagliata dove segue le falde del M. Borghigiano e giunge fino a Brugagli. In località Le Mandrie si unisce al torrente Siestri per dare origine così al torrente Neirone, il corso d acqua più esteso e con portate maggiori dell intero territorio comunale. La portata è giustificata anche dal fatto che, oltre alle acque del Siestri e del Cerrale, raggiungono il Neirone anche le fresche acque del torrente Rissuello. Il Rissuello ha un andamento estremamente ramificato, prende origine dal M. Larnaia e unendosi al rio di Cerrale presso Corsiglia, fa confluire le sue acque nel Neirone. All estremo Ovest del Comune scorrono il rio

26 Corso del torrente Neirone presso Rosasco (foto R. Spinetta). d Urri e il torrente Lamanera, suo affluente. Il rio d Urri ha un decorso quasi verticale tra il M. Pelato (Comune di Lumarzo) e il M. Cavello (Comune di Neirone). È noto per i suoi meandri stretti e le sue acque cristalline. Note a parte meritano i torrenti Neirone e Lavagna che confluiscono presso Gattorna al triplice di confine tra i comuni di Moconesi, Neirone e Tribogna. Il Neirone è un corso ad idrografia regolare e pressappoco verticale, fatta eccezione per uno stretto meandro presso Gattorna. Il corso d acqua è noto storicamente per le numerose centraline idroelettriche e per un antico e panoramico acquedotto non lontano dal borgo di Rosasco. Inoltre è uno dei siti liguri più amati dai torrentisti, grazie alle sue discese e ai paesaggi che il suo corso offre soprattutto nelle zone di Neirone e Rosasco, sede, peraltro, di uno storico mulino. La quantità di torrenti e corsi d acqua presenti ha fatto nascere la storica esigenza di costruire ponti, un pregio e una caratteristica tutta di Neirone. Il Clima Il clima rappresenta lo stato medio di una vasta porzione di atmosfera. È pertanto discutibile descrivere il clima di un territorio di poco più di 30 chilometri quadrati. Per questo ci limitiamo a riportare i dati relativi alle precipitazioni idriche misurate nelle stazioni di Neirone e di Ognio. La stazione di Neirone, munita di pluviometro registratore, è situata a quota 332 m s. l. m. alla sinistra orografica del torrente Neirone. Essa non è più in funzione, ma ha fornito dati sulle precipitazioni dal 1929 al 1981 con periodi di inattività nel 1946, nel 1947 e nel 1980 da gennaio a febbraio. Per le temperature è stata mantenuta in funzione dal 1967 al 1983 con intervalli di non funzionamento nel 1980 (gennaio e febbraio), nel 1982 (marzo, ottobre, novembre e dicembre) e nel 1983 (gennaio e da luglio a dicembre). La stazione di Ognio, provvista di un plu

27 viometro comune, è posta a quota 400 m s. l. m. presso la confluenza del torrente Lavagna con il torrente Neirone. Anch essa non è più operante. Ha fornito dati sulle piovosità dal 1921 al 1979, ma non tra il 1945 e il Non sono stati forniti alcuni valori per quanto riguarda le temperature. Dall elaborazione dei dati forniti dalle due stazioni sono scaturite le caratteristiche macroclimatiche della zona; le condizioni climatiche non sono, tuttavia, omogenee su tutto il territorio. Ciò è dovuto alla presenza di fattori come la collocazione geografica, l esposizione dei versanti, le diverse proprietà termiche dei litotipi esistenti e la differente natura del terreno, parametri, questi, che condizionano il microclima piuttosto che le caratteristiche generali del clima e dai quali dipende la coesistenza sul territorio di specie vegetali con diverse esigenze climatiche. In base ai dati pluviotermici registrati nella stazione di Neirone, si può affermare che ci troviamo di fronte ad un regime mediterraneo di transizione. Ci sono infatti due massimi di precipitazione distinti nel tardo autunno e in primavera ed una distribuzione delle temperature simile a quella che caratterizza il regime mediterraneo tipico dell Italia meridionale, ma con un periodo più breve di siccità con punte massime di temperature nei mesi di luglio e agosto. Il clima del territorio preso in esame si distingue, però, per un elevata media delle precipitazioni e per temperature medie mensili relativamente più basse, caratteristiche che si possono evidenziare confrontando i regimi pluviometrici e termometrici di Neirone e di Genova, anch essa con un clima mediterraneo di transizione. Anche dal calcolo degli indici climatici si ricava che il clima ha scarsi caratteri di mediterraneità con un forte tasso di umidità e segni di una certa continentalità. Proprio in base al diagramma ombrotermico costruito grazie ai valori medi mensili delle precipitazioni (P) e delle temperature con il criterio di Bagnouls e Gaussen (P=2T), il clima locale risulta di pertinenza della Zona Mesaxerica-Sottozona Ipomesaxerica. Tale collocazione è determinata dai dati di altre stazioni, quali p. es. Reppia, Statale e Cassagna in Val Graveglia, Cichero in Val Cicana e Giacopiane in Val Penna. Tutte queste stazioni sono caratterizzate dalla mancanza di veri periodi secchi e sono tutte collocate sopra la fascia altimetrica dei 200 m s. l. m. L elevata piovosità è dovuta alle depressioni che hanno il loro centro di origine nel Golfo di Genova. I meteorologi dell Università di Genova spiegano il fenomeno in questi termini come un avanzamento di un fronte freddo da NW associato alla presenza di correnti meridionali calde che si sviluppano sulla parte orientale del Mar Tirreno. L azione del fronte freddo sulla massa d aria calda si traduce in una rotazione ciclonica che obbliga le masse d aria calda situate sul lato orientale del ,3 21,2 21,4 18,6 C ,6 6,9 8,6 11,2 14,7 14,6 9,9 7,0 13,25 0 Genn. Febbr. Marz. Apr. Magg. Giugn. Lugl. Ag. Sett. Ott. Nov. Dic. Media Temperature medie mensili

28 Mar Ligure e dell Alto Tirreno a spostarsi verso Nord. L azione dell orografia, per la configurazione degli Appennini intorno al Mar Ligure determina, per effetto del sottovento, una debole depressione che potenzia l afflusso delle correnti meridionali verso il Golfo di Genova che diventa così il centro d incontro di due masse d aria diverse, caratteristica tipica di ogni ciclone. La disposizione della Val Fontanabuona, parallela al mare, conferisce al clima caratteristiche peculiari. Se nel complesso risulta, come è già stato detto, piuttosto piovoso, esso subisce chiaramente dei cambiamenti locali in funzione dell altitudine e dell esposizione dei versanti. Si osserva che la zona più piovosa, in genere, è quella dei versanti settentrionali e delle altitudini più elevate. I regimi delle precipitazioni della stazione di Neirone e di quella di Ognio, situate a pochi chilometri di distanza l una dall altra, sono già molto diversi. Il crinale che comprende, nei suoi tratti principali, il M. Caucaso (1245 m), il Passo della Croce (834 m) e il M. Rocio (852 m) costituisce, per il comprensorio, una barriera naturale alla propagazione delle perturbazioni atmosferiche. Qui le correnti fredde provenienti da NE ed in particolare dalla vicina Val d Aveto incontrano le correnti calde ed umide di SW che si originano dal mare; la formazione di questo fronte fa sì che si formino nebbie e nubi. La maggior nebulosità si osserva proprio nei pressi delle vette del M. Caucaso, in cui si hanno durante l anno abbondanti precipitazioni, anche nevose nei mesi di dicembre, gennaio e talvolta febbraio. Le precipitazioni a carattere nevoso si verificano di norma a quote superiori ai 400 m. La neve è molto bagnata e quindi più pesante a causa dell azione del vento di mare. Per questo si scioglie rapidamente, ma spesso causa, per la sua consistenza, danni alla vegetazione: molti alberi si spezzano, soprattutto quelli con i rami più fragili. Nelle zone poste ad altitudini inferiori le precipitazioni sono minori. Questa constatazione, unita a quanto è già stato detto, ci consente di parlare di effetto sottovento. Infatti, in prossimità delle montagne le masse d aria sature di vapore acqueo salgono secondo la direzione del vento. Man mano che sono spinte verso la cima, a causa del gradiente adiabatico, avviene la condensazione e di conseguenza le precipitazioni nel versante sopravvento. Arrivata alla vetta la massa d aria risulta impoverita e per questo di solito si registrano piogge meno abbondanti nel versante sottovento. Per quanto riguarda la ventosità, i venti predominanti sono quelli che soffiano sul Tigullio, tra ottobre e marzo quelli del quadrante settentrionale, mentre nel resto dell anno può sopraggiungere lo Scirocco che apporta, soprattutto in estate, un discreto carico di umidità da Sud. La ventosità risulta ridotta in quanto le montagne a Nord proteggono efficacemente gran mm Genn. Febbr. Marz. Apr. Magg. Giugn. Lugl. Ag. Sett. Ott. Nov. Dic. Stazione di Ognio Stazione di Neirone Piovosità medie registrate nelle due vecchie stazioni di Neirone e Ognio

29 parte del territorio dai venti freddi e quelle a Sud attenuano lo Scirocco e il Libeccio. In autunno soffia spesso la Tramontana, che viene avvertita maggiormente nei territori di Ognio e Neirone, protetti da rilievi non molto elevati che rappresentano una modesta barriera contro i venti settentrionali. Sono frequenti, invece, le brezze di pendio. Come succede, in genere, nelle valli montane di giorno si hanno brezze di valle che sono dirette verso l alto, mentre di notte l aria a contatto con i pendii diventa più pesante, scivola e si accumula nelle valli. Sono questi venti locali che, pur non essendo molto forti, possono condizionare la vegetazione dei versanti più acclivi, rallentando la maturazione dei suoli che spesso vengono in parte asportati. La temperatura media annua si aggira intorno ai 13, 25 C con massime in luglio/agosto. La temperatura massima registrata dalla stazione di Neirone è di 36.8 C e risale all agosto del Le temperature minime sono tipiche dei primi mesi invernali, anche se temperature inferiori sono state osservate, ma non registrate, in anni successivi. Nel 1985 e nel 1996 la colonnina di mercurio è scesa sotto gli 8 C, provocando gravi danni agli uliveti. Le escursioni termiche sono piuttosto ridotte: non abbiamo misurazioni precise di quelle giornaliere, ma esse sono di pochi gradi centigradi. Quelle medie annue sono circa di 14 C, come si può constatare nell istogramma. Esse aumentano nell area meno influenzata dall effetto mitigante del mare, vale a dire nella zona montana dove in estate, soprattutto nei punti privi di vegetazione e con una rocciosità elevata, le temperature superano le medie mensili. Analogamente, nei mesi invernali tali siti del territorio hanno un microclima più rigido, tanto che si verificano anche sporadiche nevicate. La morfologia del territorio fa sì che si assista anche al fenomeno dell inversione termica. Le La vetta del M. Caucaso all alba, avvolta dalle nuvole (foto R. Spinetta). Denti di ghiaccio sulle balze rocciose del P.sso del Portello (foto R. Spinetta)

30 temperature, cioè, decrescono secondo il gradiente adiabatico, ma a valle, dove la ventosità è scarsa, si possono registrare temperature più basse che in quota. Tale fenomeno si manifesta soprattutto in autunno ed in inverno, quando le temperature notturne si abbassano. Per effetto dell emissione di radiazione notturna il suolo si può raffreddare, infatti, più rapidamente dell atmosfera; perciò la temperatura aumenta, invece di diminuire, con la quota e si viene così a costituire un inversione termica. Si riportano i diagrammi delle temperature e della piovosità media del comprensorio comunale e il diagramma di Bagnouls e Gaussen che indica le caratteristiche climatiche generali C mm Genn. Febbr. Marz. Apr. Magg. Giugn. Lugl. Ag. Sett. Ott. Nov. Dic Diagramma di Bagnouls e Gaussen. Temperature Precipitazioni

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32 ASPETTI GEOLOGICI E GEOMORFOLOGICI DEL TERRITORIO COMUNALE DI NEIRONE Andrea Cevasco Il quadro geologico I terreni affioranti in Val Fontanabuona, seppure eterogenei, ebbero origine all interno di una porzione di un bacino sottomarino ubicato in posizione differente rispetto alla loro attuale localizzazione. Tale bacino, denominato Ligure- Piemontese, si originò durante il Giurassico medio e superiore ( m. a.) a causa di movimenti fra la placca continentale europea e quella africana; secondo recenti ricostruzioni esso doveva avere un estensione in larghezza non superiore a km. L evoluzione della porzione del bacino oceanico, denominata Dominio Ligure Interno 1, nella quale si depositarono i materiali che diedero origine alle rocce che, successivamente coinvolte nella strutturazione della catena appenninica, caratterizzano oggi l areale di Neirone, è di fondamentale importanza. Il fondo del bacino oceanico era costituito da rocce derivanti da magmi a composizione basaltica originatisi da processi di fusione parziale del mantello. In parte tali magmi solidificarono in profondità dando origine a rocce ultrabasiche (peridotiti) costituite in prevalenza da minerali quali olivine e pirosseni. Durante processi di interazione con acqua marina le olivine (silicati di Fe e Mg) subirono trasformazioni che portarono alla formazione di minerali del serpentino, componenti essenziali di rocce denominate serpentiniti. All interno delle peridotiti solidificarono, sotto forma di lenti o di filoni, rocce magmatiche intrusive (gabbri) mentre una parte dei fusi basaltici poteva raggiungere la superficie attraverso fratture dando luogo a filoni e ad effusioni sottomarine. Le rocce ora descritte, che vengono chiamate ofioliti (rocce verdi), potremmo, ad esempio, ritrovarle associate se potessimo esplorare le attuali dorsali oceaniche. In Liguria le ofioliti, espressione dell antico fondale oceanico, sono particolarmente diffuse sia nel genovesato che nel Levante (Val Graveglia, zona del Bracco). Alla fine del Giurassico ( m. a. ca.) al disopra delle ofioliti si depositarono fanghi di natura silicea ed argillosa, costituiti in buona parte da scheletri di microrganismi marini (Radiolari e spicole di spugne), all interno dei quali si trovavano minerali di Fe e Mn portati in soluzione dalle acque calde circolanti all interno delle fratture delle ofioliti. Le rocce originate da tali sedimenti appaiono, oggi, finemente stratificate e vengono chiamate diaspri. La sedimentazione delle cosiddette coperture proseguì fino al Cretaceo superiore (84 m. a. circa) con la deposizione di materiali di natura calcarea (Calcari a Calpionelle) ed argillitica (Argille a Palombini) in ambiente di mare profondo non risentendo, la porzione in esame, degli importanti eventi tettonici compressivi che interessarono, invece, altri settori del Dominio oceanico. La fase di quiescenza ebbe termine con l arrivo delle torbiditi che diedero origine alle formazioni della Val Lavagna e del Gottero rispettivamente durante il Cretaceo superiore (84-66 m. a.) ed il Cretaceo superiore - Paleocene (70-60 m. a. circa). La produzione di tali sedimenti di natura terrigena, che oggi si possono rinvenire, fra l altro, nel territorio di Neirone, fu il risultato di processi erosivi che interessarono aree emerse in progressivo sollevamento ed il loro significato, sotto il profilo tettonico, indica un inversione di tendenza dei movimenti che, da distensivi, diventarono compressivi. Le placche continentali precedentemente separatesi tornarono così ad avvicinarsi comprimendo i materiali depositati all interno del bacino che si era creato. I materiali progressivamente erosi in ambien- 1 Secondo la ricostruzione paleogeografica di Elter e Raggi (1965) il Dominio oceanico Ligure-Piemontese, durante il Cretaceo superiore, era costituito da un bacino suddiviso in due settori da un alto morfologico denominato Ruga del Bracco. Il termine Unità Liguri Interne si riferisce alle unità situate, in origine, nel settore interno rispetto a tale dorsale

33 te subaereo scivolarono lungo scarpate sottomarine accumulandosi, grazie a correnti dette di torbida, sulle piane abissali. In questo modo si formarono enormi spessori di materiali detritici, chiamati flyschs, la cui deposizione ebbe termine, per quanto riguarda il Dominio Ligure Interno, nel Paleocene. Le spinte tettoniche compressive portarono alla graduale chiusura del bacino costringendo i flyschs a sovrascorrere sui sedimenti sottostanti. Essendo i flyschs, in questa fase, solo parzialmente diagenizzati, dal fronte di avanzamento si staccarono corpi rocciosi coerenti ed ammassi incoerenti che andarono a formare accumuli caotici. La collisione fra i blocchi continentali avvenne, con ogni probabilità, in tempi differenti da settore a settore a causa di probabili differenze di estensione del Dominio oceanico. Si ritiene, in ogni caso, che essa sia avvenuta in un lasso di tempo di età compresa fra 100 e 60 m. a. Senza entrare nell esposizione dettagliata dei complicati modelli volti alla ricostruzione dei meccanismi e delle fasi che portarono alla scomparsa del bacino oceanico ed alla collisione fra i blocchi continentali, peraltro oggetto di discussioni fra esperti in geodinamica, si vuole ricordare che nelle Unità Liguri Interne sono state riconosciute due fasi deformative preoligoceniche (ossia più antiche di 36 m. a.) responsabili della formazione di pieghe e sovrascorrimenti. Durante la prima fase (precedente alla collisione) le stesse unità sarebbero state coinvolte in una zona di subduzione mentre la seconda (contemporanea alla collisione) ne esprimerebbe la risalita verso livelli strutturali superficiali. Le Unità Liguri Interne furono successivamente coinvolte nell evoluzione strutturale appenninica durante la quale parte della catena già formata andò ad accavallarsi sul margine continentale africano. Le fasi deformative, in questo caso, avrebbero complicato ulteriormente l edificio strutturale appenninico e sarebbero terminate nel Miocene superiore (8-12 m. a.) (R. KLIG- FIELD, J. HUNZIKER, R. D. DALLMEYER, S. SCHAMEL 1986). Terminate le fasi compressive, a partire dal Miocene superiore si venne ad instaurare un regime di distensione crostale in relazione con l apertura del Tirreno settentrionale in probabile connessione con una rotazione in senso antiorario della penisola italiana (G. GIGLIA 1974). Secondo le teorie classiche la distensione avrebbe interessato dapprima la Toscana meridionale per poi migrare progressivamente verso i restanti settori del versante tirrenico dell Appennino settentrionale. A questo evento è da riferire l avvio di una intensa tettonica verticale, le cui manifestazioni sarebbero proseguite in Liguria fino al Quaternario, durante la quale si generarono una serie di strutture sulle quali si impostarono i lineamenti dell attuale paesaggio. In altre parole, sulle strutture plicative appenniniche si sovrapposero sistemi di faglie a direzione appenninica (NW-SE) ed antiappenninica (NE-SW) che suddivisero gli areali in blocchi ad evoluzione differenziata. L influenza di tale Fig. 1 Suddivisioni dell Unità del Gottero proposte da diversi Autori (da Marini, 1993)

34 evento distensivo sulla morfologia attuale della Liguria orientale fu di notevole importanza, basti pensare alle direttrici che regolano, ad esempio, elementi morfologici quali la linea di costa, alcune fra le principali linee spartiacque nonché parte dell idrografia. La stessa Valle Fontanabuona, allungata in senso appenninico e parallela alla linea di costa fra Genova e Chiavari, si è formata per intensa erosione lungo linee di minor resistenza originate dalla tettonica distensiva recente. È naturale che lungo tali linee l azione erosiva da parte dei corsi d acqua e delle acque meteoriche si sia svolta con maggiore efficacia. Un interessante proposta dell evoluzione plio-quaternaria (5 m. a. - attuale) della Val Fontanabuona è stata fornita da Brancucci e Motta (1989). Gli autori, basandosi sull analisi dei rapporti reciproci fra le forme relitte osservabili (creste intrameandro, superficie dei terrazzi fluviali, superficie delle vette), individuarono otto stadi morfologici evolutivi attraverso i quali si raggiunse l attuale assetto: partendo dall ipotesi dell esistenza di una superficie di spianamento ubicata alla quota delle attuali vette si svilupparono, in pratica, una serie di fasi di sollevamento alternate ad altrettanti periodi di stabilità del livello di base erosivo. Durante le fasi di sollevamento, abbassandosi il livello di base erosivo, il percorso fluviale tendeva ad incassarsi mentre durante i periodi di stabilità del livello di base il corso d acqua tendeva, deponendo materiale solido, ad allargare il fondovalle. È assai importante, dunque, l osservazione della morfologia attuale per la ricostruzione dei processi del passato. Partendo da semplici osservazioni geomorfologiche sulle forme dell attuale paesaggio anche l occhio meno esperto sarà in grado di cogliere aspetti di particolare interesse, frutto delle grandi trasformazioni che, attraverso un arco temporale di poco inferiore a 150 milioni di anni, hanno portato alla condizione attuale. L unità del Gottero I terreni affioranti nel territorio comunale di Neirone sono riconducibili all Unità del Gottero i cui aspetti litologici e stratigrafici sono stati definiti, a partire dagli anni 60, da diversi autori. È necessario mettere in evidenza che gran parte di tale unità è costituita da formazioni argillitiche che, seppure relativamente disomogenee, presentano tali e tante convergenze nonché alternanze di facies da indurre i vari Autori, nel corso degli anni, ad effettuare suddivisioni complesse, non sempre soddisfacenti (fig. 1). Per ragioni di semplicità e chiarezza, si evita di entrare nel merito dei problemi specifici legati alle interpretazioni proposte dai diversi autori. Nell area di interesse è possibile distinguere la Formazione degli Scisti della Val Lavagna, affiorante sulla maggior parte del territorio comunale di Neirone, dalla sovrastante Formazione delle Arenarie di M. Ramaceto (anche denominate Arenarie di M. Gottero), gli affioramenti della quale sono localizzati su aree più ristrette (fig. 2). Gli Scisti della Val Lavagna sono qui costituiti da rocce eterogenee, in massima parte depositi torbiditici siltoso arenacei, cioè sedimenti marini accumulati in ambiente di mare profondo con velocità relativamente rapida (Scisti manganesiferi, Scisti zonati). Alla base della sequenza sono presenti rocce emipelagitiche, ovvero di natura argillosa depositate lentamente in ambiente marino profondo (Argilloscisti con calcari pseudopalombini ). Le Arenarie di M. Ramaceto rappresentano ancora depositi torbiditici di natura siltoso arenacea. La Formazione degli Argilloscisti della Val Lavagna - Argilloscisti con calcari pseudopalombini Sono costituiti in prevalenza da scisti argillosi grigio scuri o verdolini con intercalazioni di calcari da silicei a marnosi attraverso una serie di termini intermedi (pseudopalombini). Il colore grigio scuro dei calcari, analogo a quello dei colombi, ha fornito l ispirazione per il nome con il quale vengono identificati

35 Affiorano nella bassa valle del T. Neirone e sono visibili, ad esempio, lungo la strada che collega Gattorna a Neirone in uno spaccato a circa 500 m dal suo inizio (fig. 3). - Scisti manganesiferi Sono costituiti da argilliti scure caratterizzate da locali, intense, colorazioni in rosso ed in M. Lavagnola M. Carmo M. Bocco M. Bragaglino M. Larnaia M. Borghigiano Roccatagliata M. Carpena T. Rissuello Rio d Urri M. Cavello T. di Neirone Neirone M. Caucaso Ognio M. Rocio Moconesi Gattorna 0 1 Km 2 Km Depositi eluviali e colluviali LEGENDA Detrito di falda, accumuli di frana { Marnoscisti con arenarie calcaree e argilloscisti Arenarie del Gottero Scisti zonati Scisti manganesiferi Scisti della Val lavagna Argilloscisti con intercalazioni di calcare siliceo pseudopalombino Fig. 2 Carta geologica schematica del territorio comunale di Neirone (da Casella e Terranova, 1963; modificato e ridisegnato)

36 Fig. 3 Argilloscisti con calcari pseudopalombini in prossimità di Gattorna (foto A. Cevasco). Fig. 4 Scisti Zonati lungo il Torrente Neirone (foto A. Cevasco)

37 Fig. 5 Argilloscisti appartenenti alla Formazione delle Arenarie di M. Ramaceto lungo le pendici meridionali del M. Borghigiano (foto A. Cevasco). Fig. 6 Siltiti ed arenarie della Formazione delle Arenarie di M. Ramaceto lungo le pendici meridionali del M. Borghigiano (foto A. Cevasco)

38 bruno scuro metallico che evidenziano la presenza di concentrazioni di ferro e di manganese sotto forma di ossidi. Si tratta di depositi torbiditici pelitico-arenacei. Gli argilloscisti tendono a suddividersi facilmente in scaglie e a dar luogo a forme prismatiche. Frequentemente è possibile osservarvi intercalazioni di arenarie quarzose assai compatte, di colore marrone, dello spessore medio di cm. Sono visibili nella bassa valle del T. Neirone ed all inizio della strada per Moconesi. Nell alta valle sono presenti lungo il crinale fra il Passo del Gabba (1109 m) ed il M. Larnaia (1180 m) del quale costituiscono la base. - Scisti Zonati Sono rappresentati da torbiditi pelitico arenacee costituite da strati sottili di siltiti, arenarie fini, argilliti e marne che presentano la tipica zonatura con colori che variano dal grigio al nocciola; possono essere presenti, inoltre, intercalazioni di calcareniti, di quarzoareniti nonché rade lenticelle calcaree. Gli Scisti Zonati si rinvengono su vaste porzioni di territorio nel tratto medio della valle del T. Neirone, nell alta Val Cerrale e nella Valle del T. Rissuello (F. CASELLA, R. TERRANOVA 1963). Gli affioramenti più significativi sono situati presso Neirone (fig. 4) e oltre l abitato fino a Le Mandrie nonché lungo la strada comunale per Roccatagliata fino alla quota di 507 m. A Roccatagliata, dove presentano una facies debolmente marnosa, sono visibili in prossimità del piazzale della chiesa. Altri affioramenti si trovano a N di Case Cannivelli e nel tratto fra Aia di Zanello e Case Zanello. La Formazione delle Arenarie di M. Ramaceto Si tratta di depositi marini sedimentati rapidamente in lobi di conoide in ambiente di mare profondo. Sotto il profilo litologico, nell area di interesse, sono costituite da argilloscisti scuri, plumbei (figg. 5-6), che si alternano ad intercalazioni arenacee (F. CASELLA, R. TERRANOVA 1963). Le arenarie sono di tipo quarzoso-micaceo con cemento siliceo, a volte leggermente argilloso, la granulometria è sempre fine o media. Nelle arenarie sono spesso visibili fratture, in alcuni casi saldate da vene di quarzo, dovute a sforzi di tensione mentre negli argilloscisti questi ultimi hanno portato alla suddivisione in scaglie e prismi sottili. Le rocce in questione costituiscono l ossatura dei principali rilievi all interno del territorio di Neirone (M. Rocio, M. Borghigiano, M. Càrpena, M. Cavello). Facilmente raggiungibili sono gli affioramenti sul T. Neirone, il primo situato al disotto della cava posta sulla strada circa 500 m a N di Gattorna ed il secondo posto leggermente a N di quest ultima, dove si possono osservare anche alcuni piegamenti subiti durante le fasi orogenetiche. Le rocce ed il paesaggio L aspetto paesaggistico è, solitamente, il frutto dell interazione fra la natura del substrato roccioso e gli agenti del modellamento. Le rocce, in funzione della composizione mineralogica, del modo di aggregazione dei costituenti, della giacitura che presentano, offrono risposte differenti nei confronti degli agenti esogeni, quali ad esempio l azione delle acque o della gravità,che tendono ad alterarle sia dal punto di vista chimico che fisico. In linea generale laddove affiorano rocce resistenti all alterazione, e quindi all erosione, i rilievi tendono ad assumere forme aspre e ad essere caratterizzati da ripide pareti e valli profondamente incassate; in corrispondenza delle formazioni maggiormente alterabili, al contrario, i paesaggi mostrano forme maggiormente addolcite. Le rocce che affiorano nella Valle del T. Neirone presentano una relativa omogeneità sotto il profilo composizionale; esse, come visto, sono costituite in prevalenza da litotipi di natura argillitica i quali, a causa dell elevata alterabilità, dovrebbero dare origine a forme tendenzialmente addolcite. Al contrario la valle è caratterizzata da una forte energia del rilievo (fig. 7) e da notevoli dislivelli che possono rag

39 giungere il migliaio di metri su aree ristrette. Per spiegare tale, apparente, incongruenza è necessario considerare anche il ruolo di altri agenti modellatori, cosiddetti endogeni, fra i quali l attività tettonica, che assumono, nell area in questione, un ruolo di primaria importanza. Sono state descritte le complesse vicende tettoniche che hanno portato all assetto attuale; in particolare si ricorda che i fenomeni orogenetici hanno dapprima costruito l edificio appenninico, mentre gli eventi tettonici distensivi recenti ne hanno determinato il successivo smembramento. Tale opera è avvenuta attraverso una serie di piani di macrofratturazione ad orientazione varia, denominati faglie, responsabili del ribassamento di determinate porzioni di territorio e del contemporaneo rialzamento di altre. Lungo tali piani, che rappresentano zone di minor resistenza, si sono impostati i primitivi corsi d acqua che hanno dato origine alle incisioni vallive principali mentre al contorno si trovano masse rocciose sollevate durante l orogenesi appenninica che l azione degli agenti esogeni andrà, gradualmente nel tempo, a demolire. Fenomeni di dissesto I dissesti mostrano, spesso, strette relazioni con l aspetto idrogeologico dell area all interno della quale si verificano: nel caso del territorio del Comune di Neirone è evidente, in primo luogo, un recente ringiovanimento del reticolo idrografico (S. NOSENGO 1980). La peculiarità di alcune caratteristiche geomorfologiche quali, ad esempio, la presenza di valli sospese, di fenomeni di cattura fluviale, di aree ad erosione accelerata e, soprattutto nella zona media del bacino del T. Neirone, di numerosi ed estesi corpi di frana antichi, sembra confermare inequivocabilmente quanto sopra esposto (figg. 8-9). L area situata alla testata del bacino, estesa dal M. Bragaglino al M. Corsica ed impostata su rocce di natura argilloscistosa, è caratterizzata da fenomeni di erosione accelerata che determinano un rapido arretramento della linea spartiacque; condizioni simili di accentuata erosione caratterizzano, seppure meno estesamente, le pendici del M. Caucaso oltre la quota di 900 m, impostate su rocce torbiditiche siltoso-arenacee. Particolare importanza rivestono gli imponenti accumuli detritici dovuti a frane antiche (fig. 10) soprattutto per le strette relazioni con gli insediamenti umani e l utilizzo del territorio nei secoli scorsi (G. BRANCUCCI, P. MAI- FREDI, S. NOSENGO 1985). Tali accumuli si rinvengono, generalmente, nelle parti mediane ed inferiori dei versanti (in quanto legati alla gravità) e spesso corrispondono a modificazioni del suolo indotte in tempi storici dall uomo per uso agricolo, accompagnate da insediamenti che si rinvengono solitamente nelle zone apicali dei corpi franosi stessi. La scelta di tali siti è stata condizionata da diversi fattori fra i quali indubbiamente la necessità, da parte dell uomo, di disporre di aree a debole pendenza dotate di buona esposizione, di suolo utilizzabile per attività agricole e, non ultimo, di zone accessibili. È ovvio che la scelta non poteva che orientarsi sui versanti lungo i quali si venivano a trovare i maggiori accumuli di frana. Il paziente lavoro di terrazzamento di tali superfici attraverso la costruzione di muri a secco per il contenimento dei materiali sciolti rimaneggiati ha, in questo caso, modificato profondamente la morfologia dei versanti ed ha permesso di rallentarvi la naturale attività erosiva. Vi è poi da considerare che per l approvvigionamento idrico venivano sfruttate le manifestazioni idriche presenti sul territorio ed era stato creato un complesso sistema che ne permetteva il trasferimento e la distribuzione anche a notevole distanza. Si può dunque affermare che esistesse un delicato ma efficace equilibrio fra attività antropiche e condizioni di stabilità dei versanti. L intervento antropico sulla morfologia della valle è stato assai rilevante e, secondo stime di massima, avrebbe interessato circa il 34% del territorio (S. NOSENGO 1980); gli abitati di Neirone, Corsiglia ed Ognio, solo per citare i più importanti, si sono sviluppati su imponenti accumuli detritici per le motivazioni già viste. Le trasformazioni nei modi d uso del suolo cui

40 si è assistito in tempi recenti, in questo caso individuabili essenzialmente nell abbandono delle attività agro-silvo-pastorali, hanno avuto conseguenze negative sulla stabilità dei versanti in generale ma soprattutto in quelle zone già caratterizzate da equilibrio precario come i citati accumuli di frane antiche. Si è, pertanto, avuta un accelerazione della dinamica evolutiva di tali versanti, gli effetti della quale sono ben evidenti ai giorni nostri e si manifestano attraverso condizioni di dissesto generalizzato nonché con l innesco di nuovi fenomeni franosi. Non è poi trascurabile, in tale contesto, il contributo idrico ad eventi di piena che possono assumere proporzioni catastrofiche sul fondovalle. L incipiente instabilità delle coltri allo stato attuale è causa di dissesto nei fabbricati, soprattutto di vecchia costruzione, a Neirone nonché in alcuni tratti della viabilità primaria e secondaria (fig. 11); la notevole presenza di acque che caratterizza le aree ai margini degli accumuli detritici, la presenza di substrati di natura argilloscistosa nonché la loro alterabilità sono fattori che creano condizioni ottimali per il formarsi di movimenti lenti nel suolo, denominati creep, che possono raggiungere dimensioni notevoli come accade, ad esempio, nella zona di Ognio (S. NOSENGO 1980). In diversi casi (Rosasco, Forcossino, Carpeneto, Cerisola) gli accumuli hanno, invece, raggiunto condizioni di stabilità e non creano, allo stato attuale, particolari problemi ai manufatti. Gli eventi franosi verificatisi in seguito alle consistenti piogge del novembre 2002, che hanno interessato prevalentemente le coltri detritiche superficiali nella bassa Val Fontanabuona, hanno dimostrato che anche i depositi caratterizzati da debole spessore possono costituire, in connessione con particolari ma non improbabili condizioni meteorologiche, un grave rischio per gli insediamenti antropici nonché per la pubblica incolumità. È, pertanto, fondamentale che anche in questa valle, come del resto in tutto l appennino ligure, venga favorita la presenza dell uomo per la sua preziosa ed insostituibile opera di presidio sul territorio. Fig. 7 Panorama della Valle del Torrente Neirone (foto A. Cevasco)

41 Fig. 8 Corpi di antiche frane caratterizzano l areale di Corsiglia (foto A. Cevasco). Fig. 9 Panorama di Neirone: anche in questo caso l abitato si è sviluppato su materiali di accumulo di antiche frane (foto A. Cevasco)

42 Fig. 10 Esempio di materiale detritico di origine franosa; tali depositi sono caratterizzati dalla presenza di materiale lapideo di varia dimensione (a spigoli vivi) in una matrice più fine, di natura limosa e/o argillosa (foto A. Cevasco). Fig. 11 Fenomeni di dissesto lungo la viabilità secondaria (foto A. Cevasco)

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44 NATURA IL MONDO DEI VIVENTI Raffaella Spinetta I Boschi: quanti e quali? I boschi si possono paragonare a cosmi di natura più o meno incontaminata, regni da censire, studiare ed amare. La Liguria è la regione più boscata d Italia. Essa è coperta da boschi naturali, colturali e artificiali. Per definire un bosco nel modo più oggettivo possibile possiamo ricorrere alla legge. La legge forestale regionale (L.R. 16/4/1984 n. 22) considera bosco qualunque terreno coperto da vegetazione forestale arborea e/o arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo, nonché il terreno temporaneamente privo della preesistente vegetazione arborea e/o arbustiva per cause naturali o per interventi dell uomo. I boschi si distinguono per stratificazione e struttura del soprassuolo, composizione floristica, tipo di governo e caratteristiche del suolo. Ogni bosco va letto in base agli strati da cui è composto: strato arboreo, arbustivo alto, arbustivo basso, erbaceo, muscinale e/o lichenico. Si tratta di un ecosistema complesso dove le specie si coordinano nello spazio anche per il fenomeno della concorrenza. Si ha concorrenza per la luce tra le chiome degli alberi e per l acqua tra le radici. Si è soliti parlare di soprassuolo arboreo e sottobosco; il primo è dato dall insieme dei fusti e delle chiome degli alberi che costituiscono il bosco. Il soprassuolo può essere coetaneo, quindi spesso artificiale perché contiene esemplari piantati nello stesso momento o periodo, o disetaneo, puro e naturale, dove le specie arboree, arbustive ed erbacee cresciute hanno un età reciprocamente diversa. Il sottobosco ha una miriade di specie erbacee e muscinali e/o licheniche. Esso poggia sul suolo, la madre, ed è il riferimento di crescita del bosco. Anche in questo caso, esistono diversi tipi di suoli; essi sono in relazione prevalentemente col clima in cui si sono generati, secondariamente con la natura delle rocce in cui si sono sviluppati e con le caratteristiche della vegetazione. La parte superficiale scura di molti tipi di suolo è l humus, formato per azione di batteri e muffe su resti vegetali. I suoli dei boschi appenninici liguri hanno ph intorno al valore percentuale, abbastanza acido. Da studi effettuati nel 1998 (R. SPINETTA 1998) è emerso che i castagneti del versante Est dei contrafforti del M. Caucaso hanno un suolo con ph pari a 5, mentre i querceti di Montefinale hanno suoli più acidi con un ph inferiore di 4,5. Le caratteristiche dei suoli dipendono, in gran parte, anche dalla storia umana che li ha visti evolvere e trasformarsi. La storia dei boschi appenninici è stata travagliata ed è emblematica per la notevole diversificazione dell assetto paesaggistico attuale delle montagne del Tigullio. Solo alcune notizie per far capire tutto ciò. Dai carotaggi effettuati sul M. Borgo (Comune di Tribogna) presso il cosiddetto Castellaro di Uscio risultano testimonianze di popolazioni dedite all uso del bosco sin dal 1500 a.c. Allevamento, cereali e alcune varietà di fave venivano utilizzati per il sostentamento delle genti di allora. Al IX e al X secolo risalgono, invece, tracce di vecchi terrazzamenti. I terrazzamenti più antichi sono però del XVI-XIV sec. a. C. (Castellari di Zignago e Camogli). Un importante documentazione che ci fa capire come veniva utilizzato il bosco dall uomo preistorico ci viene da Prato Mollo, in Val Penna, uno dei più ampi e meno profondi bacini intorbati dell Appennino Ligure. Nel 1986, da indagini palinologiche, si è scoperto che il bosco primario (originario), dominato dall abete bianco, veniva diradato con tecniche che comprendevano l uso del fuoco. Dai pollini si è scoperta, infatti, l esistenza di abete bianco, faggio e onta

45 m Faggete e lembi di arbusteti con Erica camea evaccinium mirtillus E e NE m Brughiere Praterie con Molinia coerulea m Cerrete con Sesleria autumnalis Castagneti m Ovili, qualche nucleo abitato Pascoli e praterie a Sesleria autumnalis Castagneti 300 m Schematizzazione della vegetazione nei versanti settentrionali e nelle stazioni ombrose (R. Spinetta 1998). no. Gli uomini dell Età del Rame (4000 anni fa) attaccarono dunque massicciamente il bosco ad abete bianco nelle zone sommitali allo scopo di diradarlo per accrescere le aree di pascolo (transumanze). Avvicinandosi poi a passi da gigante al nostro millennio, abbiamo soprattutto due emergenze culturali da riscoprire: il seccatoio e la carbonina. È, inoltre, interessante riscoprire la tecnica del ronco per cui si rimanda ai successivi capitoli. E dopo questo breve preambolo, che può essere approfondito grazie alla nutrita bibliografia in appendice, sembra opportuno riemergere nel presente dell ampio e variegato mantello di verde che ricopre i rilievi e le colline del territorio comunale di Neirone. Ma quanti boschi ci sono nel Comune di Neirone? Non abbiamo dati specifici, ma si osserva subito, anche da una generica visuale dall alto, la grande copertura di castagneti, boschi misti, arbusteti alti ad erica arborea, faggete di crinale e persino grandi appezzamenti di cerri nell area del M. Spina e del M. Cavello, dove sono presenti anche numerosi esemplari di cerrosughera (Quercus crenata), un interessante ibrido tra il cerro e la quercia da sughero. Soffermiamo quindi la nostra attenzione sulla qualità della copertura boschiva. Quali boschi? In tutto l Appennino la vegetazione forestale, dal punto di vista fitogeografico, è stata divisa dai tempi storici in: - Lauretum - Castanetum - Fagetum - Picetum - Alpinetum e cioè in boschi tipici e peculiari differenziati da specie più termofile, sino a specie più adatte a climi freddi umidi e secchi. Nell Appennino ligure orientale, alle esposizioni e altitudini esistenti si trovano soprattutto boschi e coperture appartenenti al Lauretum, Castanetum e Fagetum. Quindi, a seconda dell altitudine e dell esposizione che ad essa si combina, si possono distinguere: - boschi di sclerofille sempreverdi o misti con

46 Boschi autunnali nell alta valle del Neirone (foto R. Spinetta). caducifoglie, ma con dominanza delle prime; - boschi termofili e subtermofili di caducifoglie; - boschi mesofili di caducifoglie. Da quanto si osserva sul campo, si può affermare che l esposizione dei versanti è, senza dubbio, uno dei fattori ambientali e climatici fondamentali da cui dipende la distribuzione della vegetazione sul territorio. Essendo la catena montuosa principale quasi parallela alla costa, le differenze microclimatiche tra i versanti esposti a Sud e quelli esposti a Nord sono notevoli. In generale, da quanto ricavato dagli studi fitosociologici (R. SPINETTA 1998), le classi maggiormente rappresentate sul territorio sono quelle degli Arrhenatherethea e dei Festuco- Brometea, per quanto riguarda le formazioni erbacee, quelle dei Querco-Fagetea e dei Quercetea robori-petraea nelle formazioni arboree ed arbustive. La classe dei Quercetea ilicis è presente con un numero relativamente alto di specie caratteristiche. Infine, sono ben rappresentate le classi la cui diffusione è influenzata dall in- tervento antropico. Di esse, quelle presenti col maggior numero di specie sono le Chenopodietea, Secalinetea, Onopordetea, Thero Brachypodietea, soprattutto nella vegetazione dei vigneti. Le numerose classi citate denominate con nomi latini che altro non sono che l espressione scientifica dei tipi principali di specie che formano boschi ed aggruppamenti vegetali in zona, dimostrano come il territorio possegga le caratteristiche climatiche e di suolo idonee a diverse tipologie di vegetazione. Le classi fitosociologiche riscontrate sono, però, caratterizzate da un numero più o meno elevato di specie nelle diverse stazioni a seconda dell esposizione prevalente dei versanti in cui esse si localizzano. Si può pertanto schematizzare la distribuzione altitudinale delle tipologie vegetali. Le osservazioni riguardano, in particolare, il versante settentrionale dei Monti Rocio e Spina e di una limitata area del M. Caucaso e il versante sud occidentale dei Monti Caucaso, Rocio, Cavello e Spina. Nell intervallo altitudinale che va dai 150 m ai

47 Plantula di faggio (foto R. Spinetta) m sono stati osservati i seguenti ambienti vegetazionali: - Vegetazione idrofila degli ambienti umidi e ripariali Essa è stata riscontrata presso i ruscelli e là dove si formano zone di ristagno d acqua a diverse altitudini, ma di preferenza nelle aree di fondovalle, in corrispondenza dei corsi d acqua maggiori. In questo ambiente sono state rilevate anche le classi Querco-Fagetea e Populeta albae. - Vegetazione degli ambienti ruderali È frequente in tutte le aree a forte influenza antropica: ruderi di stalle e vecchi ovili, case contadine abbandonate. Sebbene sia stata riscontrata soprattutto nei versanti a solatio, si hanno raggruppamenti vegetali di questo tipo anche in aree più fresche esposte a Nord. Mentre nelle stazioni meridionali si hanno associazioni vegetali di specie prevalentemente termofile, in quelle settentrionali si associano alle termofile anche specie mesofile degli elementi europeo-eurasiatico e paleotemperato. - Vegetazione degli uliveti promiscui e dei castagneti Gli uliveti sono stati impiantati nei versanti meridionali ad altitudini comprese tra i 200 e i 500 m circa. I castagneti coltivati sia nelle aree esposte a Meridione che a Settentrione, sono più estesi nei versanti settentrionali, dove non arrivano di solito ad altitudini superiori agli 800 m circa. - Vegetazione dei querceti I querceti sono distribuiti in numerose stazioni sul territorio. Il loro massimo sviluppo si ha nelle zone in cui l esposizione e le condizioni del suolo sono loro favorevoli. I querceti a roverella si trovano ad altitudini massime di 500 m circa, non formano mai popolamenti fitti e la vegeta

48 Pruno spinoso (foto R. Spinetta). zione che si sviluppa in essi è di solito costituita da specie termofile o xerofile, in stazioni particolarmente aride. Le leccete si sviluppano ad altitudini comprese tra i 200 e i 400 m circa quasi esclusivamente nei versanti meridionali. Non formano di solito popolamenti estesi. In essi si sviluppa una vegetazione termofila ricca di specie mediterranee e soprattutto dell elemento stenomediterraneo, sebbene si ritrovino, talvolta, specie europee ed eurasiatiche. - Vegetazione delle lande alte e degli arbusteti È un tipo di vegetazione che si sviluppa facilmente in una fascia altitudinale compresa tra i 200 m e i 700 m con una netta preferenza per i versanti meridionali. Le lande alte ospitano poche specie, solitamente termofile, mentre gli arbusteti sono caratterizzati da una maggior ricchezza specifica. - Vegetazione delle praterie submontane e montane Sono molto diffuse le praterie a felce aquilina (Pteridium aquilinum(, favorite dai frequenti incendi registrati nella zona. Nelle stazioni soleggiate, oltre ad esse, si possono osservare estese praterie a paleo (Brachypodium pinnatum). - Vegetazione delle lande basse a brugo (Calluna vulgaris) Le brughiere si diffondono nelle aree di crinale in stazioni caratterizzate da elevata umidità atmosferica. In esse crescono alcune specie igrofile. Nelle stazioni umide e fredde si hanno piccoli lembi di landa bassa ad Erica carnea. - Vegetazione delle praterie xerofile secche e stadio prenemorale della faggeta Nell intervallo altitudinale m, nei versanti volti a Meridione, si possono riscontrare prati aridi caratterizzati da una vegetazione pioniera data da specie frugali come festuca (Festuca robustifolia) e piantaggine (Plantago ser

49 Sorbo degli uccellatori (foto R. Spinetta). pentina). Nelle aree esposte a Settentrione troviamo, invece, l ambiente di faggeta presieduto da arbusteti alti a sorbo (Sorbus aria), pioppo (Populus tremula), lampone (Rubus idaeus) che ne costituiscono la fase prenemorale. Nel dettaglio nel comprensorio della Media ed Alta Val Fontanabuona, grazie alla morfologia del territorio e al suo clima mitigato, troviamo entrambe le tipologie di bosco. - Boschi di sclerofille sempreverdi In alcune aree soleggiate, sugli spuntoni di roccia e nelle zone ad elevata pendenza dove i raggi solari hanno una forte incidenza, si insediano lembi di lecceta con estensioni massime di circa 500 mq. Le leccete più caratteristiche sono situate sulla destra orografica del torrente Neirone, a Neirone, in numerose stazioni tra gli arbusteti che si incontrano sopra la strada Gattorna-Neirone e a Ognio, nei pressi di Cerisola. Solo in alcuni siti formano popolamenti fitti in cui non vivono che poche specie mediterranee e dove gli arbusti di Erica arborea hanno acquisito un portamento contorto in cerca di luce. Al contrario di quanto si osserva di solito nelle estese leccete che si collocano nel piano basale presso o non molto lontano dalla costa ligure orientale (es. M. Rosa-Montallegro-Rapallo, Portofino, Punta Manara, Cinque Terre), i lembi di lecceta censiti in questo territorio possiedono un buon numero di specie dello strato arbustivo e quindi del sottobosco. Nello strato arboreo, benché predomini per abbondanza il leccio, sono presenti anche la roverella, il frassino e raramente il castagno. Allo strato arbustivo ed erbaceo appartiene un minor numero di specie rispetto a quelle rilevate in altri aggruppamenti vegetali. Nello strato arbustivo sono frequenti: Erica arborea, Quercus ilex, Genista pilosa. Le specie erbacee che appartengono alle maggiori classi di frequenza sono, invece, Rubia peregrina e Asplenium adianthumnigrum. Oltre ad Erica arborea, è presente il viburno

50 Corniolo (foto R. Spinetta). (Viburnum tinus), una specie sporadica sul territorio che può essere rinvenuta, con maggior probabilità, in questi raggruppamenti termofili. Tra queste specie, molte sono mesofile e sciafile (Hieracium racemosus ed Hieracium sylvaticum). Prevalgono specie come: Rubia peregrina, Asplenium adianthum nigrum, Viburnum tinus, Carex distachya, Smilax aspera, Laurus nobilis, Crataegus monogyna e Rubus ulmifolius. In base a quanto constatato dai rilievi eseguiti, dalle tabelle fitosociologiche e dagli spettri relativi, si può concludere che la lecceta rappresenta nel territorio un caso limite di mediterraneità in cui si associano numerose specie prettamente mediterranee con altre a distribuzione europeaeurasiatica. - Boschi termofili e subtermofili di caducifoglie La vegetazione forestale spontanea meglio rappresentata nell area in esame è quella delle cerrete. La cerreta occupa una vasta parte del versante orientale e nord orientale dei Monti Spina e Rocio e parte del versante orientale e settentrionale del M. Cavello e della Fonda, dove in aree limitrofe ci sono località note con toponimi come Seri o Serrè, a dimostrare che probabilmente un tempo quelle cerrete dovevano essere piuttosto estese e conosciute. Nei boschi sono presenti, oltre a Quercus cerris, Fraxinus ornus e Castanea sativa, entrambe caratterizzate da bassi valori di abbondanzadominanza. Nello strato arbustivo sono presenti diverse specie. Le essenze arbustive che, nelle tabelle, appartengono alle classi di frequenza più elevate sono: Genista pilosa, Erica carnea, Erica arborea e Quercus cerris. Lo strato erbaceo presenta molte specie con classe di frequenza alta che possono pertanto essere considerate molto fedeli rispetto a questo tipo di vegetazione. Tra le specie erbacee, Oryzopsis miliacea e Brachypodium pinnatum sono quelle con i valori di abbondanza-dominanza più elevati. Il fatto che si abbiano molte specie bulbose, tra cui alcune maggiormente diffuse ad altitudini

51 Coronilla (foto R. Spinetta). superiori, può far pensare che nei territori ricoperti dalle cerrete esaminate si abbiano durante l anno temperature leggermente minori ai valori medi ricavati dalla stazione termopluviometrica di Neirone. Ci sono, inoltre, specie subatlantiche (Cytisus scoparius) e anfiatlantiche (Calluna vulgaris). Esse sono state spesso riscontrate nelle aree di schiarita. Nel versante nord-orientale sono presenti Vaccinium myrtillus, una specie circumboreale e Trifolium medium, una specie eurasiatica; esse si adattano perfettamente al microclima fresco e umido della cerreta. In base a quanto osservato sul campo, mentre Trifolium medium tende a formare popolamenti discontinui ai bordi del bosco e nelle aree in cui il suolo possiede uno strato umifero e di lettiera ben sviluppati (il ph del suolo misurato in questo orizzonte è pari a 5), Vaccinium myrtillus si colloca invece nelle radure boschive, dove talvolta risulta essere associato a Molinia coerulea. Lo strato erbaceo, com è già stato detto, è costituito per la maggior parte da Oryzopsis miliacea, una specie Pioppo tremolo (foto R. Spinetta). mediterranea la cui diffusione è legata all influenza antropica. Nella cerreta di M. Cavello, invece, accanto ad essa, nello strato erbaceo, troviamo Sesleria autumnalis, una specie a distribuzione S-E europea, igrofila, legata in altre aree agli ambienti di faggeta. Infine, si può osservare la presenza dell elemento endemico a cui appartengono Digitalis micrantha e Festuca robustifolia. Un altra formazione vegetale, situata di preferenza nei versanti esposti a solatio e nelle aree piuttosto acclivi, è il querceto a Quercus pubescens. La roverella, a giudicare dagli alberi secolari distribuiti sul territorio, è una specie arborea caratteristica che si è ben adattata alle condizioni climatiche e alle proprietà dei suoli di questa parte della Val Fontanabuona. Nonostante ciò, la troviamo raramente in popolamenti puri ; più spesso forma con l orniello, il leccio, il castagno e a volte il cerro boschi misti tipici di stazioni collocate su pendii soleggiati, dove il suolo

52 Ginestra bitorzoluta (foto R. Spinetta). è poco potente, ricco in argilla e con valori di ph intorno ai 4,5, com è stato ricavato da un campione prelevato in località Montefinale. Oppure si associa all Erica arborea a formare arbusteti alti e fitti, che testimoniano in qualche caso i ripetuti passaggi del fuoco nella zona. Talvolta la pianta rimane sotto forma arbustiva a causa delle parassitosi da cui è colpita. I principali parassiti sono: Biorrhiza pallida (Imenotteri- Cinipoidei), le cui galle sembrano essere diffuse soprattutto sulle piante più mature e Mycrosphaera alphytoides, un oidio (Ordine Erysiphales) che, a causa dell elevata media annua delle piogge e della conseguente umidità atmosferica, si diffonde e si sviluppa facilmente rallentando molto l espansione dei querceti a roverella. I boschi misti che si formano sono distribuiti nelle stazioni secche e soleggiate dove la pendenza oscilla tra 25 e 40. La struttura del manto vegetale è tipica di un bosco misto. Abbiamo tutti gli strati: arboreo, arbustivo, erbaceo e muscinale. Allo strato muscinale appartengono anche alcune specie di licheni. Lo strato erbaceo, infine, è quello con il maggior numero di specie. I muschi e i licheni non danno mai alti valori di copertura. Nei boschi misti sono associate specie appartenenti a numerose classi fitosociologiche: Querco- Fagetea, Festuco-Brometea, Quercetea ilicis, Quercetea robori-petraea e Arrhenatheretea sono quelle maggiormente rappresentate. - Boschi mesofili di caducifoglie Nei castagneti da frutto presi in esame, la vegetazione si distribuisce su tre strati: arboreo, arbustivo, erbaceo. Lo strato arboreo è formato da poche specie, tra cui Castanea sativa prevale per abbondanza e dominanza sulle altre. Nello strato arbustivo si hanno numerose specie. Si tratta di specie sciafile o idrofile. Le specie più frequenti sono: Festuca heterophylla, Luzula albida, Avenella flexuosa, Brachypodium rupestre e Lathyrus montanus. Tra le erbacee, le specie più frequenti sono: Avenella flexuosa, Brachypodium rupestre, Luzula

53 Sorbo montano (foto R. Spinetta). albida e Festuca heterophylla. Le specie mediterranee, invece, pur essendo numerose, non formano popolamenti omogenei o estesi. La vegetazione dei castagneti è estremamente eterogenea, a causa dell influenza antropica. Sono presenti, infatti, specie come: Luzula albida, Hedera elix, Physospermum cornubiense, Anemone trifolia, Geranium purpureum, Tamus communis, Hieracium racemosum, Rubus sp. Si può notare anche la presenza di specie Rubia peregrina ed Erica arborea; esse si collocano, però, nelle schiarite e nelle aree marginali del castagneto. La pulitura dei castagneti prevede infatti la bruciatura delle sterpaglie e lo sfalcio, pratiche che favoriscono il diffondersi di specie erbacee quali: Anthoxanthum odoratum, Silene vulgaris, Holcus lanatus, Vicia incana, Pteridium aquilinum. L esistenza di specie dei Plantaginetea majoris, Chenopodietea, Onopordetea, Secalinetea, non legate ai castagneti, può essere dovuta alla presenza di aree di calpestio che si creano soprattutto in seguito all azione dei cinghiali. Nei boschi mesofili e freschi troviamo il maggiociondolo, il sambuco rosso, la ginestra pelosa, il sambuco nero, il mirtillo, il sorbo montano, il sorbo degli uccellatori, l erica carnea, il pioppo tremolo. Nei boschi più esposti a Sud e quindi piuttosto caldi crescono, invece, ginestre, salsapariglia, erica arborea, sanguinella, pepe montano, biancospino e prugnolo. Nel dettaglio, tutte queste specie hanno caratteristiche e proprietà diverse, ma adattamenti climatici ed ecologici simili. Di seguito, si riportano alcune schede sintetiche che descrivono gli arbusti più rappresentativi. Il maggiociondolo (Laburnum anagyroides Medicus). Viene detto anche avorniello o cantamaggio. Fiorisce da maggio a giugno ed ha corolle d un bel giallo vivo da cui poi si sviluppano legumi tristemente noti per la loro velenosità. Simile al maggiociondolo comune, ma più adatto alle temperature più rigide, è il maggiocion

54 Maggiociondolo (foto R. Spinetta). dolo alpino (Laburnum alpinum) presente con pochi esemplari. Si distingue dal primo a causa dei rami glabrescenti e quindi più lisci. Ha, inoltre, una fioritura tardiva rispetto al primo. È molto frequente nelle medie e alte quote del M. Antola. Il sambuco rosso (Sambucus racemosa). È un arbusto voluminoso con bacche rosse in grappoli. Può essere velenoso e quindi, al contrario del suo parente termofilo, il sambuco nero, non è utilizzabile per sciroppi e marmellate. Vive con pochi esemplari nei crinali delle montagne ai confini settentrionali del territorio comunale. Il mirtillo (Vaccinium myrtillus). È un vicino parente dell erica; ha infatti fiori a campanella bianchi o rosati dalla cui metamorfosi derivano succulente e nere bacche ricche di vitamine. La ginestra pelosa o ginestra tubercolosa (Genista pilosa, L). È un suffrutice dai fiori gialli e delicati. Vive nei prati montani e fiorisce da maggio a luglio. Il sorbo montano (Sorbus aria (L.) Crantz). È Sambuco nero (foto R. Spinetta). detto anche farinaccio o rialto. È noto per le sue foglie bianche e pelose nella pagina inferiore. Ha petali color bianco latte e vive nei boschi freschi di latifoglie, soprattutto nei querceti e nelle faggete. Il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia L.). Ha una fioritura abbondante da cui scaturiscono a luglio dei frutti rossi vivacissimi. Il pioppo tremolo (Populus tremula). È un alberello curioso con foglie rotondeggianti e seghettate disposte su rami flessibili che vibrano al vento, come i salici, facendo ondeggiare ( tremare e da qui deriva il nome della specie) le foglie che sono color verde acqua e rigide. Se ne trovano diversi popolamenti sul M. Caucaso, ma non è raro trovarli lungo i margini dei boschi umidi e degradati di tutto il territorio. L erica carnea (Erica carnea). Fa parte della famiglia delle eriche a cui appartengono il brugo e l erica arborea. È più rara delle precedenti e possiede fiorellini di un bel rosa vivace. Viene anche chiamata erica carnicina o più

55 Rosa canina (foto R. Spinetta). comunemente scopina. Fiorisce nei castagneti e nelle aree altocollinari e montane da febbraio a giugno. Tra le innumerevoli specie che caratterizzano i boschi termofili e quindi castagneti collinari, querceti e boschi misti, ricordiamo le più appariscenti e caratteristiche del territorio: le ginestre, la salsapariglia, l erica arborea, il brugo, la sanguinella, il pepe montano, il biancospino, il prugnolo, il cisto, la fusaria. Le ginestre sono arbusti comuni con fiori gialli e fitti. Sono presenti soprattutto nei boschi o nelle lande ahimè frequentemente interessate da incendi. Alcune hanno invece bei colori rosati: sono le ononidi, rare e tipiche dei prati a pascolo e delle radure boschive ruderali. Tra le ginestre gialle presenti nelle boscaglie di Ognio, Rosasco e Neirone ci sono di tanto in tanto fitte boscaglie a citiso scopario (Cytisus scoparius (L.) Link). Questa ginestra è comunissima nelle brughiere su terreni acidi ed erosi dagli incendi. In Italia è presente un po ovunque, tranne in Antichi pascoli e vie di comunicazione nell area di Faggiorotondo (foto R. Spinetta). Puglia. Un'altra varietà di ginestre sono le coronille o ciondolini. La coronilla a cornetta o dondolina è nota per i suoi legumi penduli e incurvati, ha rami flessuosi e fiori color giallo chiaro. Vive a quasi ogni quota nell Appennino ligure, da 0 a 1650 metri s.l.m. È una specie tenace e resistente. Un altra ginestra, questa volta ricca di spine, è lo sparzio spinoso (Calycotome spinosa). Si tratta di un arbusto tipico dei boschi degradati e degli arbusteti dei terreni acidi. Il suo nome dialettale è spinone. È una delle essenze preferite da conigli e lepri, viene respinta, invece, dagli ungulati per le sue spine indigeste e pungenti. L ononide (Ononis spinosa L.) viene detta anche borraga o arrestabue; ha una bella corolla roseovinosa e vive negli ambienti aridi. La salsapariglia è un arbusto strisciante e spinoso. È un buon rampicante e, viste le fitte boscaglie intricate che forma, viene detto anche stracciabraghe. Il nome scientifico è Smilax

56 Il doronico austriaco nelle faggete del M. Lavagnola (foto R. Spinetta). aspera. Ha bacche scurissime e possiede foglie cuoriformi, lucide e persistenti e vive, coerentemente a queste sue caratteristiche, negli ambienti aridi e mediterranei del comprensorio: leccete, boscaglie a roverella, lande alte ad erica arborea. La si trova frequentemente nei boschi termofili di Montefinale. L erica arborea (Erica arborea L.). Nota in dialetto come brugo, è un arbusto comunissimo che forma fitte lande alte soprattutto nei versanti esposti a solatio e nelle aree interessate dal passaggio degli incendi. Denominata anche radica, questa essenza è stata utilizzata da sempre per la fabbricazione delle pipe da tabacco. È una specie che tollera il fuoco e difficilmente subisce rapida combustione. In gergo botanico viene definita specie pirofila. Nel mese della fioritura si ricopre di campanelline del colore della neve che rimangono attaccate ai vestiti e ai capelli dei prodi escursionisti che si addentrano negli arbusteti. Ricordiamo che esistono molti toponimi che ricordano la grande diffusione di questa essenza sul territorio: p. es. Brugheira è un grande appezzamento boschivo ai confini tra Moconesi e Neirone, ai contrafforti meridionali dei Monti Rocio e Cavello. Il brugo (Calluna vulgaris). È un suffrutice fitto e alto fino a un metro. Ha vivaci fiorellini di color roseo-vinoso, raramente più chiari. È un altra specie pirofila, cioè tollerante nei confronti degli incendi. Tipica delle brughiere nordiche, vive nell Appennino nelle aree di crinale, in prossimità dei fronti di confine delle masse d aria calda provenienti dal Golfo Ligure e quelle d aria fredda d oltre Appennino. È sempre più diffusa nelle zone colpite da incendio. La sanguinella o corniolo. Si trova in tutte le aree temperate della penisola italiana, con due specie diverse: il corniolo sanguinello (Cornus sanguinea, L.) e il corniolo maschio (Cornus mas, L.). Le varietà che si ritrovano nei nostri boschi sono del tutto spontanee. Il più comune è il sanguinello; il corniolo maschio ha bacche rosse e si trova frequentemente nel bacino della Val

57 Il croco napoletano (foto R. Spinetta). Trebbia. Nei boschi misti del versante meridionale del territorio di Neirone è più comune la sanguinella con drupe sferiche nere come porpora e rami giovani arrossati da cui il nome della specie. Il suo parente coltivato Aucuba Japonica, Thunb non ha nessuna capacità di inselvatichire. Il pepe montano (Daphne laureola, L.). Detto anche dafne laurella o laureola, è un cespuglio con corteccia grigio-rosea. Vive bene nei boschi di castagno. Ha una drupa elissoide rosso-nerastra e fiori biancastri. È un genere protetto dalla legge regionale. È velenosa come molti dei suoi parenti montani tra cui la terribile camalea (Daphne mezereum, L.), un tempo usata come veleno: bastano infatti 8 delle sue bacche per uccidere un uomo. Il biancospino (Crataegus monogyna). Detto anche biancospino comune o azaruolo selvatico è un arbusto con corteccia compatta grigio aranciata. È tipico di cespuglieti e siepi di boschi xerofili degradati. Fiorisce in aprile e maggio. Pratoline (foto R. Spinetta). Ha le foglie profondamente incise. Il prugnolo (Prunus spinosa, L.) o vegro, è un altra rosacea, così come il biancospino. Ha fiori bianchi e spesso isolati, lunghe spine e frutti sferici blu nerastri, usati localmente per aromatizzare grappe e liquori. Fiorisce in marzo-aprile ed è piuttosto comune. La fusaria o berretto da prete (Eounymus europaeus). È un arbusto con frutti rossastri piccoli e legno con odore di mela. È comune nei boschi europei soprattutto in querceti e castagneti. Il cisto femmina (Cistus salvifolius). È un arbusto generalmente sempreverde con la corteccia grigiastra e le foglie grinzose e verdi. I fiori sono grandi, bianchi e con fondo giallo. Vive nelle aree soleggiate e nei prati aridi. È noto in dialetto come Custu martin, in correlazione alla sua fioritura che inizia a marzo. I prati e le fasce Nell area di Corsiglia, Forcossino, Rie Russe e

58 Eliantemo giallo (foto R. Spinetta). Roccatagliata esistono numerose fasce, zone ruderali, dette così dai contadini della Val Fontanabuona. Non solo l alto comprensorio di Neirone possiede prati ricchi di tradizione e biodiversità, ma anche l area di valle e bassa collina: Donega, Ognio, Orticeto, Montefinale, Rosasco. Ma cosa è possibile incontrare in un ambiente coltivato, oltre alle colture e all indimenticabile fatica e passione dei nostri nonni? Ci sono forme di vita preziose per gli ecosistemi prativi, vegetali e animali che vivono in un perfetto equilibrio dinamico. I prati che troviamo nel territorio ligure derivano da pascoli che, a loro volta, sono frutto del diradamento dei boschi. Gli spazi ampi che si sono creati in passato tra le boscaglie hanno ospitato dapprima le specie eliofile, cioè amanti della luce del sole. Queste sono state, in alcune situazioni, sostituite dalle varietà colturali e gli spazi prativi sono divenuti artificiosi spazi agrari. Le aree lasciate a pascolo si sono arricchite di specie arbustive: ginepro (Juniperus communis), Prugnolo (Prunus spinosa), serpillo (Thymus serpyllum). Altre specie si sono diffuse grazie agli oli essenziali posseduti, come la menta (Mentha spp) o la santoregia (Satureja spp); altre ancora, perché velenose, hanno resistito al pascolo: ranuncoli, euforbie, ipperici e alcune composite. Ed è questa la composizione di molti pascoli di quota dell area del M. Caucaso, dove a maggio immense distese di erba di San Giovanni (Ippericum perforatum) ingialliscono le zone limitrofe alla vetta. Con l evolversi delle abitudini agricole si sono poi formati prati pingui, cioè con terreni molto ricchi in nitrati, e prati falciati, dove i tagli tardivi hanno permesso la diffusione di erbe in grado di ricrescere rapidamente. Ne sono un esempio i prati a tarassaco e carota selvatica distribuiti a lembi a Cerisola e Montefinale e, in genere, su tutto l Appennino. I prati a croco che si scorgono, in autunno, presso Corsiglia e Roccatagliata, hanno subito nel

59 Orchidea palermitana (foto R. Spinetta). passato sia pascolo che sfalci. I crochi, i colchici e le primule sono infatti specie con grande capacità rigenerative, grazie alla presenza di bulbi (nei primi) e alla fioritura precoce, che comporta la formazione dei semi prima che avvenga il primo taglio. Le piante erbacee che troviamo nei prati sono spesso graminacee, precorritrici delle varie cultivar di grano e foraggi vernini selezionati in agricoltura. Tra le erbe presenti nei prati e nelle fasce citiamo, poiché comuni: l erba cornetta (Lotus corniculatus), il trifoglio (Trifolium pratense), la borracina (Sedum rupestre), le orchidee (Orchis spp), il timo (Thymus polytricus e T. serpillum), il falso tarassaco (Leontodon hispidus), la sanguisorba (Sanguisorba minor), le serapidi (Serapias spp.), i garofanini dei prati (Dianthus carthusianorum e D. seguierii), l erba lucciola (Luzula campestre), l erba medica (Medicago lupulina), il latiro montano (Lathyrusus pratensis), la stachide (Stachys recta), Campanula a foglie di pesco (foto R. Spinetta). il vincetossico (Vincetoxicum hirundinaria). I prati sono scrigni di vita e laboratori di biodiversità anche per la fauna. Lepri, pispole, passeri, tipule, bombi, sirfidi, solitari, licenidi, curculionidi, coccinelle, lumache, cimici, lepidotteri, cavallette, topi campagnoli sono solo alcuni dei vivaci ospiti degli ambienti prativi. Vegetazione e flora A questo punto del nostro percorso nella natura del Comune di Neirone nasce l esigenza di distinguere la vegetazione dalla flora. Vegetazione e Flora sono due termini usati in gergo botanico nel descrivere il verde presente in un area, ma hanno due significati differenti. Per vegetazione si intende la copertura di specie presenti in un territorio: boschi, prati, pascoli sono tipologie di vegetazione. Si parla, invece, di flora quando elenchiamo l insieme delle specie (elenco floristico) che compongono una coper

60 Sassifraga (foto R. Spinetta). tura vegetale. A questo proposito, può essere interessante ricordare che le specie hanno un certo grado di fedeltà al tipo di vegetazione a cui appartengono. Un esempio: nella faggeta del M. Lavagnola troviamo il doronico di colonna, l anemone nemorosa, l ontano bianco, il maggiociondolo. Ebbene, nei boschi del Monte degli Abeti (Val d Aveto), nell area del M. Antola e nelle faggete del M. Beigua ci sono le stesse specie, legate, per le loro esigenze climatiche ed edafiche, all ambiente di faggeta. Stessa correlazione si può fare per i boschi mesofili di mezza quota, dove si trovano in simili condizioni ambientali le stesse specie tipiche di determinate situazioni vegetali. La flora Nel territorio della Val Fontanabuona esistono oltre 1000 specie floristiche censite o da censire. Ovviamente, vista la complessità ambientale Bocca di leone maggiore (foto R. Spinetta). dell area in esame, non le elenchiamo tutte, bensì ne citiamo alcune, suddividendole in: - Specie rare e degne di salvaguardia - Specie endemiche o endemiti - Relitti glaciali - Relitti terziari - Relitti serpentinicoli Tutte queste sono considerate come essenze vegetali particolarmente rare e appariscenti o con una storia evolutiva particolare, come nel caso dei relitti. Tra le specie rare il comprensorio di Neirone annovera diversi esemplari tra quelli in elenco nella Legge Regionale 30 gennaio 1984 n. 9 ( Norme per la protezione della flora spontanea ). Delle specie enunciate nella Tabella A esistono nell area l aquilegia o amor nascosto (Aquilegia spp.), il ciclamino (Cyclamen hederifolius), il giglio di San Giovanni (Lilium bulbiferum, L.), l ofride (Ophris spp.). Tutte queste specie, appartenendo alla tabella A

61 Bucaneve (foto R. Spinetta). di suddetta legge, non possono essere raccolte, né danneggiate perché sono in pericolo di estinzione nel territorio regionale. Della tabella B (specie che non possono essere raccolte perché con caratteristiche vegetali particolari: specie a cuscinetto) sono presenti la sassifraga e il semprevivo negli affioramenti di calcescisti del M. Lavagnola. Infine, numerose sono le specie presenti contenute nella tabella C, per cui è consentita la raccolta straordinaria di non più di cinque esemplari al giorno a persona; ovviamente, nell area le specie dette sono talmente rare da consigliarne la tutela integrale. Le specie sono: arnica montana (Arnica montana, L.), dafne (Dafne laureola), dente di cane (Erythronium dens-canis, L.), bucaneve (Galanthus nivalis), genziana asclepiadea (Gentiana asclepiadea), varie specie di orchidee (Orchis spp), la scilla a due foglie (Scilla bifolia, L.). Quasi tutte queste specie sono officinali: la regina, in questo, è l arnica, rarissima su tutto il territorio della Val Fontanabuona, gialla e solare e con due sole foglie opposte crassulescenti. Anche l asclepiade o genziana asclepiadea è una specie officinale. Asclepio, da cui essa prende il nome, era il dio greco della medicina. Il dente di cane ha foglie leopardate e delicati fiori rosa; rallegra le faggete e i boschi di cerro all inizio della primavera. Questa bulbosa ha avuto usi curiosi in Liguria: le sue radici (bulbi) erano usate da aromatizzanti per la preparazione delle torte quando le nostre bisnonne non potevano acquistare essenze ed aromatizzanti al supermercato. Il pungitopo, infine, è una specie piuttosto diffusa nel territorio comunale. Noto per gli addobbi e l atmosfera natalizia è un importante esempio di adattamento ecologico di una specie. Le sue foglie verdi, in realtà, sono rami trasformati e ricchi di cloroplasti e clorofilla con cui tutta la pianta, che vive in luoghi ombrosi, riesce ad adempiere alla funzione clorofilliana nonostante la carenza globale di luce del suo ecosistema. Questi rametti simili a foglie si

62 Campanula dei Medi (foto R. Spinetta). chiamano cladodi e si arricchiscono di vivaci bacche rosse da novembre a gennaio. Tra le specie rare, non elencate nella legge regionale, citiamo l agrifoglio (Ilex aquifolium); essenza tipica del periodo di Natale, che predilige i climi caldi ed umidi e si rifugia, per questo, nelle vallecole e nelle aree riparate ed umide dei boschi. Altre piante da ricordare sono: il gladiolo italico, molto comune un tempo nei vigneti, la cefalantera (Cephalantera longifolia),un orchidea bianca con lunghe foglie che vive nei boschi misti, l orchidea elleborina (Epipactis elleborine), la gimnadenia (Gymnadenia conospea), una delicata orchidea tipica di uliveti e aree calde, l orchidea abortiva (Limodoruma abortivum), una pianta saprofita, che vive quindi su piante morte o alla base delle radici dei castagni e di altri alberi di cui diventa parassita. Essa è facilmente riconoscibile perché priva di clorofilla. Tra le orchidee, infine, non si possono dimenticare il viticcino (Spiranthes spiralis) e l orchidea piramidale (Anacamptys piramidalis), rara ma frequente nei pascoli montani. Le specie endemiche, o endemiti, sono essenze rare perché con areali ristretti o localizzati. Tra le specie endemiche tipiche dell area di Neirone esiste l erba solferina, un endemismo alpicooccidentale. Viene detta anche erba dei pidocchi poiché un tempo era usata come insettifuga o insetticida. Ricordiamo anche, per la bellezza delle sue corolle, l orchidea palermitana (Orchis patens), rara e quindi protetta, ma anche a distribuzione frammentaria. È veramente particolare per le sue ali (la parte distale del fiore) rigate di un segmento nero-verde. Nelle bordure dei querceti e nei prati a sfalcio più caldi e ventilati cresce la campanula media (Campanula media), un subendemismo etruscoligure-provenzale con irradiazioni che raggiungono, a Nord, la Valle d Aosta. Il suo nome deriva dalle sue origini: è la campanula dei Medi, una popolazione dell altopiano iraniano nordoccidentale. Ed ecco una sorpresa! Nelle cenge erbose del M. Caucaso vive il cavolo delle rupi; diffuso lungo il

63 Cerrosughera (foto R. Spinetta). litorale ligure, sale fino a quota m proprio in Val Fontanabuona. È un entità subendemica a gravitazione etrusco-ligure-provenzale. Non è altro che il parente selvatico della varietà orticola. A quote inferiori, nei boschi d alto fusto a castagno, crescono spesso in numerosi esemplari le digitali bianche (Digitalis micrantha), endemismi italiani che sono noti per i fiori a campanula ritorta che attirano e intrappolano gli insetti pronubi. È molto diffusa nei boschi di Corsiglia e Feia. Con le digitali, spesso fioriscono gli anemoni di bosco o silvie. La sottospecie Anemone trifolia ssp. trifolia è rara in Italia, tanto che nel 1998 è stata segnalata sulla Carta della Flora (TAV. 7) del Parco naturale Regionale dell Aveto (M. ZOTTI, R. BERNARDELLO, R. CANEPA, R. SPINETTA 1998). La sua fioritura è delicata e vulnerabile: il nome anemone", infatti, deriva da anemos, che in greco sta per vento. I relitti glaciali sono un altra grande categoria di Tussilagine (foto R. Spinetta). specie peculiari e ricche di storia. Sono resti di ecosistemi antichi, che si svilupparono in periodi climatici freddi del Quaternario (da 700 mila a 80 mila anni fa). Con il cambiamento generale del clima, essi si sono distribuiti di preferenza in zone particolarmente ventilate e fresche presso i siti di crinale o nelle ricche e fredde aree collinari. Il relitto glaciale più noto e diffuso nell Appennino ligure è la sassifraga paniculata o sassifraga alpina. Essa appartiene ad un grosso gruppo di specie che hanno fusti elevati, foglie calcarizzate (assaggiandole, sanno di sale!), margine dentellato e infiorescenza ramosa solo in alto. La sassifraga che troviamo sul M. Caucaso, nell area del Passo del Portello e sul M. Lavagnola, vive in ambienti rocciosi ed ha fiori lattei. I suoi ambienti di vita sono le rupi, gli sfatticci, le ghiaie consolidate, i pascoli pietrosi, indifferentemente su substrati calcarei o silicei. Una curiosità di questa pianta è quella di posse

64 Primula (foto R. Spinetta). dere petali finemente punteggiati di rosso, un trabocchetto per confondere e attirare gli impollinatori. Un altro relitto glaciale, anch esso a fiori bianchi (o raramente rosati) è l antennaria dioica (Antennaria dioica) o sempiterno di montagna, diffusa sui crinali e nei pascoli montani dell Appennino. Essa appartiene alla grande famiglia delle Composite. Ha radici a rizoma legnoso e fusto eretto angoloso e foglioso fino in alto. I capolini bianchi o rosa sono piccole infiorescenze formate da tanti piccoli fiori unisessuati (per questo è detta dioica, poiché ha capolini femminili e capolini maschili). Essi sono spesso portati su fascetti di due o dieci esemplari. I petali sono arrossati negli esemplari femminili. L antennaria vive bene su suoli umificati acidi, nei boschi di latifoglie e conifere, nei cespuglieti, nei pascoli subalpini ed alpini. È una specie circumboreale. Il clima nelle ere ha subito cambiamenti notevoli. Ci sono state ere in cui le temperature e le umidità erano più elevate di quelle odierne. A questi tempi geologici distanti e dimenticati appartengono altre specie relittuali: i relitti terziari. Queste specie termofile hanno i loro antenati nel tardo Paleozoico (circa 345 milioni di anni fa), tempo delle grandi foreste di Licopodi, Equiseti e Lepidodendri. Un ultimo insieme di relitti è quello dei relitti serpentinicoli. Essi sono esemplari legati al tipo di substrato su cui si sono diffusi ed evoluti i loro antenati. Nell area della Val Fontanabuona non esistono serpentiniti: per questo, c è solo una specie, comunque classificata come serpentinicola non esclusiva, che avendo il suo areale regionale maggiore nella Val d Aveto, si trova in alcuni siti anche nei pressi della Rocca Cavallina, sopra alla località Faggio Rotondo. Stiamo parlando della costolina appenninica )Robertia taraxacoides), un piccolo tarassaco giallo con le foglie frastagliate che vive tra le arenarie e nelle aree rupestri del comprensorio. Visti il clima e gli ambienti, particolarmente adatti alla flora rupestre e delle aree umide,

65 Amor nascosto (foto R. Spinetta). meritano una nota particolare le Felci o Pteridofite. Si tratta di piante antichissime dal punto di vista evolutivo, che non hanno fiori e rami. Nelle regioni tropicali hanno un portamento arboreo, mentre nelle aree temperate, come quella ligure montana, hanno un abito erbaceo, pur raggiungendo a volte anche i due metri di altezza. Il fusto è spesso metamorfosato in un rizoma sotterraneo, per cui sono visibili solo le fronde (erroneamente chiamate foglie). Quello che si vede all aria aperta si chiama sporofito e dà origine alle spore. Le spore sono spesso portate nella pagina inferiore o ai margini delle fronde. Le fronde sono spesso molto grandi e innervate, anche se, a volte, sono piccolissime e divise, come nel caso di alcune specie di asplenio. Portano le spore in sporangi, spesso riuniti in gruppi detti sori. Sono conosciute come fossili a partire dal Devoniano e Carbonifero. Le vallecole del territorio comunale di Neirone Genziana asclepiadea (foto R. Spinetta). sono umide e spesso calde per l esposizione dei versanti. Le felci più comuni vivono lungo le sponde dei torrenti, lungo i rii e i piccoli corsi d acqua. Ci sono diverse specie di felci che vivono negli interstizi delle pietre nei muretti a secco, altre vivono sulle cortecce dei vecchi alberi. Occorre curiosità per osservarle, ma sono molto più diffuse di quanto si creda. Tra le più comuni c è la felce aquilina (i comuni frecci ), una pianta infestante che vive in immense praterie ove ci sono frequenti casi di incendio. Diamo ora uno sguardo d insieme alle felci più particolari e caratteristiche del comprensorio. Selaginella (Selaginella denticulata) È una pianticella strisciante con fusti gracili e prostrati e foglie laterali dentellate. La si trova di solito negli uliveti, nei muri reggifascia. È un relitto terziario, infatti ama rifugiarsi nelle piccole nicchie calde e umide dei muri e tra le pie

66 Ciclamini a foglie d edera (foto R. Spinetta). tre. La selaginella ha in Liguria il suo limite settentrionale. Equiseto (Equisetum, spp) Detto anche coda di cavallo, è presente con numerose specie. Le più comuni nel territorio sono l equiseto dei campi (Equisetum arvense, L.) e l equiseto massimo (Equisetum telmateja Ehrh), entrambi con portamento verticale e con tanti piccoli rametti distribuiti sul tronco come ombrellini concentrici (verticilli). Ogni rametto si divide in cilindri inseriti uno nell altro. Tutta la pianta è ricca di minerali di quarzo (SiO2), in granuli. Per questo dà, al tatto, una sensazione di ruvidezza; un tempo era usata da strofinaccio per pentole e tegami in rame. Capelvenere (Adianthum capillus-veneris L.) È il comune capelvenere che vive spontaneo sulle rocce stillicidiose, nei pozzi, nelle cave abbandonate e nelle sorgenti. Ha una distribuzione ampia, in quanto lo si trova dal litorale fino alle alte quote (da 0 a 1500 m). È curiosa la distribuzione dei sori lungo il margine delle foglioline. Questo è un segno di primitività; infatti, solitamente, i sori si trovano tra le nervature e ben protetti nelle pagine inferiori delle fronde. Pteride di Creta (Pteris cretica, L.) È una specie relittuale che vive nelle rupi ombrose e in muri tra i 100 e gli 800 metri di quota. La foglia con lungo picciolo scuro è divisa in pinne lineari acute. È molto rara, ma è ben presente in tutta l area della Val Fontanabuona. La si riscontra frequentemente negli ingressi di cave abbandonate, lungo i torrenti e negli anfratti riparati delle zone ombrose. Asplenio tricomane (Asplenium tricomanes, L.) È una delle felcette dei muri a secco; è molto comune. Ha le foglie coriacee, verde scuro, pennato-composte con contorno lineare. Il suo nome tricomane deriva dal greco tricos, cioè

67 le (L.) Hoffm) È uno dei più rari ed eleganti abitanti di rupi e muri. Le sue fronde sono ridotte a segmenti lineari dentellati all apice. La pagina inferiore è di solito riccamente ricoperta di sori scuri. Cedracca comune (Ceterach officinarum D.C.) Vive in muri, rupi e macereti. È stata usata un tempo nella farmacopea per le sue spore rinfrescanti; oggi si trova in molte aree terrazzate e nelle rupi. Ha le foglie in rosetta densa, verdi e coriacee di sopra, coperte da uno strato di squame brunastre dall aspetto di peli lanosi nella pagina inferiore. Gladiolo dei campi (foto R. Spinetta). capello o filo. Infatti, dopo la perdita delle pinne laterali, i rachidi (rametti su cui si inseriscono le pinne) sembrano capelli. Asplenio adianto nero (Asplenium adianthumnigrum) È la felce più comune nei boschi termofili e quindi nelle leccete e nelle boscaglie a roverella e cerro. È una pianta con le fronde frastagliate, cioè con le pinne completamente divise. Vive di solito su substrati silicei. Molto simile, ma con le foglie divise in tre setti e non in due, è l asplenio maggiore (Asplenium onopteris), tipico delle leccete. Entrambe le specie vivono dal livello del mare sino a metri di quota. In Sicilia, per esempio, l adianto nero si spinge sino a m di quota. Asplenio lanceolato (Asplenium billotii) Rarissimo in Italia, è presente in Liguria soprattutto in Val Graveglia ed in Val Fontanabuona. Asplenio settentrionale (Asplenium septentriona- Scolopendra comune (Phyllitis scolopendrium) È un gigante tra le felci; infatti le sue fronde, che sono lineari e spesse e con base a cuore, non sono divise, ma larghe ben sei centimetri e lunghe anche mezzo metro. È una specie igrofila ed ombrofila. Ama, quindi, l umidità e l ombra. Vive, per questo, in boschi misti, pozzi e aree stillicidiose soprattutto su substrati a scisti calcarei. Polipodio o falsa liquirizia Sono due le specie più comuni appartenenti al genere polipodio. Il polipodio comune o volgare (Polypodium vulgare, L.), detto anche felce dolce, ha un profilo tozzo e dimensioni ridotte. Assomiglia ad una penna d uccello. Il polipodio sottile (Polypodium interjectum, Shiras) ha, al contrario del primo, un profilo triangolare; ha le foglie più sottili, le pinne quasi sempre acute con il paio basale diretto in avanti. Vive anch esso in rupi e muri ombrosi. Le querce secolari di Montefinale I boschi misti in cui predomina la roverella sono diffusi, anche se in modo frammentario, sul territorio. Le roverelle sono infatti specie molto frugali e ben adattate al passaggio del fuoco. Per questo le troviamo, spesso, anche associate all Erica arborea a formare fitti arbusteti. Gli esemplari più antichi tra la flora arborea sono alcune roverelle situate in località

68 Selaginella denticolata (foto R. Spinetta). Asplenio di Billotti (foto R. Spinetta)

69 Felce dolce (foto R. Spinetta). Montefinale, presso Ognio. Alcuni studi in merito furono fatti dal Corpo Forestale di Gattorna nel In quell occasione fu individuata la presenza di attacchi di funghi del genere Fomes facilitati probabilmente da traumi o errori di potatura che causarono l infiltrazione dell acqua nel legno ed il diffondersi del micelio fungino. Allora l agronomo inviato dalla Provincia di Genova, in occasione del censimento degli alberi di notevole interesse, non aveva escluso che la pianta sarebbe potuta morire nel giro di qualche anno. Per questo era stato consigliato un intervento di dendrochirurgia. Grazie al Comando Forestale di Gattorna è stato possibile, a distanza di 8 anni, stabilire, benché con un buon margine di approssimazione, l età di due delle querce secolari citate, fortunatamente ancora in vita. Secondo quanto risulta dalla misurazione effettuata in data , l esemplare più grande ha un età compresa tra 280 e 310 anni. La stima è stata fatta contando i cerchi su una carota lunga un quinto del diametro complessi- Pteride di Creta (foto R. Spinetta)

70 Roverella secolare a Montefinale (foto R. Spinetta)

71 vo del tronco (130 cm). I numerosi incendi che hanno interessato la zona e le parassitosi che hanno colpito la pianta hanno reso difficile una datazione più precisa. Con un ipsometro è stata misurata l altezza: 14.5 m. Questo esemplare è attaccato da Carie bruna e da coleotteri lignicoli: Cerambix cerdo e Corebus fasciato. L edera che ricopre la pianta, al momento sembra non comprometterne la sopravvivenza. Il secondo esemplare ha uno sviluppo minore; è alto 12 m ed ha un diametro di 105 cm. L età stimata analizzando i cerchi di circa un quarto del diametro complessivo è di anni. In entrambi i casi ed in particolare nel primo esemplare, la carota estratta ai fini della datazione sembra carbonizzata in alcuni punti. Secondo la Guardia Forestale il fatto testimonia il passaggio di un grosso incendio in anni passati. La fauna L insieme di tutti gli animali di ogni classe, famiglia, genere e specie costituisce la fauna di un luogo. Il complesso e variegato insieme di forme di vita animale che vivono e si relazionano in un ecosistema garantisce ad ogni ambiente un alto tasso di biodiversità e una buona capacità evolutiva. La fauna, così come la flora, costituisce un patrimonio di inestimabile valore per ogni territorio montano. L area di tutta la Val Fontanabuona si trova, per la sua particolare conformazione, a metà tra il mondo montano, quasi alpino, e quello mediterraneo. La fauna di un territorio, soprattutto se in gran parte seminaturale, è talmente vasta che è impossibile elencare tutte le specie, dal più piccolo insetto al più grande mammifero. Quindi, in questo contesto, che si pone come uno spunto di ricerca e informazione, si presentano le specie più appariscenti, più rare o al contrario più comuni dell intera area; leggerete di industriosi formicai, di grandi e grufolanti cinghiali e di eleganti daini dai palchi palmati. Per semplicità, dividiamo le specie animali in classi d appartenenza: - Mammiferi - Uccelli - Anfibi - Pesci - Rettili - Insetti Tra i Mammiferi, gli esemplari di più grandi dimensioni e di maggior impatto ambientale sono il cinghiale (Sus scrofa), il daino (Dama dama) e in zona di confine il capriolo (Capreolus capreolus). Il cinghiale fa parte della famiglia dei Suidi ed è, perciò, un parente stretto del maiale. Ha una lunghezza, dalla testa alla coda, che può arrivare a due metri; possiede una folta pelliccia ispida, dal grigio al nero, e un muso lungo e mobile. I canini sono ben sviluppati e costituiscono zanne lunghe fino a trenta centimetri nei grossi maschi. I giovani hanno strie chiare lungo il corpo. Vive in Europa nei boschi decidui, ma non ci sono esemplari in Gran Bretagna e Scandinavia. Si nutre soprattutto di radici, bulbi, ghiande, faggiole, ma a volte è carnivoro. La varietà introdotta e sviluppatasi dal dopoguerra ad oggi è spesso frutto di discutibili incroci con il maiale. I porcastri che si ottengono da questi ibridi sono simili al cinghiale, ma hanno il naso meno dritto e più simile al grugno del maiale. I porcastri sono dannosi per i raccolti poiché scavano alla ricerca di tuberi e ortaggi. Il daino (Dama dama) è un ungulato arrivato da più di un decennio nel territorio della Val Fontanabuona. È un cervide alto fino a un metro dal garrese. Presenta molte varietà di colore, ma generalmente le parti superiori sono giallo-rossastre con macchie bianche e parti inferiori bianco-giallastre. In inverno è più grigio con macchiatura meno evidente. Il sottocoda ha un disegno bianco e nero molto vistoso, la coda è lunga ed ha una stria nera mediana. Le corna, che cambiano ogni anno dopo la caduta, acquistano dimensioni o palchi secondari. Hanno un ramo palmato e appiattito. Vive bene nelle foreste decidue e miste con sottobosco e radure. È una specie a probabile ori

72 Salamandrina dagli occhiali (foto R. Bernardello). gine mediterranea. Si nutre di erba, arbusti e bacche. In inverno si ciba dei germogli e della corteccia di alberi giovani. Altri mammiferi particolari di dimensioni inferiori sono: mustelidi, carnivori, roditori e insettivori. Tra i mustelidi ricordiamo la faina (Martes foina) che mangia toporagni, uccelli e persino rane e lucertole, ma anche bacche e frutta. Spesso costruisce tane anche nelle stalle. Altri mustelidi comuni sono la donnola (Mustela nivalis) e il tasso (Meles meles). La donnola è il carnivoro europeo più piccolo. È bruno-rossastro sul dorso e bianco con qualche segno brunastro sul petto. Il tasso è un grosso mammifero che arriva alla lunghezza di 1 metro. Ha corpo massiccio e appiattito e un muso lungo e affusolato. Il capo è curioso: bianco con un evidente striscia nera su ciascun lato che passa attraverso gli occhi e arriva alle piccole orecchie dalla punta bianca. Frequentando, spesso, le siepi e le strade è una specie molto vulnerabile agli incidenti stradali. Tra i carnivori, il più comune è la volpe (Vulpes vulpes), mentre si iniziano ad avvistare le tracce del lupo (Canis lupus) nell area del M. Caucaso ai confini con la Val d Aveto. Tra i roditori ricordiamo la lepre comune (Lepus capensis), agile e snello parente del coniglio domestico, lo scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris), ghiotto amante di semi, nocciole e germogli di albero, il ghiro (Glis glis), simile ad un grosso topo campagnolo, ma con un vistoso anello scuro intorno agli occhi ed una lunga coda cespugliosa, il topo selvatico (Apodemus sylvaticus), il topo domestico (Mus musculus), il toporagno (Sorex araneus). Per concludere questa rapida carrellata sui macro e micromammiferi della zona ricordiamo alcuni insettivori come i pipistrelli e i vespertilii, la talpa (Talpa europaea) e il riccio (Erinaceus europaeus) che non è una specie esclusivamente insettivora, mangiando, infatti, anche frutta e funghi. Una nota particolare sul riccio, un simpatico animale che, come il tasso, subisce spesso inci

73 Ammasso di uova di rana rossa (foto R. Spinetta). denti stradali. I suoi aculei marroni e neri con punte bianche sono peli modificati. Dietro il capo sono divisi da una stretta linea di separazione. Il muso, le parti inferiori e gli arti sono coperti da peli morbidi. Il riccio è quasi completamente notturno, è molto rumoroso mentre cerca il cibo e, se disturbato, si può arrotolare su sé stesso formando una palla. Tra gli uccelli, nei cieli e nei boschi dell area troviamo: rapaci diurni e notturni, anatidi, ciconiformi, galliformi, limicoli, columbiformi, coraciformi, piciformi, passeriformi, silvidi, lanisi, fringillidi ed altri gruppi o famiglie minori. Se si pensa, comunque, che nidificano in Europa circa 470 specie, inclusi i migratori che in primavera giungono dall Africa e che tutta la Classe degli Uccelli comprende circa 9000 specie conosciute, sarà comprensibile se si descrivono, in questo contesto, solo le specie più appariscenti o comuni. La poiana (Buteo buteo) è simile ad una piccola aquila, ma ha la coda arrotondata. Ha un piumaggio marrone, le ali sfrangiate ai bordi. Nidifica su alberi e, più raramente, sporgenze rocciose. Il gheppio (Falcus tinunculus) è più piccolo della poiana. È veloce e nervoso nel volo. Ha le ali appuntite alle estremità. Si nutre di roditori e insetti. La civetta (Athene noctua) è piccola e notturna. Ha la testa appiattita e grandi "occhiali" bianchi intorno agli occhi. Non ha, al contrario del gufo, ciuffi auricolari. L allocco (Strix aluco) è un rapace notturno con occhi neri e forma tozza, può essere bruno o grigio ed è molto comune. Il barbagianni (Tyto alba) è diverso dall'allocco perché ha la faccia a forma di cuore e una folta piumatura. Ha un colore chiaro, anche se esistono forme dal petto scuro. L airone cinerino (Ardea cinerea) è il parente "nostrano" della gru. È grigio chiaro e bianco; caccia rimanendo immobile nell'acqua e facendo scattare il lungo collo chiaro. Il fagiano (Phasianus colchicus) è un uccello

74 Geometride su carpino (foto R. Spinetta). piuttosto comune di origine asiatica. È una specie cacciabile e per questo frutto di immissioni mirate da parte dell'uomo. La pernice rossa (Alectoris rufa) è un galliforme non molto comune, ma presente ancora nell'area del M. Caucaso. Ha becco e zampe rosse e piumaggio colorato. La beccaccia (Scolopax rusticola) è un limicolo dal lungo becco e zampe sottili. Vive nelle aree umide ed è ormai molto rara. La tortora (Streptopelia turtor) è un columbiforme comunissimo, noto per il suo canto e per la sua livrea. La si osserva posata sui fili della luce soprattutto a primavera, periodo dei richiami d'amore. La ghiandaia (Garrulus glandarius) è un grosso uccello che vive nei querceti, ma non solo, con una zona bianca e azzurra tipica sulle ali. È una specie molto attiva e rumorosa. Il martin pescatore (Alcedo atthis) ha il dorso verde e azzurro e le parti inferiori arancioni. Vive nei torrentelli puliti dove si nutre di piccoli pesci. L'upupa (Upupa epops) è detta anche "galletto di marzo" per il suo ciuffo di penne sul capo. È giallo scuro, molto appariscente: per questo, nidifica in cavità nascoste negli alberi o nei muri. Il picchio verde (Picus viridis) è un grande picchio con il dorso verdastro ed il groppone giallo. Ha un volo ondulato. È bello da vedere e piuttosto comune. Il picchio rosso (Dendrocopos major) è il picchio più diffuso in Europa. Il maschio ha la nuca ed il sottocoda rossi. È solito incastrare le nocciole in fessure della corteccia e percuoterle col becco per aprirle. La capinera (Sylvia atricapilla). Ha un bel cappuccio, nero nel maschio e rosso nella femmina. Inizia col suo canto a febbraio ed è una delle prime specie di piccoli uccelli a fare le sue parate aeree d'amore in primavera. L averla minore (Larius collurio) è un uccello insettivoro, tanto che ha il becco a uncino. Gli occhi del maschio sono circondati da una banda orizzontale nera, mentre le ali sono color

75 nocciola. La femmina, meno appariscente, nidifica su cespugli e piccoli alberi. Il fringuello (Fringilla coelebs) è uno degli esemplari più noti dell'avifauna locale. È un granivoro molto colorato riconoscibile per la barra alare ben evidente soprattutto allo scatto del volo. Gli Anfibi e i Rettili sono animali più primitivi dei precedenti; sono piuttosto comuni su tutto il territorio in relazione alle condizioni climatiche generali e alla presenza di microambienti umidi e a volte temperati come stagni, rii, cunette e torrenti. Tra gli Anfibi più diffusi ci sono la rana temporaria, la rana dalmatina (o agile) e il rospo. Inoltre, ai confini con il comune di Favale, troviamo la salamandrina dagli occhiali. La rana temporaria (Rana temporaria, L.) è una specie presente in tutta Europa tranne che nelle Alpi Apuane. È una rana rossa grande e robusta. Il maschio è più piccolo della femmina. In tutti gli esemplari, le zampe sono relativamente corte e, di norma, il tallone non arriva oltre il muso. È più diffusa nel versante padano dell Appennino che in quello tirrenico. La sua etologia è complessa: l accoppiamento avviene tra la fine di febbraio ed aprile, a seconda dell altitudine, quando la neve inizia a sciogliersi. Le uova tendono a rimanere sul fondo degli specchi d acqua e appaiono, nel complesso, come formazioni gelatinose anche di alcuni metri quadrati. È curioso notare come le uova, rimaste all asciutto e ricche di proteine, sono spesso predate dalle formiche. La rana temporaria è tutelata dalla Legge Regionale 4/92. La rana agile (Rana dalmatina) è una rana scura distribuita nel versante tirrenico nell area del M. Caucaso. Essa depone uova in acque pressocché ferme e ricche di vegetazione dove c è ghiaia, sabbia e limo. Gli accoppiamenti iniziano nella seconda metà di febbraio. Una femmina depone fino a 2000 uova in masserelle sferiche che gonfiano una volta deposte in acqua. È una specie molto facilmente adattabile. Il rospo comune (Bufo bufo) è comunissimo in Europa, Africa nord-occidentale, Asia settentrionale e temperata. È tipica la sua migrazione locale nel periodo degli amori. Gli spostamenti avvengono in primavera guidati da secrezioni ormonali determinate, a loro volta, da cambiamenti di temperatura e umidità. In inverno i rospi vanno in ibernazione. Una nota particolare merita la salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata). Essa è una piccola salamandra scura con le zampe, il petto e il contorno occhi roseo-rosso. È una specie endemica dell Appennino italiano. Vive nei boschi di latifoglie (castagno, carpino bianco, faggio, ontano). È una specie terragnola reperibile allo scoperto solo in giornate di pioggia o con elevata umidità. Si riescono ad osservare gli individui per lo più di marzo e maggio nei pressi dei siti riproduttivi (torrentelli, aree umide rocciose), conservati di anno in anno. La femmina depone fino a cinquanta uova che aderiscono a rametti e steli d erba che assumono così le sembianze di manicotti gelatinosi. Più comune è, infine, la salamandra pezzata o salamandra giallo-nera, riscontrabile nei boschi dopo le piogge e comunque sempre nelle aree piuttosto umide. La salamandra è una specie ovovivipara che partorisce fino a settanta larve. La fecondazione avviene in tempi molto diversi dall accoppiamento. Più evoluti e affrancati dall ambiente acquatico sono i Rettili. Numerose sono le specie che vivono in questo territorio, tra le cenge rocciose, i boschi di latifoglie, nei corsi d acqua. Le specie più comuni sono: orbettino, ramarro, lucertola muraiola, biacco, colubro di Esculapio, natrice dal collare, vipera comune. L orbettino (Anguis fragilis) è un rettile innocuo lungo e liscio perché ricoperto da scaglie piccole. È una specie ovovivipara che partorisce da sei a dodici piccoli dopo una gestazione di circa tre mesi. Si nutre di lombrichi e insetti. Il suo peggior nemico è il fuoco. Il ramarro (Lacerta viridis) è una specie tipicamente europea assente in Sardegna. Quelli che normalmente si incontrano sono i

76 maschi colorati e aggressivi. A fine primavera essi lottano ed è curioso notare come l esemplare sconfitto, ritirandosi, lasci dei segni con le zampe sul terreno. La lucertola muraiola (Podarcis muralis) è onnipresente in Liguria. Va in letargo da novembre a febbraio; anche in questo caso i maschi combattono violentemente. Le uova sono deposte in buche sotto i sassi. È una specie tipicamente insettivora. Il biacco (Coluber viridiflavus) è una specie cosmopolita capace di nuotare e arrampicarsi sulle rocce. È abitudinario e territoriale, tanto che occupa lo stesso rifugio per molti anni. Il colubro di Esculapio, detto anche saettone (Elaphe longissima) è la comune biscia scura ; ha un corpo lunghissimo e affusolato dal colore omogeneo tra il marrone e il verde oliva. Vive ovunque e anche vicino alle case di campagna. Si nutre di piccoli uccelli, soprattutto nidiacei. Si arrampica spesso lungo i tronchi degli alberi. La natrice dal collare (Natrix natrix) è la comune biscia d acqua. È una specie ovipara che ha la sua piena attività tra marzo e novembre; in inverno vive in aree riparate e non disdegna vecchie stalle e cantine. Si nutre di anfibi, lucertole, uccelli, pesci e talvolta anche insetti. La natrice scappa raramente se attaccata, a volte getta il cibo addosso all aggressore ed emette anche odori nauseabondi, fino a fingersi morta. Infine, la temuta vipera o aspide (Vipera aspis). Essa vive di preferenza in piccole radure erbose circondate da pietraie. Ad una temperatura di - 2 C può anche morire, mentre vive benissimo a 29 C. I primi esemplari ad incontrarsi, nel periodo febbraio-marzo, sono i maschi. Essa si nutre di: roditori, lucertole, nidiacei e invertebrati. I suoi nemici sono: l uomo, il cinghiale, il tasso, il riccio, il biancone e il biacco. Solo l 1% degli esemplari risulta letale per l uomo. Fauna minore: conoscerla per non perderla La Legge Regionale 22 gennaio 1992 n. 4 Tutela della Fauna minore sottopone a tutela le specie maggiormente minacciate e ne protegge gli habitat promuovendo studi e ricerche. La fauna minore è l insieme delle specie animali presenti nella regione con la sola esclusione dei vertebrati omeotermi (uccelli e mammiferi) e dei pesci. Per correttezza ed informazione si elencano di seguito le specie protette e che quindi, durante le escursioni e le esplorazioni al mare o in montagna, si dovranno osservare con un occhio di riguardo. - Chiocciola (Helix pomatia, Helix aspersa); - Formica rossa (Formica rufa); - Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes); - Granchio di fiume (Potamon fluviatile); - Salamandra pezzata (Salamandra salamandra); - Salamandra dagli occhiali (Salamandra terdigitata); - Tritone (Triturus sp.); - Geotritone italiano (Speleomantes ambrosii); - Ululone dal ventre giallo (Bombina variegata); - Rospo comune (Bufo bufo); - Rospo smeraldino (Bufo viridis); - Pelodite punteggiato (Pelodytes punctatus); - Raganella comune (Hyla arborea); - Raganella mediterranea (Hyla meridionalis); - Rana agile (Rana dalmatina); - Rana greca (Rana italica); - Rana temporaria (Rana temporararia); - Rana verde minore (Rana esculenta); - Tartaruga marina comune (Caretta caretta); - Tartaruga franca (Chelonia mydas); - Tartaruga liuto (Dermochelys coriacea); - Tartaruga embricata (Eretmocheys imbricata); - Testuggine d acqua (Emys orbicularis); - Geco comune (Tarentula mauritanica); - Geco verrucoso (Hemydactilus turcicus); - Tarantolino (Phyllodactylus europaeus); - Lucertola ocellata (Lacerta lepida); - Ramarro (Lacerta viridis); - Lucertola muraiola (Podarcis muralis); - Lucertola campestre (Podarcis sicula); - Orbettino (Anguis fragilis); - Luscengola (Chalcides chalcides); - Biacco (Coluber viridiflavus); - Saettone (Elaphe longissima); - Colubro bilineateo (Elaphe scalaris); - Colubro lacertino (Malpolon monspessulanus); - Biscia d acqua (Natrix natrix);

77 - Biscia viperina (Natrix maura); - Biscia tassellata (Natrix tassellata); - Colubro liscio (Coronella austriaca); - Colubro di Riccioli (Coronella girondica). Il mondo nascosto In tutto il vasto regno degli animali pluricellulari, l 80% di tutte le specie hanno dimensioni ridotte. Alcune sono quasi invisibili, altre sono grandi quanto un palmo di mano. Tutte però hanno forme e adattamenti straordinari. Ci sono per esempio animaletti che vivono nel suolo. Un entomologo valutò che in uno strato di superficie di venti centimetri quadrati in un area di prato c erano circa 230 milioni di animali. In Europa esistono decine e decine di migliaia di specie di insetti. Un mondo nascosto che sarà bello scoprire lungo i sentieri con la discreta curiosità di una lente o semplicemente con occhio pronto alla novità. Tra le numerose specie presenti nei boschi e nei prati del Comune di Neirone vi presentiamo le più appariscenti. Tra i prati e le boscaglie vivono creature affusolate e scure: si tratta dell'insetto stecco (Bacillus rossii), un insetto dell'ordine dei Fasmidi simile ad un ramoscello e con potenti mascelle per mangiare le foglie. I fasmidi sono rarissimi in Italia, mentre sono frequenti nelle regioni tropicali, dove hanno forme e colori tanto mimetici da confondersi con le foglie e i fiori della foresta. Molto vicine ad essi dal punto di vista filogenetico, le mantidi (Mantis religiosa) sono ben più comuni; hanno zampe anteriori raptatorie e fortemente spinose. Sono molto mimetiche; la femmina uccide il maschio subito dopo l'accoppiamento e depone le uova in "ooteche", sorta di casette coloniali che in dialetto vengono chiamate "zerbeghe". Simili alle mantidi, perché dotati di ali robuste, sono i grilli (ord. Ortotteri). Oltre al rarissimo grillo canterino (Gryllus campestris L.), ricordiamo il grillotalpa (Gryllotalpa gryllotalpa), con le zampe anteriori corte e larghe, differenziate come organo scavatore. Uno sguardo particolare meritano le edipode (Acrididae), che popolano, in estate, le sterrate aride dei nostri monti. Si tratta di cavallette scure e molto mimetiche, con doppio paio di ali, uno scuro e protettivo, l'altro colorato e strategico. L'edipoda può essere rossa (Edipodea germanica) o azzurra (Edipodea coerulea). In entrambi i casi, gli esemplari sono scuri in assenza di pericolo. Diventano appariscenti quasi come lampi di luce quando un pericolo si avvicina loro. Spiegano velocemente le ali inferiori e spiccano veloci e brevi voli. Altro insetto comune e di grande "compagnia" in estate è la cicala comune (Lyristes plebeius). Il maschio ha sul "ventre" una sorta di tamburo vibrante che serve da richiamo. Vive negli uliveti ed è perfettamente mimetica. Spesso è posata sui tronchi. Infatti, essa si nutre della linfa dell'ulivo fin dal suo stadio larvale. Insetto molto "antico" dal punto di vista evolutivo ed elegante è la libellula. Ci sono moltissime varietà di libellule lungo l'appennino, tanto che nella Riserva Naturale Orientata delle Agoraie nel 2000 sono stati fatti studi specifici da parte del Corpo Forestale dello Stato ed altri sono in corso in Italia. Due sono, comunque, le forme diverse che possono avere le libellule: leggera e colorata come la damigella (Agrion splendens) o rigida e superba come la libellula comune (Aeshna grandis), detta anche "cavaocchi" in dialetto. Ha un fare aggressivo con chi si avvicina ai posatoi (una foglia, un apice di ramo, etc.) su cui trascorre la maggior parte della sua vita da cacciatrice. Tra gli insetti più noti ci sono le farfalle. Esse si distinguono in diurne e notturne in base alla forma delle antenne e ai colori. Le farfalle diurne hanno solitamente antenne clavate o filiformi con cui percepiscono essenze e ormoni, hanno ali colorate e spesso ingannevoli al predatore per la presenza di ocelli, ossia occhi dipinti (l'esempio più noto è quello della Vanessa io). Altre hanno le ali molto chiare: la cavolaia (Pieris sp.) è la prima a "farsi vedere" a primavera ed è quasi totalmente

78 bianca. Simili, ma più piccole e più scure sono le galatee (Melanargia sp.), comunissime nell'area di Cabanne e Ventarola (Val d'aveto). Un'eccezione alla regola: una farfalla diurna molto scura. Si tratta del silvano o camilla (Limenitis camilla) che, con le ali chiuse sul corpo, è marrone con una grande stria lattea verticale. Numerose sono poi le farfalle di piccole dimensioni: l'esperia (Pyrgus malvae), il silvano (Ochlodes venatus), la lucina (Hameorus lucina), l'aurora della cardamine (Anthocharis cardaminis) e le licene, tra cui l'argo bronzeo (Licaena phlaeas) e l'argo azzurro (Polyommetus icarus), detta anche Icaro. E le farfalle notturne? Sono diverse, hanno le antenne molto corte, ma sviluppate. Tre le più belle farfalle che si conoscano nel territorio c è la pavonia o saturnia del pero (Saturnia pavonia L.). Essa ha grandi ocelli sulle ali e dimensioni di un piccolo palmo di mano. Ci sono poi le sfingi o testa di morto (Sphynx sp); tra di esse ricordiamo la sfinge del ligustro e la sfinge "testa di morto", grande come un piccolo scricciolo. Esistono poi i bombici, parenti dei bachi da seta, farfalle vellutate e scure (il bombice della quercia è marrone e giallo) che vivono sulle latifoglie. Non si possono dimenticare le zigene, chiamate anche "preti". Le zigene (Zygaenidae) propriamente dette sono nere e rosse, hanno riflessi metallici e antenne a clava. La varietà più nota è la zigena della filipendula )Zygaena filipendulae) con due paia di ali neroverde l'una e rossa con il bordo nero l'altra. I "preti neri" sono dette amate (Amatidi). La specie Synthomis phegea è nera con punti bianchi, comunissima in tutti i prati a sfalcio e nei boschi. Ultimo insetto che citiamo, conosciuto dai pescatori e da tutti i curiosi frequentatori di Argiope o ragno tigre (foto R. Spinetta). ruscelli e fiumi, è il portasassi o frigana. Questi esemplari, accomunati nel gruppo dei Tricotteri, sono dei veri e propri ingegneri: allo stadio larvale, infatti, si costruiscono astucci di sassolini o di foglie (portalegni) a protezione del corpo larvale. Diversi dagli insetti, avendo otto zampe e origini più antiche sono gli scorpioni, i ragni e gli acari. Tra i ragni ricordiamo, per la complessa e curiosa etologia, il ragno tessitore: l'argiope. La specie Argiope fasciata costruisce la tela adornandola con una striscia di seta a zig-zag che ne attraversa il centro. Ogni tela però ha un segno diverso: un ragno egocentrico!

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80 IL PAESAGGIO Raffaella Spinetta Un mare dai monti E per concludere questa parte prettamente naturalistica, vi consigliamo di scegliere una giornata tersa di ottobre-novembre, salire sulla vetta del M. Lavagnola e fermarvi a guardare: scoprirete... un mare di monti. Dal M. Lavagnola (1118 m) non molto elevato, ma con una posizione strategica, si vede quasi l'intera Liguria, dal Golfo di Portofino alle Alpi Marittime, in un arco di paesaggi e suggestioni. Giunti al cippo piramidale in memoria delle guerre austriache, la vista spazia ad Est sui Monti Pegge (774 m), Lasagna (756 m), Manico del Lume (801 m), Borgo (732 m), Bello (713 m). Questa corona di rilievi nasconde il golfo di Portofino, di cui si vedono, però,il monte ed il promontorio. Oltre il M. Bello, le gobbe dei monti arrivano al M. Fasce attraverso il M. Tugio (677 m), presso Uscio, il M. Becco (894 m), oltre Cornua, il M. Bado (911 m) ed il Monte Croce dei Fo' (975 m) vicino a Bargagli e Traso. Il golfo di Genova non si lascia vedere e ci "abbandona" per farci, invece, scorgere le Alpi Marittime, uno sfondo ad Ovest del M. Antola (1597 m), riconoscibile per la forma regolare ed il crinale lungo. Oltre le Alpi Marittime, le creste delle Cozie e avanti, fino a quando la realtà sconfina con la fantasia e ci lascia immaginare su quei monti ghiacciai e nevai, mentre siamo seduti a pochi chilometri dal mare. Ad Est e in linea d'aria vicini a noi ci sono il M. Caucaso (1245 m) con il M. Rocio (852 m) subito accanto, il M. Ramaceto (1345 m) che mostrano da lontano la loro morfologia e le rocce sedimentarie di cui sono formati. A Nord nelle giornate più terse si possono riconoscere il crinale a "panettone" del M. Aiona ed il Maggiorasca (1899 m), la cima più alta dell'appennino Ligure. Panoramica dal M. Lavagnola (foto R. Spinetta)

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82 GUIDA ALL ITINERARIO DEI FEUDI FLISCANI E ALLE PRINCIPALI VIE ESCURSIONISTICHE Raffaella Spinetta Sentieristica generale (su concessione di SAGEP, Libri & Comunicazione)

83 Mappa dell Itinerario dei Feudi Fliscani. L Itinerario dei feudi fliscani Dati per l escursionista punto di partenza consigliato: chiesa di San Giacomo a Gattorna tempo di percorrenza in salita: ore 5 dislivello in salita: 928 m lunghezza: 16 km MTB: in parte Dalla deviazione tra Neirone e Roccatagliata: tempo di percorrenza in salita: ore 5 dislivello in salita: 205 m lunghezza: 20 km Percorrenza Tre lettere, IFF, contrassegnano le tappe di questo lungo percorso che da Gattorna giunge fino a Torriglia. L Itinerario è dedicato ai Fieschi, conti di Lavagna, che furono feudatari di Roccatagliata, Torriglia e di numerosi altri siti appenninici. Secondo l Associazione Culturale Colombo Fontanabuona 2000 a cui, insieme alla

84 Comunità Montana Fontanabuona, alla Provincia di Genova e ai Comuni di Moconesi e Neirone, si deve il recupero di questo percorso, l itinerario avrebbe potuto essere denominato anche Via Patrania, in onore dell antica strada di fondovalle e della sua prosecuzione montana verso Torriglia, o Strada dell Avvocazia, a ricordo di una particolare istituzione medioevale a carattere amministrativo e fiscale, riferibile alla presenza nelle Pievi di Recco, Camogli, Rapallo e Uscio del clero milanese, qui rifugiatosi all arrivo dei Longobardi nell anno 569 (Associazione Colombo Fontanabuona ). L IFF è stato suddiviso in trenta tappe, illustrate chiaramente dal relativo pieghevole, di cui riportiamo i particolari funzionali alla descrizione. Ogni tappa è raggiungibile a piedi e a volte con i pullman di linea della Tigullio Trasporti da Genova e da Chiavari o, per Gattorna, anche con i pullman AMT in partenza da Genova. L Itinerario inizia a Gattorna nei pressi del Cimitero comunale e a poche centinaia di metri dalla confluenza del torrente Neirone con il Lavagna. In quest area si sente molto l influenza antropica. Esistono roveti e prati in abbandono poco sopra la strada provinciale che dalla chiesa di Gattorna porta a Neirone. Nel tratto che da Gattorna conduce a Beo Grande, il sentiero serpeggia stretto e ombroso, fra boscaglie e rii, frequenti e saltuari smottamenti che rendono il percorso difficoltoso ma gratificante per la frescura e la presenza, in autunno, delle più belle e rigogliose fioriture di ciclamino a foglie d edera dell intera Val Fontanabuona. Tutto il primo tratto individuato costeggia il torrente Neirone. Nell ambiente ripariale che si crea si scorgono fronde di felce dolce, muschi, licheni, funghi saprofiti e necrofili (amanti del legno morto). L Itinerario è pressoché omogeneo sino a Beo Grande (tappa 2); da qui si incontrano numerosi guadi. Siamo a 250 m s.l.m., una quota modesta che consente, tuttavia, l espansione di specie eliofile e mediterranee amanti della luce. Scale in ardesia sui muri reggi fascia, particolare della cultura contadina lungo l IFF (foto R. Spinetta). È il regno dell ontano, dalle radici coralline e ricche di batteri per la sintesi dell azoto. Da Beo Grande si giunge lentamente, dopo quasi duecento metri di cammino, al bivio per una nota centrale elettrica (tappa 3), dove la vista è impressionata da grandi opere idrauliche, piccoli laghetti e fronde di felci curiose e particolari: la pteride di Creta. I grossi massi erratici in arenaria testimoniano tempi in cui la gravità e la forza delle acque erosero le aree più alte dei Monti Bragaglino, Carpena e Lavagnola, nel bacino idrografico del torrente Neirone. Si risale, quasi in piano, fino al bivio per Carpeneto, area agricola di importanza storica per la coltivazione della patata e per l orticoltura locale, oltre che area tipica del carpino nero (Ostrya carpinifolia) e del nocciolo. Nelle radure a fine febbraio spuntano bucaneve, primule e crocchi, mentre le rocce stillicidiose ospitano, in questi siti, le lunghe fronde della felce scolo

85 pendria. Siamo ormai prossimi a Neirone (tappe 5 e 6) dove, in località Rosasco, si trova un bellissimo mulino, conservato e gestito ancora con cura. Lasciato Rosasco, si giunge alla piazza della sede comunale. Vicino ad essa, oltre al palazzo municipale che reca sulle pareti il dipinto del castello fliscano, si trovano la chiesa e la statua del soldato, simboli in contrasto ma ben rappresentativi dell animo battagliero dei fontanini. A questo punto, si sale lungo la scalinata in cotto che fiancheggia la sede comunale per attraversare poi fasce e coltivi. Si arriva dopo un po a Bivio Crocetta (tappa 7), un area fortemente antropizzata con qualche appezzamento di pineta a pino nero. L orografia appare pianeggiante. Tutta questa zona a maggio è ricoperta da sporadiche, ma appariscenti fioriture a ginestra. In prossimità della diramazione per Corsiglia e Roccatagliata, a più di 500 m di quota e a circa un terzo del nostro percorso, si giunge ad una località chiamata Cossu (tappa 8). È un regno di confine tra castagneti e prati a sfalcio abbandonati dove si intrecciano vie arginate da lastre d ardesia a coltello e numerosi piccoli ponti, testimoni del grande flusso di viandanti nel passato. È molto significativo per la zona il ritrovamento della cosiddetta Tomba di Roccatagliata, una scatola mortuaria in ardesia attualmente conservata presso il Museo Archeologico di Pegli e databile al V-VI secolo a. C. In questi sistemi ambientali vivono il cinghiale, la volpe, la faina e il tasso, che scava il suo nido in ripari del bosco e spesso crea delle vere e proprie aree per i suoi rifiuti organici chiamate latrine. A maggio i prati di Cossu fioriscono di fiordalisi, valeriana e carote selvatiche. Da Cossu, il sentiero sale verso Roccatagliata, area terrazzata di castagneti, al limite della loro temperatura ottimale (tappe ). Il microclima delle boscaglie e delle rupi è freddo e umido tanto che, da qui fino al Passo del Portello, dove arriveremo solo dopo altre tappe di rilievo storico e paesaggistico, fioriscono piante come la sassifraga e l arabetta alpina. L uomo coltiva, nelle aree ruderali, soprattutto legumi - come fave e piselli - e la nota patata quarantina, promossa in queste valli da Don Michele Dondero nel XVIII secolo. A questo punto si segua con attenzione il tracciato del sentiero. Dalla tappa 12 (Roncodonico), un ponte romano ci invita al percorso. Si tratta del ponte delle Ferriere, di straordinaria precisione architettonica, che si fa risalire all epoca romana. Ha un solo arco che sovrasta il rio del Cerrale. Lungo gli argini e nel greto affiorano argilloscisti e arenarie spesso in grandi massi. Un regno di felci, anfibi e rettili. Tra i numerosi ricordiamo la coronella (o colubro di Esculapio), un ofide veloce, scaltro e completamente inoffensivo. Tra le specie floristiche rare protette ci sono la dafne laureola o pepe montano, il pungitopo, l orchidea maculata e molti arbusteti lianosi. Le tappe 13, 14, 15 e 16 del sentiero sono punti cruciali del percorso. Attraversiamo distese di castagneti intercalati da lande ad erica arborea all interno della valle formata dal M. Borghigiano ad Est e dai Monti Carpena e Perdono ad Ovest, ricca di torrentelli e vallecole umide ideali per la vita delle felci. I borghi che incontriamo da qui a poco sono Isola e Bassi; ruderi, fienili, mulini sono i protagonisti quasi indisturbati di questi luoghi. I fienili sono costruiti con modalità uniche: assomigliano ai barchi della Val d Aveto, ma hanno tetti fissi in legno a spioventi molto inclinati. Ciò ci dimostra che anni fa, quando l agricoltura era più sviluppata, le precipitazioni nevose erano molto più frequenti di oggi. Lasciata la zona di Bassi, si giunge a 750 m di quota, nel nucleo di Siestri. Siamo a metà del percorso. Fermiamoci un bel po in questo luogo di suggestione e ricordi: case in pietra a vista, fontane, scale in pietra, pertiche fisse nei muri, vitalba e rovi che ricoprono appezzamenti di terreno indisturbati. Il versante nudo e aspro del M. Lavagnola spazia negli orizzonti di Siestri come un panetto

86 ne crespato. Da qui si sale al M. Carmo, si tralascia il bivio per Sciarre e si prosegue lungo un sentiero irto e non sempre facilmente percorribile a causa della florida vegetazione. Tra boschi misti ad ontano e castagno, con qualche lembo di robinia e tante aree a felce aquilina, si prosegue fino a giungere sulla strada provinciale che conduce al Passo del Portello. Percorrendo la strada asfaltata, si notano nelle rocce stillicidiose cespi di sassifraga e, in inverno, lingue e denti di ghiaccio. A quota 1092 m si giunge al Passo del Portello. Faggete, boschi ad ontano bianco, diverso dal comune ontano perché possiede foglie appuntite e non tronche, cespuglieti e radure con fioriture a senecio giallo, ci accompagnano alla vetta del M. Lavagnola. Il M. Lavagnola è una vetta ragguardevole; i suoi 1118 m di quota consentono di avere la visuale su un panorama immenso ed ampi spazi aerei in cui i rapaci e gli uccelli predatori possono cacciare con successo. Un esempio per tutti è il corvo imperiale, un migratore che si osserva a primavera inoltrata. Con un buon paio di binocoli è possibile vedere nei particolari le penne del becco (simili a baffi). Il suo canto è un verso strozzato, che per alcuni aspetti sonori assomiglia al canto dell anatra selvatica. Il percorso prosegue ridiscendendo la vetta del monte. Seguendo le indicazioni al bivio Nord, si incrocia il sentiero europeo e, lasciatolo, si prosegue per Torriglia. Si scende attraverso la faggeta e, tra radure a brugo e ginestra, si hanno diversi punti panoramici su Torriglia, che ci appare, dall alto, come un accumulo colorato e ordinato di case. La vegetazione diventa ombrofila e igrofila a causa dei molti rii presenti: il rio Bagordo e il fosso Laccetto ne sono solo due esempi. Non solo la vegetazione, ma anche i toponimi danno la prova della sovrabbondanza di acqua. Vicino alla cappella di Sant Agostino c è, infatti, Acquabuona, da cui si giunge al Castello di Torriglia. Il sentiero dei Feudi Fliscani ha fine nella Piazza dei Fieschi. Il sentiero delle querce Dati per l escursionista Difficoltà: bassa Segnavia: sfera piena rossa Lunghezza: 3.5 km Tempo di percorrenza: un ora Percorrenza Il sentiero ha l avvio nei pressi della Scuola Media di Gattorna. Esso appare, da subito, estremamente semplice e gratificante. Prosegue tra coltivi, aree antropizzate e noccioleti e conduce sino ad Orticeto. Da qui, attraverso un paesaggio diversificato, si raggiunge la meta che fissiamo, per le emergenze botaniche che vi si trovano, a Montefinale presso le grandi querce. In prossimità di alcune case inizia il sentiero che costeggia muretti a secco ricchi di felci e selaginella. Tutto continua in piano, fino a raggiungere la località Vallecalda, dove il sentiero si allarga e diventa una vera e propria mulattiera. Appezzamenti larghi e coltivati dove ci sono numerosi noccioleti (Corylus avellana, L). È questo l ambiente del ghiro (Glys glys) e del biacco (Coluber viridiflavus). Al limite del confine tra Moconesi e Neirone l itinerario ci porta a Crovaria, un borgo contadino con case in pietra a vista, dove si pratica ancora l allevamento tradizionale del bestiame. In queste aree ruderali crescono specie come l erba vetriola (la comune cannigiaia ), la pervinca, l ortica dioica, la centaurea. Qui è facile incontrare il ramarro e la lucertola muraiola, che depone le sue uova sotto i sassi o in piccole buche nel caldo terreno primaverile. I noccioleti lasciano spazio a boscaglie di ontano e qualche robinia. La mulattiera, dopo Crovaria, si addentra nei boschi igrofili e, in prossimità di un piccolo corso d acqua, continua con un ponticello in pietra, robusto e funzionale. A quota 250 m, la piccola visuale offre una grande varietà di specie floristiche: muschi, felci, equiseti. Tra le rocce bagnate dall acqua corrente si possono incontrare la sassifraga rotundifolia e la sassifraga a foglie di cuneo:

87 Sul Monte Caucaso (foto R. Spinetta). due specie di uno stesso genere, considerate sia un relitto glaciale che una specie in parte pioniera, poiché con le sue radici riesce a spezzare le rocce e a vivere, quindi, in ambienti dove solo le specie pioniere riescono ad insinuarsi. Oltrepassato il ponticello, ci appaiono grandi piane di patate e fave che si avvicendano con le stagioni. Sono protette da accorgimenti contro le incursioni notturne del cinghiale. Ancora qualche centinaio di metri e il sentiero incontra la strada asfaltata; da qui si sale verso destra e si giunge ad altre case: siamo ad Orticeto. A livello di un tornante, il sentiero prosegue tra case in pietra e alti muri a secco. È sufficiente percorrerlo, attraversare un altro rio in prossimità di un canneto a canna comune (Arundo donax), per trovarsi, poi, in alcuni campi e prati a sfalcio dove crescono le erbe tipiche (carota selvatica, crepide, pratoline) e molte graminacee. Lasciati i prati e fatta una tappa quasi obbligata alla suggestiva cappelletta votiva, iniziano a vedersi, nella loro maestosità, le due querce secolari, colossi resistenti anche se non in perfetta salute. Si narra che queste querce siano state salvate durante la seconda guerra mondiale e che abbiano regalato la loro ombra ai contadini durante le pause pranzo. Oggi le due roverelle sono circondate da boscaglie, edera ed erica arborea. Avvicinandosi ad esse, siamo poco lontani da Montefinale, dove i boschi sono formati da querce (Quercus pubescens), erica arborea e felci. Nel sottobosco vivono gli asparagi selvatici, la felce dolce e l asplenio. Non è raro incontrare anche il viburno (Viburnus tinus), un arbusto sempreverde prettamente mediterraneo detto anche lentiggine o lauro-tino. La fioritura di questa specie va da ottobre a marzo, quando le foglie verdi e la corteccia verdastro-rossa contrasta con il bianco niveo dei fiori. Il lauro-tino è un parente stretto del viburno domestico, detto anche palla di neve, il cui nome scientifico è Viburnus opulus. Sempre in questa ricca boscaglia a roverella troviamo il caprifoglio (Lonicera caprifolia), il

88 verbasco o tabacco giallo e la campanula media. Una specie comune in Val Fontanabuona è inoltre l aristolochia rotonda (Aristolochia rotunda) con un fiore a trombetta, la cui conformazione della corolla fa sì che gli insetti pronubi vi rimangano intrappolati fino a fecondazione avvenuta. A questo punto, terminato questo breve sentiero, il camminatore più curioso può proseguire fino a Rosasco attraverso l abitato di Cerisola. Tra Cerisola e Rosasco, infatti, ci sono querce di piccole dimensioni e molto particolari: sono le cerrosughere (Quercus crenata) che si individuano bene in inverno quando tutte le caducifoglie sono spoglie. La cerrosughera è, oltre al leccio, l unica quercia sempreverde della valle. Oltre ad essere un sempreverde, essa ha un altra caratteristica: ha una corteccia a tratti solcata e spugnosa, ricca di sughero, che rappresenta per la pianta una protezione, in quanto impermeabile all acqua, ai gas e resistente al fuoco. Concludiamo qui il nostro itinerario; chi volesse può proseguire verso il M. Lavagnola ricollegandosi all IFF o al M. Caucaso, intercettando il bivio presso la sede municipale del Comune di Neirone. Il sentiero del M. Caucaso Dati per l escursionista tempo di percorrenza in salita: 2 ore e mezza dislivello in salita: 777 m lunghezza: 7 km segnavia: losanga gialla piena Percorrenza Il percorso prende il via dalla sede municipale del Comune di Neirone. Lungo la scala che porta al centro storico si leggono chiaramente i segnavia dei sentieri che da qui prendono inizio. Le tappe principali dell itinerario sono le case di Faggio Rotondo (952 m) e la Rocca Cavallina (1077 m) fino a giungere in vetta a m 1245 presso la cappelletta votiva del M. Caucaso. Il primo tratto, che da Neirone sale fino a Feia, La cappelletta votiva del M. Caucaso (foto R. Spinetta). è spesso coperto da fitta vegetazione stagionale, quindi è consigliabile attrezzarsi adeguatamente con scarponi e pantaloni lunghi. L intero itinerario attraversa lembi di castagneti, campi coltivati e vigneti a volte in abbandono. Una specie sinantropica frequente in questa area è la clematide o erba flammula comune, una specie parente del ranuncolo, con fiori bianchi e frutti piumosi. È detta comunemente liana. Si arriva da qui alla zona di Feia, un area coltivata dove trionfano le fioriture di tarassaco e silene fumaria, dai colori delicati e semplici. Dopo Feia, percorso un tratto di sterrata, si giunge al bivio per Faggio Rotondo. Da qui si sale, lungo felceti e aree percorse dal fuoco, ai prati ad alte erbe di Faggio Rotondo. In questi ambienti vivono il brugo, l asfodelo e la festuca a foglie robuste, una graminacea endemica dell Appennino. I prati pingui ospitano, invece, molinia, verbaschi, orchidee, ortiche e false ortiche che si

89 Paesaggi a strisce nel sentiero didattico M. Rocio-M. Spina (foto R. Spinetta). avvicendano nella fioritura dalla primavera all estate dando sempre un tocco di colore a questa zona già ricca di storia. Ricordo, a questo proposito, il sito di Case Faggio Rotondo dove un ormai leggendario personaggio, Carlin l eremita, trascorse gran parte della propria esistenza. Nella casa-stalla a pianta circolare, affiancata da una fontana e da un abbeveratoio, ci si può riparare in caso di pioggia. Vicino all intera costruzione si può osservare un vecchio ed ombroso nocciolo, sotto il quale ogni anno si ristorano molti amanti della montagna. Da qui si sale attraverso numerosi prati lungo l antica mulattiera, tratto della via del sale, delimitata da resti di muretti in pietra che servivano a direzionare gli animali da soma. Ed ecco comparire, al limite della faggeta, una roccia che sembra sospesa tra il cielo e la terra: è la roccia cavallina, Pria caalin-a, un emergenza geologica in arenaria rimasta in loco dopo l erosione selettiva a cui sono state sottoposte, nel corso dei secoli, le Arenarie del Gottero, intercalate da argilliti. Le argilliti, più tenere, tendono, infatti, ad essere erose più in fretta e lasciano, raramente, dei massi di grandi dimensioni, sospesi, appunto, come una sorta di fungo senza gambo. Si entra, dopo la tappa a Pria caalin-a, in faggeta. La faggeta è stata per secoli una risorsa, sia per il legname che per l olio. In alta montagna, i frutti del faggio (le faggiole) venivano infatti lavorati per estrarne una sostanza oleosa usata per il condimento dei cibi. Il sentiero si fa stretto e irto e, lentamente, lascia intravvedere il tetto della cappelletta del M. Caucaso. Ancora una salita e siamo arrivati. Nella prateria cacuminale che circonda la cappelletta si scorgono brughiere a mirtillo nero ed erbe officinali e terapeutiche come l ipperico e l erba solferina. In queste aree arse dal vento vivono la lepre e la pernice rossa. La vetta del M. Caucaso, oltre ad essere degna di nota per essere compresa nei siti di interesse

90 naturalistico comunitario, è importante dal punto di vista storico. Essa, infatti, fu un luogo nevralgico della lotta partigiana e un area di avvistamento, come dimostra la piccola trincea che si trova poco sotto la chiesetta. Il sentiero didattico del M. Rocio, un percorso di confine Dati per l escursionista dislivello in salita: 25 m distanza: 1.5 km tempo di percorrenza: 1 ora difficoltà: nessuna Percorrenza Questo sentiero è un itinerario di mezza quota, non segnato, ma ben tracciato e facilmente percorribile. È di confine perché attraversa il confine amministrativo tra i Comuni di Neirone e Moconesi, ma anche perché è a metà tra due mondi: quello dei cavatori d ardesia e quello dei pastori e contadini. Infatti, mentre il M. Rocio a mezza quota presenta cave abbandonate, teleferiche e accumuli d acqua in prossimità delle stesse, il M. Spina, a cui il sentiero ci condurrà, è un mondo fatto di cerrete da legno, pascoli, campi e prati a sfalcio, vecchi casoni, fienili e castagneti secolari. Giunti con l auto presso la cappella di San Rocco, attraverso la strada sterrata che inizia a Moconesi Alto dalla località Serra, si inizia un percorso di mezza montagna, il cui principio è posto poco sopra alla chiesetta di San Rocco. Di qui si procede in un versante roccioso esposto a Sud e ricco di affioramenti di arenaria e argilloscisti. Il primo impatto è fortemente panoramico. Da qui si vede tutta la Val Fontanabuona occidentale: Ferrada, Terrarossa e Moconesi sono i nuclei che si individuano meglio, sullo sfondo si scorge il lungo crinale del M. Lasagna, che arriva sino al M. Croce di Fo. Ci lasciamo alle spalle l elegante sagoma del M. Caucaso e parte del M. Ramaceto. Molte sono le cave che, da qui, si scorgono e che segnano profondamente i versanti a vista dei Il dente di cane, esemplare della flora protetta sul M. Spina (foto R. Spinetta). Monti Mezzano e Albareto. Continuiamo tra i sassi scroscianti di roccia sedimentaria. Tra i nostri passi, si notano con orecchio sensibile gli svolazzamenti repentini e luminosi dell edipodea germanica, una cavalletta scura tipica degli ambienti montani siccitosi. La vegetazione predominante in quest area sono la felceta e la boscaglia a Robinia pseudoacacia, nel cui sottobosco vivono gli sparvieri: non i rapaci, bensì i loro omonimi vegetali, piccole composite di un bel giallo acceso (Hieracium sp.). Diffusi sono anche l elicriso, il cisto, il brugo, l erica carnea. Vaste praterie a paleo nascondono, ma senza riuscirci del tutto, i ruderi di vecchi casoni sulla destra e poi, proseguendo ancora, si giunge a Case Rovereto, ancora nel Comune di Moconesi, un piccolo nucleo con case e ovili ancora ben conservati che ospita un ciliegio secolare che, ad aprile, spicca per la sua fioritura. In questa area anticamente abitata si rifu

91 Sentiero tra i faggi dal Portello sino in vetta (foto R. Spinetta). giano volpi, topi campagnoli, cinghiali, serpenti come il biacco. Vista la presenza di alberi da frutto o siepi, questo è un luogo ideale per l osservazione dei passeriformi e dei silvidi: le capinere, da febbraio a marzo, rallegrano il paesaggio con il loro canto sonoro e insistente. È sufficiente un po di silenzio per assaporarne le melodie. I pascoli lasciano spazio ad una cerreta fresca. Il cerro, che può raggiungere grandi dimensioni, dà buon legname da opera e da carbone. Ciò è la testimonianza che questa copertura di cerri è artificiale. Le ghiande del cerro, al contrario di quanto accade nella rovere e nella roverella, hanno una capsula di copertura riccioluta e spinosa. Nella cerreta del M. Spina vivono specie rare o di pregio come la scilla bifolia e la genziana asclepiadea, oltre all anemone e al dente di cane. Usciti dalla cerreta, ricomincia la prateria a felce aquilina; un buon osservatore invernale scorgerà una cerrosughera, ossia un elegante quercia sempreverde con la corteccia crostosa per la presenza di sughero. In vetta al M. Spina è possibile vedere Neirone, completamente immerso nel verde. Si notano i rilievi di confine con la Val Trebbia, primo tra tutti il M. Lavagnola. In queste praterie montane, a quota modesta, crescono le orchidee sambucine e vivono molte specie di carici dei prati, erbe di piccole dimensioni con le spighette piumose formate da tante piccole botticelle addensate su steli flessibili. Sotto ad una piccola centrale fotovoltaica si vede Case Spina, un caratteristico borgo contadino, con accanto alcuni castagni secolari. Da San Marco d Urri al M. Lavagnola Dati per l escursionista tempo di percorrenza in salita: 3 ore dislivello in salita: 632 m difficoltà: media distanza: 9.5 km circa Percorrenza San Marco d Urri è una frazione montana nella valle del rio Urri. Oltre che per la chiesa, que

92 Il Cippo del Monte Lavagnola (foto R. Spinetta). sta zona è nota per le vie di percorrenza tra le case, spesso lastricate in ardesia, stretti carruggi simili a quelli di Aia Zanello, Forcossino, Orticeto. Per raggiungere San Marco è sufficiente prendere il bivio sulla sinistra della chiesa di Ognio, sia che si arrivi da Neirone che da Gattorna. Giunti a San Marco, si lascia la strada asfaltata e si continua con una sterrata, sino ad una località detta Lezzaruola, il cui nome è ancora una volta riferito alla presenza di ciliegi selvatici. Salendo si giunge a Ria Teccia.L ambiente in cui ci troviamo appare selvaggio: castagni in degrado per il cancro della corteccia (Endothia parassitica), ontani, erbe alte di epilobio e bidente (una composita dai semi biforcuti che si attaccano sovente ai vestiti). Molte sono le tracce del cinghiale che, in cerca di radici, ara il terreno e talvolta infanga i tronchi per liberarsi dai parassiti. Tra il bosco i canti del merlo, un migratore che trova riparo tra arbusti di pruno e ciliegio. I boschi di San Marco più di altri sono popolati dal picchio verde, che si nutre degli ospiti dei numerosi formicai del sottobosco e dei tronchi. È particolare il suo canto, che sembra una squillante risata. Proseguendo, il percorso diventa difficoltoso e, in prossimità di Ria Teccia, si sale, lasciandosi sulla destra un gruppo di case con portici in pietra e legno. Ma cos è Ria Teccia? Un dirupo letteralmente formato da rocce sedimentarie e argilloscisti calcarei. È detta teccia forse perché scura; da sotto appare davvero grigia e spesso umida, tanto che il microclima che si crea in questo piccolo ecosistema favorisce la presenza di specie idrofile. Dopo qualche tempo, la boscaglia lascia spazio all ampia visuale del sentiero di mezza montagna e così si prosegue fino al M. Perdono. Il M. Perdono, alto 909 metri, è un rilievo con due versanti molto diversi; la parte ad Ovest è piuttosto dolce, quella ad Est invece è scoscesa e forma con il M. Borghigiano la valle del torrente di Siestri. Dal M. Perdono si prosegue quasi in piano

93 Lavagnola. Scorcio a Sud Est (foto R. Spinetta). seguendo il versante; a tratti il sentiero risulta spesso riccamente vegetato, anche da felci e rovi. Il substrato sedimentario con argilla giustifica la presenza di acqua in alcuni tratti del percorso. Nelle zone umide e fangose è facile trovare gli insogli del cinghiale. Dove si aprono alcune schiarite, le rocce arenacee mostrano la loro componente calcarea. Esse sono più tenere e chiare delle rocce sabbiose del M. Caucaso, tant è vero che si possono individuare puntuali fenomeni di microcarsismo. Sulle rocce crescono, negli stessi ambienti, sassifraghe e santoregie: un prodigio bioclimatico! La sassifraga è, infatti, un relitto glaciale, mentre la santoregia bianca è un essenza mediterranea dei climi secchi. È un portento la natura! Riesce a far convivere creature con esigenze talmente diverse che è, a volte, difficile darsi una spiegazione. A 500 metri di cammino dal M. Perdono si giunge alla località Campusso, un area pianeggiante a 920 metri di quota, adibita un tempo a balli e feste pratensi. Da qui si ha un estesa panoramica sulla fortezza naturale che formano davanti a noi i Monti Lavagnola, Montaldo, Corsica e Carmo. Da Campusso, si può scendere ai Bassi di Neirone per arrivare a Siestri; noi consigliamo di proseguire, come da segnavia, verso la stretta del Ciappusso, nota per una romantica e struggente storia d amore del passato. Il percorso prosegue fino a quota 1090 m alla destra del Poggio della Casa. Siamo al triplice di confine tra i Comuni di Lumarzo, Neirone e Torriglia. Da qui, a 400 metri di distanza circa, arriveremo alla cima del M. Lavagnola. Il sentiero sale e si tiene sulla sinistra delle cenge rocciose del massiccio argilloscistico. Percorriamo il confine amministrativo col Comune di Torriglia. Da qui al limite con una piccola faggeta appenninica, le praterie cacuminali sembrano fatte apposta per permetterci di sedere, riposare e ammirare incantati l immenso panorama che spazia dall Appennino Ligure alle Alpi Marittime e lascia vedere nelle giornate terse anche il golfo ligure con, in bella vista, la lingua di terra del Promontorio di Portofino. Nella faggeta del M. Lavagnola crescono specie floristiche di pregio, tra cui il doronico, l anemone a tre foglie, le orchidee sambucina e maculata ed altre essenze pregiate. Da qui, all inizio dell estate, è possibile sentire la voce goffa del corvo imperiale ed il canto del rondone montano e del balestruccio, una rondine con il portacoda bianco e la coda, in contrasto, scura e precisa nelle forme. Dal M. Lavagnola si può scendere ancora a Lezzaruole o, e noi lo consigliamo, procedere fino al M. Carmo e da qui scendere a Siestri attraverso l IFF, solo se prima vi siete ben organizzati con le auto. Da Siestri a San Marco d Urri è, infatti, impossibile arrivare se non dopo ore e ore di strada a piedi

94 PATRIMONIO STORICO-CULTURALE

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96 NEIRONE TERRITORIO, PAESAGGIO E CULTURA Maria Di Dio Una valle secondaria che si inerpica nell Appennino ligure e si articola in contorti compluvi torrentizi, una cornice di monti coperti da boschi punteggiati saltuariamente da grappoli di edifici a prevalente carattere rurale. È il territorio di Neirone. Simile a gran parte di quello del resto della Liguria, almeno quello dell entroterra, ma certamente caratterizzato in modo univoco dal particolare rapporto tra quella data natura (quella particolare morfologia tettonica, quel particolare tipo di substrato geologico, quelle particolari condizioni climatiche che favoriscono alcune specie vegetali piuttosto che altre, ecc.) e le specifiche, mutevoli, esigenze di coloro che vi si sono insediati nel tempo, dalla più remota antichità ad oggi. Interi cicli di storia civile, qui come in qualsiasi altro territorio, hanno lasciato letteralmente traccia sul terreno. Infatti, incessantemente trasformato, il territorio conserva sempre memoria del fare umano sotto i diversi aspetti idro-geo-morfologici, naturalistici, urbanistici, architettonici, ecc.; così esso stesso diventa un eccezionale bene culturale, forse il più completo, anche se difficilmente viene recepito, e quindi rispettato, come tale. L effetto della correlazione tra ambiente naturale e attività umane determina la lenta e inesorabile configurazione del territorio nella sua accezione paesistica, in ultima analisi culturale, se non addirittura artistica allorché, attraverso l opera intellettuale di artisti (pittori, scrittori ecc.), vengono recepite e quindi espresse interpretazioni estetiche del territorio stesso. Anche nel comprensorio di Neirone, come in ogni altro sito, ancor oggi possiamo individuare, sovrapposte, le tracce lasciate dalle epoche passate, di cui ci corre la responsabilità morale di garantire la trasmissione a coloro che ci succederanno. A questo proposito però occorre tener presente che sino a quando il rapporto di forza tra uomo e territorio si è mantenuto costante (in epoca pre-industriale) non si sono verificati grandi sconvolgimenti ambientali: l'uomo aveva a disposizione strumenti naturali per risolvere problemi circoscritti. I materiali locali (tipi diversi di terre, di pietre, di legname, ecc.) condizionavano in modo determinante l adozione dei tipi di strutture necessarie a soddisfare i bisogni primari, come ripararsi, difendersi, svolgere attività produttive e di scambio, e così soluzioni simili a problemi comuni determinavano ambienti territoriali e urbani originali, profondamente radicati nel luogo specifico. Conseguentemente, anche interventi paesisticamente molto rilevanti, come la costruzione di castelli, ville, acquedotti ecc., in quanto condizionati da tecnologie radicate nello stesso territorio interessato, comportavano impatti magari forti ma sempre integrati. In tale contesto il rapporto tra uomo e il suo territorio non era conflittuale, non era necessaria una presa di coscienza del problema ambientale, che invece si è resa necessaria con l avvento della Rivoluzione Industriale: il progressivo affrancamento dell'uomo dai secolari limiti tecnologici (consentito dall uso del ferro, dell acciaio e del cemento armato), lo sviluppo dei trasporti (che ha reso possibile scambiare in breve tempo una grande quantità di informazioni e conoscenze tra Paesi anche molto lontani), hanno ampliato enormemente la scelta di modelli possibili. In parole semplici, se fino al Settecento a nessun notabile del luogo poteva venire in mente di costruirsi un abitazione a forma di pagoda cinese perché non solo non aveva a disposizione i materiali e la tecnica necessari ma addirittura forse ignorava la stessa esistenza di tale tipo, oggi il progettista locale può attingere ad un repertorio sconfinato, ed in genere finisce per elaborare la sua opera su archetipi ormai diffusi a livello mondiale, tanto che l opera, una volta realizzata, sta al paesaggio circostante come potrebbe stare in qualsiasi altro situato magari in un continente diverso! Così, anche nel migliore dei casi, quando è recepita la necessità di rapportarsi con l ambiente circo

97 stante, riesce sempre più difficile individuare e quindi adottare elementi caratterizzanti validi. Per questo motivo, nel momento in cui in un determinato luogo si possono utilizzare tecnologie e repertori diffusi a livello addirittura mondiale ed è quindi possibile realizzare tutto a prescindere da qualsiasi limitazione oggettiva, diventa indispensabile dotarsi di una coscienza critica (cioè di capacità di analisi e di sintesi) per compiere con cognizione di causa le scelte necessarie per evitare compromissioni che in tali condizioni possono essere irreparabili. Ed in effetti oggi il dibattito culturale nel suo evolversi (e nei vari ambiti: critico, giuridico, ecc.) tende a recuperare scientemente gli esiti garantiti dalla coscienza spontanea (presente in epoche in cui il rapporto tra uomo e natura non aveva connotazioni conflittuali e consentiva di perseguire il massimo rendimento con il minimo impiego di risorse). Per realizzare questo obiettivo è indispensabile sviluppare la capacità di leggere e capire il territorio stesso nella sua complessità e nelle sue leggi formative, in modo da trarre da questa conoscenza le indicazioni per operare le indispensabili trasformazioni rispettando le preesistenze, inserendosi coerentemente nel contesto e così scongiurare innovazioni stravolgenti. Come già accennato, le innumerevoli forme di connotazione del paesaggio (forestale, agrario, antropico, ecc.) si possono ricondurre tutte all'interferenza reciproca tra risorse naturali di un determinato ambito territoriale (le più varie) e le necessità primarie dell'uomo (alimentarsi e ripararsi) simili nel tempo e nello spazio. Ciò determina tipologie d'uso del territorio simili e ricorrenti nelle situazioni più diverse: la tipologia edilizia è condizionata sia dal tipo di economia civile (come ad esempio le case a corte in ambiti rurali o le case a schiera in ambiti mercantili), sia dal materiale a disposizione da cui derivano i diversi sistemi statici (elastico se basato sull uso del legno, o plastico se basato sull uso della pietra o dei mattoni); la formazione degli insediamenti è in genere sviluppata su testate di promontorio sempre più protese verso valle, in cerca di siti di scambio (mercati) sempre più baricentrici, lungo percorsi prima preesistenti agli abitati e poi dipendenti da questi stessi; la penetrazione e l'uso del territorio è organizzata mediante percorsi di crinale o percorsi di fondovalle a seconda del grado di capacità tecnologica raggiunta, via via gerarchizzati da un massimo di serialità ad un massimo di organicità, a seconda delle situazioni orografiche particolari. Tali percorsi restano comunque compresenti, tanto da giustificare la creazione di percorsi di contro crinale e diagonali quali vere e proprie scorciatoie e da consentire anche un recupero specialistico dei percorsi desueti, come ad esempio oggi quelli di crinale, che comunque continuano ad essere utilizzati come percorsi escursionistici. In altri termini, una società poco tecnologica in genere si garantisce il massimo controllo del territorio utilizzando un percorso tracciato in corrispondenza del crinale principale, che normalmente non richiede opere d arte significative (ponti, muri di sostegno, gallerie, ecc.). Allorché si instaurano i primi insediamenti stabili o semistabili, tale percorso è in grado di collegare tra loro tutti i percorsi che da esso si dipartono sfruttando i vari crinali secondari. Con il progredire della tecnologia, si formano in genere delle scorciatoie a valle dei percorsi di crinale più alti, che possiamo chiamare percorsi di controcrinale, sino a quando le capacità costruttive più evolute consentono la bonifica e lo sfruttamento dei più remunerativi terreni di fondovalle, mediante percorsi sempre più specialistici, che in genere collegano sempre più agevolmente gli agglomerati urbani più importanti, cioè i mercati più frequentati, quelli dotati di un bacino d utenza più vasto. Tuttavia, ogni volta che si conquista una frontiera (un territorio meno scosceso, un approvvigionamento idrico più comodo, ecc.) si perdono alcune facoltà precedenti (orizzonti più vasti, collegamenti più immediati, ecc.) e per gradi si passa da una civiltà che ha per confini i compluvi e quindi i corsi d acqua ad un altra che, viceversa, ha per confini i displuvi, le cime più impervie

98 Soprattutto si cambia punto di vista, cioè metodo di lettura, del territorio con la conseguenza di non cogliere più alcuni dei segni sempre presenti su questo e di rischiare di cancellarli. Tornando a Neirone, oggi è difficile capire le ragioni stesse della sua collocazione in posizione così decentrata e della sua conformazione a piccoli nuclei apparentemente indipendenti se pure gerarchizzati (capoluogo, frazioni, edifici sparsi, ecc.); è difficile capire come mai tra i boschi, in posizioni apparentemente casuali, esistono ponti in pietra certamente impegnativi dal punto di vista costruttivo, tanto da far escludere decisamente l ipotesi della loro realizzazione nell ambito di una viabilità solamente locale. Solo ricorrendo alla lettura del territorio e ricordando la sua storia civile, come proposto in questo stesso volume, è possibile individuare quelle ragioni, che derivano da un sistema economico e sociale diverso da quello attuale ma che tuttavia indicano chiaramente la vocazione intrinseca di quel territorio, da cui non si può prescindere se si intende operare in continuità con le preesistenze, nel rispetto del territorio stesso e della sua storia, e quindi evitare esiti negativi sotto il profilo paesistico se non, addirittura, anche di quello economico. Si comprende che il territorio di Neirone possiede vocazioni che oggi possono essere recuperate e valorizzate nell ambito di iniziative specialistiche (agricoltura di tipo tradizionale, sviluppabile con il recupero di metodologie ecologiche ; artigianato qualificato; turismo del verde ; escursionismo sportivo e culturale; ecc.), piuttosto che mortificate o addirittura stravolte da tentativi di omologazione con modelli di sviluppo socio-economico tipici di ambiti culturali diversi (se non da agricoltura intensiva, comunque impossibile nella situazione orografica locale, da impianto di capannoni industriali sovradimensionati, o da costruzione di insediamenti turistici, magari giustificati da impianti sportivi o attrazioni turistiche realizzate ad hoc, ecc.)

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100 ALLE RADICI DELLE TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO Roberto Maggi La fotografia riportata nella fig. 1 è emblematica della lunga durata dei processi di trasformazione del territorio - e di conseguenza della loro accezione visiva: il paesaggio - attuati dai gruppi umani antichi, in questo caso così antichi da essere convenzionalmente - quanto impropriamente - definiti preistorici. L attributo di essere vissuti prima della Storia assegnato ai gruppi umani pre-letterati è di origine alto-ottocentesca, quando il binomio razzismo-imperialismo propagandava i popoli illetterati quali popoli senza storia. L etnologia da una parte e l archeologia dall altra hanno successivamente messo in chiaro, rispettivamente, che i popoli illetterati e quelli preletterati hanno una storia, ciascuno la propria, nelle varie accezioni sociale, tecnologica, artistica, territoriale. Forse non è un caso che in un paese con scarse possibilità coloniali come l Italia, intorno al 1860 venisse coniato un termine diverso: Paletnologia (studio comparato delle culture dei gruppi umani fossili), che ancora sopravvive quale materia di insegnamento universitario. Tuttavia l inglese Prehistory, il francese Prehistoire ed i loro equivalenti hanno espugnato il linguaggio anche di quelle culture che inizialmente respinsero tali termini. Paradossalmente l'approccio primitivista insito nel termine stesso è oggi assai più diffuso in Italia che negli ambiti anglosassone e francese che lo avevano coniato: quante volte capita di leggere uomo primitivo a proposito di un neolitico! E quante volte i neolitici vengono considerati individui di scarse capacità, in grado a malapena di sopravvivere in un ambiente ostile. Si tratta della riproposizione estensiva e più o meno inconsapevole del concetto di barbari. Nei contesti di maggiore esercizio dell antropologia e della museografia scientifica è maggiormente diffusa la consapevolezza che i neolitici (e altre società preletterate) avevano accumulato profonde conoscenze delle risorse e grandi capacità manipolatorie dell'ambiente, le cui espressioni sono state così massicce e numerose da essere pervenute con molti casi esemplari fino a noi. L uso corretto del termine "uomo primitivo" è Fig. 1 Veduta della parete superiore della serie stratigrafica di Calvari Cian dei Tenenti appena esposta dallo scavatore in occasione della costruzione di una casa. In primo piano il suolo sepolto 1 (di colore scuro) ed un sottostante strato con molte pietre. Un altro suolo sepolto si intravede appena coperto dal detrito (foto R. Maggi). quello evolutivo, per indicare le specie umane più antiche, fisicamente (e geneticamente) diverse da noi: Neandertal e precedenti. Per inciso, si noti che anche i comportamenti delle specie precedenti la nostra erano orientati alla trasformazione dell ambiente. Si discute se l Homo Erectus di 1.5 milioni di anni fa (dotato di volume cefalico inferiore a 1000 cm 3 ), fosse in grado di articolare parole, ma è quasi certo che gestisse il fuoco, vale a dire la capacità di intervenire sull'ambiente con mezzi chimici. A partire dalla affermazione della nostra specie (centomila anni fa in Africa, quarantamila in Europa) non possiamo parlare che di uomo moderno. Primitivo è improprio anche se usato per enfatizzare carenza di capacità e di saperi. Senza scomodare coloro che undicimila

101 anni fa in Medio-Oriente selezionarono cereali e legumi naturali fino a renderli coltivabili, ottenendo specie domestiche geneticamente diverse da quelle selvatiche d origine, ricordo che prima di ricorrere ai metalli, asce, accette e zappe venivano armate con taglienti fatti con pietre accuratamente e sapientemente selezionate in funzione degli usi cui erano destinate. I neolitici liguri e quelli del basso Piemonte si approvvigionavano sistematicamente di materia prima nelle spiagge fossili terziarie, dove fra milioni sapevano individuare i rari ciottoli di eclogite e di omfacitite, tecnologicamente i migliori per realizzare taglienti efficaci e duraturi, in grado di tagliare alberi, lavorare il legno, zappare, uccidere. La superiore qualità delle metaofioliti di alta pressione (questo è il termine geologico formazionale odierno) della Liguria e del Piemonte, dimostrata dalla scienza moderna, era ben nota anche nel Neolitico, come dimostra la loro esportazione in gran parte d Europa. Certamente i neolitici indicavano tali rocce con un nome diverso, forse perduto, e certamente non usavano il microscopio. Eppure essi selezionavano le pietre giuste con un margine di errore minimo. In quel laboratorio che è il territorio, provando e riprovando, avevano raggiunto dei saperi assai efficienti, poi diventati inutili a seguito della introduzione dei metalli. Saperi che solo dopo millenni la scienza moderna è in grado di riacquisire parzialmente, ad opera di pochi scienziati. La differenza fra le conoscenze di una popolazione moderna e di una neolitica di pari entità, più che la quantità, concerne probabilmente la strutturazione dei saperi, che tra i neolitici erano diffusi orizzontalmente, fra noi no. Oggi, per riconoscere un ciottolo di eclogite si ricorre al petrografo, il quale avrà probabilmente bisogno anche di un microscopio e di altri metodi analitici; questo perché i metodi empirici a suo tempo elaborati dai neolitici non fanno più parte del patrimonio delle conoscenze diffuse. La storia dei popoli preletterati è scritta nei sedimenti del territorio da loro usato, in segni sulle rocce, nei loro utensili, nelle loro ossa, nelle ossa degli animali con cui sono venuti a contatto, e via dicendo. Una costante nella storia di tutte le specie, dunque di tutto il genere umano, è l attitudine a trasformare l ambiente. Se l acquisizione della postura eretta (sei o più milioni di anni fa) discende dalla storia naturale, la prima caratteristica riconoscibile come culturale, perciò umana, perciò storica, registrata milioni di anni fa, è una emblematica prova di trasformazione fisica dell ambiente, consistente nella modificazione di alcuni sassi opportunamente selezionati, per renderli appuntiti. Seguiranno la capacità di modificazione chimica (il fuoco) e, undicimila anni fa, la capacità di modificazione biologica, con la creazione di specie vegetali e animali addomesticate, per le pratiche di agricoltura e di allevamento. La fotografia riportata nella fig. 1 coglie una splendida pagina di storia della gestione del territorio appena portata alla luce da una ruspa in un fondovalle appenninico. In primo piano si riconosce uno strato scuro, che verso l alto diventa più chiaro con tonalità del rosso, poi brunogiallastro, per tornare infine al colore bruno scuro del suolo attuale. Al di sotto dello strato scuro sepolto si riconosce chiaramente uno strato con abbondanti pietre minute e medie, e, sotto di esso, si intravede un ulteriore strato scuro, in gran parte coperto da detrito. I due strati scuri sepolti corrispondono ad altrettanti suoli antichi: lo si intuisce osservando la similitudine di aspetto con il suolo attuale ed è dimostrato dalla analisi micromorfologica in sezione sottile condotta dalla geoarcheologa Caterina Ottomano 1. Il suolo sepolto 2, quello più profondo, osservato al microscopio, rileva la presenza di frequenti minuti frustuli di carbone di legna a spigoli arrotondati e relitti di suoli bruni forestali. Ciò indica che un bosco che si trovava sul vicino versante è stato diradato con l uso sistematico del fuoco, fino ad innescare un processo di erosione del suolo forestale, i cui relitti sono stati trasportati a valle dalle acque di superficie e da altri agenti. È seguita una fase di stabilità che ha con- 1 Vedi appendice e relazione inedita presso la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria. Lo studio è stato effettuato nel contesto di un intervento di archeologia preventiva di urgenza eseguito in occasione di lavori edilizi

102 sentito il riaddensamento del bosco e la formazione del suolo che intravediamo in basso nella foto. Però l attività di trasformazione del versante è continuata (o è ben presto ripresa) ed ha prodotto effetti in qualche caso localmente molto forti, come testimoniato dallo strato pietroso. Si tratta infatti di un deposito torrentizio che indica come l azione del disboscamento e di trasformazione dei suoli sia stata così vasta ed incisiva da apportare modifiche al reticolo idrico superficiale. Lo strato scuro immediatamente soprastante, che chiameremo suolo sepolto 1, osservato al microscopio, rivela caratteristiche analoghe. Esso racconta la seguente storia: l acme trasformativa prima citata (il deposito torrentizio) è stata seguita da un periodo di stasi, che ha portato alla ricrescita del bosco sui versanti. Ben presto, però, il fuoco è tornato a disboscare e, indirettamente, a causare colluvi; sul materiale depositato a valle è poi cresciuta la vegetazione e si è formato un nuovo suolo. Gli strati superiori testimoniano l applicazione di pratiche diverse dalle precedenti, con la messa in coltura più graduale e forse più diffusa, senz altro più stabile e continua, che si riflette nell apporto di colluvi più fini e più omogenei, fino alla formazione del suolo tuttora utilizzato. La datazione radiocarbonica di un campione dei frustuli di carbone di legna prelevati dal suolo sepolto 1 (quello più recente) è /- 50 (Beta ) da oggi in cronologia non calibrata (fra 2450 e 2060 avanti Cristo in cronologia calibrata). Ciò colloca il disboscamento che ha innescato la formazione del suolo sepolto 1 tra la fine dell Età del Rame e l inizio dell Età del Bronzo. È l epoca della diffusione della metallurgia, della costruzione di palafitte sulle numerose zone umide della pianura padana. Per quanto attiene alle tecniche di uso dei suoli la letteratura paletnologica enfatizza la diffusione dell aratro, mentre poco troverete sul fuoco controllato, il quale, come vediamo qui, è stato in realtà strumento di profonde trasformazioni, tanto più evidenti nelle zone montane. Il suolo sepolto 2 testimonia pratiche analoghe, certamente più antiche, ma purtroppo non è stato ancora datato. Il rinvenimento in entrambi i suoli di minuti frammenti di ceramica fluitati indica che l abitato non doveva trovarsi lontano. In posizione intermedia fra il suolo sepolto 1 ed il suolo attuale si rinvengono frammenti di laterizi di età romana. È interessante osservare che le tracce archeologiche delle trasformazioni del suolo di età romana denotano un impatto molto inferiore rispetto all Età del Bronzo. Ho scritto prima che questa foto è stata scattata in un fondovalle appenninico. Per la precisione ci troviamo a Calvari (San Colombano-Ge) in località Cian dei Tenenti, in Val Lavagna, nel cui bacino imbrifero si trova gran parte del territorio di Neirone (vedi R. GHELFI in questo volume). Una sequenza analoga è stata studiata in località Isolalunga, presso Monleone di Cicagna, ancor più vicino a Neirone. Anche qui abbiamo due suoli sepolti principali, che presentano caratteristiche del tutto simili a quelle di Calvari. Qui è stato datato il suolo più profondo, che ha fornito la misura /- 50 BP 2 (Beta ). Si tratta di una datazione di grande interesse, che fa risalire il disboscamento responsabile della formazione del suolo 2 addirittura al Neolitico Antico, cioè ai primi secoli della diffusione dell agricoltura e dell allevamento in Italia settentrionale e centrale. Il suolo 1 di Isolalunga presenta caratteri molto simili a quello di Calvari 1, compresi piccolissimi frammenti fluitati di ceramica. Le due sequenze risultano perciò sostanzialmente uguali per più di un aspetto. Si può ritenere che entrambi i suoli 2 siano neolitici e che entrambi i suoli 1 siano dell Età del Rame/inizio dell Età del Bronzo. Considerata l occasionalità con cui sono state rinvenute queste tracce archeologiche, è estremamente probabile che il territorio conservi, e/o abbia conservato, molti altri resti analoghi. In altre parole è plausibile che le pratiche testimoniate dai depositi di Calvari e Isolalunga abbiano avuto larga applicazione sul territorio. L uso este- 2 Nella cronologia radiocarbonica la sigla BP indica la misura fornita dal laboratorio in anni prima del 1950 (= da oggi ) senza calibrazione. La sigla BC indica gli anni Before Christ (avanti Cristo), detti anche calendarici, ottenuti con taratura attraverso le curve di calibrazione

103 so delle pratiche di disboscamento sembra doversi riferire alla costruzione di prati-pascolo più o meno densamente alberati, che avrebbe interessato larghe porzioni di territorio. Se la datazione del suolo sepolto 1 di Calvari fornisce un riferimento cronologico recente ma probabilmente non terminale di applicazione della pratica, la data dello strato 2 di Isolalunga indica che la pratica era in uso al tempo della prima introduzione degli animali domestici (in Liguria e in tutta l Italia centrale e settentrionale non prima del 6800/6900 BP) o poco dopo. La ciclicità dei processi osservati suggerisce che i gruppi umani neolitici e dell Età del Rame avessero pieno controllo dell intero sistema e non soltanto di questa o quella tecnica di disboscamento piuttosto che di coltivazione. I suoli dimostrano che la pressione di disboscamento di una determinata porzione di territorio veniva sospesa in un momento in cui il cambiamento dei modi di gestione sarebbe stato ancora in grado di produrre la riformazione di una copertura forestale. Si potrebbe immaginare una sorta di rotazione fra pascoli alberati e bosco, articolata in periodi lunghi alcuni secoli, con tutto quel che ne consegue dal punto di vista antropologico per quel che concerne la trasmissione del sapere ed i rapporti fra gruppi contigui. Anche se non mancano esempi di comunità che svolgono lavori a vantaggio delle generazioni future, i dati sono insufficienti per sostenere che sia stato elaborato un progetto di così ampio respiro. In attesa di conseguire dati specifici conviene prudentemente considerare che il progetto territoriale mirasse a ritorni in tempi brevi. Varie indicazioni suggeriscono che nei primi secoli del Neolitico i gruppi umani, ancora numericamente ridotti, concentravano la loro attività prevalentemente presso le coste, nei territori costieri, nei fondovalle e nel basso e medio versante. Soltanto nel tardo Neolitico (poco prima del 4000 a.c.) si rinvengono evidenti tracce di impatto alle quote sopra i 1000 metri. La costruzione di pascoli e le trasformazioni del suolo e della vegetazione di montagna assumono caratteri macroscopici durante la successiva Età del Rame (R. MAGGI, R. NISBET 1991; R. MAGGI 2000). È emblematico il caso del Monte Aiona. Sui suoi alti versanti e sulle zone perisommitali, tra il 3000 ed il 2400 avanti Cristo l attività antropica, utilizzando il solito strumento del fuoco controllato, ridusse l abetina a favore degli spazi erbosi e della colonizzazione del faggio, mentre i materiali fini movimentati dell erosione in tal modo innescata andavano ad impermeabilizzare i sedimenti ghiaiosi di una vasta conca ubicata a circa 1400 metri di quota. Ciò creava le condizioni necessarie per la formazione di un acquitrino, nel quale gli animali al pascolo potevano abbeverarsi e dove ha cominciato ad accumularsi la torba che oggi costituisce il ben noto bacino intorbato di Prato Mollo (Borzonasca) (M. A. COURTY, P. GOLD- BERG, R. I. MACPHAIL 1989; R. MAGGI 2000). È evidente l ampio respiro del progetto di uso delle risorse ambientali, che ha avuto pieno successo nell aumentare la carrying capacity (la capacità di alimentare più persone) del territorio interessato, come dimostrato dal forte aumento del numero di siti. L altrettanto forte, anzi certamente maggiore, cambiamento del paesaggio montano (dall abetina al prato pascolo alberato a faggio/faggeta più o meno aperta, la formazione di zone umide, la traslazione di migliaia di metri cubi di suolo) è un corollario del progetto di attivazione e utilizzo delle risorse attuato dalla società tardoneolitica. Sull area sommitale del Monte Aiona sono stati rinvenuti numerosi manufatti di pietra scheggiata, fra cui una dozzina di punte di freccia a peduncolo e alette del tipo in uso nell Età del Rame ( a.c.), nelle due varianti utilitaria e rituale (G. LEONARDI, S. ARNA- BOLDI 1998). I gruppi dell Età del Rame hanno dunque profondamente modificato il territorio, hanno svolto battute di caccia, hanno - probabilmente - deposto offerte presso la vetta del Monte. Se la ricerca archeologica è perfettamente in grado di dimostrare la cronologia e l'intensità delle trasformazioni del territorio, non riesce ad essere altrettanto precisa per quanto attiene la descrizione della percezione visiva, cioè del paesaggio, del territorio manipolato. Il paesaggio è

104 largamente determinato dalle pratiche di gestione del territorio. L'insieme delle pratiche dell'età moderna è il risultato della millenaria evoluzione dialettica delle componenti in gioco (risorse territoriali, demografia, bisogni, soluzioni adottate). Alcune delle pratiche moderne hanno origini antiche; penso alla scalvatura, l'approvvigionamento di foraggio fogliare introdotto dai neolitici, o al terrazzamento introdotto nell'età del Bronzo. Tuttavia esse hanno subito profonde modificazioni nel corso del tempo e parallelamente è cambiato l'esito paesaggistico della loro applicazione: i terrazzamenti dell'età del Bronzo conservatisi e recentemente riportati alla luce al Castellaro di Uscio hanno un aspetto decisamente diverso dai terrazzamenti moderni. Altre forme di trasformazione sono esclusivamente moderne; altre ancora si sono estinte. È difficile dare un volto ai suoli sepolti. Essi testimoniano l'uso sistematico del fuoco, l'elevata componente organica indica correlazioni con la gestione degli erbivori, ma i gesti, i saperi, le pratiche impiegate sono forse scomparsi. È difficile immaginare un paesaggio che ci è visivamente ignoto. Le prime relazioni pervenute in Europa sul territorio degli attuali Stati Uniti orientali non menzionavano le locali coltivazioni di zucche e girasole. Le pratiche dell agricoltura nordamericana elaborate a partire dal 2500 a.c. da gruppi che vivevano in uno stadio tecnologico di tipo neolitico erano sconosciute agli europei, i quali semplicemente non videro ciò che non conoscevano. Ci troviamo in una situazione analoga quando cerchiamo di osservare il paesaggio del passato. Abbiamo però il vantaggio di essere consci della nostra ignoranza. Neirone Alcune punte di freccia simili a quelle del Monte Aiona sono state rinvenute nel territorio di Neirone, attorno a Corsiglia e presso la località Castellaro (N. CAMPANA 1998), circa un chilometro a Est di Roccatagliata. Abbiamo perciò un segnale pervenutoci da gruppi umani di cultura analoga a quelli di Borzonasca e della Fontanabuona, anzi probabilmente si tratta dello stesso gruppo umano di cui abbiamo letto ampie tracce a Calvari ed a Isolalunga. Ci si può pertanto attendere che attività analoghe a quelle testimoniate in Val Lavagna ed a Prato Mollo siano state applicate al territorio di Neirone. Nessuna indagine o semplice prospezione è stata finora condotta nei bassi versanti e presso i fondovalle; mentre l unica prospezione condotta in zona sommitale ha riservato una sorpresa assai interessante. Il sito indagato è una piccola depressione chiamata Pozza dell orso (fig. 3) ubicata pochi metri a Ovest del crinale che dal Passo del Gabba (m 1109) porta al Monte Caucaso (m 1245), dove Bruno Valli aveva raccolto alcune schegge di diaspro indicatrici di attività umana preromana 3. Una serie di sondaggi a mano, tramite una semplice trivella ad avvitamento, ha individuato una sequenza stratigrafica di quattro unità, di cui due contenenti frustuli di carbone di legna. È stato recentemente datato presso il Laboratorio Beta di Miami (Università della Florida) un frustulo di carbone di legna proveniente dal livello carbonioso più profondo. La misura /- 40 BP (identificativo di laboratorio: Beta ), corretta con la calibrazione a doppia deviazione standard, corrisponde (col 95% di probabilità) all intervallo compreso fra 6060 e 5980 BC (avanti Cristo). Questa data precede di circa un secolo la comparsa delle prime conclamate forme di allevamento e agricoltura sulle coste della Provenza e del Finalese, di due secoli la neolitizzazione del resto dell Italia settentrionale e forse di ancor più quella delle zone montane. Per capire se i frustuli di carbone di legna individuati dalle trivellazioni derivano dalla accensione di focolari o da pratiche di gestione della vegetazione è necessario estendere l indagine applicando le metodologie di rito (scavo stratigrafico, analisi micromorfologica, antracologica, palinologica). L osservazione che il livello carbonioso si estende su quasi tutta l area testata suggerisce la 3 Colgo l occasione per ringraziare Bruno Valli per la consueta sollecitudine con cui segnala alla Soprintendenza per i Beni Archeologici i risultati delle sue ricerche di superficie

105 Fig. 2 Localizzazione di siti e reperti sporadici citati nel testo. Nel territorio di Neirone: Pozza dell Orso (93), tra Corsiglia e Roccatagliata (96), Castellaro di Roccatagliata (97), Rumagè (98), Corsiglia loc. Tabini (100). In Val Lavagna: Calvari- Cian dei Tenenti (426), Isolalunga (397). I numeri tra parentesi sono quelli dell Archivio Topografico dell Archeologia del Tigullio, in corso di elaborazione presso il Museo Archeologico di Chiavari (elaborazione N. Campana). possibilità che esso sia riferibile ad una pratica di incendio della copertura vegetale. Se ciò verrà confermato da future indagini, il sito di Pozza dell Orso contribuirebbe ad aprire una nuova pagina sulla storia dell ambiente in Italia. A differenza di quanto rilevato ad esempio in Inghilterra, dove sono più di cento i siti di accertato uso sistematico del fuoco per il controllo della vegetazione da parte dei gruppi mesolitici (i raccoglitori-cacciatori postglaciali che precedettero gli allevatori-agricoltori neolitici), la documentazione archeologica italiana è molto carente sul tema. Ricerche condotte da Lanfredo Castelletti (L. CASTELLETTI 1983) e altri studiosi suggeriscono anzi che i cacciatori mesolitici avessero un impatto trascurabile sui boschi della fascia più alta. Va sottolineato che i dati si riferiscono all alta montagna alpina e dell Appennino tosco-emiliano, attorno o al di sopra del limite superiore del bosco, che risulta essere stata utilizzata per battute di caccia (prevalentemente allo stambecco). Battute svolte da piccoli gruppi che si assentavano per brevi periodi dai campi base posti più in basso. D altro canto, la documentazione archeologica sui modi di uso del territorio da parte dei mesolitici alle quote più basse è insoddisfacente, anche se non mancano alcune indicazioni sulla probabilità che la manipolazione delle risorse vegetali fosse tutt altro che trascurabile, almeno per quanto riguarda l Appennino ( J. J. LOWE, C. DAVI- TE, D. MORENO, R. MAGGI 1995; R. MAGGI, F. NEGRINO 1994). La Pozza dell Orso può conservare una testimonianza del fatto che, come in Inghilterra, in Australia e molte altre parti del mondo, la copertura vegeta

106 Fig. 3 Monte Caucaso Pozza dell Orso (foto R. Maggi). le dell Appennino veniva trattata col fuoco ben prima dell introduzione dell allevamento, o meglio di forme di allevamento le cui tracce siamo in grado di riconoscere. Passato e presente Concludo questa breve rassegna osservando che le attività rurali moderne, medievali e romane, lungi dal colonizzare un ambiente naturale, si sono confrontate con un territorio già ampiamente manipolato nel corso dei millenni con la applicazione di pratiche estese ed incisive, che hanno comportato cambiamenti talora radicali della copertura vegetale e la traslocazione di milioni di metri cubi di quella componente fluida del paesaggio che è il suolo. Mentre in Egitto sorgevano le prime piramidi, qui da noi gruppi umani che parlavano una lingua diversa ma dotati individualmente delle stesse capacità,non urbanizzati, socialmente poco stratificati, si cimentavano nella difficile addomesticazione di un territorio montuoso, elaborando specifici metodi di gestione delle risorse. Nell attuale periodo di abbandono delle campagne, un territorio reduce da millenni di profonde manipolazioni subisce un processo di rinaturalizzazione spontaneo, non governato, i cui esiti talora disastrosi sono sotto gli occhi di tutti: in primo luogo frane, alluvioni, incendi. Il fuoco in particolare, dopo essere stato per ottomila anni sapiente strumento per la generazione di risorse e per la costruzione del paesaggio, è diventato agente distruttivo, soprattutto se usato come strumento generatore di poco limpidi affari. Lo studio dei metodi e delle tecniche applicate in epoche durante le quali lo stesso territorio presentava una densità di popolamento paragonabile a quella che si sta per conseguire, potrebbe non essere un mero esercizio intellettuale

107 CALVARI - CIAN DEI TENENTI E ISOLALUNGA ASPETTI SEDIMENTOLOGICI E MICROMORFOLOGICI DELLA SUCCESSIONE STRATIGRAFICA Caterina Ottomano La micromorfologia L'analisi dei suoli in sezione sottile (micromorfologia), viene eseguita al microscopio su blocchi indisturbati di terreno provenienti da suoli, sedimenti, livelli archeologici. Dal momento che questi terreni sono nella grande maggioranza incoerenti, è necessario consolidare i blocchi in laboratorio mediante impregnazione con apposite resine epossidiche. L'impregnazione viene eseguita sotto vuoto in modo che la resina, fatta cadere goccia a goccia, riempia gradualmente la porosità. Una volta consolidato il campione viene montato su un vetrino e tagliato sino a raggiungere lo spessore di 20 microns. La micromorfologia rappresenta un prezioso strumento sia per la comprensione della genesi dei depositi archeologici che per la ricostruzione degli ambienti del passato. L analisi microscopica ha permesso di raccogliere una serie di indizi utilissimi per l interpretazione ambientale dei suoli sepolti di Calvari ed Isolalunga. Un suolo è definito come un corpo tridimensionale che si origina sulle terre emerse per alterazione di una roccia o un sedimento. Le acque che circolano nel terreno o nella roccia e l attività biologica modificano i materiali di partenza sino a renderli irriconoscibili. La formazione dei suoli o pedogenesi è fortemente influenzata da una serie di fattori ambientali quali clima, vegetazione, topografia, nonchè dal tempo di esposizione. I suoli sepolti, quindi, forniscono una serie di utilissime informazioni riguardo le condizioni ambientali che esistevano nell area al momento della loro formazione; durante la pedogenesi, infatti, si formano le figure pedologiche, che forniscono utilissime informazioni a questo riguardo. Grazie alla micromorfologia è stato possibile accertare che i depositi corrispondenti all US 6, che contengono anche piccoli carboni, hanno origine colluviale. I carboni sono la conseguenza di incendi della vegetazione (sterpi, ceppaie) effettuati molto probabilmente allo scopo di aprire radure nella foresta al pascolo, alla coltivazione e all insediamento. Le pratiche di disboscamento, come è noto, innescano erosioni accelerate dei suoli lungo il versante che vengono risedimentati più a valle sotto forma di depositi colluviali (R.I. MACPHAIL 1992). Una figura pedologica importante, visibile solo a scala microscopica, sono i rivestimenti argillosi, sottili pellicole contenute all interno dei pori del sedimento originate durante il processo di formazione del suolo (pedogenesi). Perchè i rivestimenti argillosi si formino è necessaria la presenza di una densa copertura vegetale; essi testimoniano dunque che, dopo la deposizione dei colluvi, un nuovo bosco ebbe a ricoprire l area e dovette permanere per un periodo piuttosto lungo, tanto da consentire la formazione di un suolo forestale. Un altra figura pedologica presente nel suolo di Calvari (US 6) sono i rivestimenti laminati, che sono sovrapposti a quelli argillosi e indicano che, ancora più tardi, la copertura vegetale venne disturbata più volte anche se non drasticamente ed infine, rimossa definitivamente. Quest ultima fase è segnata dalla presenza nel suolo dei rivestimenti grossolani (dusty coatings) legati a superfici denudate o comunque ricoperte da scarsa vegetazione che potrebbero essere state adibite a pascolo. Il suolo superiore della sequenza di Calvari, corrispondente all US 4, è sviluppato su depositi di versante contenenti carboni uniformemente dispersi nella massa di fondo, e frequenti pedorelitti e frammenti di rivestimenti argillosi provenienti dal rimaneggiamento di suoli forestali. I rivestimenti grossolani che foderano le pareti di alcuni pori ( agricutans ) sono messi in relazione, alla stessa maniera con attività agricole che si svolgevano sulla superficie. I suoli di Calvari, corrispondenti alle UUSS 6 e 4, trovano corrispondenza, dal punto di vista micromorfologico, con i due suoli sepolti di Isolalunga, il più profondo dei quali è datato al Neolitico antico

108 Isolalunga - Suolo 1. Microfotografia x 100. La porosità (15%) è costituita in prevalenza da camere del diametro massimo delle ghiaie minute e da subordinati canali e planes minuti. La microstruttura è a camere. La frazione grossolana è costituita da ghiaie minute, da subarrotondate ed arrotondate che comprendono: granuli di siltiti e arenarie fini della formazione di Val Lavagna, rarissimi granuli di quarzo policristallino, frequenti carboni dispersi nella matrice, generalmente subarrotondati, frequenti relitti di suoli bruni. La frazione fine è costituita da limi argillosi bruno scuri; la b-fabric è indifferenziata, localmente reticolata. Il rapporto C/F è 40/60. Le figure pedologiche sono rappresentate da: comuni rivestimenti argillosi limpidi, presenti sia nella matrice che sulle pareti dei pori di piccole dimensioni. frequenti rivestimenti laminati, caratterizzati dall alternanza di lamine di argilla e di limo. comuni rivestimenti grossolani sia sovrapposti ai rivestimenti argillosi che esclusivi; questi rivestimenti foderano le pareti dei pori di dimensioni maggiori (microfotografia C. Ottomano)

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110 IL TERRITORIO DI NEIRONE NELLA VAL FONTANABUONA Roberto Ghelfi Il territorio di Neirone si estende lungo la valle del torrente omonimo ed è delimitato dai crinali secondari che discendono dai monti Lavagnola e Caucaso, entrambi collocati sulla dorsale appenninica. Il Caucaso, che eleva la sua mole articolata fino a 1243 metri sul livello del mare, è un acrocoro generante più dorsali; le più lunghe, esposte verso sud, conducono a Gattorna, nodo di fondovalle collocato in prossimità dell incrocio della Val Neirone con la Val Lavagna, ed a Monleone, posto presso la confluenza del Torrente Malvaro, non lontano da Cicagna, antico nodo di attraversamento in direzione del Tigullio. Fra le due dorsali s'incunea il territorio di Moconesi strutturato su percorsi di mezzacosta che allineano piccoli nuclei insediati. Schema della struttura orografica del Tigullio Dai contrafforti del Caucaso, si distacca ancora, verso settentrione, la dorsale minore che delimita il cantone alto della Val Neirone dominato dal promontorio di Roccatagliata, nodo strategico per il controllo dei passi appenninici che si aprono verso la Val Trebbia ed il territorio piacentino (fig. 1). Il passo più importante, quello del Portello, permette di raggiungere, dopo pochi chilometri, la direttrice di fondovalle. La configurazione morfologica della dorsale principale, particolarmente sinuosa in corrispondenza del Monte Caucaso e del Monte Ramaceto, fa sì che l alta Val d Aveto si presti per essere utilizzata come naturale rettifica del tracciato longitudinale della Catena appenninica: l alta Val Neirone ed in particolare il sistema di Roccatagliata, sono naturalmente collegati anche con questo sistema vallivo che scambia direttamente con la Lunigiana e l estremo levante ligure attraverso l alta Val di Taro. A differenza delle altre valli della Fontanabuona, quindi, la Valle del Neirone è l unica che permette di utilizzare contemporaneamente le direttrici della Trebbia e dell Aveto. D altra parte le vicende tormentate del castello di Roccatagliata, antico possesso del Vescovo di Genova poi degli Advocati, quindi dei Fieschi ed infine ancora di Genova, posto a controllo delle strade del Portello e di Barbagelata, sembrano confermarlo. La fisionomia della valle La fisionomia della valle (fig. 2), dedotta dalla fotointerpretazione e dalla Carta tecnica regionale, è messa in risalto dalla distribuzione dei tessuti agricoli, organizzati su terrazzi che seguono l andamento delle curve di livello, e dalla presenza del bosco, che diventa sempre più rado in corrispondenza delle dorsali montuose, occupate da estese praterie. La parte alta del bacino, delimitata dal crinale appenninico, è dominata dal lungo promontorio, terrazzato fino alle quote alte, che s incunea tra le valli dei Torrenti Rissuello e Beo, sul quale si distende l insediamento di Roccatagliata, con l antico castello, costruito sul nodo delle due percorrenze, provenienti l una dal crinale di Barbagelata o di Costa Finale e l altra da Torriglia. Tutto ciò conferma il profondo legame che si stabilisce fra i territori d oltregiogo e quelli della marina, accomunati dallo stesso spartiacque appenninico. Da Torriglia, nodo strategico posto sul culmine delle dorsali che dividono le valli Trebbia, Scrivia e Bisagno, si può accedere direttamente al sistema di Neirone anche attraverso la valle del Torrente Sestri, che confluisce nelle acque del Torrente Rissuello ai piedi del Monte Borghigliano a valle di Roccatagliata. Questo percorso può essere alternativo a quello che da Roccatagliata risale la valle del Torrente Beo. La distribuzione dei tessuti agricoli è strettamente legata alla dislocazione degli insediamenti, anzi, il loro addensarsi o diradarsi è sintomo dell estensione o della potenza dell insediamento stesso: lo abbiamo già notato a

111 Roccatagliata ed ora lo constatiamo nuovamente per Neirone, punto di scambio fra le direttrici trasversali della valle secondaria e quelle longitudinali della valle principale. Mentre le prime collegano la costa con l entroterra padano, ossia il mare e la montagna, le seconde si legano con Genova e Chiavari animando tutto il versante sinistro del Torrente Lavagna. Si noterà come la presenza dell asse vallivo, caratterizzato dai tessuti a pettine tipici delle aree alluvionali, condizioni anche l addensarsi degli appoderamenti a fasce che modellano tutti i promontori bassi delle dorsali provenienti dall Appennino. A sud est, il complesso del Monte Caucaso con le sue praterie delimita con forza il sistema di Neirone: le strutture terrazzate di mezzacosta non risalgono le dorsali come accade per il complesso orografico della sponda opposta, incastellato attorno alla Rocca di Cavello che segnava il confine fra il Capitanato di Recco e la Podesteria di Neirone. Il comprensorio del Caucaso presenta aspetti più arcaici essendo un contrafforte della catena appenninica che si protende verso il mare e si affaccia al di sopra del promontorio di Portofino. Attorno ad esso si sono organizzate le comunità di Favale, Montegrifo, Moconesi e Corsiglia, posta fra Neirone e Roccatagliata, dove il paesaggio dei prati appenninici si trasforma gradualmente, arricchendosi di nuove colture 1. Neirone, divenuto nel secolo XVI sede del Podestà (G. CASALIS 1849, ad vocem) si trova nel punto dove la valle, stretta ed incassata, si chiude contro la costa di Castagnola, che divide il cantone alto del bacino imbrifero da quello basso. Percorrendo la strada moderna si percepisce fisicamente questo cambio di quota e di paesaggio, segnalato dai tornanti che separano Neirone da Corsiglia, piccolo abitato posto sulla strada di mezzacosta alta che conduce a Roccatagliata ed al passo del Portello. La posizione di Neirone, con il complesso monumentale della chiesa parrocchiale dedicata a San Maurizio già noto nel 1147, è tipica delle situazioni di chiusa e di attraversamento di un sistema vallivo: di chiusa per i motivi sopra esposti e di attraversamento perché collega le strade di mezzacosta che scendono verso la Valle del Torrente Lavagna l una in direzione di Gattorna e l altra in direzione di Ognio; la prima, dopo aver attraversato il corso d acqua può risalire il crinale di Uscio, collegarsi con il sistema del promontorio di Portofino e la Valle di Recco, la seconda attraverso Lumarzo può raggiungere la Valle del Bisagno e Genova. Le funzioni che la Valle di Neirone svolge nel sistema della Liguria di levante sono principalmente le seguenti: a) collegare Genova con i sistemi dell oltregiogo, utilizzando la direzione Ognio, Val Bisagno; b) collegare direttamente la costa con i territori dell Appennino, vantando anche una certa autonomia nei confronti del capoluogo regionale, utilizzando gli scali propri, collocati all origine delle principali direttrici trasversali che collegano l interno e la Riviera in questo settore del Levante genovese: l asse del crinale di Portofino con il porto di San Fruttuoso di Capodimonte, oppure l asse vallivo di Recco naturalmente allineato con quello di Neirone. La presenza di Genova attira i percorsi in direzione della città, ragione per cui sono chiamate in causa tutte le strade che conducono alla piana del Bisagno, compatibilmente con il carattere aspro della morfologia dei luoghi, sempre presente e condizionante la civiltà delle popolazioni liguri. Questi tracciati sono utilizzati anche dalla capitale per controllare, attraverso il castello di Roccatagliata, i passi appenninici. Non che quelli dell alta Val Neirone fossero particolarmente cruciali per Genova che ne possedeva altri più diretti e più comodi - si pensi alla struttura dei percorsi di mezzacosta che risalgono il Bisagno in direzione di Torriglia - ma perché quelli, proprio per la particolare configurazione dei luoghi, potevano legarsi direttamente alle direttrici trasversali 2 di crinale o di valle che caratterizzano il territorio ligure di Levante. In altre parole, un entità poli- 1 Per un interessante confronto sulle tematiche dello sviluppo territoriale del comprensorio del Tigullio si veda O. GARBARINO Si dicono trasversali tutte le direzioni perpendicolari alla costa. Si veda A. GIANNINI, R. GHELFI

112 tica o commerciale che avesse avuto intenzione di sviluppare un proprio sistema, indipendente dal capoluogo, avrebbe potuto, utilizzando gli scali del promontorio di Portofino o di Recco- Camogli, dirottare su di sé parte dei flussi commerciali diretti al capoluogo. Basti ricordare la vicenda del contrabbando del sale di cui il Vinzoni si occupò a più riprese nel corso delle sue missioni (R. GHELFI 2002, pp ). La struttura del Levante ligure non può essere distinta dalla massa montuosa, che si eleva al di sopra del corridoio delle valli parallele alla costa; questa, articolata in lunghe dorsali contrapposte alla prevalente direzione appenninica, è attraversata da una serie di mulattiere che, in senso longitudinale, scendono da Tortona a Luni collegando le estremità di un comprensorio alternativo alla Riviera. Lungo queste direttrici i mulattieri che trasportavano il sale riuscivano ad eludere il controllo genovese, principalmente imperniato sulla costa, ed attraversando il territorio dei feudi del Principe Doria vendevano il sale in Val Bisagno, in Val Polcevera, nei territori di Tortona e di Novi. Sotto il profilo territoriale la Valle di Neirone 3 poteva essere utilizzata anche per scambi di questo tipo data la facilità dei collegamenti con i Feudi Imperiali che si estendevano alle Valli della Trebbia e dell Aveto. Si comprende, pertanto, la preoccupazione di Genova di ridurre sotto il proprio controllo un territorio come questo, potenziale concorrente o, quanto meno, elemento di disturbo nella sua organizzazione territoriale. Si vedano le ripetute occupazioni e distruzioni del castello fliscano ed il mantenimento della Podesteria di Roccatagliata e di Neirone, compresa fra i capitanati di Recco e di Rapallo, confinante con i territori di Torriglia e di Santo Stefano d Aveto del Principe Doria. Aspetti del territorio di Neirone La tavola seguente (fig. 3) illustra attraverso quattro disegni altrettanti aspetti del territorio 4 in esame, proponendo la consueta scansione per crinali, strutture di mezzacosta, fondovalle e costa, utile per distinguere gli elementi territoriali che si riconoscono analizzando la cartografia ufficiale 5. Lo studio dei crinali evidenzia la struttura dei nodi alti del territorio, ossia gli scambi fra la direttrice principale longitudinale - e quelle secondarie trasversali - deputate al collegamento del sistema alpino con quello appenninico attraverso la Pianura padana. La rivierasca del Ticino, facente capo a Pavia, prende origine dal comprensorio del lago di Como. Dopo aver attraversato il Po, in corrispondenza di Broni o Stadella, mediante il crinale dell Antola raggiunge l Appennino in corrispondenza del nodo B del disegno 3a, corrispondente al Monte Lavagnola, radice del crinale che forma la sponda destra del bacino territoriale di Neirone. Il nodo A segna il distacco del crinale che conduce alla dorsale costiera D, la quale, nel nodo E, scende con un ramo in direzione di Portofino. Se proviamo a collegare questi nodi secondo una direzione trasversale osserviamo che la Val Fontanabuona è sollecitata principalmente nel nodo B/C corrispondente a Gattorna, promontorio insediato a controllo della confluenza e dell attraversamento diretto ad Uscio/Portofino o di Genova attraverso il Monte Fascie o Bavari. Lo stesso nodo è sollecitato anche dalla dorsale discendente dal Monte Caucaso sulla quale s innesta la direttrice minore dello spartiacque Trebbia/Aveto. Concludendo, il bacino di Neirone/Roccatagliata è interessato fin dall origine dai percorsi diretti verso il promontorio di Portofino e dei suoi approdi. Se i crinali rappresentano la struttura fondamentale del più antico sistema viario di un territorio, le strutture di mezzacosta, evidenziate con colore verde, indicano la forza della capacità insediativa. Allo scarto dei crinali principali, sulla linea delle risorgive collinari, l uomo costruisce le sue abitazioni. Sono riparate dai bordi del promontorio, e sono sufficientemente distanti dai percorsi di crinale o di valle longi- 3 Anche se non sono state condotte indagini precise in questo senso. 4 La scansione per fasi riprende le intuizioni contenute in A. GIANNINI, R. GHELFI Per redigere le immagini è stato utilizzato il Foglio 83 Rapallo della Carta d Italia in scala 1/10000 dell I.G.M

113 tudinale, utilizzati principalmente per gli spostamenti più veloci. Si disegna dapprima una trama analitica che, seguendo fedelmente le isoipse, ben rappresenta la fisionomia della stanzialità collinare. Nel disegno 3b possiamo notare come i tracciati più sottili seguano l andamento delle valli minori costiere, formando la fitta trama che sostiene l organizzazione poderale, mentre il bacino di Neirone è interessato da sistemi analitici di mezzacosta, che animano principalmente il cantone alto di Roccatagliata; questi sono più discontinui nel resto della valle, dove continua a prevalere la percorrenza di crinale. Con il potenziamento dei nodi, ossia con la formazione della struttura gerarchica dei centri abitati, si selezionano collegamenti più rapidi e sintetici, indicati nel disegno con un tratto più evidente. Prendono corpo i percorsi 4 per Costa di Lavagnola o Valle di Sestri in direzione dell oltregiogo ed i percorsi 2 e 3 in direzione di Genova. La struttura di mezzacosta sposta gradualmente verso il fondovalle le modalità d uso del territorio. Il disegno 3c illustra questo momento evidenziando, assieme all armatura primaria delle percorrenze collinari, anche le maggiori direttrici vallive longitudinali, in rosso, facenti capo ai centri territoriali dominanti. Il più importante di questi, Genova, annoda la viabilità costiera e quella interna parallela ad essa, che percorre le Valli del Lavagna e del Bisagno, formando una sorta di corridoio destinato a separare, in certi momenti storici, il sistema costiero da quello appenninico. I crinali relativi, anch essi paralleli, possono formare due entità distinte, l una appoggiata al nodo di Portofino e l altra alle alte valli degli affluenti di sinistra del Lavagna, fra cui Roccatagliata, come se il mondo del comprensorio appenninico, molto esteso a settentrione, premesse verso il mare ed appoggiasse il suo piede ai contrafforti estremi delle dorsali trasversali. Dall altra parte, il bordo litoraneo faceva sentire il suo peso economico e culturale specializzando gli antichi approdi come punti di contatto fra popolazioni collinari e genti straniere che percorrevano il mare. Questo rapporto fra costa ed interno, nei momenti in cui Genova tende all unificazione regionale, prende corpo attraverso l organizzazione dei percorsi di fondovalle trasversale che collegano i due sistemi. Allora la Valle di Neirone/Roccatagliata trova il suo naturale raccordo con la Vallata di Recco attraverso il passo di Uscio. Lo specializzarsi sempre maggiore della fascia costiera, disegno 3d, che sostituisce l antico percorso marittimo prima con la strada rotabile, poi con la ferrovia e quindi con l autostrada, ripropone l immagine di un ambiente organizzato per grandi nodi urbani, dove il territorio collinare è subordinato ad un ruolo secondario a causa dello scompenso ambientale che tutti conosciamo. La Podesteria di Neirone La Podesteria è stata rappresentata più volte da Matteo Vinzoni. Quella contenuta nell Atlante dei Domini del 1773 (fig. 4), contiene una descrizione che permette di rilevare alcuni dati. Il territorio, che la Repubblica di Genova aveva acquistato nel 1433 per lire seimila da Nicolò ed Antonio Fieschi, era governato da un podestà eletto dalla Repubblica che risiedeva in Neirone e si estendeva anche a cavallo dell Appennino, incuneandosi nei territori dei Doria. Nella Val Fontanabuona, la Podesteria comprendeva all interno della sua giurisdizione anche alcune terre collocate sulla sponda destra del torrente Lavagna (M. VINZONI 1955). Le strade che risalivano la valle in direzione dell Appennino e che, giunte a Barbagelata, scendevano a Montebruno in Val Trebbia oppure in Val d Aveto, erano dotate di opere d arte necessarie per poter attraversare i torrenti. Compongono detta Podesteria li seguenti luoghi, et Adiacenze, parte situate in Fontanabuona, e parte sull Appennino, cioè: In Fontanabuona. Cornega, Delialo, Ferrada, Limarso, Serra. In Val Lavagna. Garzi, Gattorna, Terrarossa. Sull Appennino. Barbagelata, Corsica, San Marco D Uri, Neirone Residenza del Podestà, Roccatagliata Capo del Feudo, Sestri, Terrile. Di là dall Appennino. San Brilla, Cà di Beneto,

114 Casinetta, Costa Finale, Pian della Chiesa, Poggiasso, Ravinello. Si possono ancora oggi individuare alcuni ponti ben conservati lungo le mulattiere che formavano il tessuto connettivo del territorio collinare; esse non seguivano l odierno tracciato carrabile, ma utilizzavano il fondovalle del Neirone percorrendone la rivierasca, sempre più elevata rispetto al corso d acqua che corre incassato fra le rocce, guadagnando la rapidità dei collegamenti. I ponti (vedi il contributo di Paola Cavaciocchi, in questo volume) sono collocati principalmente lungo la direttrice proveniente da Genova e diretta, attraverso Neirone, a Roccatagliata ed al Monte Lavagnola lungo la valle del Torrente Sestri. La vitalità di questo percorso, oggi sostituito nell ultimo tratto dalla strada carrozzabile che conduce al passo del Portello, deve essere ricercata nel collegamento più diretto con Torriglia che tale tracciato permetteva

115 SCHEMA DEL TERRITORIO DELLA VAL FONTANABUONA E DI NEIRONE Fig. 1 I nodi di crinale in rosso sono collegati alle direttrici provenienti dall Oltrepò Pavese e dalla rivierasca del Ticino. La Valle di Neirone, per la sua diretta connessione con il crinale di Portofino, è strettamente interessata alle vicende dell oltregiogo. Da qui l interesse per questo territorio da parte delle potenti famiglie genovesi

116 IL TERRITORIO DI NEIRONE - I tessuti agricoli Fig. 2 La tessitura fondiaria della Valle di Neirone è caratterizzata dalla tipica organizzazione ligure a fasce. Si notano concentrazioni di tessuti nell alta valle ed è molto evidente il sistema cha circonda Roccatagliata capofeudo dei Fieschi; accanto al nucleo potente costruito sul promontorio si individuano situazioni minori, ma continue, di insediamento e tessuto proprio sulle pendici della dorsale appenninica. Il sistema di Corsiglia chiude - apre l alta valle ad una quota più elevata di Neirone, centro della media valle e nodo dei percorsi di mezzacosta bassa. I boschi delimitano i tessuti della valle principale che formano una fascia continua a ridosso del fiume. Nei tratti di golena si formano tessuti lineari regolari di bonifica

117 TAVOLA COMPARATIVA DELLA FORMAZIONE DEL TERRITORIO DI NEIRONE Fig. 3a IL TERRITORIO DI NEIRONE Crinali TERRITORIO COMUNALE TERRITORIO DELLA PODESTERIA 1 - Crinale appenninico 2 - Crinale dell Antola 3 - Crinale dell Aveto 4 - Crinale costiero - Genova/Chiavari 5 - Crinale del monte di Portofino a - Collegamento fra crinale appenninico e crinale costiero Fig. 3b IL TERRITORIO DI NEIRONE Strutture di mezzacosta TERRITORIO COMUNALE TERRITORIO DELLA PODESTERIA 1 - Sistemi di mezzacosta analitica 2 - Mezzacosta per Genova attraverso Uscio 3 - Mezzacosta Neirone - Lumarzo - Bargagli 4 - Mezzacosta Neirone - Torriglia per costa di Lavagnola 5 - Mezzacosta del Bisagno per Val Trebbia Fig. 3 Il territorio di Neirone secondo la suddivisione per crinali, strutture di mezzacosta, fondovalle e costa

118 Fig. 3c IL TERRITORIO DI NEIRONE Fondovalle TERRITORIO COMUNALE TERRITORIO DELLA PODESTERIA Fondovalle principale Fondovalle secondario Mezzacosta analitica Mezzacosta sintetica Fig. 3d IL TERRITORIO DI NEIRONE Fondovalle trasversale e longitudinale TERRITORIO COMUNALE TERRITORIO DELLA PODESTERIA 1 - Percorso trasversale Recco - Roccatagliata 2 - Fondovalle longitudinale Entella - Bisagno 3 - Fondovalle Laccio - Scrivia 4 - Valle Trebbia 5 - Strada rivierasca

119 IL TERRITORIO DI NEIRONE - La podesteria Fig. 4 La podesteria di Neirone e Roccatagliata dai tipi dell Atlante vinzoniano del

120 NEIRONE E IL TERRITORIO DEI TIGULLII POPOLAMENTO E SVILUPPO FINO ALLE SOGLIE DEL MEDIOEVO Piera Melli Fig. 1 Carta del popolamento della Liguria centro- orientale nell'età del Ferro (P. Melli, realizzazione grafica L.Tomasi). Le vicende del territorio di Neirone nella protostoria vanno lette nel più vasto quadro dello sviluppo del sistema territoriale costituito dalla valle Fontanabuona e dal perimetro costiero del golfo del Tigullio con il promontorio di Portofino. È opinione concorde che tale territorio, in cui il Comune è inserito, coincida con l'area occupata in antico dalla tribù ligure dei Tigullii 1, di cui ci sono pervenute, come vedremo oltre, menzioni indirette delle fonti romane. La conformazione fisica del comprensorio 2, intersecato da numerosi rivi che si immettevano nel sistema idrografico principale formato dal Lavagna-Entella, che sfocia tra Chiavari e Lavagna, ha da sempre favorito l'insediamento umano, per la fertilità delle terre e la ricchezza di acque, che si accompagnano ad una morfologia molto varia, ottimale sia per l'allevamento, sia per differenti tipi di colture e lo sfruttamento boschivo (fig. 1). La zona era inoltre ricca di giacimenti di minerali 3, in particolare cupriferi, che furono sfruttati almeno a partire dall'età del Rame e alimentarono nell'età del Ferro un fiorente artigianato. La catena montuosa che delimita a nord la val Fontanabuona, con vette che superano in qualche caso i 1000 metri di altitudine, è attraversata da numerosi passi, che mettevano in comunicazione con la Pianura padana 4. Anche se la documentazione archeologica 1 G. MENNELLA Cfr., in questo volume, il contributo di Roberto Ghelfi. 3 R. MAGGI, M. DEL SOLDATO, S. PINTUS Cfr. il contributo di R.Ghelfi, fig

121 Fig. 2 Neirone. Sezione della tomba (da N. Morelli 1901). attuale è relativamente scarsa, per il periodo in esame, sembra opportuno riesaminarla alla luce dei dati desunti da altre fonti, per tentare di tracciare un quadro ragionevolmente accettabile, anche se con molte lacune, del popolamento del comprensorio nei secoli che vanno dalla prima età del Ferro al tardoantico. Per la prima età del Ferro l'insediamento meglio conosciuto è l'emporio di Chiavari 5,di cui è stata messa in luce l'imponente necropoli composta di tombe a cassetta in lastre di pietra, che costituiscono il più antico esempio della forma di sepoltura caratteristico della cultura ligure, racchiuse isolatamente o a gruppi entro recinti di lastre di ardesia. L'articolazione dei recinti e le composizioni dei corredi segnalano l'esistenza di una società evoluta, composta da differenti ceti sociali. Il rito praticato era invariabilmente quello della cremazione indiretta: i corpi dei defunti, accuratamente abbigliati, venivano consumati su un rogo funebre, con parte del corredo. Le ceneri erano successivamente raccolte e deposte nella tomba entro urne di ceramica, fabbricate per l'occasione o importate, con altro vasellame necessario al rituale funebre (recipienti per libagioni) e gli oggetti posseduti in vita dall'estinto, emblematici del sesso e del censo, armi per gli uomini, monili, strumenti per la tessitura per le donne. Anche se non può essere assunta a totale esemplificazione della cultura materiale dei Liguri della prima età del Ferro, per la selezione cui erano sottoposti gli oggetti destinati ai corredi funebri, la presenza di elementi culturali allogeni e la stessa natura emporiale del centro, la necropoli di Chiavari offre un prezioso archivio conoscitivo per l'elaborazione di analisi statistiche sull'articolazione della compagine sociale, gli usi funerari, le tecniche artigianali e le abitudini di quella popolazione, strumenti utili per l'interpretazione anche di ritrovamenti più lacunosi e sporadici. Lo studio dei copiosi materiali della necropoli ha portato a ritenere che l'evidente prosperità del centro fosse legata allo sfruttamento delle miniere di rame del territorio, come quella di Libiola ed alla posizione sul mare, che favorì stretti contatti con le correnti commerciali marittime dirette verso i mercati della Francia meridionale, in particolare con gli Etruschi. L ambiente costiero a oriente del promontorio di Portofino, in corrispondenza di Chiavari 6 presentava, in epoca protostorica, una facies di tipo lagunare, con probabile presenza di una barra o di piccole dune e aree acquitrinose all interno. Non è quindi da scartare, pur in assenza di prove dirette, l'ipotesi che un'altra attività remunerativa fosse costituita, come è documentato per il medioevo, dal commercio del sale 7, particolarmente ricercato nell'antichità per la conservazione dei cibi. L'attività bronzistica è segnalata da numerosi manufatti (borchie, fibule, dischi pettorali, ganci di cintura, pendagli e catenelle, bracciali) in buona parte probabilmente prodotti in loco, mentre un gran numero di oggetti di importazione permette di ricostruire la rete dei contatti del centro costiero, che riceveva ed imitava prodotti dell'etruria meridionale e dell'area pisano versiliese (ad esempio buccheri 8 ), dove il centro emergente di Pisa andava estendendo la sua influenza commerciale. Un altro flusso di traffi- 5 La bibliografia aggiornata sulla necropoli di Chiavari in: P. MELLI 1994; R. MAGGI, G. LEONARDI, A. C. SALTINI Cfr. la ricostruzione dell evoluzione della linea di costa nella zona di Chiavari: M. DEL SOLDATO 1988, spec. pp.20-26, tavv P. MELLI 1996, p P. MELLI

122 Fig. 3 Neirone. Corredo della tomba ricomposto (da N. Morelli 1901). ci era incanalato verso l'entroterra, in direzione delle popolazioni insediate nella Pianura padana, specialmente la civiltà di Golasecca, fiorita nel bacino del Ticino, che a sua volta fungeva da tramite per gli scambi con i territori transalpini 9. Lungo uno degli itinerari che collegavano la costa ligure con il Piemonte è stato identificato, in località Fornaci di Rapallo, un sepolcreto 10 di tombe a cassetta, forse con recinti, di cui si conserva attualmente solo parte di un corredo databile all'inizio del VI secolo a.c. La necropoli è posta a poca distanza dall'altura denominata Castellaro, dove probabilmente era ubicato un insediamento coevo, in una posizione strategica a controllo della foce del fiume Boate dove si incrociavano due importanti itinerari terrestri, uno longitudinale, che metteva in comunicazione la costa con la Val Fontanabuona, attraverso il passo della Crocetta ed un percorso più tardi ricalcato dalla strata medievale, di probabile origine romana, che attraversava la località Sant Anna per dirigersi verso Bana e Ruta di Camogli, aggirando il rilievo del monte di Portofino. La Val Fontanabuona, a sua volta, costituiva un territorio di cerniera, connesso a Levante con il sistema Val Trebbia-Val d Aveto, tramite per l Emilia occidentale, e verso nord ovest in direzione del Piemonte, attraverso la Valle Scrivia. Lungo quest ultimo asse, dove sorgeranno nel V sec. a. C. molti insediamenti liguri 11, è possibile riconoscere un itinerario distributivo di prodotti del commercio etrusco marittimo, ed in particolare buccheri, che con la mediazione di un centro costiero come Chiavari e successivamente del porto di Genova, attivo dalla fine del VIIinizio del VI a.c. 12, raggiungevano siti del Piemonte meridionale 13. Con l'abbandono del centro di Chiavari e la crescente importanza acquisita dall'emporio di Genova, divenuto, dalla fine del VI secolo a.c., sede di un nucleo di emigrati di origine etrusca, che commerciavano con i mercati della Liguria interna e dell'area di Golasecca 14, l'economia del comprensorio tigullino dovette gravitare preferibilmente nell'orbita dell'importante centro portuale. È proprio a partire dal V secolo che si verificò, analogamente a quanto constatato nel resto della regione 15, una più intensa occupazione del territorio rivierasco, dove sono attestati insediamenti sia affacciati sul mare, sia nell'interno. Come è meglio documentato per altre aree della Liguria costiera, in particolare nella vicina Lunigiana 16, si può ipotizzare un modello inse- 9 R. DE MARINIS P. MELLI M. VENTURINO GAMBARI 1987; M. VENTURINO GAMBARI, B. TRAVERSONE, A. CATTANEO CASSANO Per le recenti scoperte nell'area portuale di Genova: P. MELLI in corso di stampa b, con bibliografia prec. 13 Principali contributi sui rapporti tra i centri liguri del Piemonte e gli Etruschi: F. M. GAMBARI, G.COLONNA 1986; F. M. GAMBARI La questione è ripresa, da ultimo, in M. BONAMICI 1995, p. 29 e segg. 14 M. MILANESE 1987; M. MILANESE 1996; P. MELLI in corso di stampa b. 15 P. MELLI in corso di stampa a. 16 G. MASSARI 1981; A. MAGGIANI

123 Fig. 4 Neirone. Il corredo. diativo caratterizzato da piccoli abitati rurali sparsi, composti da pochi nuclei famigliari, secondo un'articolazione più tardi descritta dalle fonti romane 17,in vici e castella, i primi, ubicati su pendii a mezzacosta o in fondovalle, legati alla produzione agricola, i castellari con funzioni di controllo territoriale, in alcuni periodi probabilmente anche per difesa ed arroccamento. Altri nuclei abitati sorgevano su alture costiere, a controllo di foci di fiumi o piccole insenature, dove probabilmente approdavano le imbarcazioni impiegate in commerci di piccolo cabotaggio, che redistribuivano la mercanzie confluite nei porti maggiori, in particolare a Genova. Tale occupazione capillare del territorio consentiva un economia integrata ed autosufficiente di comprensorio. Segnali della distribuzione del popolamento sono principalmente offerti dall'ubicazione di sepolture, impiantate su spianate a mezza costa. La sepoltura nota come "tomba di Roccatagliata" 18 (figg. 2-6) fu rinvenuta nel 1892 in località Cozze, nella frazione di Corsiglia di Neirone, dal rev. Dondero. Passò quindi nella collezione Morelli che fu depositata presso il Museo Geologico della regia Università di Genova e fu infine acquistata dal Comune di Genova nel Secondo il primo editore 19 la struttura consisteva in un sepolcro a cassa litica formata da sei lastre. Nell'immagine che ci è pervenuta (fig. 2), non sappiamo quanto fedele, sopra la lastra che fungeva da coperchio figurano numerose pietre, forse residuo di un tumulo, analogamente ad 17 Strabo V 2, 1; Liv. XXXV 3, 6; 21, 10; XXXIX 32, N. MORELLI 1901, pp , 31, 34 tav. III, 11; IV, 1-4; VII, 6; VIII, 6; O. MONTELIUS 1904, p. 771, tavv. 163, 7,11,13; 164, 7; L. BANTI 1937, p. 160, tav. VIII, b-f; A. M. PASTORINO N. MORELLI 1901, p. 24; tav. III, 11; IV, 1-4; VI, 1-2; VII, 6; VIII,

124 Fig. 5 Neirone. Corredo della tomba. Ceramiche. altri esempi documentati nell'estrema Liguria di Levante ed in Versilia 20. Il cinerario conteneva, come riferisce Morelli, resti combusti "d'uomo adulto" 21, che andarono dispersi. La fibula fu rinvenuta entro l'ossuario. 1) Olla (fig. 5,1) Labbro distinto, appena estroflesso, collo verticale, corpo ovoide, piede a tacco. Impasto di colore tendente al grigio. Superfici levigate a stecca. Ricomposta da frammenti. h cm 20; diam max cm 19,5. 2) Ciotola (fig. 5,2) Labbro distinto da un solco, spalla verticale, vasca troncoconica, piede ad anello con orlo distinto appena estroflesso. Fascia a doppio zig zag continuo inciso sulla spalla. Impasto di colore tendente al grigio, ingubbiatura nera. Ricomposta da frammenti, una lacuna al labbro. h cm 8,8. 3) Bicchiere (fig. 5,3) Labbro distinto, collo conico distinto, corpo globulare, fondo incavato. Due solchi asimmetrici da tornio sul collo. Impasto depurato rosso/grigio. Tornito. h cm 10,7. 4) Fibula in bronzo (fig. 6,4) Arco a forma asimmetrica con sezione a losanga, globetto cilindrico all'estremità, molla a un giro, staffa allungata. Forma ricomponibile da quattro frammenti. Lungh max cons cm 9,4. 5) Coltello in ferro (fig. 6,5) Profilo diritto, lama a un solo taglio. Ricomposto da tre frammenti, parzialmente mutilo. Lungh del framm. maggiore cm 23,7; lungh max ricostruibile cm 29,5; sez max cm 2,8. 6) Elemento in ferro (fig. 6,6) Cavo, con margini rientranti. h cm 2,5; lungh cm 4,9; spess lamina cm 0,3. 7) Elemento in ferro (fig. 6,7) Frammento di lamina con due borchie quadrate. Forse pertinente al fodero. cm 7,5 x 2,5; spessore lamina cm 0,1. 8) Cuspide di lancia (fig. 6,8) Lama fogliata. Mutila in punta, concrezionata. Lungh max cons cm 13; diam max cannone cm 1,6. 9) Puntale di lancia (fig. 6,9) lungh max cons cm 6,5; diam max cannone cm L. BANTI 1937, p. 26; G. MASSARI 1981, p N. MORELLI 1901, p

125 Fig. 6 Neirone. Materiali metallici del corredo (disegno E. Armetta) ) Due frammenti di armille in ferro (fig. 6,10-11). Pertinenti probabilmente allo stesso esemplare, a capi sovrapposti. Verga a sezione circolare, quadrata all'estremità. Mutile, molto concrezionate. diam cm 7, 6 e 8; diam max verga cm 0,8. Le ceramiche erano foggiate in terre reperibili nel territorio circostante 22. La forma dell'olla si colloca nella tradizione di un tipo diffuso in ambito ligure, già presente nella necropoli di Chiavari 23 e ripreso a Savignone 24. Anche la scodella rientra nel repertorio ligure, sia per la forma, largamente attestata e di lunga tradizione, anche in centri della Liguria interna 25, sia per la tipica decorazione a zigzag continuo doppio 26. Nella necropoli di Genova com- 22 T. MANNONI N. LAMBOGLIA 1960, fig. 60, tavv. 4 B, 2 A. 24 L. BANTI 1937, p. 159, n. 1,1, tav. VII, c. 25 Cfr., indicativamente: M. VENTURINO GAMBARI 1988, tav. XVIII, 6 (Villa del Foro); F. M. GAMBARI, M. VENTURI- NO GAMBARI 1987, fig. 15,5 (Dernice); fig. 19,4 (Serravalle); M. VENTURINO GAMBARI, B. TRAVERSONE, A. CATTA- NEO CASSANO 1996, tav. XV,4 (Libarna). 26 L. BERNABÒ BREA 1946, fig. 2, nn. 4, 6,7 (Rossiglione)

126 Fig. 7 Castellaro di Uscio. Ceramiche. 1-3) olle di produzione locale; 4) bicchiere in impasto buccheroide; 5) kylix a vernice nera ; 6) orlo di anfora etrusca. pare, con forma del piede semplificata ad anello semplice, in due esemplari 27, di cui uno in corredo ben datato nella prima metà del IV secolo a.c. Il bicchiere sembra essere un'elaborazione (locale?) di una forma tipica delle fasi della prima età del Ferro della cultura di Golasecca, di cui riprende il corpo globulare ed il fondo incavato 28. Il successo della tipologia del bicchiere globulare si riscontra anche nella Liguria interna dove compare, con varianti più carenate, in redazioni sia di impasto fine, sia in bucchero padano 29. Stretti confronti per l'esemplare di Neirone sono offerti da bicchieri a Genova e dal castellaro di Uscio in impasto buccheroide 30 (fig. 7,4). 27 T. 16, inv. 82 (inedita), T. 112, inv in un corredo della prima metà del IV secolo a.c. (L. BERNABÒ BREA, G. CHIAP- PELLA 1952, p. 182, fig. 22). 28 Cfr., indicativamente: R. PERONI 1975, tavv. XIX, 3; XXIII, 5; XXIV, 5; G. BAGNASCO 1988, tav. V, 3; VIII, F. M. GAMBARI 1993, fig Genova: M. MILANESE 1987, fig. 98, n. 565; Uscio: P. MELLI 1993, p. 124, fig

127 La fibula rientra nel tipo Certosa, forma Ter z an X a 31, largamente diffuso in ambito golasecchiano e atestino, a Spina e Bologna, ma presente anche in altri siti della Liguria centrale 32.Anche i bracciali in verga di ferro sono attestati con più frequenza nella parte occidentale dell'italia settentrionale: le armille spiraliformi in ferro fanno parte di una famiglia tipologica attestata già dal VII secolo a.c. 33. La spada confronta con tipologie di ambito celtico 34. Si può concludere che la sepoltura appartenesse ad un individuo di sesso maschile, connotato dalle armi, che lo segnalano come guerriero, secondo un costume sempre rispettato nelle tombe liguri. Pur rientrando a pieno titolo nella cultura ligure il corredo, databile alla fine del V secolo a.c., sembra debitore di influssi dell'area padana centro occidentale, alla quale del resto il territorio era collegato da percorsi. Oltre alla tomba di Neirone, sono noti da testimonianze di eruditi locali altri rinvenimenti, che, pur con la cautela che si impone nell'utilizzare notizie non suffragate da prove materiali, offrono sufficienti spunti di verosimiglianza. Secondo la notizia riferita da un erudito locale 35, fra Corsiglia e Roccatagliata venne in luce alla fine dell'ottocento un vaso definito etrusco, che sarebbe stato esposto nel 1892 alla mostra Colombiana di Genova 36 e andò successivamente disperso. Purtroppo nel catalogo della mostra il vaso non è specificamente menzionato. Pur in assenza di ulteriori dati, merita tuttavia osservare che sia l'epoca, sia la zona del rinvenimento coincidono approssimativamente con quelle della sepoltura sopra descritta. Nel 1932, in comune di Lumarzo, in località Colletta, a circa quattrocento metri da Tassorello in un'area pianeggiante nei pressi della chiesetta di San Martino del Vento, furono rinvenute, alla profondità di circa 50 cm dal piano di campagna, due tombe a cassetta litica, che contenevano, secondo testimoni oculari, tre vasi di impasto ciascuna 37. La collina che domina la zona, fra Tasso e Craviasco, è chiamata Castelà. I toponimi Castellaro sono abbastanza numerosi in Fontanabuona (fig. 1): alcune delle alture con questa denominazione hanno restituito materiali in giacitura secondaria che ne documentano la frequentazione in epoca protostorica. L'insediamento indagato più estesamente, noto anche come castellaro di Uscio 38, è ubicato sul monte Borgo, a m 721 slm, in posizione strategica alla confluenza di tre crinali, con buona visibilità a controllo del passo della Spinarola. Il sito si trova al centro di una rete di percorsi 39 che uniscono a Ponente il Genovesato con l Emilia occidentale attraverso la Fontanabuona e il sistema Val Trebbia-Val d'aveto e verso Nord la costa del Tigullio con il Piemonte attraverso la Valle Scrivia. Lo scavo ha restituito evidenza della rioccupazione nel V secolo a.c. di un sito già abitato nell'età del Bronzo: gli antichi terrazzamenti intagliati nel versante furono ampliati per ottenere maggiori spazi pianeggianti ed i muri di fascia utilizzati come basamento di capanne con alzato a graticcio intonacato con argilla e copertura straminea sostenuta da pali in legno di carpino. Nella parte indagata si è potuto accertare che gli spazi erano articolati per funzioni: la terrazza inferiore ospitava la capanna, su quella mediana trovavano posto un focolare e numerose macine e macinelli in pietra, per la preparazione e la cottura dei cibi, mentre la maggior parte delle anfore e dei dolia era concentrata in un solo punto del versante, forse a testimoniare 31 B. TER Z AN 1977, p Cfr. la carta di distribuzione: B. TER Z AN 1977, fig I. DAMIANI, A. MAGGIANI, E. PELLEGRINI, A. C. SALTINI, A. SERGES 1992, pp L. KRUTA POPPI 1986, p. 42, fig R. LEVERONI 1912, p. 22; F. SENA 1981, p Nel catalogo della mostra il vaso non è menzionato: V. POGGI, L. A. CERVETTO, G. B. VILLA F. SENA 1981, pp R. MAGGI (a cura di) P. MELLI Per la prima età del Ferro cfr. P. MELLI

128 l'esistenza di un deposito di derrate alimentari o dispensa. Fra le macine in uso nel primo periodo abitativo dell'età del Ferro si segnala un'esemplare di ignimbrite, una roccia originaria delle Alpi Marittime, a oriente del Bormida, caratterizzata da una granulometria particolarmente idonea alla macinatura dei cereali. Non sembra corretto interpretare la frequentazione del castellaro di Uscio, almeno per il periodo più antico di occupazione (V-IV secolo a.c.), come saltuaria tappa su percorsi di transumanza, dal momento che restano varie prove di uno stanziamento continuato nel tempo con attività diversificate, che garantivano una relativa autosufficienza. È peraltro probabile che il castellaro fosse interdipendente da altri agglomerati stabili posti in posizione più favorevole, in fondovalle o a mezza costa e venisse abitato stagionalmente seguendo i cicli dell'agricoltura. Il consumo di cereali e di ghiande documenta attività agricole e di raccolta boschiva. Le forme e decorazioni dei vasi 40 (fig.7), foggiati prevalentemente con argilloscisti presenti nel territorio, ma anche importati da altri siti della Liguria occidentale, mostrano una discreta varietà, indicandone un utilizzo diversificato; l'occupazione da parte di uno o più nuclei famigliari stanziali è suggerita anche da attrezzi per la filatura e la tessitura come fusaiole e pesi da telaio, attività notoriamente riservate alle donne, la cui presenza sul castellaro è segnalata anche da perline di vetro colorato e vaghi da collana in ambra. Tra i non rari oggetti metallici, frammenti di armi e strumenti, accessori di abbigliamento (fibule), figurano anche due pezzi in piombo: una piccola mano, forse portafortuna o votiva e un oggetto troncoconico interpretato come fusaiola o peso, nonché vari residui di colatura che testimoniano una attività di fusione in loco. I materiali di importazione, anfore che contenevano il vino prodotto in Etruria, nelle forme 41 diffuse tra la fine del VI e la prima metà del IV secolo a. C., vasi potori a vernice nera di tradizione attica suggeriscono contatti prolungati con un centro costiero, forse la stessa Genova o qualche scalo intermedio con funzioni di redistribuzione, e dimostrano che il gruppo insediato sul castellaro disponeva di un surplus di produzione disponibile per lo scambio con prodotti del commercio marittimo venuti da lontano. Pare interessante sottolineare che le anfore etrusche sono, in Liguria, relativamente rare 42. Tra gli approdi identificati come attivi in questo periodo figura Camogli 43, che dispone di un'insenatura protetta dal promontorio del monte Castellaro di Uscio, estrema propaggine occidentale del massiccio del Monte di Portofino. In posizione ottimale per la visibilità sul porto è stato messo in luce un insediamento protetto da muri, di origine preistorica, che presentava una fase di vita risalente al V-IV sec. a. C. Tra il materiale raccolto figurano contenitori da trasporto e vasellame di provenienza etrusca e massaliota, che testimoniano come l'approdo costituisse una tappa sulle rotte marittime commerciali da e verso Genova e probabilmente dei traffici di piccolo cabotaggio. Anche sul Castellaro di Zoagli, frequentato nella seconda età del Ferro, sono stati raccolti frammenti di ceramiche tirreniche 44. L esistenza di percorsi commerciali che attraversavano la Fontanabuona è segnalata da ceramica di importazione rinvenuta nel castellaro di Uscio e negli insediamenti delle valli del Ceno e del Taro, in Emilia, come a Bedonia 45,con confronti a Genova. Dopo il crollo dell'edificio per incendio ed un periodo di abbandono, ebbe luogo una più sporadica frequentazione tra III e I sec. a. C., durante la quale furono importate sul castellaro ceramiche a vernice nera ed anfore di produzione tirrenica. Tra le attività produttive che caratterizzarono il 40 P. MELLI, E. STARNINI Forme Py 4 e Py 4a: P. MELLI, E. STARNINI 1990, pp , fig Cfr. la cartina di distribuzione in: P. MELLI in corso di stampa a. 43 M. MILANESE 1984 (con bibliografia prec.). 44 T. MANNONI 1972, p P. MELLI Per il popolamento del Piacentino nell'età del Ferro: P. SARONIO

129 territorio sembra aver svolto un ruolo rilevante la fabbricazione di ceramiche in terre di gabbro, prodotte nel Tigullio già nell età del Bronzo 46, che registrano una diffusione circumlocale, ma sono state rinvenute anche in altri insediamenti della regione come Savona 47. Le argille gabbriche, localizzate in Liguria con maggiore estensione tra il Bracco e la media Valle del Vara, offrono caratteristiche di resistenza agli sbalzi termici e capacità di immagazzinare calore superiori ad altre terre 48.Poiché nei siti dell'età del Ferro ligure le ceramiche venivano realizzate con più frequenza con terre prelevate localmente, è ragionevole supporre che i vasi foggiati in argille gabbriche rinvenuti lontano dal luogo di produzione servissero al confezionamento e al trasporto di prodotti alimentari, che, come testimonia lo storico Strabone 49, affluivano da tutta la regione nel porto di Genova per essere commerciate e forse in parte per servire al consumo locale, poiché, come dimostrano le ricerche archeologiche 50, l'importante centro portuale dipendeva dall'esterno per gli approvvigionamenti. A partire dal II secolo a.c. ebbe luogo anche nella Fontanabuona, come in altre aree limitrofe 51 un'occupazione della fascia costiera e pedecollinare con insediamenti rurali, fattorie e piccoli vici, individuati fin dagli anni 70 a seguito di ricerche di superficie e scoperte fortuite 52,che sfruttavano le risorse agricole del territorio e si approvvigionavano di merci e prodotti tirrenici smistati dai principali centri costieri. Poiché gli elementi più vistosi e frequenti degli affioramenti dei depositi archeologici erano costituiti da grandi tegole ad alette, i siti individuati furono inizialmente denominati "stazioni a tegoloni" ed attribuiti ad epoca tardoantica, ma recenti approfondimenti permettono di ampliarne l'arco cronologico di occupazione. Caratteristiche comuni agli insediamenti noti sono la localizzazione su ripiani di mezzacosta e l'altitudine, compresa fra 200 e 600 metri. Aree preferenziali di sfruttamento erano i dorsi di paleofrane, formate da terreni sciolti a matrice argillosa, per le loro caratteristiche di fertilità e abbondanza di acque, come documentato anche per altre regioni 53. Tale modello di distribuzione insediativa a piccoli nuclei sparsi, che permane tuttora nell'attuale popolamento della valle, e riscontrabile, per l'epoca romana e tardoantica, anche nella Liguria orientale e in Versilia 54, fu favorito dalla pacificazione del territorio, conclusa intorno al a.c., dopo l'aspro conflitto che aveva contrapposto la maggior parte delle tribù liguri all'invasore romano. Non sono restate tracce archeologiche delle conseguenze della guerra nella Fontanabuona e nelle valli contermini, che furono probabilmente risparmiate, per la loro posizione appartata e non significativa a fini strategici. Occasioni di verifica archeologica sono state offerte da due abitati rurali, a Statale 55 (comune di Ne) in Val Graveglia e Porciletto 56 (comune di Mezzanego) in Valle Sturla. Il sito di Porciletto, ubicato su una antica frana quiescente esposta a sud, in un area già frequentata nelle età del Bronzo e del Ferro, fu occupato in epoca tardorepubblicana e durò in uso, con 46 Per l'utilizzazione nell'età del Bronzo cfr. principalmente: B. D AMBROSIO 1988, pp (Chiavari ); R. MAGGI 1990 (a cura di), pp , fig.153, 2 (Uscio). Per l'età del Ferro: B. D'AMBROSIO 1988, pp (Chiavari); P. MELLI 1996 (Rapallo); T. MANNONI 1972 (Traso, Zoagli, Monte Dragnone); M. MILANESE 1987, pp (Genova); P. MELLI 1990, p. 295 (Uscio). 47 M. MILANESE 2001, p T. MANNONI 1974, p Strabo IV 6, 1; 6, 2; V 1, M. MILANESE 1987, passim. 51 C. DELANO SMITH, D. GADD, N. MILLS, B. WARD PERKINS 1986; S. MENCHELLI 1990; E. GIANNICHEDDA (a cura di) 1998; L. GAMBARO F. SENA 1981, pp ; T. MANNONI 1985, pp ; L. GAMBARO 1999, passim. 53 P. L. DALL AGLIO L. GAMBARO 1999, pp e passim; P. MELLI in corso di stampa a. Per la Versilia cfr. S. MENCHELLI Il sito di Statale è stato oggetto di campagne di scavo dirette da Giuseppina Spadea. Per una notizia sui rinvenimenti, al momento inediti, ma illustrati nell esposizione archeologica di Cicagna, cfr. L. GAMBARO 1999, p P. MELLI, F. BULGARELLI, M. R. FERRARIS, C. OTTOMANO, G. PARODI, E. TORRE in corso di stampa

130 numerose trasformazioni, almeno fino al V secolo. Nella prima fase di vita il pendio fu rimodellato con terrazzamenti, sui quali trovarono posto edifici con muri in pietra scistosa locale e copertura di laterizi, con lastricato esterno. All interno di uno degli ambienti si trovava un focolare delimitato da tegole infisse di coltello. Come è chiaramente visibile nelle sezioni della collina e nell'andamento dei muri antichi, normale a quello degli attuali terrazzi, la trasformazione della fisionomia del versante, operata in quell'occasione e forse seguita ad interventi più limitati di età pre e protostorica, ha condizionato l'aspetto dei luoghi e perdura nell'attuale assetto. Il momento di massima frequentazione pare coincidere con l epoca imperiale (secc. I-III d. C.) quando l economia dell insediamento, probabilmente una fattoria, sembra connotata da varie attività, che garantivano una relativa prosperità ed autosufficienza. Alla coltivazione di vite (documentata da carboni) e probabilmente di cereali, il cui utilizzo alimentare è suggerito dalla presenza di numerose macine e macinelli in pietra 57, si affiancavano altre attività sia domestiche, come la filatura e la tessitura, sia artigianali più specializzate, come la realizzazione di oggetti metallici, segnalata da numerose scorie. I laterizi, tegole, coppi e mattoni, erano fabbricati con terre prelevate nel territorio circostante. L approvvigionamento alimentare era integrato da importazioni di salse di pesce, vino e olio prodotti in Africa e in Spagna e distribuiti, così come il vasellame fine da mensa (ceramiche e vetri), parimenti attestato, dalla rete commerciale marittima. Le derrate alimentari erano conservate entro dolia (grandi recipienti ceramici da dispensa), di cui sono stati rinvenuti abbondanti frammenti ed anfore riciclate, chiuse da coperchi di recupero, ricavati ritagliando in forma discoidale pezzi di ceramica. Il centro di Porciletto era perciò in contatto con uno o più porti ed approdi costieri che provvedevano alla redistribuzione delle mercanzie e Fig. 8 Mezzanego, loc.porciletto. Gemma in diaspro con Bonus Eventus (ingrandimento). disponeva delle capacità di acquisto necessarie. Alcune monete di età imperiale, una gemma in diaspro (fig. 8) e lo stesso utilizzo del vasellame fine importato sottolineano il tenore di vita degli abitanti, volto non solo alla semplice sussistenza. È ragionevole arguire che l'insediamento rurale producesse derrate alimentari destinate alla commercializzazione. L'ossatura del nuovo sistema di aggregazione dovette essere costituita dalla viabilità tracciata dai romani, che probabilmente ricalcava più antichi percorsi. Molti studiosi sono ormai concordi nel ritenere probabile l'esistenza di un collegamento stradale tra Luni e Genova almeno dagli inizi del II secolo a.c., che avrebbe garantito, anche nei mesi invernali e in caso di burrasca, per le esigenze della guerra e la trasmissione di notizie, il collegamento fra le due principali basi navali della Liguria orientale sotto il controllo romano, come sembrano sottintendere le fonti storiche, che descrivono episodi delle guerre. In particolare Livio ricorda la spedizione del 197 a.c. contro le tribù liguri dell interno, comandata 57 Una delle macine, in leucitite, risulta importata da area campano-laziale

131 Fig. 9 Carta del popolamento della Liguria centro- orientale in epoca romana e tardoantica (P. Melli, realizz. grafica L.Tomasi). dal console Q. Minucio Rufo, che raggiunse Genova risalendo la costa tirrenica 58, e lo sfortunato viaggio del pretore L. Bebio 59, che nel 189 a.c., partito da Roma via terra per raggiungere la Spagna Ulterior, di cui era stato nominato governatore, fu massacrato con la sua scorta dalle popolazioni liguri, probabilmente le bellicose tribù del Ponente. Questo primo tracciato stradale di impianto romano in territorio ligure viene identificato da alcuni studiosi 60 con la via Aurelia nova, del 200 a.c., che avrebbe costituito un prolungamento verso occidente della via Aurelia vetus, realizzata nel 241 a.c. Tra il 115 e il 109 a.c., secondo la testimonianza di Strabone 61, il console M. Emilio Scauro fece costruire un tracciato stradale, che da lui prese nome (via Aemilia Scauri), da Luni a Vado e Dertona. Nonostante alcune difformità di interpretazione del sintetico passo straboniano 62, che non menziona Genova tra le tappe del percorso, la critica recente è concorde nel ritenere che la via raggiungesse Genova ricalcando e forse rettificando i tratti stradali già esistenti, e proseguisse per Vada Sabatia per poi piegare verso l'interno. Pur in assenza di resti materiali come ponti o infrastrutture sicuramente riferibili ad età romana, il percorso della strada può essere prudentemente ricostruito 63 sulla base delle caratteristiche orografiche del territorio e di vari ritrovamenti. Per la zona in esame si ritiene che la strada, proveniente da Luni con un percorso interno, dal passo del Bracco piegasse verso il 58 Liv. XXXII, 29,5. 59 Liv. XXXVII 57, F. COARELLI 1987, p. 23; S. LUSUARDI SIENA, M. P. ROSSIGNANI 1985, pp Strabo V 1, Cfr. la discussione in F. BULGARELLI, P. MELLI in corso di stampa. 63 Per la ricostruzione del tratto Luni- Genova cfr., da ultimo, L. GERVASINI 2001b; L. GAMBARO 2001; L. GAMBARO, L. GERVASINI in corso di stampa, con riferimenti bibliografici

132 mare correndo quindi parallela e più vicina alla costa, con un itinerario probabilmente in gran parte ricalcato dalla attuale via Aurelia, che conserva nel nome, esteso a tutto il territorio regionale, il ricordo dell'antico cammino. Tratti superstiti della strada sono stati individuati, secondo alcuni autori 64, nella zona di Rapallo. La distribuzione e la natura dei rinvenimenti nell'entroterra segnalano peraltro l'esistenza di una rete di itinerari che solcavano il territorio, tra i quali era ancora attivo il percorso di crinale sulla dorsale appenninica parallela alla costa, lungo il quale sono stati identificati vari siti (fig. 9). Con maggiore cautela va invece considerata una serie di urnette cinerarie in marmo decorate ed iscritte, di età romana, reimpiegate nelle chiese del territorio 65, che sono state citate a conferma dei tracciati stradali e di un consistente popolamento. Almeno per alcune di esse è infatti provata una provenienza da Roma 66 ed in generale resta forte il sospetto che la loro presenza in edifici di culto sia da ricollegare al commercio delle reliquie che ebbe un notevole impulso dal medioevo fino all'ottocento. Ad una provenienza locale, anche se non necessariamente di età romana, parrebbero da ricollegare l'urna dedicata ad un Caius Sextilius Spectatus, conservata nella chiesa di San Pietro di Rovereto, in comune di Zoagli, che sarebbe stata messa in luce poco distante dalla chiesa in località ai Suè, secondo alcuni studiosi da identificarsi con il luogo di tappa ad Solaria, citato (fig. 11) nella Tabula Peutingeriana, carta stradale da viaggio, che si ritiene redatta per uso militare tra III e IV secolo e del cinerario di San Martino di Polanesi presso Recco 67, che la tradizione vuole rinvenuto nel corso di lavori agricoli in località La Tenuta. Non è peraltro dimostrabile, in assenza di dati certi circa i contesti di rinvenimento 68, che le urnette, databili tra II e III seco- Fig. 10 Santa Margherita. Ara sepolcrale in marmo. lo d.c., si trovassero già in antico nei luoghi dove furono raccolte. Più convincente ai fini di una ricostruzione del popolamento del territorio in età romana pare invece l'ara sepolcrale in marmo lunense (fig.10) rinvenuta a Santa Margherita 69. Ricerche di carattere linguistico permettono di integrare ed in alcuni casi confermare i dati archeologici: l'analisi delle tipologie dei toponimi prediali 70 ovvero fondiari romani, che designavano a catasto le unità rurali, notoriamente formati dal nome del primo possessore del fondo (es.: fundus Sorilianus, da Sorilius = Sorlana, presso Lavagna), ha consentito di individuare, anche nell'area del Tigullio (fig. 9), la persistenza di nomi che si possono far risalire ad origine romana, in alcuni casi anteriormente 64 L. CIMASCHI 1953; G. MENNELLA 1989, p. 184, nota 30. Un commento sul tracciato nella zona di Rapallo in: A. BALLAR- DINI 1994, p. 23 e segg. 65 L. CIMASCHI G. MENNELLA 1980, p CIL V 7743; L. CIMASCHI 1963, pp ; G. MENNELLA 1987, p F. BULGARELLI CIL V 7741; L. CIMASCHI 1963, pp ; G. MENNELLA 1987, p G. PETRACCO SICARDI Per la localizzazione cfr. anche qui fig

133 Fig. 11 La Liguria costiera in un particolare della Tabula peutingeriana. all epoca imperiale. È interessante notare che in alcuni di questi siti, come Testana (Avegno), il cui nome deriva dal gentilizio Testius, o Cisiano, presso Bargagli, da Caesilius, ricerche di superficie o ritrovamenti occasionali hanno restituito materiali archeologici di epoca romana, che ne documentano la frequentazione. Altri toponimi prediali romani, ormai non più in uso, ricorrono in atti notarili e documenti medievali 71, ampliando il dossier: nella zona in esame sono stati individuati Austana nella valle di Lavagna, Biduanum presso Rapallo, Cominianum presso Chiavari. Non va inoltre sottovalutata, pur in assenza di prove archeologiche, l'interessante segnalazione 72 dell'esistenza, sul monte di Verzi, in corrispondenza di un incrocio di sentieri con la via di Crinale, di un "cippo" o pietra fitta artificialmente squadrata, che ricorda nella struttura i cippi 73 riferibili alla terminatio tracciata nel 117 a.c. in Val Polcevera, a seguito dell'emanazione della Sententia Minuciorum tramandataci dalla Tavola del Polcevera. Non è inverosimile ipotizzare che, analogamente a quanto riscontrato in Val Polcevera, in un clima di rinnovato popolamento, i confini delle terre pubbliche e dell'ager compascuus, dove era possibile far pascolare liberamente il bestiame e raccogliere legname, fossero chiaramente ed inequivocabilmente delimitati. Il nome della tribù dei Tigullii ci è noto dalle fonti geografiche e dagli itinerari stradali e marittimi di epoca romana 74 e compare citato in un'epigrafe del II secolo d.c. rinvenuta a Chellah, in Marocco 75, la romana Sala Colonia, dedicata ad un L. Minicius Pulcher, prefetto di un'unità di cavalleria originario del territorio dei Tigullii. L'esame comparato delle fonti 76 ha suggerito che in età imperiale il territorio dei Tigullii ricadesse sotto la giurisdizione di Genua, ed occupasse una vasta area che comprendeva la 71 G. PETRACCO SICARDI 1988, p O. GARBARINO 1999, fig M. PASQUINUCCI 1998, fig. p. 217, con bibliografia prec. a nota Tolomeo Geogr. III, 2-4; Plinio, Nat.Hist. III, 5-7; Pomponio Mela, Chorogr.,II, G. MENNELLA 1989, figg Per il quale rimando alla puntuale analisi di G. MENNELLA 1989, con ampia bibliografia di riferimento

134 fascia costiera all'incirca tra Bogliasco e le Cinque Terre, con ampie porzioni dell'entroterra, di cui forse in origine faceva parte, almeno fino ad epoca repubblicana, anche il territorio di Varese Ligure e dell'alta Valle del Taro. L'esatta identificazione delle località menzionate nei testi antichi e raffigurate nella Tabula Peutingeriana (fig. 11), ha formato oggetto di numerosi tentativi esegetici 77. Mentre sembra pacifica la coincidenza con Sestri Levante di Segesta Tigulliorum, citata come approdo (positio) nell'itinerario Marittimo 78, meno sicura è l'ubicazione del centro di Tigullia, che Tolomeo colloca ad oriente del fiume Entella, citata nella Tabula Alimentaria di Veleia (6,69) come possesso dei coloni Lucenses 79. Altre località di tappa menzionate negli itinerari erano, procedendo da levante, Bodetia (Passo del Bracco), Monilia (Moneglia), Tegulata (Lavagna?), Solaria (Zoagli/Rovereto), Portus Delphini (Portofino), Ricina (Recco). Fin dagli anni '70 recuperi sporadici e ricerche di superficie hanno portato all'identificazione nell'area del Tigullio di una rete di siti di epoca romana confermando la vitalità, almeno da età tardorepubblicana, della maggior parte degli insediamenti sopra citati, che la natura casuale dei rinvenimenti non consente di connotare con maggiore precisione, ma che potevano corrispondere ad impianti agricoli, nuclei vicani, stazioni di tappa stradali (mansiones) o scali marittimi, mentre pare assodata l'assenza di centri a carattere urbano. Tra i siti che hanno restituito maggiori informazioni figura Recco 80, dove sono stati identificati vari insediamenti di fondovalle e sulle alture che coronano l'attuale abitato. Pur in assenza di scavi sistematici, i materiali raccolti sembrano dimostrare una frequentazione dei luoghi a partire dalla tarda età del Ferro fino ad epoca imperiale, con maggiore intensità per il periodo tardorepubblicano. Anche per Portofino, vari avvistamenti di campi di frammenti ceramici sottomarini, in particolare nello spazio portuale 81 e in corrispondenza di Punta Chiappa 82 ne confermano il ruolo di porto ricordato dal toponimo antico, suggerendo anche la presenza di relitti di navi romane nei fondali circostanti 83. Di particolare rilevanza per la definizione della fisionomia e del censo della popolazione tigullina di età imperiale pare l'iscrizione di Sala sopra citata perché conserva memoria dell'unico esponente dell'ordine equestre sinora noto nel territorio dei Tigullii. Con l'epoca tardoantica l'occupazione del territorio divenne più estesa. Alcuni insediamenti già noti per il periodo precedente mostrano una continuità d uso, mentre altri furono impiantati ex novo oppure rioccuparono località già abitate in età imperiale, in coincidenza con un analogo fenomeno di ripopolamento registrato nell'appennino ligure e toscano 84, che si crede motivato dall'incipiente crisi alimentare abbattutasi sull'impero. Nonostante la semplicità, per non dire povertà, dei modi dell'abitare, la presenza in tali insediamenti rurali di quantità apprezzabili di vasellame e contenitori da trasporto di importazione costituisce lo specchio di un'economia non autarchica, ma con buone capacità di acquisto e presuppone inoltre l'efficienza della rete stradale. A Porciletto, dopo il crollo e la spoliazione degli edifici preesistenti, durati in uso a lungo, nel IV sec. d. C. fu effettuato un generale spianamento dell area con riporti di terreno, forse a scopo di bonifica. Furono quindi erette nuove strutture con muri in pietre solo rozzamente sgrossate e piani in battuto e una capanna su pali di 77 U. FORMENTINI 1949; L. CIMASCHI 1953; U. FORMENTINI 1955; G. PETRACCO SICARDI 1981, pp , con analisi dei toponimi alle pp ; ITIN. MAR G. MENNELLA P. MELLI 1990, p. 292 (con bibliografia prec.). 81 Navigia 1983, p Navigia 1983, p. 43, n. 57; A. J. PARKER 1992, p Recenti campagne di scavo subacqueo della Soprintendenza, dirette da G. P. Martino, hanno messo in luce copioso materiale, riferibile ad un relitto, anche nei fondali di San Michele di Pagana. 84 Cfr. L. GAMBARO 1994, spec. pp , con bibliografia di confronto

135 Fig. 12 Mezzanego, loc.porciletto. Fondo di capanna di epoca tardoantica. legno, con fondo ribassato (fig.12), poi distrutta da un incendio. Anche nella fase tardoantica sono documentate importazioni marittime di derrate alimentari e ceramiche da mensa (anfore di produzione iberica e africana e piatti in terra sigillata africana) che a quell'epoca ancora confluivano nei principali porti, e relazioni commerciali con i mercati della Lunigiana, esemplificate da recipienti da fuoco e da dispensa, prevalentemente prodotti in ambito pisano-lunense, e ceramica invetriata. Per la ricostruzione dell ambiente naturale e delle risorse alimentari e produttive del sito, si è accertato, per l epoca tardoantica, l utilizzo di una grande varietà di specie legnose del bosco misto di caducifoglie che costituiva l ambiente circostante, con qualche unità anche dal piano montano (faggio e abete bianco) e, per uso alimentare, la presenza di vite, segale, nocciolo e castagno, prodotti che, come è stato rilevato per altri contesti 85, sembrano, ad eccezione della vite, più adatti ad un'economia di sussistenza, piuttosto che essere destinati alla commercializzazione. L'introduzione del castagno, che fino all'ottocento costituì una fondamentale risorsa alimentare per le popolazioni dell'appennino, è stata sinora attribuita ad iniziativa dei romani, a partire dal I secolo d.c. 86, ma recenti ricerche 87 offrono elementi di novità suggerendo che l'avvio della coltivazione del castagno in Fontanabuona risalga ad un periodo precedente. 85 T. MANNONI 1985, p Sulla diffusione del castagno v.: L. CASTELLETTI, E. CASTIGLIONI 1991, pp ; E. GIANNICHEDDA 1998 (a cura di), pp R. MAGGI in corso di stampa. Le foto sono dell Archivio della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria tranne la fig. 5 (Archivio fotografico Comune di Genova, Museo Civico di Archeologia Ligure)

136 I PONTI IN PIETRA NELLA VALLE DI NEIRONE E LE PROBLEMATICHE LEGATE AD UNA LORO DATAZIONE Paola Cavaciocchi Il territorio comunale di Neirone è costituito da una profonda valle (fig. 2) con un sistema oroidrografico complesso. I torrenti scorrono ad una quota compresa tra i 670 e i 206 m s.l.m., mentre i monti circostanti hanno un altezza compresa tra i 1090 m del M. Bocco e gli 840 m s.l.m. del M. Borghigiano. Numerosi rivi e tre torrenti, il Torrente Sestri, il Torrente Rissuello, il Torrente Serré, originano il Torrente Neirone che confluisce a valle nel Torrente Lavagna, il corso principale della Valle Fontanabuona. Questi solcano il territorio dividendolo in vallecole e rendendo i collegamenti delle stesse assai difficoltosi. È sicuramente questo uno dei motivi della presenza di così numerosi ponti sul territorio comunale (fig. 3) e in tutte le valli perpendicolari al Lavagna (G. BENISCELLI PIE- ROVADO 1974), oltre al fatto di congiungere gli opposti e rendere possibile il passaggio, la conoscenza (F. DANI 1998, p. 7). In particolare, per quanto riguarda la Valle del Neirone, i ponti in pietra ad un unica arcata, che permettono il collegamento delle numerose frazioni, si differenziano in lunghezza proprio in base al corso d acqua attraversato. I rivi sono oltrepassati da ponti di piccole dimensioni - ponticelli in Località Montefinale (schede 1 e 2, figg. 13, 14), ponticelli in Località San Marco d Urri (schede 3 e 4, figg. 15, 16), ponticello in Località Rosasco (scheda 5, fig. 17), ponticello in Località Molino (scheda 7, fig. 19), ponticello in Località Roccatagliata (scheda 10, fig. 22), ponticello in Località Isole (scheda 11, fig. 23), ponticello in Località Bassi (scheda 12, fig. 24), ponticelli in Località Canivelli (schede 13 e 14, figg. 25, 26), ponticello in Località Feia (scheda 15, fig. 27) -, mentre i torrenti da ponti sempre ad un unica arcata ma di dimensioni maggiori e con delle particolarità costruttive che denunciano la pericolosità di questi corsi d acqua a regime torrentizio - ponte in Località Molino (scheda 6, fig. 18), ponte delle Ferriere in Località Fig. 1 Una suggestiva immagine del ponte delle Ferriere in località Roncodonico (foto A. Botto)

137 Roncodonico (scheda 8, fig. 20), ponte in Località Roccatagliata (scheda 9, fig. 21) -. La loro localizzazione sul territorio ha garantito in passato e garantisce ancora oggi il raggiungimento di tutti i siti abitabili e l avvicinamento ai territori confinanti extra regione per uno sviluppo economico tutt ora attivo. La costruzione di alcuni di essi ha reso più facile il raggiungimento del paese di Roccatagliata per arrivare nella Val Trebbia e sconfinare, poi, in Piemonte, in Lombardia e in Emilia-Romagna. Il ponticello in Località Molino, il ponte delle Ferriere in Località Roncodonico hanno migliorato il percorso, attualmente denominato dei Feudi Fliscani, che collegava Gattorna con Torriglia passando per Neirone, mentre l ascesa a Roccatagliata, un tempo fortezza longobarda di proprietà della diocesi milanese e genovese, era garantita dal ponte in Località Roccatagliata. L analisi che segue si pone come obbiettivo la descrizione qualitativa e quantitativa delle caratteristiche costruttive e delle tecniche murarie e il confronto con quelle medievali in Liguria che sono state catalogate ed a cui è stata assegnata una datazione certa (T. MANNONI 1994, pp. 7-18). I dati così raccolti sono sintetizzati nelle schede che seguono. I ponticelli hanno caratteristiche costruttive simili: si presentano tutti con un unica arcata, un arco a sesto ribassato, la cui luce media è di c.a. m 6.00, l altezza dall intradosso all alveo di c.a. m 3.00 e la larghezza di c.a. m I piedritti sono di dimensioni ridotte e fondati direttamente sulla roccia opportunamente adattata e livellata quando necessario (fig. 4). La tecnica costruttiva adottata per l edificazione della volta è consistita nella realizzazione di una centina lignea fissa (fig. 5), che appoggia direttamente nell alveo: infatti, all imposta della volta non sono presenti né riseghe, né cuscinetti d imposta necessari per la centina sospesa (C. F. GIULIANI 1990, pp. 100, 101; C. TORRE 2003, pp ). Gli archi di testa (C. TORRE 2003, p. 352) sono realizzati con conci di pietra larghi mediamente m 0.60 e spessi m 0.10, alcuni presentano una forma a cuneo per meglio adattarsi all andamento dell arcata, altri fuoriescono dal filo superiore per aumentare l unione con i muri di testa (fig. 6), ma nessuno presenta lavorazioni delle superfici in vista. Del corpo della volta (C. TORRE 2003, pp ), ovvero dell arcata intermedia compre- Fig. 2 Ripresa fotografica della Valle di Neirone (foto P. Cavaciocchi)

138 Fig. 3 Cartografia I.G.M. in scala 1: in cui è evidenziata la localizzazione dei ponti nel territorio comunale di Neirone. I numeri si riferiscono alle schede che seguono il presente testo. sa tra i due archi di testa, è visibile solo la superficie dell imbotte. Per alcuni è difficoltosa la distinzione tra i conci delle arcate laterali e quella centrale (fig. 7). Nel ponticello in Località Bassi (scheda 12, fig. 24) è possibile distinguere le tre arcate poiché la posa sembra essere stata eseguita a secco mentre sul ponticello in Località Montefinale (scheda 2, fig. 14) è ancora leggibile il segno del tavolato ligneo utilizzato per raccordare le centine. Il muro di coronamento (C. TORRE 2003, p. 332), ovvero il parapetto, è leggibile nella sua altezza originale, circa m 0.60, nel solo ponticello in Località Molino (scheda 7, fig. 19), in cui è possibile anche osservare il piano di finitura dello stesso, lastre di pietra posate per il lato di maggiori dimensioni. La pavimentazione della via portata (C. TORRE 2003, p. 333) è purtroppo illeggibile in quasi tutti i ponticelli osservati, come le rampe di accesso, che sono state alterate dalla loro dismissione. Solo il ponticello in Località Molino (scheda 7, fig. 19) è utilizzato per il passaggio pedonale, infatti è ancora leggibile la pavimenta

139 Fig. 4 Ponticello in Località Montefinale. Piedritto sulla sponda destra orografica. La volta è impostata direttamente sulla roccia (foto P. Cavaciocchi). zione originale e gli accessi sono di dimensioni maggiori rispetto al percorso attiguo ad esso (fig. 8). Per tutti i ponticelli, la tecnica muraria (R. PARENTI 1988, pp ; C. MONTA- GNI 1990, pp ) utilizzata è a corsi suborizzontali e paralleli con materiale lapideo di forma irregolare, a bozze sdoppiate e a blocchi sfaldati nei piedritti, mentre nei muri di testa ovvero di coronamento la forma irregolare dei blocchi si serve di molte zeppe orizzontali-verticali, per realizzare i piani di posa. Per quanto riguarda invece i ponti sui torrenti, quelli in Località Molino (scheda 6, fig. 18) e in Località Roncodonico (scheda 8, fig. 20), denominato delle Ferriere, hanno mantenuto pressoché inalterate le loro caratteristiche costruttive, mentre quello in Località Roccatagliata (scheda 9, fig. 21) è divenuto un ponte carrabile, perdendo tutta la via portata originale. I ponti si presentano con un unica arcata di forma geometrica ad arco di sesto ribassato, la cui luce misura mediamente m 14.00, l altezza dall intradosso all alveo c.a. m 7.00 e la larghezza c.a. m I piedritti (fig. 9), alti più di m 3.50 e larghi più di m 3.00, sono fondati anch essi sulla viva roccia, sfruttando in vario modo le asperità presenti. I piedritti dei primi due mantengono memoria del sistema di imposta delle armature a sbalzo. Essi sono interrotti da tre grosse mensole di forma pressoché cubica senz altro allo scopo sia di appoggiare le impalcature per la costruzione dei piedritti stessi, sia di offrire opportuni sostegni alla centina lignea sospesa (C. F. GIULIANI 1990, pp. 100, 101) della grande volta (fig. 5). Inoltre i piedritti del ponte delle Ferriere (scheda 8, fig. 20) terminano con un cuscinetto d imposta (fig. 10) abbastanza pronunciato, necessario anch esso alla posa della centina. Tra il piano superiore dei mensoloni e il piano di imposta della volta esiste uno spazio in cui era collocato il dispositivo di disarmo della volta necessario per promuovere la discesa graduale e

140 Fig. 5 Nel disegno sono rappresentati i tipi di centine utilizzati nella costruzione di strutture voltate. uniforme di tutta l armatura. Le volte presentano archi di testa con caratteristiche tali da dimostrare una conoscenza profonda da parte degli antichi costruttori dei metodi di edificazione di un ponte. Il ponte in Località Molino (scheda 6, fig. 18) e quello in Località Roccatagliata (scheda 9, fig. 21) hanno conci in pietra di larghezza di m 0.80 e spessore c.a. di m 0.10/0.12. Lo spessore dei giunti nel primo è ridottissimo. Per ovviare alla principale causa dei grandi abbassamenti delle volte i costruttori realizzavano giunti sottili e vi colavano poca malta fluida che aveva solo la funzione di colmare gli inevitabili vani tra un concio e l altro. Ma l adozione di giunti sottili e conci portati praticamente a contatto tra loro esigeva che il tamburo di posa fosse assolutamente immobile, ossia occorreva una centina molto rigida, in modo da evitare quei movimenti che avrebbero prodotto sbrecciature e distacchi tra i conci. La necessità di giunti molto sottili implicava altissimi costi per la necessaria precisione del taglio dei conci. Il ponte in Località Molino (scheda 6, fig. 18), infatti, presenta dei conci squadrati sui due lati in vista e lavorati sulle due superfici, quella frontale e quella inferiore (fig. 11) con lo scalpello, mentre gli altri due sembrerebbero non aver subito alcuna lavorazione superficiale. Nel ponte in Località Molino (scheda 6, fig. 18) la distinguibilità tra i conci delle arcate di testa e l arcata intermedia dimostra la non perfetta coesione tra le arcate e il corpo centrale ovvero l imbotte che è stato costruito con lo stesso materiale ma non è stato immorsato perfettamente. Le volte di tutti e tre i ponti, comunque, sono state realizzate in muratura mista, pietra da taglio per i conci delle arcate di testa e pietrame per il corpo della volta. Gli elementi notevoli della volta erano in genere costruiti con materiale più resistente di maggiore pezzatura e tagliato con più precisione. Le altre parti del corpo potevano essere risolte con muratura meno costosa,

141 Fig. 6 Ponticello in Località Roccatagliata. Arcata di testa sul fronte verso monte. I conci utilizzati per realizzare l arco hanno forma a cuneo e alcuni fuoriescono in larghezza (foto P. Cavaciocchi). Fig. 7 Ponticello in Località Molino. Superficie dell imbotte compresa tra gli archi di testa (foto P. Cavaciocchi). Fig. 8 Ponticello in Località Molino. Gli accessi hanno mantenuto la loro funzione poiché il ponticello è ancora pedonabile (foto P. Cavaciocchi)

142 Fig. 9 Ponte in Località Molino. Piedritto sulla sponda destra orografica (foto P. Cavaciocchi). più leggera e tale da ridurre il carico gravante sui piedritti, pietrame di minor pezzatura con spessi giunti di malta. Occorreva dunque contenere il rischio di scorrimenti tra le parti della struttura aventi diverse caratteristiche di rigidità, in particolare tra le armille ed il corpo della volta e tra la parte d imbotte e quella di estradosso dell arcata intermedia. Per fare questo si adottavano dispositivi di ancoraggio della muratura come nel caso del ponte in Località Molino (scheda 6, fig. 18) dove vi sono due bolzoni a vista sulle armille. La presenza di questi sottintende due catene di metallo, cioè due lunghe barre di ferro a sezione circolare o rettangolare, disposte sui lati di posa tra i filari. Queste terminavano all estremità con un asola detta testa di chiave in cui si infilava il bolzone, ossia una spranga di ferro orientata in direzione normale al letto e la cui larghezza abbracciava più filari. Dopo la loro posa in opera venivano assoggettate ad una tensione sufficiente ad esaurire gli assestamenti dei contrasti e dei giunti e Fig. 10 Ponte di Ferriere in Località Roncodonico. Mensoloni necessari per la posa della centina a sbalzo. Al di sopra dei mensoloni si può notare la presenza del cuscinetto d imposta realizzato con materiale litico posato per il lato maggiore e sporgente dal piano superiore del piedritto. L imposta della volta è rientrante e forma sul cuscinetto una risega con funzioni sia costruttive che estetiche (foto P. Cavaciocchi). ad assicurare un immediata efficacia al bisogno. Queste chiavi da volta, collocate a trattenere gli opposti archi di testa, sono tipiche di molti ponti pre-ottocenteschi, e quindi possono essere degli indicatori cronologici. Due ipotesi possono essere avanzate: la prima è che il ponte sia stato costruito ex novo, oppure, ed è la più plausibile, che il ponte tra 1600 e 1700 sia stato consolidato, poiché era uso in questo periodo utilizzare questi provvedimenti. Lo studio della tecnica costruttiva del bolzone in vista potrebbe aiutarci a definire il periodo di consolidamento del ponte. La tecnica costruttiva adottata per realizzare i piedritti e i muri di testa ovvero i muri andatori consiste nella posa per corsi sub-orizzontali di materiale litico di dimensioni decrescenti proce

143 Fig. 11 Ponte in Località Molino. Particolare dei conci in pietra dell arcata di testa in cui sono visibili ad occhio nudo la squadratura sui lati a vista e la lavorazione della superficie frontale e inferiore (foto P. Cavaciocchi). dendo dal basso verso l alto con giunti di malta irregolari ma di buona qualità; molte zeppe orizzontali e talvolta verticali riempiono i vuoti lasciati dalla irregolarità dei blocchi lapidei. Questi terminano con un parapetto di altezza pari a m 0.80/0.85, ma con finiture differenti: nel ponte in Località Molino (scheda 6, fig. 18), dopo un intervento di restauro, il parapetto si chiude con la posa di lastre di pietra posate sul lato di dimensioni maggiori, mentre il ponte in Località Roncodonico (scheda 8, fig. 20) presenta blocchi di pietra posti di coltello sul lato di minori dimensioni. La pavimentazione della via portata nei due ponti si presenta differente. Sezionando virtualmente entrambi i ponti longitudinalmente il profilo si presenta secondo una livellata inclinata, cioè a schiena d asino, mentre il profilo trasversale della carreggiata, sul ponte delle Ferriere in Località Roncodonico (scheda 8, fig. 20), risulta concavo con una cunetta disposta sull asse longitudinale. Questa particolarità costruttiva differenzia le due pavimentazioni: la prima è realizzata con blocchetti di materiale lapideo di forma allungata posti di coltello, la seconda è realizzata con blocchetti di forma parallelepipeda posati in piano rispetto alla cunetta centrale e per corsi orizzontali normali alla direzione dei muri di coronamento. I parapetti di entrambi i ponti seguono il profilo a schiena d asino della via portata. In ultimo c è da segnalare la presenza di muri d argine a monte dei piedritti dei ponti, realizzati in muratura (fig. 12) o sfruttando costoni di roccia affiorante. Lo studio della tecnica muraria adottata per la loro costruzione è avvenuto analizzando un campione di muratura per ogni ponte di m 0.96 x Il loro confronto ha evidenziato l uso di blocchi irregolari di materiale lapideo di varie dimensioni non squadrato e posato per corsi sub-orizzontali e in qualche caso paralleli. I vuoti lasciati tra un blocco e l altro sono stati chiusi con zeppe tabulari orizzontali e verticali e tendenzialmente le dimensioni dei blocchi decrescono dal basso verso l alto. In molti casi

144 Fig. 12 Ponte delle Ferriere in Località Roncodonico. Muro d argine sulla sponda destra orografica realizzato con una struttura muraria composta da blocchi di materiale lapideo di varie dimensioni, non squadrato ma posato per corsi suborizzontali e zeppe tabulari orizzontali e verticali per regolarizzare i piani di posa o per colmare i vuoti tra un blocco e l altro (foto P. Cavaciocchi). per regolarizzare il piano di posa è stato usato materiale posato per il lato di maggiori dimensioni. Il materiale litico, proveniente dall abbattimento di affioramenti rocciosi circostanti il luogo di costruzione, appartiene alle rocce sedimentarie. Quasi tutta la muratura analizzata possiede giunti di malta molto tenace e di dimensioni che variano dai cm 2 ai cm 5, ma solo nei ponti in Località Molino (scheda 6, fig. 18) e in Località Roncodonico (scheda 8, fig. 20) i piedritti presentano giunti abbondanti e spatolati. Da questa prima analisi di tipo qualitativo la tecnica muraria utilizzata si dice alla moderna (S. BERGAMO, M. A. FIORUCCI, M. ROSSI DERUBEIS 2000, p. 97), costituita da conci irregolari con giunti molto spessi e propria dei secoli XV e XVI, appartenente a un epoca in cui la lavorazione delle pietre non era più accurata come nel Medioevo. Per quanto riguarda i giunti di malta spatolati, questa particolare tecnica è stata riscontrata dal Lamboglia in costruzioni come il Battistero di Albenga (V sec. d.c.). La malta che lega i vari conci lapidei si allarga dalla esclusiva positura cementizia verso i conci stessi spalmandosi su di loro e assumendo, quindi, un ruolo oscillante tra legante e intonaco, in quanto nasconde parzialmente alla vista il muro sottostante. Tale tecnica, spesso definita con il termine improprio di falsa cortina,trovò applicazione per un periodo piuttosto lungo: infatti se ne possono rintracciare esempi sino al XII sec. (C. MONTAGNI 1990, pp. 21, 22). Se consideriamo il fatto che la rivoluzione delle tecniche edilizie subentrò nelle campagne solo duecento anni più tardi rispetto agli ambienti cittadini (I. FERRANDO, T. MANNONI 1988, p. 13), si può affermare ragionevolmente che la costruzione dei ponticelli e dei ponti risalirebbe ai secoli XV-XVI. L uso di questa tecnica muraria, comunque, non è sufficiente a stabilire una datazione sicura: Il

145 tipo di muratura impiegato dipende in primo luogo, per ogni singolo periodo, dall ambiente socio-economico che lo produce in quanto esso determina delle scelte; ma dopo di ciò il tipo di tessitura del muro dipende in parte dalle capacità esecutive dei costruttori, siano esse in adeguamento ad una tradizione, o a schemi importati, o persino originali, ed in parte dai caratteri tecnici dei materiali scelti. È evidente l impossibilità di utilizzare da sola la tipologia delle tecniche murarie come elemento di datazione delle costruzioni medievali. Già esistono forti limitazioni territoriali e di ambiente culturale per la cronologia delle murature dei monumenti, ma l analisi ovviamente si complica quando si prendono in considerazione le costruzioni comuni. (T. MANNONI 1994, p. 15). Ad ogni latitudine il medioevo aveva ereditato la imponente rete stradale dei romani. Molto era andato distrutto da eventi bellici e da mancanza di manutenzione, ma molto ancora sopravviveva. Ponti solidi, in pietra, in muratura, resistenti e, grazie alla perizia e ai buoni calcoli degli architetti e degli ingegneri, atti a sfidare i tempi. Era il grande risultato di ogni realizzazione architettonica romana; e nel caso particolare dei ponti, che nel medioevo apparivano quasi come elementi del paesaggio naturale. Il successo era dipeso sul piano politico dall unitarietà del dominio su cui lo stato aveva potuto esercitare una intensa, lunga e coordinata politica di lavori pubblici volta a rendere efficiente, per scopi civili e militari, una rete di collegamenti tra le località più lontane; sul piano tecnico in massima parte dalla disponibilità pressoché illimitata di materiale da costruzione e di manodopera. Nel medioevo la frantumazione politica, l inimicizia reciproca fra stati confinanti, le scarse disponibilità finanziarie, la limitatezza ed il costo elevatissimo dei migliori materiali da costruzione e quello più alto della forza lavoro, portò a una totale mancanza di motivazioni mentali verso la cultura della comunicazione. Si sviluppò la cultura dell isolamento. I ponti, perciò, anche quando furono quelli romani restaurati, sembrano in generale mutare funzione, trasformandosi in elementi, non tanto di facilitazione, quanto di controllo della viabilità. Il risveglio europeo dei secoli XI-XII, la riacquistata mobilità, magari anche nelle forme aggressive della crociata e dei fenomeni annessi, stimolava fame di strade e di ponti. Ovunque e per varie motivazioni fu avvertito l impulso verso la realizzazione di nuovi manufatti, che rompessero l isolamento e l irraggiungibilità delle contrade, aprissero nuovi percorsi alla strada del popolamento, del commercio e dei traffici. Antichi ponti furono più sollecitamente restaurati, nuovi furono realizzati (F. DANI 1998, pp ). Si può dire però che fino al tardo medioevo i ponti ad archi in muratura seguirono in genere modelli romani senza essere così ben costruiti, né d altra parte raggiungere le dimensioni di luce e portata dei ponti romani. La principale innovazione rispetto alla tecnologia costruttiva romana fu l arco di profilo ribassato. La ragione di questa forma geometrica era quella di mantenere il livello stradale il più basso possibile (F. DANI 1998, pp ). Per una datazione dei ponticelli e dei ponti nella Valle di Neirone il lavoro da svolgere è ancora molto, ma esistono caratteri, quali la tecnica muraria, la forma geometrica dell arco, i conci delle arcate di testa, il profilo longitudinale e trasversale, la via portata e le fonti documentarie che, se confrontati con un numero maggiore di ponti, presenti nel territorio della Val Fontanabuona, potrebbero portare a individuare un periodo di costruzione più preciso. Un ringraziamento particolare a Giuseppe Cavaciocchi per avermi aiutato ad un primo rilevamento dimensionale dei ponti e ad Aurora Cagnana e Piera Melli per i preziosi consigli

146 Scheda 1 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località Montefinale sul Fosso di Monte Finale, localizzato lungo la strada pedonale che dalla Località Cravaria sale ad Orticeto Il ponticello, posto a Sud-Ovest di Neirone, è situato lungo un percorso pedonale che dal fondo valle del Torrente Lavagna, passando per la località di Cravaria, sale verso il versante che collega la Valle d'urri con la Valle di Neirone, sino a raggiungere il paese di Orticeto. Il sentiero giunge al ponticello con una dimensione prossima alla sua larghezza ca. mt. 1,47, e i due parapetti larghi ca. mt. 0,31, in parte integri, proseguono oltre il ponticello definendo gli accessi al ponte sia a monte che a valle. L'arcata, la cui luce misura ca. mt. 2,90, si presenta a sesto ribassato e ad un solo ordine di conci la cui lunghezza media è di ca. mt. 0,54 e la cui larghezza media è di ca. mt. 0,10. La malta di allettamento dei conci dell'arcata è stata spatolata sui conci stessi, uniformando il loro aspetto, ma il materiale lapideo utilizzato sembra sbozzato. La muratura verticale realizzata con lo stesso materiale è stata ricoperta da uno strato di muschio e licheni a causa dell'ambiente umido, ma sembrerebbe costituita anch'essa con corsi sbozzati sub-orizzontali di dimensioni regolari. Gli archi di testa si impostano su due piedritti di dimensioni ridottissime, fondati direttamente sulla roccia affiorante. Sull'intradosso del ponticello sono ancora visibili i segni lasciati dalle tavole utilizzate per l'unione delle centine necessarie per costruire il ponte. La mancanza di riseghe all'imposta dell'arcata fa ipotizzare l'uso di centine lignee fisse a terra. Il ponticello si trova in buone condizioni, soltanto i parapetti in alcuni punti sono mancanti di alcuni corsi di materiale lapideo a causa dell'insinuarsi tra i giunti della vegetazione infestante. Bibliografia: inedito. Fig. 13 Ponticello in Località Montefinale. Fronte verso valle (foto A. Botto)

147 Scheda 2 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località Montefinale sul Fosso di Monte Finale, localizzato lungo la strada comunale Ognio - Neirone Il ponticello, situato a Sud-Ovest di Neirone, attualmente posizionato a monte della strada carrabile ha una sola arcata la cui luce misura ca. mt. 3,00 e la cui freccia ca. mt. 1,25. L'arco a sesto ribassato è fondato, sulla sponda orografica destra direttamente sulla roccia, mentre, su quella sinistra, su un piedritto che si adegua alla roccia sottostante. La tecnica costruttiva adottata è consistita nella posa di una centina lignea fissa a terra, di cui è rimasta memoria sulla superficie intradossale, infatti sono ancora visibili i segni delle tavole lignee. L'arco di testata su entrambi i fronti è costituito da un solo ordine di conci in materiale lapideo la cui lunghezza media misura ca. mt. 0,50 e la cui larghezza media ca.mt. 0,10. Il paramento murario è realizzato con materiale lapideo di forma irregolare con corsi sub-orizzontali e moltissime zeppe orizzontali di scarto. I parapetti col passare del tempo sono in parte crollati a causa dell'insinuarsi tra i giunti di arbusti di dimensioni tali da ridurre la malta di allettamento, così come la carreggiata, la cui larghezza è di ca. mt. 1,49, che a causa della crescita incontrollata della vegetazione non è più visibile. Bibliografia: inedito. Fig. 14 Ponticello in località Montefinale. Fronte verso valle (foto P. Cavaciocchi)

148 Scheda 3 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località San Marco d'urri sul Fosso della Chiesa, localizzato lungo la strada comunale San Marco d'urri - Boscaglia Il ponticello posto a Nord-Ovest di Neirone, in posizione elevata rispetto all'attuale strada carrabile, scavalca con la sua arcata a tutto sesto un fosso profondo e stretto, infatti la luce misura ca. mt. 1,60 e la freccia ca. mt. 0,80. Le arcate di testa a un solo ordine di conci sono impostate su due piedritti che formano una piccola risega all'interno in corrispondenza dell'imposta dell'arcata. Questo particolare costruttivo potrebbe indicare l'uso di una centina lignea a sbalzo per la costruzione dell'arcata. I conci di lunghezza pari a ca. mt. 0,25 e di larghezza variabile sono posati in modo da fuoriuscire dal profilo superiore e ammorsarsi alla muratura. Tale particolarità è legata semplicemente alla posa di materiale lapideo rintracciato nelle vicinanze del fossato senza nessuna lavorazione particolare ma sfruttando quello a disposizione. In questo modo è stata realizzata tutta la muratura del ponticello e sul fronte a valle oltre alla tecnica della posa per corsi sub-orizzontali è presente anche quella per corsi sub-verticali, rintracciabile in moltissime altre murature di contenimento della zona, probabilmente per ovviare alla ridotta resistenza del materiale lapideo a disposizione agli sforzi di compressione sui piani paralleli. La struttura del ponticello è in buone condizioni mentre la carreggiata, larga ca. mt.1,95, attualmente è sormontata sul fronte a valle da una ringhiera in ferro. Bibliografia: inedito. Fig. 15 Ponticello in Località San Marco d'urri. Fronte verso valle (foto A. Botto)

149 Scheda 4 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località San Marco d'urri sul Torrente d'urri, localizzato lungo la strada comunale San Marco d'urri - Boscaglia, sul confine con il Comune di Lumarzo Il ponticello, situato a Nord-Ovest di Neirone, è stato allargato in epoca recente verso monte creando due piedritti in muratura sormontati da travetti in precompresso e aumentando così la carreggiata. La larghezza originale misurata all'intradosso è di ca. mt. 2,25. L'arcata ha una luce di ca. mt. 6,55 e poggia sulla sponda orografica destra su un basso piedritto, mentre su quella sinistra è fondata direttamente sulla roccia, in posizione più elevata. L'unico ordine di conci si presenta formato da materiale lapideo di forma regolare le cui dimensioni in lunghezza sono di ca. mt. 0,55 e in larghezza variano tra mt. 0,12/0,15. I giunti spatolati dei conci dell'arcata e il muschio e i licheni rendono le arcate uniformi, come l'intradosso dell'arcata, anch'esso ricoperto da uno strato di malta in cui sono riconoscibili i segni del tavolato delle centine lignee utilizzate per la sua costruzione. La carreggiata ha perduto completamente i parapetti riducendosi notevolmente l'altezza della muratura superiore alla ghiera. Purtroppo per questo motivo dall'estradosso del ponte percola dell'acqua all'intradosso facendo staccare lo strato di malta e causando un degrado dei giunti di allettamento. Inoltre la presenza di arbusti all'interno della muratura di rinfianco ha causato la caduta di corsi di materiale lapideo dal piano verticale facendo perdere l'orizzontalità ai corsi superiori. Bibliografia: inedito. Fig. 16 Ponticello in Località San Marco d'urri. Fronte verso valle (foto A. Botto)

150 Scheda 5 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località Rosasco su un affluente destro del Torrente Neirone, localizzato lungo la strada comunale Ognio-Neirone Il ponticello localizzato a Sud-Ovest di Neirone nel versante di collegamento della Valle d'urri con la Valle di Neirone presenta delle caratteristiche costruttive che ritroveremo nei ponti in Località Molino e Località Roncodonico. A questo ponticello è stato costruito in aderenza verso valle un ponte in C.A. che ha contribuito ad allargare la sede stradale carrabile. Il fronte verso monte quindi è visibile mentre il fronte verso valle è stato completamente obliterato dal nuovo intervento. L'arcata ha una luce pari a ca. mt. 3,00, mentre la freccia è di ca. mt. 1,90, particolare piuttosto anomalo che geometricamente lo riconduce ad un arco a sesto rialzato. La fondazione dei piedritti avviene ad altezze differenti a causa della presenza sulla sponda orografica sinistra di un banco di roccia, il piedritto di destra è alto ca. mt. 1,70. Un altro particolare costruttivo che ritroveremo soltanto nei ponti sopra citati, è la presenza di mensoloni all'imposta dell'arcata, lunghi ca. mt. 0,30 e alti ca. mt. 0,16. Due dei quattro mensoloni, che si trovano su ogni piedritto, sono localizzati proprio ai loro estremi. Questo fa sì che si possa apprezzare di quanto si ammorsano nella muratura laterale: circa il doppio della loro larghezza. La presenza dei mensoloni e il segno delle tavole sull'intradosso dell'arcata porta ad ipotizzare l'uso di centine lignee a sbalzo per la costruzione del ponticello anch'esso su un fossato piuttosto profondo e ricco d'acqua. La ghiera dell'arcata verso monte possiede conci in materiale lapideo di dimensioni piuttosto regolari la cui lunghezza misura ca. mt. 0,45 e la larghezza ca. mt. 0,15; anche in questo caso i giunti di allettamento tra un concio e l'altro sono spatolati. Il ponticello è in perfette condizioni strutturali, pur mancando tutta la carreggiata nascosta dalla copertura attuale. Bibliografia: inedito. Fig. 17 Ponticello in Località Rosasco. Fronte verso monte (foto P. Cavaciocchi)

151 Scheda 6 Neirone, Provincia di Genova Ponte in Località Molino sul Torrente Neirone, localizzato lungo la strada comunale Ognio- Neirone Il ponte, situato a Ovest di Neirone, è localizzato attualmente a monte del nuovo viadotto carrabile. La costruzione di questo e l'erezione di un muro al termine della rampa di accesso verso Neirone lo rendono inutilizzabile per il passaggio pedonale, anche se le sue condizioni statiche lo permetterebbero. L'arco, la cui luce misura ca. mt.17,00 e la freccia ca. mt. 4,50, è fondato su due piedritti alti ca. mt. 3,46. Su entrambi, sotto l'imposta dell'arcata, sono presenti tre mensoloni (lunghezza ca.mt. 0,50, altezza ca.mt.0,20) per parte, posizionati due all'estremità e il terzo al centro. Ogni mensola aveva il compito di sostenere una centina lignea che, raccordata con le altre da un manto di tavole, avrebbe costituito il sistema costruttivo dell'arcata. Gli archi di testa su entrambi i fronti sono a un solo ordine di conci (vedi Nota di R. Ricci in questo volume) stretti e lunghi ed è possibile osservare sulle due facce in vista la lavorazione a scalpello. Inoltre sono visibili due bolzoni di ferro posati successivamente alla costruzione del ponte con il compito di tenere unite le due arcate con la parte centrale dell'arco. Infatti sull'intradosso ancora oggi si possono apprezzare le fessure esistenti tra le parti. L'arco a sesto ribassato e la sezione longitudinale a "schiena d'asino" erano gli espedienti usati dai costruttori per raccordare la via portata (carreggiata) con gli accessi esistenti. Queste tipologie costruttive permettevano di oltrepassare alvei di notevoli dimensioni, pur mantenendo gli accessi originali e senza ostruire l'alveo con pile. La tecnica muraria utilizzata si può distinguere in due tipologie tessiturali: i piedritti sono realizzati con corsi di materiale lapideo sbozzato la cui lunghezza è di ca. mt.0,75 e di altezza pari a ca.mt.0,50, decrescenti salendo verso l'imposta dell'arco, mentre la muratura di rinfianco, pur seguendo l'andamento della livellata inclinata è a corsi sub-orizzontali di dimensioni decrescenti verso il parapetto con molte zeppe orizzontali che vanno a colmare i vuoti lasciati dalla irregolarità dei blocchi lapidei. La carreggiata misura ca.mt. 2,36 e il parapetto dopo gli ultimi lavori di manutenzione è alto ca. mt. 0,85 e largo ca. mt. 0,35. Bibliografia: F. SENA 1981, p Fig. 18 Ponte in Località Molino. Fronte verso valle (foto P. Cavaciocchi)

152 Scheda 7 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località Molino sul Beo du Pian da Pelo, localizzato lungo la strada comunale pedonale Ciosa-Rosasco Il ponticello, localizzato a Sud di Neirone, è ancora utilizzato come passaggio pedonale; un tempo serviva per raggiungere Corsiglia e Roccatagliata e proseguire verso il Passo della Scoffera, attualmente serve a raggiungere un gruppo di case e un mulino non più funzionante, che si trovano lungo il sentiero che lo attraversa. L'arcata, a sesto ribassato, la cui luce misura ca. mt. 6,20 e la cui freccia ca. mt. 1,70, è impostata su due piedritti di altezza pari a ca. mt. 1,40, direttamente fondati sulla roccia. Gli archi di testa sono sottolineati su entrambi i fronti da un solo ordine di conci (vedi Nota di R. Ricci, in questo volume) appena sbozzati. La tessitura della muratura di rinfianco è realizzata a corsi sub-orizzontali e paralleli di materiale lapideo di forma irregolare. I parapetti, la cui altezza misura ca. mt. 0,60 e la cui larghezza è pari a mt. 0,39, terminano superiormente con lastre di materiale litico poste orizzontalmente e proseguono oltre la via portata definendo gli accessi al ponte. La carreggiata larga ca. mt. 2,00 è ricoperta dalla vegetazione cresciuta tra i giunti della pavimentazione, ma si riconosce ancora la posa di ciottoli conficcati per il lato più lungo. Bibliografia: inedito. Fig. 19 Ponticello in Località Molino (sul percorso dei Feudi Fliscani). Fronte verso valle (foto P. Cavaciocchi)

153 Scheda 8 Neirone, Provincia di Genova Ponte delle Ferriere in Località Roncodonico sul Torrente Serre, localizzato lungo la strada comunale pedonale Neirone-Bassi-Le Piane Il ponte delle Ferriere, situato a Nord di Neirone, prima dell'avvento della strada carrabile, rappresentava il collegamento più veloce con il versante Nord-Est della Valle del Torrente Siestri. L'arco a sesto ribassato, la cui luce misura ca. mt.10,80 e la cui freccia misura ca. mt. 3,48, è fondato su due piedritti la cui altezza è di ca. mt.3,80. Questi presentano tre mensole (lunghezza ca.mt.0,30, altezza ca.mt.0,12) a ca. mt. 2,40sx./2,90dx. da terra, dove, come abbiamo già visto in precedenza, venivano impostate le centine lignee a sbalzo per il getto dell'arcata. A differenza però degli altri ponti, tra il piano terminale dei piedritti e il piano d'imposta dell'arco c'è una cornice sporgente di ca.mt. 0,15 e alta ca. mt.0,08 che mette in risalto il punto d'intersezione. L'arcata è sottolineata da un solo ordine di conci le cui dimensioni medie sono ca. mt. 0,60 di lunghezza e ca. mt. 0,22 di larghezza, appena sbozzati e non lavorati ricoperti in parte dalla spatolatura dei giunti. La muratura superiore e di rinfianco è a corsi sub-orizzontali e paralleli alla pendenza della sezione longitudinale anch'essa a "schiena d'asino". Il materiale litico utilizzato di dimensioni decrescenti procedendo dal basso verso l'alto, è stato allettato con giunti di malta irregolari. Molte zeppe orizzontali di piccole dimensioni riempiono i vuoti lasciati dalla forma irregolare dei blocchi lapidei. Una particolarità costruttiva esplicativa della accuratezza con cui è stato realizzato il ponte è il profilo della sezione trasversale che è in pendenza, su entrambi i lati della carreggiata, verso il centro della stessa, per raccogliere l'acqua piovana al centro e portarla agli accessi, grazie anche alla sezione longitudinale a schiena d'asino. La carreggiata di larghezza pari a ca. mt. 2,14 è delimitata da parapetti di altezza pari a ca. mt. 0,80 e larghezza pari a ca. mt. 0,34 che terminano con una fila di blocchi di materiale lapideo posto in verticale. Le condizioni statiche del ponte, a causa di una frana che interessa la sponda orografica sinistra, sono precarie poiché una rotazione in atto ha portato fuori piombo la muratura di rinfianco verso valle. Bibliografia: inedito. Fig. 20 Ponte delle Ferriere in Località Roncodonico (sul percorso dei Feudi Fliscani). Fronte verso valle (foto P. Cavaciocchi)

154 Scheda 9 Neirone, Provincia di Genova Ponte in Località Roccatagliata sul Torrente Rissuello, localizzato lungo la strada comunale Neirone - Le Piane Il ponte, situato a Nord-Est di Neirone, attualmente è carrabile ma in passato era il punto di passaggio del sentiero per l'ascesa al paese di Roccatagliata. L'arcata a sesto ribassato è impostata su due piedritti e un solo ordine di conci (vedi Nota di R. Ricci, in questo volume) sottolinea i fronti a valle e a monte del ponte. La carreggiata attuale, la cui larghezza è di ca.mt. 3,00, ha stravolto completamente la geometria dell'estradosso ma in una foto pubblicata da F. Sena è visibile la via portata originale realizzata anch'essa a schiena d'asino come i ponti in Località Molino e Roncodonico. Il ponte, nonostante il passaggio di veicoli, dal punto di vista strutturale è in buone condizioni, soltanto la muratura a monte è stata intaccata dalla posa di tubi metallici. Bibliografia: F. SENA 1988, p. 15. Fig. 21 Ponte in Località Roccatagliata (sul percorso dei Feudi Fliscani). Fronte verso valle (foto P. Cavaciocchi)

155 Scheda 10 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località Roccatagliata sul Beo della Ciosa, localizzato lungo la strada comunale Neirone - Le Piane Il ponticello, localizzato a Nord-Est di Neirone, è stato sostituito per il passaggio carrabile dal Ponte Rosati costruito nel 1972 a monte dello stesso. L'arcata a sesto ribassato, la cui luce misura ca. mt. 8,00 e la cui freccia misura ca. mt. 1,92, è impostata su due piedritti la cui altezza è di ca. mt. 0,77 p. dx e di ca. mt. 0,25 p. sx., mentre la larghezza è di ca. mt. 2,60. Le arcate di testa, a un solo ordine di conci, risultano realizzate con materiale litico appena sbozzato posato con pochissima malta di allettamento. Alcuni conci (vedi Nota di R. Ricci, in questo volume), in prossimità delle chiavi di volta, hanno una forma a cuneo, mentre altri fuoriescono dal profilo superiore per ammorsarsi nella muratura. La muratura è realizzata con materiale lapideo a spacco e sfaldato, in alcuni casi appena sbozzato, posato a corsi suborizzontali e paralleli, in alcuni punti sdoppiati, con giunti di malta irregolari e molte zeppe orizzontali per riempire i vuoti lasciati dalla irregolarità dei blocchi lapidei. La carreggiata, la cui larghezza è di ca. mt. 2,60, ha perso completamente i parapetti e la pavimentazione è ricoperta da uno strato uniforme di vegetazione; nonostante questo le strutture verticali sono ancora integre. Bibliografia: inedito. Fig. 22 Ponticello in Località Roccatagliata. Fronte verso valle (foto P. Cavaciocchi)

156 Scheda 11 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località Isole sul Rio Luega, localizzato lungo la strada comunale pedonale Neirone - Bassi - Le Piane Il ponticello, posto a Nord-Est di Neirone, localizzato nella vallecola che si diparte sulla sinistra della Valle di Neirone è particolarmente significativo in quanto possiede dei caratteri costruttivi che abbiamo riscontrato solo nei ponti in Località Molino e in Località Roncodonico. L'arcata, a un solo ordine di conci, ha una luce di ca. mt. 3,00 e una freccia di ca. mt. 2,00. L'arco a sesto rialzato si imposta direttamente sulla roccia affiorante nell'alveo e poiché la distanza degli accessi da quest'ultimo è minima, la sezione longitudinale è stata realizzata a schiena d'asino. Questa scelta veniva compiuta quando gli accessi erano prossimi ad un'alveo con una portata d'acqua notevole. Quindi i costruttori, per fare in modo che una piena improvvisa potesse defluire liberamente, realizzarono un'arcata di freccia maggiore e, per raccordarla con gli accessi, costruirono una sezione a livellata inclinata. La tecnica muraria utilizzata è consistita nella posa di conci, la cui lunghezza è ca. mt. 0,34 e la cui larghezza ca. mt. 0,10/0,12, di forma regolare appena sbozzati con l'inserimento di conci a forma di cuneo per forzare e migliorare i contatti in chiave, alla sommità delle arcate di testa, mentre nei parapetti la muratura è stata realizzata con schegge tabulari di dimensioni ridotte posate per corsi sub-orizzontali. La malta di allettamento, usata in quantità inferiore, permette sia la leggibilità delle ghiere sia dell'intradosso in cui è possibile distinguere la posa del materiale lapideo per la realizzazione dell'arcata. La costruzione dei parapetti, di larghezza pari a ca. mt. 0,35, riprende la livellata inclinata della sezione e tecnicamente l'ultimo corso di coronamento del muretto è realizzato posando schegge di materiale lapideo in verticale ammorsate con la muratura inferiore, come si può osservare nel punto di massima altezza del parapetto verso valle, che misura ca. mt. 0,66. Proprio su quest'ultimo si può osservare la cura con cui è stata realizzata la parte terminale del muretto di coronamento. La carreggiata, le cui dimensioni sono di ca. mt. 2,00, è ancora in buono stato, mentre i parapetti sono in parte crollati compromettendo la muratura sottostante. Bibliografia: inedito. Fig. 23 Ponticello in Località Isole. Fronte verso monte (foto A. Botto)

157 Scheda 12 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località Bassi sul Torrente Siestri, localizzato lungo la strada comunale Neirone - Le Piane Il ponticello, localizzato a Nord-Est di Neirone su una stretta gola, è stato affiancato verso valle da un nuovo ponte carrabile, perdendo la sua funzione principale. L'arcata, a sesto ribassato, si imposta direttamente su due costoni di roccia a strapiombo sul torrente ed è sottolineata da un solo ordine di conci. Questi, di forma stretta e allungata, sembrano essere stati realizzati sfaldando materiale lapideo per piani paralleli. La tessitura muraria verticale è realizzata per corsi sub-orizzontali di materiale litico spaccato la cui posa sembra essere stata realizzata a secco o con terra. La vegetazione ha ricoperto completamente il manufatto, nascondendolo e procurando alla muratura seri danni strutturali. Molti arbusti insinuandosi tra i giunti hanno causato il crollo e lo spostamento di molti blocchi di materiale lapideo rendendolo più debole e permettendo il percolamento continuo di acqua dall'estradosso verso l'intradosso. Bibliografia: F. SENA 1988, p. 17. Fig. 24 Ponticello in Località Bassi. Fronte verso valle (foto A. Botto)

158 Scheda 13 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località Canivelli sul Beo delle Munaie, localizzato lungo la strada provinciale Neirone - Roccatagliata - Portello - Torriglia Il ponticello, localizzato a Nord-Est di Neirone, costituiva e costituisce un punto di passaggio della pedonale che sale verso Torriglia. La profondità del Beo è tale che il ponticello possiede due piedritti alti ca. mt. 1,80 su cui si imposta un'arcata a sesto ribassato, la cui luce misura ca. mt. 1,62 e la cui freccia è alta ca. mt. 0,33. I conci delle arcate hanno una lunghezza pari a ca. mt. 0,38 e una larghezza pari a ca. mt. 0,08/0,10: più che un'arcata la si potrebbe definire una piattabanda realizzata in materiale lapideo di forma regolare lungo e stretto. La muratura di rinfianco è costituita da corsi dello stesso materiale e delle stesse dimensioni dei conci, posati per corsi suborizzontali. La malta di allettamento è inesistente e la posa è avvenuta probabilmente a secco o con terra. La particolarità costruttiva più curiosa è la realizzazione dei parapetti con scheggioni di materiale lapideo posati in verticale di dimensioni differenti al di sopra della piattabanda. La carreggiata di larghezza pari a ca. mt. 1,60 si presenta delimitata lateralmente da queste schegge la cui larghezza è pari a ca. mt. 0,40. Il ponticello è in ottime condizioni e non presenta fenomeni di degrado. Bibliografia: inedito. Fig. 25 Ponticello in Località Canivelli. Fronte verso valle (foto A. Botto)

159 Scheda 14 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località Canivelli sul Beo del Pozzetto, localizzato lungo la strada provinciale Neirone - Roccatagliata - Portello - Torriglia Il ponticello situato in località Canivelli a Nord-Est di Neirone, poco più avanti del ponticello sul Beo delle Munaie, ha caratteristiche costruttive simili. L'arcata, le cui dimensioni sono pari a ca. mt. 1,62 di luce e mt. 0,80 di freccia, si imposta su due piedritti alti, verso valle, ca. mt. 1,50 fondati sulla roccia delle sponde. L'arco descritto è a tutto sesto e si imposta sui piedritti arretrandosi di ca. mt. 0,10 in modo da formare una risega per parte, probabilmente necessaria per la posa delle centine lignee a sbalzo. I conci utilizzati per la ghiera sono delle schegge lunghe ca. mt. 0,40 e larghe ca. mt. 0,05/0,07 di forma regolare, posate completamente a secco, come si può osservare all'intradosso dove la caduta di alcuni scheggioni nella parte centrale dell'arcata conferma la mancanza totale di malta di allettamento. La tecnica utilizzata per realizzare la muratura di rinfianco è di due tipi: la muratura dei piedritti è di corsi di materiale lapideo di altezza doppia rispetto ai conci della ghiera e posati sub-orizzontalmente con molte zeppe per mantenere l'orizzontalità, mentre la muratura che sostiene gli accessi è realizzata con lo stesso materiale ma posto in verticale, con solo un passaggio per lo scarico dell'acqua raccolta a monte della muratura. I parapetti sono completamente mancanti ad eccezione di uno scheggione sul fronte a monte, posato in verticale, che segna la carreggiata di dimensioni uguali al sentiero pedonale di arrivo e di partenza. Ai lati di quest'ultimo sono posti a distanze irregolari gli stessi scheggioni, usati forse per segnalare il sentiero. Bibliografia: inedito. Fig. 26 Ponticello in Località Canivelli. Fronte verso valle (foto A. Botto)

160 Scheda 15 Neirone, Provincia di Genova Ponticello in Località Feia sul Beo Onetti, localizzato lungo la strada comunale Corsiglia - Località Stinetti Il ponticello, localizzato a Nord-Est di Neirone sul versante che si affaccia sulla sponda orografica sinistra del Torrente Rissuello, scavalca un Beo molto profondo. I piedritti infatti si fondano su imponenti banchi di roccia che garantiscono una buona stabilità al ponte stesso. L'arcata, a un solo ordine di conci, ha una luce di ca. mt. 4,94 e una freccia di ca. mt. 1,82. Il suo arco a sesto ribassato si imposta sui piedritti formando una leggera risega su entrambi i lati per accogliere le centine lignee utilizzate per la sua costruzione. I conci di lunghezza pari a ca. mt. 0,43 e larghezza mt. 0,12/0,15 sono stati posati con terra, come la muratura di rinfianco in cui è stato utilizzato del materiale lapideo di dimensioni simili, cioè blocchi semplicemente sbozzati posati per corsi sub-orizzontali con molte zeppe tabulari per ripristinare il piano di posa. Anche in questo caso è stata utilizzata terra per l'allettamento dei corsi. Attualmente l'intradosso dell'arcata, sulla sponda orografica sinistra, ha ceduto al di sopra delle reni, spinto probabilmente dalla forza dell'acqua insinuatasi dall'estradosso, con conseguenti rischi per la stabilità del ponte. Bibliografia: inedito. Fig. 27 Ponticello in Località Feia. Fronte verso valle (foto A. Botto)

161 NOTA SUI MATERIALI DI ALCUNI PONTI IN PIETRA DELLA VALLE DI NEIRONE Roberto Ricci Sono stati sottoposti a studio archeometrico quattro ponti situati nel territorio comunale di Neirone (indicati nelle schede come 6, 7, 9, 10) per determinare la natura dei materiali litici e litoidi impiegati, nel quadro degli studi per risalire con maggiore precisione possibile all epoca di costruzione dei manufatti. Lo studio archeometrico dei manufatti ha comportato le seguenti operazioni: osservazione dei materiali litici impiegati per la costruzione dei paramenti e delle volte degli archi, prelievo di campioni della malta di allettamento degli stessi su cui eseguire analisi mineralogico-petrografiche e tessiturali al microscopio ottico per determinarne la composizione. Il ponte in Località Molino (scheda 6) presenta una volta dell arco, a sesto ribassato, piuttosto omogenea costituita da schiappe lavorate in argilloscisto o arenoscisto con spessore cm 13-17, lunghezza cm 82-84, larghezza cm I paramenti murari sono in conci degli stessi litotipi, ma più irregolari e talvolta ricavati da ciottoli. La malta prelevata tra gli elementi dell arco presenta un legante di calce bianca, un rapporto clasti/matrice medio ed un aggregato scarsamente classato, con sfericità bassa ed arrotondamento compreso tra l angoloso ed il subangoloso, costituito da argilloscisti, arenarie e quarzo. L aggregato evidenzia caratteristiche mineralogico-petrografiche e tessiturali tipiche di una sabbia dei torrenti locali. Il ponticello in Località Molino (scheda 7) presenta una volta dell arco, a sesto ribassato, piuttosto omogenea costituita da schiappe lavorate in argilloscisto con spessore cm 13-17, lunghezza cm 82-84, larghezza cm I paramenti murari sono in conci degli stessi litotipi, ma più irregolari e talvolta ricavati da ciottoli. La malta prelevata tra gli elementi dell arco presenta un legante di calce bianca, un rapporto clasti/matrice medio ed un aggregato scarsamente classato, con sfericità bassa ed arrotondamento compreso tra l angoloso ed il subangoloso, costituito da argilloscisti, arenarie e quarzo. Malta di allettamento (10X) della volta del ponticello in Località Roccatagliata (scheda 10)

162 L aggregato evidenzia caratteristiche mineralogicopetrografiche e tessiturali tipiche di una sabbia dei torrenti locali. Il ponte in Località Roccatagliata (scheda 9) presenta una volta dell arco, a sesto ribassato, molto omogenea costituita da schiappe lavorate in argilloscisto o arenoscisto con spessore cm 10-11, lunghezza cm 51-55, larghezza cm I paramenti murari sono in conci degli stessi litotipi, ma più irregolari. La malta prelevata tra gli elementi dell arco presenta un legante di calce bianca, un rapporto clasti/matrice medio ed un aggregato scarsamente classato, con sfericità bassa ed arrotondamento compreso tra l angoloso ed il subangoloso, costituito da argilloscisti, arenarie e quarzo. L aggregato evidenzia caratteristiche mineralogico-petrografiche e tessiturali tipiche di una sabbia dei torrenti locali. Il ponticello in Località Roccatagliata (scheda 10) presenta una volta dell arco, a sesto ribassato, piuttosto omogenea costituita da schiappe lavorate in argilloscisto o arenoscisto con spessore cm 10-12, lunghezza cm 53-74, larghezza cm I paramenti murari sono in conci degli stessi litotipi, ma più irregolari e talvolta ricavati da ciottoli. La malta prelevata tra gli elementi dell arco presenta un legante di calce bianca, un rapporto clasti/matrice medio ed un aggregato scarsamente classato, con sfericità bassa ed arrotondamento compreso tra l angoloso ed il subangoloso, costituito da argilloscisti, arenarie e quarzo. L aggregato evidenzia caratteristiche mineralogico-petrografiche e tessiturali tipiche di una sabbia dei torrenti locali. In base alla descrizione sopra riportata ed alle osservazioni dirette possibili, appare evidente una notevole omogeneità nella tecnica edilizia dei quattro ponti, a parte alcune piccole differenze, legate soprattutto alle vicende che ognuno dei ponti ha subito dopo la sua costruzione. In particolare le volte degli archi sono tutte costituite da schiappe lavorate di ottima qualità in pietra locale, unite con malta con legante di calce bianca ed aggregato di sabbia locale

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164 ANALISI PERCETTIVA DEL TERRITORIO COMUNALE DI NEIRONE Luciano Maggi CONTENUTI DELLE ELABORAZIONI INQUADRAMENTO TERRITORIALE: ASSI E POLI Il territorio dal punto di vista viario risulta racchiuso da un triangolo costituito dai principali assi stradali (Val di Trebbia, Val Fontanabuona, Passo della Scoglina); solo l asse della strada n. 225 di Val Fontanabuona interseca il territorio comunale direttamente nella estrema parte meridionale. Ne deriva, soprattutto per le aree settentrionali, un esclusione dalle direttrici principali. L attraversamento Nord- Sud è assicurato dall antico tracciato che collegava per la via più breve il piacentino al mare. A livello territoriale questo tracciato è sempre più in disuso dopo la realizzazione post-bellica della parallela direttrice del passo della Scoglina. Per quanto riguarda le polarità esse si concentrano sull asse della Val Fontanabuona (centri abitati di Cicagna, Moconesi e Gattorna), più rari sono i poli al di là della dorsale appenninica, che tuttavia costituiscono una attrazione per la parte nord del territorio comunale (centri abitati di Torriglia e Montebruno). INQUADRAMENTO TERRITORIALE: MORFOLOGIA Il territorio del Comune di Neirone risulta, ad una prima lettura, in generale omogeneo, caratterizzato da una morfologia corrugata ed aspra. I crinali principali che delimitano il territorio scendono dalla dorsale appenninica in senso perpendicolare rispetto all asse della Val Fontanabuona formando un compluvio principale che costituisce il bacino idrografico del torrente Neirone. La forma planimetrica caratteristica a cuneo del territorio comunale deriva dalla particolare tettonica della parte terminale dell Alta Val Fontanabuona. polo/centro principale strada comunale crinali principali asse di comunicazione (principale/secondario) fiumi e torrenti principali

165 MORFOLOGIA: FIUMI E CRINALI INSEDIAMENTI PERCORSI: STRADE E SENTIERI In questa fase è stato realizzato uno studio di dettaglio del territorio comunale: attraverso l individuazione del reticolo idrografico e dei crinali si sono evidenziati i principali versanti. Per quanto riguarda gli insediamenti si nota nella parte alta del territorio una modalità di insediamento di piccoli nuclei di crinale con valenza storicoambientale. Nella parte bassa, invece, la disposizione prevalente degli insediamenti è di mezzacosta. Una particolare cura è stata posta nell analizzare la struttura viaria nel territorio comunale che si presenta assai fitta ed articolata. Tale struttura è determinata dalla morfologia. Sono tuttora evidenti due matrici viarie: -quella storica, ormai in gran parte in disuso ed abbandonata, che dimostra lo sfruttamento intensivo di gran parte del territorio ai fini agricoli come, ad esempio, la coltivazione del bosco in epoca pre-industriale; -quella moderna costituita dalle attuali strade carrabili (principali e secondarie) che in parte si sovrappone alla matrice storica (vedere, ad esempio, l ex strada mulattiera, poi carrettiera ed oggi provinciale, di attraversamento nord-sud). In particolare si vuole richiamare l attenzione su quella parte della matrice storica costituita dai sentieri, sia quelli ancora aperti ed in uso, sia quelli ormai in disuso od in grave stato di abbandono, non più evidenti sulle carte tematiche regionali e di cui abbiamo ripreso il tracciato dalle planimetrie catastali. Questo come testimonianza storica, ma soprattutto, per suggerire una proposta di recupero e riuso ai fini del mantenimento idrogeologico e vegetazionale del territorio. crinali fiumi e torrenti nucleo di mezzacosta (principale/secondario) nucleo di crinale (principale/secondario) strada statale strada provinciale strada comunale principale strada comunale secondaria sentiero in uso sentiero in disuso

166 USO DEL SUOLO Le elaborazioni sono state eseguite attraverso la conoscenza diretta del territorio ed utilizzando la carta tecnica regionale e l ortofotocarta. Questo ha consentito una precisa puntualizzazione dell uso anche storico del territorio. In particolare sono state messe in evidenza le zone di bosco anticamente coltivate ed oggi in parziale disuso, nonché i prati solo in parte ancora utilizzati come pascoli. Per quanto riguarda la zona agricola notiamo che è, oggi, limitata intorno ai nuclei insediati in quanto in epoca industriale e nel periodo delle emigrazioni vi è stato un progressivo abbandono delle fasce coltivate ai margini dei boschi. Proprio in queste aree marginali di formazione relativamente moderna si sono rilevati i più gravi fenomeni di degrado sia vegetazionale che idrogeologico. Questo ha consentito di suggerire alla nuova pianificazione un recupero dell insediamento sparso ad uso agricolo più esteso e con particolare attenzione alle modalità di accesso in funzione del recupero delle antiche matrici di percorrenza. NEGATIVITA ALLA FRUIZIONE INSEDIATIVA I fattori di negatività considerati sono i seguenti: -esposizione dei versanti (nord, nord-est, nord-ovest) -uso del suolo (bosco fitto). A questi fattori si è sovrapposta la previsione del piano territoriale di coordinamento paesistico regionale (assetto insediativo) del regime normativo ANI- MA. Dalla somma di tutti questi dati si sono evidenziate le zone di alta e media negatività alla funzione insediativa. bosco fitto prati esposizione (N, N-E, N-O) bosco bosco coltivato ANI-MA (P.T.C.P.) alta negatività gerbido/roccia affiorante agricolo bosco fitto media negatività

167 AMBITI TERRITORIALI OMOGENEI Dalla verifica delle situazioni in atto è discesa l identificazione di ambiti con diversi caratteri di antropizzazione, proprie caratteristiche di organicità e specifiche potenzialità di sviluppo, come rappresentati nella cartografica seguente. Tale analisi è stata effettuata in occasione della redazione del Livello Puntuale del Piano Paesistico del Comune di Neirone (collaboratori: arch. Giulia Borzone, arch. Gianluca Solari). Le elaborazioni sono iniziate da una lettura geografica dell ambito territoriale cui il Comune di Neirone appartiene. La lettura è stata approfondita dal punto di vista storico nell analisi di alcuni elementi che hanno avuto e conservano maggiore influenza nelle trasformazioni subite dal territorio (accessibilità, classificazione dei percorsi, frammentazione del particellare catastale, uso del suolo). A livello insediativo lo studio ha portato a riconoscere all interno del territorio comunale zone territoriali omogenee sulle quali far valere diverse norme paesistiche. Area di interesse naturalistico forestale Nuclei insediati Area di collina terrazzata o non ad insediamento sparso Nuclei storici con particolari emergenze storiche da tutelare Area di collina terrazzata o non ad insediamenti diffusi Fascia di lungofiume

168 DESCRIZIONE DEGLI AMBITI OMOGENEI 1 - AREA DI INTERESSE NATURALISTICO E FORESTALE Sono zone prevalentemente boscate con presenza di gerbido e roccia affiorante soprattutto in corrispondenza delle aree cacuminali del sistema montuoso più importante; comprende anche zone di prateria e ridotti lembi di coltivo sui versanti. Queste aree, soprattutto verso e sui più importanti crinali spartiacque, sono dotate di una grande panoramicità. La vegetazione boschiva dell ambito è dominata dal bosco misto mesofilo. 2 - AREA DI COLLINA, TERRAZZATA E NON, AD INSEDIAMENTO SPARSO Questo ambito comprende la più vasta parte del territorio comunale storicamente insediato con residenze connesse alla conduzione dei fondi agricoli. Le schede analitiche allegate riferite agli insediamenti di GIASSINA, BUGNE, IL POGGIO, AIA DI ZANELLO, ISOLA, BRUGAGLI, CERESA, S. MARCO D URRI, BOSSOLA, CAZZANIGA, CERISOLA e BESCALUPO mettono in evidenza il loro carattere frammentato anche se in gran parte sono comunque collegati da assi stradali secondari. L ubicazione dell insediamento è, quindi, strettamente correlata alla matrice agricola del territorio, in posizione dominante rispetto ai campi coltivati. Si tratta quindi di insediamenti di crinale o mezzacosta, disposti talvolta con il fronte principale parallelo alla linea di massima pendenza e talvolta ortogonalmente ad essa. 3 - AREA DI COLLINA, TERRAZZATA E NON, AD INSEDIAMENTI DIFFUSI È costituita dalla fascia collinare del sistema agricolo in prossimità dei nuclei abitati storicamente caratterizzati da un coltura non solo di sussistenza. Gli insediamenti hanno un impianto generalmente edificato lungo una matrice di percorrenza in modo lineare o a nucleo. Eventuali impianti a carattere sparso sono dovuti ad una edificazione recente non sempre in linea con le potenzialità di sviluppo dell insediamento. I percorsi matrice di tali insediamenti sono tutti situati su importanti strade di comunicazione locale, quindi intorno ad essi si era storicamente sviluppato un commercio di prodotti agricoli. In tutti i nuclei insediati compresi nell ambito territoriale in questione permane tuttora leggibile una forte connotazione agricola. 4 - NUCLEI INSEDIATI Trattasi di impianti edificati prevalentemente su matrici di percorrenza secondo impianti lineari od a nucleo. Di tutti i nuclei è stata effettuata una lettura dell impianto edilizio ed urbanistico comprendente, oltre che lo studio tipologico degli edifici, le caratteristiche delle abitazioni e la valutazione del degrado del patrimonio edilizio, anche l analisi dello schema organizzativo dell insediamento (vedi esempio per il nucleo insediato di LEZZARUOLE). 5 NUCLEI STORICI CON PARTICOLARI EMERGENZE STORICHE DA TUTELARE Trattasi di nuclei insediati, generalmente di crinale, molto antichi che conservano le più importanti caratteristiche tipologiche originarie. Lo stato di conservazione dei manufatti è, comunque, generalmente carente. Di tutti i nuclei è stata effettuata una lettura dell impianto edilizio ed urbanistico comprendente, oltre che lo studio tipologico degli edifici, le caratteristiche delle abitazioni e la valutazione del degrado del patrimonio edilizio, anche l analisi dello schema organizzativo dell insediamento. 6 FASCIA DI LUNGOFIUME L estremo lembo sud del territorio comunale, prima della formazione dell asse stradale di fondovalle oggi assai trafficato, era maggiormente interagente con il fiume, anche se non ha mai avuto una valenza agricola per la forte acclività che vi si riscontra, ad eccezione di alcune zone a carattere prevalentemente golenale. Oggi la zona è gravemente compromessa, soprattutto nei caratteri naturalistici, da questo asse viario che però in parte rivaluta la zona per possibili impianti infrastrutturali. In particolare l area di Donega, già oggi, si presenta come un possibile polo sia nei confronti del territorio comunale di Neirone che dell Alta Val Fontanabuona

169 1 - Area di interesse naturalistico e forestale Estratto Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico, Regione Liguria (P.T.C.P.). Assetto insediativo del territorio comunale di Neirone: coni di ripresa fotografica. Foto 1.1 Foto 1.2a Foto 1.2b

170 1.1: Versante meridionale di Ognio 1.2a: Versante a Ponente del torrente Neirone 1.2b: Versante a Ponente del torrente Neirone 1.3: Piana di Corsiglia e retrostante versante a Ponente del torrente Neirone 1.4: Piana di Corsiglia e retrostanti versanti settentrionali (Giassina) 1.5: Versante a Levante del torrente d Urri 1.6: Versante settentrionale di Ognio 1.7: Versante a Levante del torrente Neirone Foto 1.3 zona ANI-MA P.T.C.P., Regione Liguria Area Non Insediata Regime Mantenimento Foto 1.4 Foto 1.5 Foto 1.6 Foto

171 2 - Area di collina, terrazzata e non, ad insediamento sparso 2A) LOCALITÀ IL POGGIO 2A.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: tegole in cemento tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro intonaco * pietra affrescate persiane avvolgibili * assenti edifici a 3 piani edifici di pregio da recuperare edifici a 2 piani edifici non di pregio ruderi 2A.2: Analisi tipologica 2A.3: Analisi stato manutentivo edifici 2B) LOCALITÀ BRUGAGLI 2B.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: tegole in cemento tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro *intonaco * pietra affrescate *persiane avvolgibili assenti edifici a 3 piani edifici di pregio da recuperare edifici a 2 piani 2B.2: Analisi tipologica 2B.3: Analisi stato manutentivo edifici

172 3 - Area di collina, terrazzata e non, ad insediamenti diffusi 3A) LOCALITÀ CARPENETO 3A.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: tegole in cemento tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro *intonaco pietra affrescate *persiane avvolgibili assenti edifici a 3 piani edifici di pregio da recuperare edifici di pregio recuperati edifici a 2 piani edifici non di pregio recuperati o nuovi edifici non di pregio, ruderi 3A.2: Analisi tipologica 3A.3: Analisi stato manutentivo edifici 3B) LOCALITÀ ROSASCO 3B.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: tegole in cemento tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro *intonaco pietra affrescate *persiane avvolgibili assenti edifici a 3 piani edifici di pregio da recuperare edifici di pregio recuperati edifici non di pregio recuperati o nuovi edifici non di pregio, ruderi 3B.2: Analisi tipologica 3B.3: Analisi stato manutentivo edifici

173 4 - Nuclei insediati 4A) LOCALITÀ CORSIGLIA 4A.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: tegole in cemento *tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro *intonaco pietra affrescate *persiane avvolgibili assenti edifici a 5 piani edifici a 4 piani edifici a 3 piani edifici a 2 piani edifici di pregio da recuperare edifici di pregio recuperati edifici non di pregio recuperati/nuovi edifici non di pregio, non recuperati 4A.2: Analisi tipologica 4B) LOCALITÀ NEIRONE edifici a 1 piano 4A.3: Analisi stato manutentivo edifici edifici non di pregio, ruderi 4B.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: tegole in cemento tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro *intonaco pietra affrescate *persiane avvolgibili assenti edifici a 4 piani edifici a 3 piani edifici a 2 piani edifici a 1 piano edifici di pregio da recuperare edifici di pregio recuperati edifici non di pregio recuperati o nuovi edifici non di pregio, ruderi 4B.2: Analisi tipologica 4B.3: Analisi stato manutentivo edifici

174 5 - Nuclei storici con particolari emergenze storiche da tutelare 5A) LOCALITÀ SIESTRI 5A.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: tegole in cemento tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro intonaco * pietra affrescate persiane avvolgibili * assenti edifici a 3 piani edifici di pregio da recuperare edifici a 2 piani 5A.2: Analisi tipologica 5A.3: Analisi stato manutentivo edifici 4B) LOCALITÀ SCIARRÈ 5B.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: tegole in cemento tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro intonaco * pietra affrescate *persiane avvolgibili assenti edifici a 3 piani edifici di pregio da recuperare edifici a 2 piani edifici non di pregio ruderi 5B.2: Analisi tipologica 5B.3: Analisi stato manutentivo edifici

175 5C) LOCALITÀ FORCOSSINO 5C.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: tegole in cemento tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro intonaco * pietra affrescate *persiane avvolgibili assenti edifici a 3 piani edifici di pregio da recuperare edifici di pregio recuperati edifici a 2 piani edifici non di pregio, ruderi 5C.2: Analisi tipologica 5C.3: Analisi stato manutentivo edifici 5D) LOCALITÀ ROCCATAGLIATA 5D.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: tegole in cemento tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro *intonaco pietra affrescate *persiane avvolgibili assenti edifici a 4 piani edifici a 3 piani edifici a 2 piani edifici a 1 piano edifici di pregio da recuperare edifici di pregio recuperati edifici non di pregio recuperati o nuovi edifici non di pregio, ruderi 5D.2: Analisi tipologica 5D.3: Analisi stato manutentivo edifici

176 6 - Fascia di lungofiume 6A) LOCALITÀ ACQUA DI OGNIO 6A.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: tegole in cemento tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro *intonaco pietra affrescate *persiane *avvolgibili assenti edifici a 6 piani edifici a 3 piani edifici a 2 piani edifici a 1 piano 6A.2: Analisi tipologica 6B) LOCALITÀ DONEGA 6B.1: Veduta fotografica FINITURE DEGLI EDIFICI (* prevalenza nel nucleo) TETTI: PROSPETTI: SERRAMENTI: *tegole in cemento tegole alla marsigliese lastre di eternit * elementi in pietra o ardesia altro *intonaco pietra affrescate *persiane *avvolgibili assenti edifici a 6 piani edifici a 4 piani edifici a 5 piani edifici a 3 piani edifici a 2 piano 6B.2: Analisi tipologica

177 7 - Analisi dello schema organizzativo dell'insediamento ESEMPIO: NUCLEO INSEDIATO DI LEZZARUOLE Veduta fotografica Veduta fotografica linea di crinale linea di compluvio percorrenze principali Schema organizzativo dell insediamento Stato di fatto esistente Prescrizioni per nuova edificazione impianto edificato lungo matrice di percorrenza assente presente in parte presente impianto edificato lungo matrice di percorrenza ammesso ammesso a condizioni non ammesso impianto edificato disposto a nucleo assente presente in parte presente impianto edificato disposto a nucleo ammesso ammesso a condizioni non ammesso impianto edificato a carattere sparso assente presente in parte presente impianto edificato a carattere sparso ammesso ammesso a condizioni non ammesso

178 NEIRONE FASI COSTRUTTIVE ED INTERVENTI DI RESTAURO DELLA CHIESA DI SAN MAURIZIO Cristina Sanguineti Fig. 1 Neirone, chiesa di San Maurizio: pianta, scala 1:200 (elaborazione grafica R. Eseguiti) Intitolazione degli altari: 1 - San Maurizio; 2 - SS. Crocifisso; 3 - N. S. di Lourdes (già dei SS. Bernardo, Gio Batta e Bonaventura; già di San Biagio); 4 - Sant Antonio da Padova; 5 - SS. Rosario. La data d origine ed il luogo della chiesa antica di Neirone, probabilmente poco più che una cappella, ci sono ignoti. Se il più remoto documento attualmente conservato espressamente riferito alla chiesa originaria, un inventario risalente al , è testimone di una certa, pur modesta, consistenza di beni mobili e quindi di un origine non recente della chiesa, conferma ci giunge anche da alcuni pagamenti per lavori all edificio stesso che per la loro natura artistico-ornamentale indicano l appartenenza ad una fase già avanzata della sua storia: interventi vari di una certa consistenza ed in particolare opere da stucadore e da scopelino registrate fra il 1612 ed il 1614, cui fanno seguito spese per nuovi arredi 2. Ulteriore conferma - e di una storia addirittura plurisecolare - ci giunge da un documento notarile ove viene citato il minister ecclesie S. Mauritii de Neirono in base al quale è attestata l esistenza sul territorio di un edificio di culto almeno a far data dal A seguito delle opere decorative e di finitura sopra menzionate, la chiesa doveva aver assunto una certa dignità anche architettonica quando, fra il 1646 ed il 1649, fu esonerata dalla sottomissione a quella di Uscio, investita del titolo di Arcipretura e costituita in Vicariato, con giurisdizione sulla circoscrizione territoriale corrispondente alle tre parrocchie di Ognio, 1 ACC, fasc. 82, Inventario dei Beni Mobili ed Immobili della Chiesa di San Maurizio di Neirone. 2 APSMN (FN), 1602 adì primo genaro. Libro della Santissima Vergine del Rosario, anni 1612, 1613, Le spese da stucadore e da scopelino ammontano, per il solo anno 1612, a circa 251 lire. 3 A. e M. REMONDINI, 1890, pp. 275 e 281. Il documento indicato dai Remondini è citato come appartenente agli atti del notaio Leonardo de Garibaldo, protocollo, pagina

179 Gattorna e Urri e, successivamente, di Roccatagliata che a sua volta fu costituita in Rettoria e succursale di Neirone 4. La tradizione storiografica già risalente al 1750, ribadita nella bibliografia di riferimento di epoca successiva, vuole che della investitura onorifica fosse promotore ed autore una personalità di eccellenza nel panorama sociale dell epoca, il cardinale Stefano Durazzo già arcivescovo di Genova 5. I Remondini fanno risalire proprio al momento di tale investitura di prestigio l emergere dell esigenza di dotare la comunità di Neirone di una nuova e più capiente chiesa. La circostanza causale, che si accompagna al fervore dei fedeli per l opera citato nei documenti che a tutt oggi si conservano 6, si intreccia probabilmente con un saldo delle nascite positivo o quantomeno attestato su valori consistenti, forse esso stesso all origine della decisione di conferire alla chiesa una intitolazione di preminenza. Nel 1656, quindi nello stretto giro di un lustro circa, nonostante la scarsità di mezzi della locale comunità che sempre si autodefiniva villa poverissima 7, si manifestò fattivamente la volontà di dare principio alla fabbrica della nuova chiesa parrocchiale di Neirone. È il primo arciprete, il sacerdote Paolo Gardella, a dare inizio al dovuto scambio di missive con l Arcidiocesi di Genova ai fini di ottenere tutte le autorizzazioni del caso. Assai indicativo della volontà di vedere l opera conclusa quanto prima è il fatto che nella corrispondenza intercorsa con l autorità ecclesiastica si richieda anche la necessaria dispensa in previsione, già dal principio, di travagliare li giorni festivi occorrendo il bisogno 8. La costruzione, per la quale si scelse un luogo immediatamente a valle dell abitato ed affacciato longitudinalmente verso il promontorio prospiciente, significò la soppressione dell antica chiesa. Quella della quale qui tenteremo di tracciare la storia, per quanto i documenti superstiti ce lo consentono, è quindi la chiesa di origine seicentesca che, pur successivamente trasformata per completamenti edilizi ed ornamentazioni, corrisponde all edificio attuale. Considerando che si optò per una costruzione ex novo in luogo affatto diverso, anche se non sappiamo quanto discosto da quello della chiesa primitiva, è presumibile che la chiesa originaria si trovasse in posizione tale da non consentire alcun ampliamento, operazione altrimenti certamente più agevole e meno dispendiosa. Non è pertanto da escludere che di tale chiesa o cappella primitiva permangano brani murari, forse celati entro qualche esempio di edilizia del borgo. Su consiglio del maestro ingegniere il 10 marzo 1659 dunque, essendo scarsi li siti, quale terreno ove fondare la nuova chiesa si decide di prendere un chioso di proprietà dell arciprete e si stabilisce che per questo il popolo darà tanto bosco castagnativo che renderà il frutto di ciò che occuparà la nuova chiesa, al fine di non dar danno in l avvenire all Arciprete. Lo spoglio dei documenti che riguardano direttamente la vicenda costruttiva o ne fanno soltanto cenno fa trasparire da un lato la realtà di un economia di sussistenza, basata in gran parte sugli introiti delle terre castagnative, e dall altro la volontà di una costruzione totalmente partecipata, tutta interna alla comunità, sia per impegno diretto di uomini e materiali che per onere di spesa. Ciò che emerge evidente, da parte dei superiori ecclesiastici, è la preoccupazione per il finanziamento dell opera. Per l assenso alla costruzione risulta certamente determinante quel havendo il Popolo promesso di comprare tanta (terra) per la valuta di essa 9, con cui si chiarisce che, almeno per l acquisizione del terreno trami- 4 A. e M. REMONDINI, 1890, p ACC, fasc. 82,, Visitatio Ecclesiae Vicariatis Sancti Mauritiis de Neirone, 1750, 5 luglio ; A. e M. REMONDINI, 1890, pp I Remondini tuttavia non citano quale fonte il documento relativo alla visita apostolica, bensì un documento indiretto, il testo dello storico della Liguria Sacra vol. 2 pag ACC, fasc. 82, 1659, 7 maggio. 7 Ivi, 1698, supplica di Angelo Gardella arciprete di San Maurizio di Neirone. 8 Ivi, 1659, 7 maggio, lettera dell arciprete Paolo Gardella. Cfr. nota Ivi, 1659, 18 aprile

180 te permuta, all amministrazione centrale della Diocesi non è richiesto contributo alcuno. La benedizione della prima pietra avviene nel maggio del 1659 per mano dell arciprete Paolo Gardella, ma i lavori sono in realtà già stati intrapresi il mese precedente con l impegno di nettare li fondi 10 e con l arrivo delle prime forniture di materiali 11, cui solo dopo fa seguito l ottemperanza all obbligo di far periziare la terra 12. Sappiamo che nella costruzione è coinvolto un mastro ingegniere, ma i documenti (mere citazioni, mentre nessun disegno ci risulta pervenuto) oltre a non riportarne il nome, nulla ci dicono circa l architettura della chiesa, il rapporto originario fra la sua forma e le sue dimensioni e come queste vengano giudicate proporzionate alla quantità di fedeli di allora. A meno forse di un qualche semplice schema progettuale di riferimento, tutto fa supporre dunque un farsi del disegno della fabbrica direttamente in opera, secondo un approccio che porta il fervore con il quale la popolazione mette mano all intervento 13 a concretizzarsi nella delimitazione e copertura di uno spazio ad aula unica, essenziale e, in principio, privo di campanile. Nonostante le intenzioni, i lavori si protraggono a lungo. Solo nel 1663 si mette mano alla facciata 14, mentre al 1672 risale la sistemazione dell area del coro 15. Ancora una volta di entrambe le opere si ha solo notizia e non è possibile identificare la natura e la consistenza degli interventi. Del resto, a dispetto dell impegno profuso, ancora a fine secolo la chiesa doveva apparire niente più che una semplice scatola muraria non conclusa ed al contempo risultava già interessata da fenomeni di degrado, priva com era di infissi alle bucature delle finestre e con la copertura che cominciava già ad accusare problemi di infiltrazioni d acqua 16. Nel 1698 l arciprete denuncia che il contributo volontario della popolazione non è sufficiente a pagare i materiali e, chiedendo ai superiori il permesso di vendere un pezzo di terra per finanziare la prosecuzione dei lavori, scrive di aver principiato a far fare il campanile sudetto et accomodar gli tetti con la contribuzione del proprio e qualche cosa preso da quelli medesimi popoli, ma per esser villa poverissima, resterebbe imposibillitato a terminar l opera sudetta. Di tenore e contenuto simili è la relazione che viene redatta nello stesso periodo dal reverendo rettore di San Lorenzo di Roccatagliata, incaricato dall Arcidiocesi di Genova 17 nella persona del vicario generale, di compiere un sopralluogo per verificare consistenza e necessità delle opere eseguite e da realizzarsi: detta chiesa sono molti anni che è stata fabbricata. Nell anno 1672 fu agiustato il suo coro. Il resto è ancora da stabilire. Ha molte finestre chiuse di tavole che pare una cabanna foresta. Il tetto è ancora godibile, ma fra pochi anni ha bisogno di rinovazione, per le chiappe in bona parte infracidite. Il campanile al presente resta instabilito la metà per scarsezza di dannaro, e la massaria per questo, si dice, resta in debito di somma rilevante. Con l autorizzazione all alienazione della porzione di terra 18 dobbiamo immaginare che entro la fine del Seicento od il primo scorcio del 10 Ibidem. 11 Ibidem: habbiamo condotto la prima calcina fatta, che arriverà a mine duecento, et mercordì prossimo si darà fuoco ad un altra cioè speriamo mediante l agiuto divino debba essere assai più. 12 ACC, fasc. 82, 1659, 29 aprile. Estimatori sono Bartolomeo Schiappacasse q. Pietro, Gio Antonio Caramella q. Lorenzo e Antonio De Cava, i quali valutano che possa rendere 3 l anno di frutto. Testimonianza del valore periziato viene resa al podestà e notaro di Roccatagliata, il magnifico Antonio Maria Micone. 13 Ivi, 1659, 7 maggio. Paolo Gardella arciprete chiede di poter benedire la prima pietra e licenza di travagliare li giorni festivi occorrendo il bisogno. Dice che inizierà il lunedì successivo havendo pronta tutta la masseria. 14 APSMN (FN), Libro delle castagne l anno Nell anno 1663 figurano diverse spese alli maestri da muro per imboccare la facciata della chiesa. Gli importi appaiono tuttavia modesti. 15 ACC, fasc. 82, 1698, supplica di Angelo Gardella arciprete di San Maurizio di Neirone. 16 Ibidem. L arciprete spiega che la chiesa esistente versa in uno stato tale, e particolarmente in tempo di pioggia, che è impossibile potervisi fermare li popoli ( ) perché senza campanile e li pioveva da tetti in ogni parte. 17 ACC, fasc. 82, 1698, 25 ottobre. 18 Ivi, 1698, 4 dicembre. Il Vicario Generale Giuseppe Abbas Guerra autorizza l alienazione del pezzo di terra purché la vendita avvenga a prezzo non minore di scudi trentadue a libris quatruor pro singulo. Dalla citata relazione del parroco di San Lorenzo si

181 Settecento la chiesa potesse vantare finalmente anche la presenza di un campanile, considerando che già nel decennio precedente, fra il 1685 ed il 1693, si erano anticipate somme per far fabbricare una campana 19. È quasi certamente alla fine lavori relativa al campanile e ad alcuni altri non meglio specificati interventi decorativi interni che si riferisce l epigrafe datata 1711 riportata dagli storiografi Remondini: Questa chiesa è stata fabbricata l anno MDCLVIII in tempo delli RR. Arcipreti Paolo Gardella ed Angelo Tommaso Gardella e ristorata in tempo del R. Paolo Gardella ognuno di questo loco. L.n. (loco natio) an La prima decade del Settecento vede quindi la sostanziale conclusione nella definizione dell architettura della chiesa. Interventi puntuali, anche di rilievo, vengono eseguiti nel 1730, in cui risulta la costruzione della cappella di Sant Antonio e Santa Lucia 21, e nel 1743, con la costruzione dell altare maggiore dedicato a San Maurizio e della relativa balaustrata 22, ma per tutto il resto del secolo nella storia edilizia della chiesa non è dato registrare alcuna innovazione degna di nota. In occasione della visita apostolica commissionata a Giovanni Bernardo Taccone, canonico della Metropolitana di San Lorenzo, da monsignor Giuseppe Saporiti, arcivescovo di Genova, il 5 luglio del la chiesa, che presenta lo stesso impianto attuale ad ampia navata unica, viene descritta come dotata internamente di pareti eleganti e di una cornice in gesso ornata di figure, cinque altari, tre porte, dieci finestre vetrate, delle quali si dice una suddivisa in tre si trova sopra la porta, di un decoroso coro ligneo con stalli e di un campanile di struttura elegante al quale si accede dall interno della chiesa tramite una porta posta in cornu evangeli, ossia sul lato sinistro dell aula per chi guarda verso l altar maggiore. La torre campanaria, il cui elevato corrisponde internamente a cinque piani in tavole lignee collegati da scale anch esse di legno, è dotata di quattro campane che, si tiene a sottolineare nel documento, non sono state comperate ma realizzate appositamente e risultano ben sostenute da una struttura di travi e tavole. Dopo il periodo di esercizio settecentesco, che nel 1770 vede già un primo intervento di ristorazione dedicato alla facciata del quale purtroppo manca documentazione sia descrittiva che grafica 24,con l Ottocento, di pari passo con l ampliamento della dotazione di arredi mobili, si dispiega la vera e propria storia dei restauri. I lavori più urgenti, di cui emerge la necessità intorno agli anni quaranta del secolo, riguardano il campanile minacciante rovina, il pavimento ammontichiato ed irregolare 25 e, soprattutto, il tetto cui si mette mano pressoché continuativamente fino a tutto il secolo successivo. Diversi sono i modi attraverso i quali la Fabbriceria organismo che risulta amministrare la chiesa sino al 1937, quando viene sop- apprende che la terra per cui si è suplicato è lontana dalla chiesa un miglio, è arborata di diversi alberi di castagne, ma pochi frutiferi e vecchi e folti d immondizia. Con loro respectivamente giuramento Antonio Guar.e q. Battista e Gio Batta pure Guar.e dicono essere il suo valore lire 120. Ho riconosciuto i libri ( ). Tra i beni della chiesa resto informato essere il minor danno che si possi dare alienandolo. La stessa terra, nella supplica dell arciprete di San Maurizio, era valutata di reddito di 4 in 5 l anno del quale ne ha il compratore per scuti 30 da APSMN (FN), 1602 adì primo genaro, 1685, 18 ottobre spesa della fattura della campana ; ibidem, 1693, 2 febbraio, spese per legna per la campana. Cfr. A. ACORDON, Neirone. Note sul patrimonio artistico, in questo volume. 20 A. e M. REMONDINI, 1890, p I Remondini riferiscono che la scritta si trova dipinta sul soffitto della chiesa, ai piedi dell affresco rappresentante il martirio di San Maurizio (per detto affresco cfr. A. ACORDON, Neirone. Note sul patrimonio, in questo volume) ed è riportata dal P. Paganetti, Supplemento, MS. vol. 1, pag ACC, fasc. 82, ove risulta la raccolta di fondi per finanziare la cappella. 22 A. e M. REMONDINI, 1890, p I Remondini riportano il testo della lapide marmorea posta dietro l altare maggiore: 1743, 10 giugno. In tempo de R.o Paolo Gardella Arc. Di detto loco e massari Benedetto Schiappacasse e B.o Pasturino. Cfr. A. ACOR- DON, Neirone. Note sul patrimonio, in questo volume. 23 ACC, fasc. 82, Visitatio Ecclesia 1750, 5 luglio. 24 A. e M. REMONDINI, 1890, p I Remondini testimoniano di una scritta a pennello nel cornicione della facciata del seguente contenuto: Restaurata an. Domini MDCCLXX archipresbitero Francisco M.a Cassinelli. 25 APSMN (FN), Libro contiene le Deliberazioni della Fabbriceria di S. Maurizio di Neirone incominciato l anno 1836, 1847, 3 ottobre

182 presso per decreto ministeriale e sostituito, per decreto vescovile, da un Consiglio Amministrativo parrocchiale 26 tenta a più riprese di recuperare i fondi necessari per far fronte agli interventi. Più volte si delibera di far perseguire i debitori della chiesa 27 e nel 1850 si impone una obbligazione di pagamento a tutti coloro che vorranno tenere una sedia all interno, pena lo sgombero nel giro di otto giorni 28. Ma a distanza di vent anni la Fabbriceria giudica che, sendosi introdotto l abuso in questa chiesa d accomodarvi quaranta o cinquanta sedie a disturbo ed impaccio dei concorrenti, per ciascuna di esse si dovranno corrispondere due lire annue 29. Nel 1882 il parroco Felice Cereghino scrive all arcivescovo di Genova in merito a dispendiosi lavori necessari per il restauro della chiesa e della canonica e, sostenendo che la popolazione non è abbastanza assuefatta a fare sacrifici straordinari per la chiesa, oltre a chiedere un sostegno finanziario diretto domanda il permesso di vendere oggetti vari - rotti e in oro, si dice - per un valore totale corrispondente a 120 lire. Del resto la parziale vendita di gioielli in oro donati alla chiesa era già stata messa in pratica nel 1879 per finanziare gli interventi connessi alla realizzazione dell organo, come si dirà in seguito. Questa stessa costosa nuova opera porterà anche alla proposta di nomina di cinque fabbriceri aggiunti in America affinchè procurino delle offerte 30.Il comitato dei parrocchiani residenti in America risulta da allora effettivamente attivo e nel 1894 si dice pronto a versare la somma di duecento lire per collocare la croce sul campanile, caduta sei anni prima 31. Nel 1904, con formula più moderna, risulta la delibera di fare un mutuo per la liquidazione dei debiti contratti in occasione dei lavori eseguiti per la celebrazione del sedicesimo centenario di San Maurizio 32.Nel 1906 per finanziare i lavori alla chiesa la formula adottata è quella di richiedere sussidi al Regio Economato de Benefizi vacanti 33. Il primo intervento ottocentesco di restauro del quale i parrocchiani sentono la necessità risale al 1837, quando la Fabbriceria delibera a pieni voti di chiamare muratori che imbianchissero tutta quanta la chiesa ed intervenissero sugli stucchi che si presentano nereggianti e sporchi dalla polvere 34. Nel corso della medesima seduta viene inoltre approvata una miglioria funzionale relativa all apertura di una nuova porta a sinistra dell altar maggiore per agevolare l entrata e l uscita dalla chiesa come pure levar di mezzo la soggezione ed il passaggio continuo dalla sagrestia. Non è certo tuttavia se i lavori di imbiancatura vengano effettivamente eseguiti, dal momento che ancora a distanza di circa vent anni, in occasione della visita dell arcivescovo, nel 1856, fra il novero delle opere necessarie a celebrare degnamente l evento si delibera nuovamente di imbiancare la chiesa 35.Un intervento certo in tal senso, risultando agli atti della Fabbriceria i puntuali pagamenti per forniture e manodopera, viene realizzato invece nel periodo Degna di nota a tal proposito la registrazione anche della minima spesa per due viaggi da Cicagna con litri cinque latte per mescolarlo colla calce per l imbiancatura della chiesa. Nella storia della chiesa occorre quindi evidenziare che l interno è sempre stato caratterizzato da pareti bianche. Il colore e la decorazione dei prospetti interni erano demandati, in occasioni particolari, alla collocazione di tessuti di pregio. 26 APSMN (FN), Delibere APSMN (FN), Libro contiene, 1847, 3 ottobre; ed ancora ivi, 1855, 9 aprile. 28 Ivi, 1850, 6 gennaio. 29 Ivi, 1870, 3 aprile. 30 Ivi, 1880, 11 ottobre. 31 Ivi, 1894, 1 luglio. 32 APSMN (FN), Delibere , 1904, 2 ottobre. 33 Ivi, 1906, prima domenica di gennaio. 34 APSMN (FN), Libro contiene, 1837, 16 maggio. 35 Ivi, 1856, 20 aprile. 36 APSMN (FN), Libro delle fondazioni e crediti della Fabbriceria di Neirone Anzi libro presentemente destinato per il reddito e spesa della Fabbriceria, anni

183 Fig. 2 Neirone, chiesa di San Maurizio: veduta dell interno verso l altare maggiore (foto R. Palmisani). Secondo queste stesse modalità di gusto, già nel 1838, al fine di rendere la chiesa più bella,era stato deciso di predisporre a tutte le finestre e alla porta maggiore una serie di tendine, complete di fiocchi realizzati con cordone di bambaccio attaccati alle trappe di ferro 37. Conferma di come tale costume fosse ancora in uso a fine secolo deriva dalla considerazione che quando, nel 1892, in occasione della delibera di apposizione lungo il perimetro interno della chiesa di uno zoccolo di marmo bardiglio dal momento che lo stabilimento in calce è ormai rovinato in ogni sua parte, il parroco propone di collocare sullo zoccolo stesso anche una striscia di ferro coi relativi attacchi a ganci per fermarvi il damasco 38. Ma un intervento decorativo di grandi proporzioni, che cambia radicalmente l immagine interna della chiesa, viene deciso di lì a pochi anni, nel 1895, contestualmente alla decisione di procedere alla costruzione degli scanni lignei del coro, realizzata per 935 lire, fornitura del materiale esclusa, da Gio Batta Gardella di Roccatagliata 39. L ornato da farsi alla chiesa interessa dapprima soltanto la grande volta intervento eseguito per mano e su disegni originali, non conservati, del pittore Gio Batta Ghigliotti, al prezzo di lire 1100, e dell ornatista Filippo Termi ma a lavori iniziati si delibera anche di intervenire sulle pareti e sugli altari e di decorare questi e le lesene a finto marmo. Infatti mentre risulta anche una spesa di 189 lire per indoratura di frontone e cornice 40 all ornatista Termi, per un onorario di 800 lire, viene commissionato non solo che orni tutto il volto della chiesa, escluso quello del coro già ultimato ma anche che tinga il cornicione a stucco, cantoria, cassa dell organo, altari e muri laterali, antiporte, le lesene però e gli altari a marmo 41. Anche in questo caso la fornitura di tutto il materiale (impalcature, biacca, olio, vernice e calce) è a carico della Fabbriceria. Il finto marmo dell ornatista Termi è destinato tuttavia a restare in opera per soli vent anni circa, dal momento che nel 1913 su proposta del parroco e dopo animata discussione dei fabbricieri si giunge alla determinazione di affidare allo stuccatore Antonio Meroni di Chiavari, per il prezzo di lire tre al metro quadrato, l incarico di lucidare a stucco tutte le lesene ed altre parti dei muri della chiesa 42.L intervento che così definito potrebbe sembrare di semplice manutenzione e restauro risulta invece di totale rifacimento, poiché si specifica che la Fabbriceria, oltre a preparare i ponti, la calce, l arena, dovrà scrostare le lesene. Nella stessa seduta, sempre su proposta del parroco e dopo 37 APSMN (FN), Libro contiene, 1838, 26 giugno. 38 Ivi, 1892, 2 ottobre. Lo zoccolo viene eseguito dal marmorario Giocondo Lucchesi, che fornisce anche un tavolo in marmo ; APSMN (FN), Libro delle fondazioni e crediti, anno 1893, trimestri terzo e quarto. 39 APSMN (FN), Delibere , 1895, 7 aprile. 40 APSMN (FN), Libro di cassa dal 1895 al 1974, 1895, primo semestre. 41 APSMN (FN), Delibere , 1895, 7 luglio. 42 Ivi, 1913, 5 gennaio

184 simile animata discussione, i fabbricieri deliberano inoltre di indorare tutta la chiesa eccezione fatta dei due altari del Santissimo Crocifisso e di Sant Antonio di Padova e di affidare il lavoro all indoratore Agostino Castagnino di Chiavari per la somma di cinquemilaseicento lire. Si specifica che l indoratura deve essere fatta a trateggi, di oro fino, a tutti gli stucchi, e nel soffitto del Sancta Sanctorum e del corpo della chiesa devono essere indorati tutti gli sfondi degli attuali ornati. L indoratore deve inoltre completare e riparare gli stucchi guasti. Nel 1845 si decide di provvedere al restauro del campanile prima che venga l autunnale stagione 43. Anche in questo caso tuttavia sembra che non si sia dato seguito alcuno al proposito, tanto che a distanza di cinque anni, nel 1850, l intervento, sia interno che esterno, viene giudicato più che mai urgente perché più oltre trascurando tal ristoro reca danno alla chiesa coi pezzi che spontaneamente cadono 44. Sulla base della perizia dei lavori da eseguire redatta dal capomastro Giuseppe Carbone viene allora immediatamente indetta un asta secondo il metodo del minor offerente. Risulta aggiudicatario il capomastro genovese Gio Batta Fassoni della parrocchia di San Vincenzo, che si offre di eseguire il lavoro per 2010 lire genovesi contro le 2295 preventivate e si impegna ad ultimarlo entro un anno a far data dal 5 agosto, giorno dell asta e della contestuale consegna del cantiere 45. Dal compenso, da erogarsi in tre rate (ad esecuzione di un terzo dell intervento, di due terzi e del collaudo), verranno dedotti tutti quei lavori o corpi che la popolazione potrà fare 46. Dal punto di vista esecutivo l intervento viene definito di ristaurazione e, oltre al dovuto impegno ad eseguirlo a regola d arte, si stabilisce che sarà perfettamente conservato l ordine attuale del campanile meno che si voglia diminuire qualche poco la membratura, ma che non possa sformare l ordine 47. I lavori, per i quali si asporta sabbia dal vicino fiume, differentemente da quanto previsto si protraggono dal 1851 al 1854 ed oltre e risultano concomitanti alla rifusione delle campane 48. In particolare, nel 1855, la Fabbriceria constata che il tratto di campanile che si eleva al di sopra del tetto della chiesa risulta scrostato e annerito e che porta umidità nella chiesa piovendosi dal capo a piedi e decide pertanto di reperire i fondi per far fronte alla ulteriore spesa 49. Nel 1884 la Fabbriceria delibera di rinnovare la croce nella camminata del campanile, rimovendo quella che vi è attualmente e che minaccia di cadere con grave pericolo dei passanti nella sottostante strada non solo ma con evidente pericolo che sia rovinata la copertura del campanile e della chiesa 50. Nonostante l urgenza non è chiaro se l intervento sia stato eseguito subito o, in caso affermativo, se si sia trattato di una semplice operazione di emergenza non risolutiva, dal momento che ingenti spese per ristoro alla palla del campanile e per fattura di croce pel campanile e cancello al battistero risultano effettuate dieci anni più tardi 51. Sappiamo inoltre che a metà Ottocento il campanile è già dotato da tempo di orologio, risultando un intervento di manutenzione pagato al fabbro ferraio di Gattorna 52. Lo stesso fabbro, con spesa rilevante, verrà nuovamente contattato pochi anni dopo per la aggiustatura dell orologio, ed in questo caso ne verrà effettuata anche la collaudazione da parte dell orologiaio di Uscio 53, finché nel 1865 si delibera che tro- 43 APSMN (FN), Libro contiene, 1845, 6 luglio. 44 Ivi, 1850, 7 luglio. 45 Ivi, 1850, 5 agosto. 46 Ibidem. 47 Ibidem. 48 APSMN (FN), Libro delle fondazioni e crediti, anni Per quanto interessa le campane cfr. A. ACORDON, Neirone. Note sul patrimonio, in questo volume. 49 APSMN (FN), Libro contiene, 1855, 9 aprile. 50 Ivi, 1884, 14 luglio. 51 APSMN (FN), Libro delle fondazioni e crediti, anni Ivi, anni Ivi, periodo finanziario da 1860, 31 marzo a 1861, 31 marzo

185 vandosi sul campanile un orologio vecchio, frusto ed irregolare per riclamo della popolazione necessiterebbe cambiarlo in nuovo cioè vendere per lire italiane cento il vecchio e comprare un nuovo per lire ugualmente italiane trecentosettantacinque 54. Nel corso dell Ottocento la finitura in lastre d ardesia del tetto della chiesa è oggetto dapprima di una serie di interventi puntuali di manutenzione, quindi di un progressivo rifacimento completo per parti: una falda, l altra, il coro. Per l intervento di manutenzione del 1848 interessante le coperture di chiesa e sacrestia 55 le ardesie necessarie, nella non rilevante quantità di due cannelle, vengono acquistate a Moconesi 56. Spese per il tetto della chiesa risultano ancora nel periodo ed in particolare nel Altro intervento urgente, ma ancora nell ordine della semplice manutenzione puntuale, viene deliberato nel 1855, con l acquisto di tre cassette di chiappe d ardesia per il tetto rovinato dalla pioggia 59. E di nuovo qualche mese più tardi, la riattazione del tetto della chiesa rientra fra le deliberazioni urgentissime da assumere 60. Determinante per una risoluzione radicale del problema risulta l annunciata visita dell arcivescovo in vista della quale si programma a breve scadenza una serie di interventi, fra i quali quello di coprire l altra metà del tetto della chiesa 61. Conseguentemente, fra l anno finanziario ed il successivo si registrano acquisti di chiappe di ardesia dal fornitore Michele Dondero ed altre da Pian de Preti, mentre notevoli quantitativi di calce allo stesso scopo vengono trasportati dai mulattieri Rosasco di Gattorna e Pescetto di Avegno e per conto del capo maestro muratore Giovanni Seredi si provvede ad acquistare da Angelo Gardella 26 lire di chiodi 62. A distanza di circa quindici anni, nel 1871, si decide infine di completare l intervento acquistando le ardesie per coprire in nuovo il tetto del coro della chiesa rovinato totalmente che spande acqua 63 e la fornitura proviene ancora dal chiappaiolo di Moconesi 64. Ma, nel corso dello stesso intervento, ci si rende conto che vanno deliberate altre spese poiché risulta già necessario coprire altra parte dei tetti della chiesa, della casa parrocchiale e quello sopra la Sacristia 65. Agli atti risultano allora le ingenti forniture di ardesie comprate da Salvatore Guarnieri e soci 66. Tuttavia, la necessità di interventi alle coperture è continua, tanto che di nuovo, nel 1888, viene deliberato di riparare la Chiesa dall acqua che vi penetra da diversi abbaini rotti tanto in facciata come nel tetto 67 e nel 1907 la Fabbriceria propone anzitutto una riparazione al tetto della chiesa sembra in questo caso anche strutturale che va in alcuni punti abbassandosi e caddero diversi abbaini 68. Correlata all intervento sulle coperture deliberato nel 1888, considerato il tipo di degrado riscontrato, è senz altro la decisione nell aprile di quello stesso anno di procedere al restauro della facciata. Considerato lo stato in cui versano i cornicioni, le imposte delle finestre, l im- 54 APSMN (FN), Libro contiene, 1865, 8 gennaio. 55 APSMN (FN), Libro contiene, 1848, 1 ottobre. 56 APSMN (FN), Rendiconto attivo e passivo della Fabbriceria di Neirone dall anno 1848, 2 aprile fino all anno 1839, 9 marzo, sta in Libro contiene, 1848, 19 novembre. 57 APSMN (FN), Libro delle fondazioni e crediti, periodo finanziario APSMN (FN), Libro contiene, 1852, 28 aprile; ivi, 1852, 7 luglio. 59 Ivi, 1855, 7 gennaio. 60 Ivi, 1855, 1 aprile; ivi, 1855, 9 aprile. 61 APSMN (FN), Libro contiene, 1856, 20 aprile. La visita dell arcivescovo avviene effettivamente fra il 1857 ed il 1858, come risulta in APSMN (FN), Libro delle fondazioni e crediti, anno finanziario 1857, 30 marzo, a 1858, 30 marzo, in cui si legge: Per il verbale della sacra visita pastorale con l autenticazione delle varie reliquie lire APSMN (FN), Libro delle fondazioni e crediti, anni e APSMN (FN), Libro contiene, 1871, 1 ottobre. 64 APSMN (FN), Libro delle fondazioni e crediti, anni APSMN (FN), Libro contiene, 1873, 6 luglio. 66 APSMN (FN), Libro delle fondazioni e crediti, anno APSMN (FN), Libro contiene, 1888, 1 gennaio. 68 APSMN (FN), Delibere , 1907, 1 a domenica di ottobre

186 pianto della croce, gli stucchi, la Fabbriceria è orientata ad un intervento di tipo radicale, valutando che la riparazione deliberata in gennaio sarebbe troppo poca in relazione alle spese di pontatura e dà quindi incarico al Sig. Cavagnaro Giuseppe della parrocchia di Verzi di redigere un vero e proprio progetto 69. La redazione di detto progetto per il quale i documenti segnalano anche l elaborazione di un disegno di ordine dorico coll ovolo nei capitelli, e ovolo e dentello nel cornicione, purtroppo non conservato fra gli atti impegna tre mesi circa e prevede una serie di importanti modifiche: alzamento della facciata di circa centimetri 80, lisene portate in ordine architettonico coi relativi cornicioni, alzamento di due cornicioni, assottigliamento delle due lisene nella parte superiore, due vasi sui lati del cornicione inferiore, ristoro generale, rinzaffatura tirata a stucco lustrato 70. La somma richiesta per eseguire il lavoro è di lire 1200 riducibili a 1050, ultima richiesta, si dice, e l inciso fa pensare ad una serrata trattativa sul prezzo e forse alla redazione di progetti alternativi. Lo sconto è giudicato effettuabile qualora la Fabbriceria, che approva a voti unanimi, provveda tutto il necessario materiale, cioè legnami, corda, marmo, stucco, etc.. In corso d opera, a seguito di una consistente donazione, si decide di sostituire le invetriate presenti forse quella suddivisa in tre esistente sopra la porta citata nel corso della visita apostolica dell arcivescovo del 1750 con altra rottonda 71 che viene provvista dal Signor Savio Pietro d Alessandria 72. Nel 1895 la Fabbriceria propone quindi di inserire due chiavi all interno della muratura della facciata per impedire le crepature che in essa si manifestano 73. Per quanto riguarda gli interni della chiesa, oltre ai già citati interventi di imbiancatura deliberati a partire dal 1837 e di successiva decorazione, nella prima metà dello stesso secolo si registra la perentoria ma non eseguita delibera del 1847 di arrichire d un pavimento cosidetto alla veneziana, come che di maggior durata, di bellezza non comune e di minor dispendio da eseguirsi prima della seconda domenica di luglio del 1848 in cui ricorrerà il centenario della donazione della reliquia di San Vittorio 74 posta nella cappella del Rosario. Nonostante le grandiose intenzioni, si passa in realtà alla ben più modesta decisione dello stesso luglio 1848, a meno di due settimane dai festeggiamenti, di ripiegare invece soltanto su alcuni ristori nei luoghi più guasti 75, finché nel 1855 viene proposto di realizzare un pavimento in marmo in luogo di un altro d ardesie (che) si consumerebbe ben presto 76. Per istruire le fasi operative dell intervento viene istituita una apposita commissione che dovrà anche produrre un disegno non conservato del pavimento in base al quale il Consiglio di Fabbriceria congiuntamente alla popolazione possa effettuare una scelta 77. Per la realizzazione della nuova opera viene giudicata necessaria la considerevole cifra di 1200 lire nuove, da pagarsi in sei rate in sei anni. L intervento è dunque particolarmente oneroso e ancora nel , a distanza in realtà di quasi dieci anni, risulta che i parrocchiani delle diverse comunità afferenti si siano tassati 78. Condotti dal marmoraio Benedetto Copello, i lavori si protraggono del resto più del previsto, fino a tutto il marzo 1866, quando per la collaudazione del pavimento viene chiamato maestro Leopoldo 79, persona di fiducia forse coincidente con quello stesso muratore Leopoldo 69 APSMN (FN), Libro contiene, 1888, 1 aprile. 70 Ivi, 1888, 1 luglio. 71 Ivi, 1888, 7 ottobre. 72 Ivi, 1890, 5 gennaio. 73 APSMN (FN), Delibere , 1895, 1 a domenica di ottobre. 74 APSMN (FN), Libro contiene, 1847, 3 ottobre. 75 Ivi, 1848, 2 luglio. 76 Ivi, 1855, 9 aprile. 77 Ibidem. 78 APSMN (FN), Libro delle fondazioni e crediti, anni Vengono riportati i nomi della Borgata Banchella; Borgate Borgo, Costa, Caroggio, Bagli e Rivalli; i quartieri Rosasco e Cerisola; le località Carpeneto, Castarina, Cerriate. 79 Ivi, spese 1865 a tutto marzo

187 Sartorio al quale pochi anni dopo vengono pagate sedici giornate impiegate nei ristori della chiesa e consumo di penelli e colori 80. Ulteriori spese per marmi vengono effettuate fra il 1861 ed il 1862, in cui per la consistente cifra di centoventicique lire si procede al pagamento del fabbricante in marmo per il scalino in marmo della porta maggiore della chiesa, vasca dell acqua benedetta, mensa ossia tavoletta in Sancta Sanctorum non compreso il piedistallo e per i marmi della costruzione del fonte battesimale 81. Fra i dati curiosi occorre segnalare che nel breve spazio di quindici anni, fra il 1855 ed il 1870, nella muratura perimetrale della chiesa viene aperta e chiusa una nuova porta, detta di Carpeneto probabilmente ad indicare il versante geografico di affaccio, quello sud, della parete muraria su cui si trovava 82. Quale spaccato di realtà sociale e di costume, risulta interessante a questo proposito leggere le motivazioni che inducono a deliberarne la chiusura: la porta viene giudicata di gran danno della chiesa pel consumo della cera, per essere di grande disturbo per i Reverendi Predicatori tanto quaresimalisti quanto ordinari pel motivo che la popolazione in occasione delle Sacre Funzioni suole appostarsi sulla porta medesima e formare d antemurale, come è d esperienza, perché il popolo più non possa accedere in chiesa, che infine il maggiore disturbo meno minore sarebbe quello che i male viventi in questi tempi di pocha religione, passeggiando per la piazza della chiesa di fronte al pulpito colla porta aperta sarebbe per tutto ciò di gravissimo danno. In sostituzione di detta porta si decide di aprirne una nuova nel Battistero vecchio sendovi già la imposta intenzione degl antenati di questa parrocchia. Nel 1876, a seguito di una donazione espressamente dedicata allo scopo, si inizia a ragionare sull ipotesi di far costrurre un organo pella Chiesa cui tanto ne abbisogna per eseguire a Gloria di Dio le Sacre Funzioni 83. Dal punto di vista edilizio l innovazione comporta la costruzione, in controfacciata, di una cantoria. A questo scopo tre anni più tardi si decide di vendere i gioielli, anelli, collane d oro offerti alla Madonna del Rosario per far costruire l orchestra e si fa abbattere il pino di competenza della mensa parrocchiale per usarne il legname 84 e, nel 1881, avutane la licenza dal Monsignor Vicario, si procede effettivamente alla vendita 85. Chiamati periti nell arte dei falegnami e intagliatori si decide che per l insieme verrà scelto un disegno ricco ed elegante 86 ed intanto si delibera la costruzione della scala che dal piano della chiesa mette sulla cantoria 87. Nel 1899 viene decisa la realizzazione di un nuovo altare intitolato alla Madonna di Lourdes, benedetto già nel dicembre dello stesso anno 88, e nel 1909, con il concorso finanziario dello stesso arciprete e della Fabbriceria, si procede alla costruzione dell altare della Madonna del Rosario 89. Nel 1901 si stanziano i fondi per mettere alle tre porte della chiesa delle liste di ferro per fortificarle e renderle sicure contro gli attentati dei ladri 90. Per quanto riguarda le vetrate della chiesa, oltre ad un intervento di manutenzione eseguito nel , nel 1913 e nel 1958 si registrano due innovazioni nell area del coro 92. Nel primo caso, contestuale al rifacimento degli stucchi lucidi interni e alla doratura degli ornati, la 80 Ivi, anni 1869, 1870, Ivi, anno finanziario 1861, 30 marzo, a 1862, 30 marzo. 82 Ivi, anno finanziario ; ivi, anno finanziario ; APSMN (FN), Libro contiene, 1870, 3 aprile. 83 Ivi, 1876, 2 gennaio. Cfr. A. ACORDON, Neirone. Note sul patrimonio, in questo volume. 84 APSMN (FN), Libro contiene, 1879, prima domenica di gennaio. 85 Ivi, 1881, 2 ottobre. Per la realizzazione della cantoria vengono inoltre utilizzate le 549 lire ricevute dagli eredi di Felice De Barbieri. 86 Ivi, 1882, 2 luglio. 87 Ivi, 1883, 1 aprile. 88 APSMN (FN), Delibere , 1899, 1 ottobre; ACC, fasc APSMN (FN), Libro di cassa dal 1895 al 1974, anno APSMN (FN), Delibere , 1901, 6 ottobre. 91 APSMN (FN), Libro contiene, 1848, 1 ottobre. 92 APSMN (FN), Delibere , 1913, 6 luglio; ivi, 1958, 16 gennaio

188 Fabbriceria accetta la proposta dell arciprete che si offre di fare la spesa necessaria sia di telaio di ferro sia di vetri incisi a colori per il cambiamento delle due finestre del coro cambiandone anche la forma, purchè la fabbriceria proveda per il colocamento a posto. Nel secondo caso, nella ricorrenza del centenario, si decide di far eseguire dal professor Raffaello Albertella delle vetrate artistiche per i due finestroni del coro. Dalla metà dell Ottocento si perviene inoltre ad una definizione degli spazi esterni di pertinenza della chiesa. Se i muri di cinta del piazzale risalgono al periodo , nel 1865 si delibera di intervenire sulle scale della piazza, decidendo di comprare alcuni scalini nuovi per ridurle in pristinum, nonché sugli stessi muri, che risultano da ristorare con ardesie e calce 93. Circa quindici anni dopo, nel 1881, la Fabbriceria delibera quindi l ampliamento degli spazi esterni di pertinenza, prevedendo la dilatazione dell attuale piazza della chiesa dal lato orientale cominciando dal portico della villa e andando verso la canonica fino al beudo e di là dirizzandosi verso sud al cimitero facendo la nuova strada in direzione della porta del cimitero e ristorando i sedili, scale e muricciuoli che resterebbero ancora al proprio posto 94. Nel 1904, in previsione di una solenne celebrazione del sedicesimo centenario di San Maurizio, si procede al riattamento della piazza 95, che vede, nel corso dell anno successivo, anche la realizzazione di due pilastrini in pietra ai lati della nuova scala dinanzi alla facciata della chiesa pensati a compimento di essa 96. I muri saranno poi ancora soggetti a riparazione circa sessanta anni dopo, nel 1914, mentre una seconda serie di opere di manutenzione verrà realizzata nel Fra gli interventi di rilievo effettuati alla chiesa nel corso del Novecento, oltre a quelli già citati relativi alle lesene interne ed alla doratura degli stucchi, va segnalata, nel 1928, l introduzione dell impianto di luce elettrica 97. Recentemente la chiesa ha visto un intervento manutentivo generale ai prospetti laterali, alle coperture ed al campanile, mentre attualmente è la facciata, dopo gli interventi del 1770 e quelli del 1888, ad essere interessata da un restauro, intervento ammesso al contributo finanziario del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. 93 APSMN (FN), Libro contiene, 1865, 1 ottobre. 94 Ivi, 1881, 16 gennaio. 95 APSMN (FN), Delibere , 1904, 3 gennaio. 96 Ivi, 1905, seconda domenica di luglio. 97 Ivi, 1928, 1 aprile

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190 NEIRONE NOTE SUL PATRIMONIO ARTISTICO Angela Acordon Fig.1 Anonimo lapicida del secolo XIV, lastra in ardesia raffigurante l Agnus Dei. Se si eccettua la lastra in ardesia recante un rilievo con l immagine dell Agnus Dei (fig. 1), murata nella parete esterna della casa canonica e assegnabile a un ignoto lapicida del XIV secolo, non resta altra testimonianza delle opere già appartenute all antica chiesa di San Maurizio di Neirone, sostituita dopo il 1658 dall edificio attuale 1. Le notizie di varie spese restituite dallo spoglio dell archivio parrocchiale relativamente all acquisto di un ambone 2, di un damasco per fare un paramento per l altare del Rosario 3,di legno di noce per costruire le panche 4,nonché l uscita di 9,7 lire per fare accomodare da Batta Bacigalupo l ostensorio vecchio 5 e di lire 32,2 per fattura della campana 6, non trovano alcuna rispondenza nelle opere ancora conservate in chiesa. Qualche dubbio potrebbe sorgere per l ancona della Concettione menzionata in una nota di spesa dell 11 novembre , ma la tela attualmente collocata sulla parete di fondo del coro, raffigurante per l appunto l Immacolata Concezione fra i Santi Lucia, Sebastiano, Maurizio e Pietro martire di Verona (fig. 2), quest ultimo riconoscibile per l abito domenicano e per il largo coltello conficcato in testa, è certa- 1 Cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive ed interventi di restauro della Chiesa di San Maurizio, in questo volume. 2 APSMN (FN), 1602 adì primo genaro. Libro della Santiss.a Vergine del Rosario, 1614, 23 gennaio. 3 Ivi, 1616, 29 marzo, 29 aprile. 4 APSMN (FN), Libro delle castagne l anno 1638, 1639, 29 dicembre. 5 Ivi, APSMN (FN), 1602 adì primo genaro, 1685, 18 ottobre. Il 2 febbraio 1693 è segnalata una spesa di 2 lire per legname delle campane. 7 L importo di lire 2 fa pensare che si sia trattato di un piccolo intervento, cfr. APSMN (FN), Libro delle castagne

191 Fig. 2 Anonimo pittore ligure della seconda metà del secolo XVII, Immacolata Concezione fra i Santi Lucia, Sebastiano, Maurizio e Pietro martire (particolare). mente opera più tarda, che, soprattutto nella magra stesura pittorica e nel movimento ondulato del panneggio, manifesta la recezione a livello popolare del linguaggio dei maestri genovesi della seconda metà del Seicento, in primis di Domenico Piola. Appartiene invece all inizio del XVII secolo la pala raffigurante la Madonna col Bambino fra i Santi Giorgio, Bernardo, Giovanni Battista e Bonaventura sullo sfondo di una città ineccepibilmente individuata come Genova dalla Lanterna 8 (fig. 3). Il fatto che nel piccolo e squisito brano paesistico non vi sia alcun cenno alla cinta muraria decretata dal Senato nel 1626 e condotta a termine nel 1633 fa pensare che il dipinto sia stato eseguito in un periodo precedente a meno che il suo autore non fosse disinteressato alla fedele riproduzione della realtà. Tuttavia, stilisticamente, l opera trova collocazione proprio nella cultura pittorica genovese di tendenza naturalistica, che ha il suo momento di più felice sviluppo pressappoco dall inizio del terzo alla fine del quarto decennio del XVII secolo. Il suo autore risente infatti dello stile di Giovanni Carlone, Giulio Benso, Domenico Fiasella, Giovanni Andrea De Ferrari e Luciano Borzone, artisti che svolsero un ruolo guida in quel particolare momento della pittura genovese seicentesca, ma la tela risulta di difficile attribuzione per il confluire in essa di elementi tipici del linguaggio di tutti i pittori sopracitati. Nella visita pastorale del 5 luglio 1750, il dipinto si trova sull altare di San Bernardo 9 e viene descritto come Icona representans dictum Sanctum et divos Jo Baptam, et Bonaventuram, omettendo la menzione di San Giorgio. Ai fini della datazione dell opera è interessante notare che, ad eccezione di Bonaventura, riconoscibile per l abito francescano ma stranamente effigiato con l aspersorio in mano 10, i personaggi presenti nella tela siano i santi protettori di Genova e che la Madonna, elevata a Regina della città nel 1637, non venga rappresentata con gli attributi della corona e dello scettro, con i quali gli artisti ricordavano nelle loro opere tale evento. Ciò induce a ipotizzare un esecuzione della tela certamente 8 Il dipinto, scomparso dalla chiesa dopo il 1977 in circostanze poco chiare e mai denunciate, è stato recentemente presentato a un asta veneziana della Semenzato (Importanti dipinti antichi. Semenzato Casa d Aste, 16 aprile 2000) e segnalato da chi scrive ai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale per il suo recupero. 9 ACC, fasc. 82. L altare di San Bernardo è stato tristemente sostituito dalla grotta della Madonna della Guardia nel 1899, cfr. più avanti nel testo e C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive..., in questo volume. 10 L aspersorio non appartiene infatti agli attributi di San Bonaventura, ma il fatto che il personaggio effigiato sia identificato con tale santo in un antica visita pastorale avvalora, in assenza di proposte più convincenti, tale ipotesi

192 Fig. 3 Anonimo pittore ligure della prima metà del XVII secolo, Madonna col Bambino fra i Santi Giorgio, Bernardo, Giovanni Battista e Bonaventura. prima del 1637, ma la sua datazione può essere ulteriomente precisata. La presenza di San Bernardo consente infatti di proporre un sicuro post quem per la realizzazione dell opera nel 1625, anno in cui il monaco venne assunto fra i santi patroni della città di Genova. L evento doveva celebrare la fine dell assedio dei Savoia, avvenuto alla vigilia della festa del santo, celebrata il 20 agosto. Se a questa considerazione aggiungiamo quanto già detto sull erezione delle mura, non pare troppo azzardato avanzare una datazione fra il 1625 e il 1627, momento in cui la costruzione della cinta difensiva subì un interruzione durata fino al 1629 e spostare eventualmente l ante quem non oltre il 1633, quando la grande opera fu conclusa. L analisi della visita pastorale di Mons. Saporiti 11 e dell inventario del 7 maggio delinea la prima metà del XVIII secolo come un momento di grande fervore innovativo particolarmente importante per la costituzione del Fig. 4 Francesco Campora, Gesù Bambino appare a Sant Antonio. patrimonio artistico della chiesa di San Maurizio. In tali documenti sono infatti citate le opere più significative, che rappresentano ancor oggi il vanto dell Arcipretura e la cui esecuzione può essere fatta risalire, anche per motivi stilistici, ai primi cinquant anni del Settecento. Grazie a una lapide 13 murata nella parete destra della prima cappella a sinistra, intitolata a Sant Antonio, è possibile riferire con precisione al 1719 l erezione dell altare marmoreo 14 e, con poco margine di errore, l esecuzione della tela (fig. 4) che lo adorna, entrambi voluti dal nobile Paolo Bastia. Sul basamento della colonna a destra è ben visibile la scritta CAMPORA seguita dal numero 17, prime due cifre dell ormai non più interamente leggibile data 15. Opera dunque giovanile di Francesco Campora 11 ACC, fasc APSMN (FN), 1602 adì primo genaro. 13 La lapide è stata trascritta da Angelo e Marcello Remondini (1890, p. 277). 14 Sulla costruzione della cappella, cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive..., in questo volume. 15 Il rinvenimento della pala, resa nota su mia segnalazione da Daniele Sanguineti (in Il Museo..., 2003, pp , scheda n. 19), spetta a Lauro Magnani, che assieme ad altri giovani storici dell arte curò nel 1977 la catalogazione ministeriale della chiesa su incarico dell allora Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Liguria (scheda OA n. 07/ )

193 Fig. 5 Felice Solaro?, Altare maggiore. (Genova ) raffigurante Gesù Bambino che appare a Sant Antonio, la tela, pur nel permanere di elementi e tratti tipologici desunti dal suo primo maestro Giuseppe Palmieri, rivela la successiva e più importante formazione dell artista nell alveo dell ordinato e composto procedere di Domenico Parodi, mettendo tuttavia già in luce, nel risentito e macchiato luminismo, la non trascurabile esperienza condotta a Napoli nell ambito della bottega di Francesco Solimena 16. Una lapide murata nella parte retrostante attesta che l altar maggiore (fig. 5) fu consacrato il 10 giugno 1743 al tempo dell Arciprete Paolo Gardella e dei Massari Benedetto Schiappacasse e Bernardo Pasturino 17. Realizzato in marmi vari e di forme eleganti e armoniose, ornato al centro del paliotto da un medaglione marmoreo recante l immagine del santo titolare Maurizio, l altare presenta caratteristiche alquanto simili a quelle di San Rocco di Ognio, opera documentata del marmoraro genovese Felice Solaro 18, probabile autore, poco dopo il 1750, anche dell altar maggiore di San Lorenzo di Roccatagliata 19, alla descrizione dei quali si rimanda per una più ampia trattazione di questa interessante personalità attiva almeno fra gli anni quaranta e gli anni novanta del XVIII secolo e informata delle soluzioni del più noto Francesco Schiaffino e della sua bottega. Attestato in chiesa almeno dal 29 marzo , il culto verso la Madonna del Rosario condusse 16 Su Francesco Campora, cfr. D. SANGUINETI 1997, II, pp e ID., in E. GAVAZZA, L. MAGNANI 2000, pp La lapide è stata trascritta da Angelo e Marcello Remondini (1890, p. 277). 18 Cfr. A. ACORDON, Ognio. Note sul patrimonio artistico, in questo volume. 19 Cfr. A. ACORDON, Roccatagliata. Note sul patrimonio artistico, in questo volume. 20 Ricordo che in questa data è registrata la spesa di lire 29,18 per l acquisto di un damasco per fare un paramento per l altare di Nostra Signora del Rosario, cfr. APSMN (FN), 1602 adì primo genaro

194 alla commissione della splendida statua lignea (fig. 6), menzionata per la prima volta nella visita pastorale del 7 luglio e fortunatamente ancora conservata nella nicchia dell omonimo altare. Caratterizzata da un eleganza leziosa e da un interpretazione timida e discreta dei sentimenti, l opera ci è pervenuta miracolosamente illesa da precedenti interventi di restauro, fatto che consente un pieno e incondizionato apprezzamento della sua squisita fattura stilistica 22. L evidente dipendenza dai modi di Anton Maria Maragliano e i puntuali confronti possibili con altre opere del medesimo autore invitano ad attribuire la statua all ancor poco noto Giovanni Maragliano ( ), nipote del famoso scultore e fortunato erede della sua bottega. Esecutore talvolta in sua vece di opere commissionate allo zio, Giovanni ne seguì le orme utilizzandone spesso i modelli, ma il suo stile si distingue per una grazia delicata e raffinatissima, che conferisce alle sue opere un impronta assolutamente personale e unica nel panorama della scultura lignea ligure della metà del XVIII secolo. Il raffronto con la Madonna Immacolata dell Oratorio di Santa Maria della Foce di Cassana e con quella della chiesa di San Martino a Velva, opera estrema di Giovanni terminata infatti dai suoi collaboratori tra 1777 e , palesa stringenti affinità nella trattazione dei mossi panneggi, nelle mani dalle dita affilate e allungatissime, nei volti conclusi da un mento terminante con un piccolo rigonfiamento e animati da occhi minuti e appena dischiusi. La statua è circondata dai canonici quindici Misteri del Rosario, pagati 150 lire nel al signor Antola 24, forse da identificare col non altrimenti noto pittore Antolo, che nel 1859 eseguì un gonfalone per la chiesa di San Fig. 6 Giovanni Maragliano, Madonna del Rosario. Marco d Urri 25, ma il confronto stilistico è reso impossibile dalla perdita della suddetta opera. Sotto la nuova serie di Misteri permangono in larga parte le scenette originali, dipinte ad affresco da un ignoto pittore di estrazione popolare in un momento certamente coevo all esecuzione della statua. L 11 novembre 1751, quando ne venne redatto l inventario, la parrocchia di San Maurizio si era dunque dotata delle sue opere più prestigiose rispondendo con fervore a un esigenza di rinnovamento, inquadrabile nella prima metà del 21 ACC, fasc Un intervento sull opera, tuttavia molto discreto e rispettoso, avvenne nel ad opera di Giovanni Battista Ghigliotti, cfr. APSMN (FN), Libro senza titolo (Libro di cassa dal 1880 al 1918, di seguito citato come Libro di cassa dal 1880). Il pittore, che doveva avere specifiche attitudini in merito, come dimostra l intervento su una statua lignea della chiesa di Santa Maria delle Nasche in Valle Sturla (cfr. M. A. CAMPANELLA 1980, pp ) sarà poco dopo chiamato a eseguire anche il restauro di una tela non specificata, cfr. Libro di cassa dal 1895 al 1974, Fortemente aggredita dall umidità e da insetti xilofagi la Madonna del Rosario è stata inclusa nel programma ministeriale di restauro per l anno 2003 (Perizia n. 11/2003; laboratorio di restauro EsseDi, Pietrasanta). 23 Su queste opere, cfr. D. SANGUINETI (1998 c, pp ), primo studioso a tentare una ricostruzione del percorso di Giovanni Maragliano. 24 APSMN (FN), Libro dei conti della Fabbriceria di Neirone Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio artistico, in questo volume

195 Fig. 7 Anonimo scultore genovese della prima metà del XVIII secolo, Cristo crocifisso. Settecento, alla quale non è attualmente possibile dare spiegazione. Oltre alle opere fin qui analizzate, il documento segnala infatti l esistenza di una notevole copia di paramenti e suppellettili liturgiche, di una statuetta in legno raffigurante San Marcellino, di tre quadri ovali rappresentanti rispettivamente Santa Caterina da Genova, San Luigi Gonzaga e San Giovanni Nepomuceno, di vari baldacchini per le processioni e di un sopracielo per l altar maggiore, tutte opere non pervenuteci 26. Si è invece probabilmente conservato il crocifisso all altar maggiore (fig. 7), ma non la sua croce, sostituita in uno dei vari restauri ai quali l oggetto fu sottoposto nel corso del tempo e il più importante dei quali sembra essere stato quello, effettuato nel , che interessò anche la scultura 27. La patina moderna conferita al Crocifisso dalla ridipintura e da una parziale rigessatura impedisce l analisi di quanto resta del sottostante originale, ma la struttura morfologica e l accuratezza nella resa dei particolari, soprattutto del sottile profilo e dei capelli attentamente indagati, sostanziano l ipotesi cronologica di una realizzazione dell opera nei primi decenni del XVIII secolo. Di fattura alquanto recente è invece il Crocifisso in gesso policromo ubicato sull omonimo altare, il terzo sulla destra, che non può essere pertanto identificato con quello citato nella medesima collocazione negli inventari del 1751 e del 20 novembre Fra le opere di suppellettile ecclesiastica elencate nell inventario del si ritrovano un turribile e navetta d ottone, ossia un turibolo con la sua navicella, entrambi non più citati nell inventario del 1768, che peraltro menziona fra i beni della chiesa un terribile d argento fino con sua navicella e cucchiaio ed aspersorio 30. La decisione di sostituire il vecchio turibolo e la vecchia navicella in ottone con i due oggetti realizzati nel più pregiato argento, per di più definito fino, ricade dunque nelle intenzioni di svecchiamento e impreziosimento del proprio patrimonio manifestate dalla Fabbriceria nella prima metà del XVIII secolo. La presenza del marchio Torretta, inequivocabile attestazione dell esecuzione da parte di un argentiere genovese, nonché per così dire garanzia di qualità, seguito dalla data 1762, non lascia dubbi sul riferimento della navicella (fig. 8) e del turibolo (fig. 9) al dato inventariale del Realizzati con una notevole perizia tecnica, riscontrabile nella finezza del modellato, nella tipologia e nell elegante decorazione, costituita, secondo il gusto settecentesco, dal morbido accartocciarsi di viluppi fogliacei, la navicella e il turibolo si inseriscono a pieno titolo nella più alta produzione genovese di 26 APSMN (FN), 1602 adì primo genaro APSMN (FN), Libro dei conti.l intervento del venne a costare 25 lire. La deliberazione di sostituire la croce risale al 12 giugno 1837 (cfr. Libro contiene le Deliberazioni della Fabbriceria di S. Maurizio di Neirone incominciato l anno 1836), ma l operazione ebbe corso solo il 21 maggio 1848, quando il falegname Luigi Schiappacasse di Francesco venne pagato 60 lire comprensive tuttavia anche di altri lavori, cfr. Rendiconto Attivo, e Passivo della Fabbriceria di Neirone dall anno 1848, 2 aprile fino all anno 1839, 9 marzo. 28 APSMN (FN), 1602 adì primo genaro. 29 Ibidem. 30 Ibidem

196 Fig. 8 Anonimo argentiere genovese, navicella, Torretta Fig. 9 Anonimo argentiere genovese, turibolo, Torretta suppellettile ecclesiastica 31. Nel corso del XIX secolo la Fabbriceria concentra la sua attenzione soprattutto sull edificio 32 non tralasciando tuttavia alcuni acquisti importanti, come l apparato dell altar maggiore, realizzato fra il 1836 e il e solo in minima parte conservato. Si incomincia inoltre a prendere in considerazione l opportunità di far rifondere le tre campane rotte stanti sul campanile 34, la cui realizzazione avverrà tuttavia più avanti. Dall analisi del Libro dei Conti risulta infatti che le campane vennero fuse sul posto fra il 1851 e il 1854 come si evince dalle spese per la fattura del forno e dal trasporto del maschio per la formazione degli strumenti da Recco a Neirone. La questione non si chiude lì e nella riunione della Fabbriceria del 28 settembre viene esposta dettagliatamente la lunga vicenda della rifusione delle tre campane rotte da parte dei signori ora fu Gio Batta e Giuseppe fratelli Picasso fonditori di Avegno, che si erano impegnati a rifonderle gratuitamente qualora non fossero state eseguite a regola d arte. Essendosi la circostanza presentata, i Fabbricieri non saldarono a Giuseppe Picasso il conto delle campane perché non concertano e non sono regolari essendo disuguale la campana maggiore nello spessore di un police, e più; che offritosi il Fondatore rifonderle quando lo voglia la popolazione e che essendosi accettata l offerta dalla Fabbricieria si deliberò verbalmente dal Consiglio suddetto di rifonderle unitamente alla quarta per assicurarsi di un più regolare concerto, mediante però la corresponsione al Fondatore di lire nuove ottanta 31 Al fine di impedirne l illecita sottrazione, la navicella e il turibolo, come gli altri oggetti di suppellettile ecclesiastica, sono stati trasferiti in un luogo più sicuro. 32 Cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive..., in questo volume. 33 APSMN (FN), Libro contiene..., 1836, 31 luglio e 1838, 6 maggio. 34 Ivi, 1845, 6 luglio. 35 APSMN (FN), Libro contiene

197 per la rifondita di una quarta campana, che non era stato obbligato 36. Il concerto attuale, intonato in mi bemolle, è composto da quattro campane di epoca diversa. La terza, la più antica e in sol, risulta essere una fusione di Francesco Picasso F. del ; la seconda e la quarta, in fa e in la bemolle, sono opera di un altro Francesco Picasso e recano la data 1893; la campana maggiore, in mi bemolle e ultima per realizzazione, risale al 1917 ed è nuovamente firmata da Francesco Picasso di Recco, mentre alla stessa data i documenti d archivio riportano pagamenti a Enrico Picasso 38. Fra gli altri lavori eseguiti nel corso del XIX secolo è opportuno segnalare l acquisto dei perduti paliotti dell altar maggiore e di San Vittorio, la più importante reliquia dal 1748 conservata in chiesa, realizzati per la parte lignea dall indoratore Parodi e per il decoro tessile dal ricamatore Francesco Podestà 39. Alla data 1877 il Libro dei conti segnala invece una spesa di 41,40 lire per il pulpito, credo da riconoscere in quello ancora presente in chiesa, e di 1,76 lire per il ritiro del Gonfalone da Genova, quasi certamente da identificare con quello raffigurante da un lato San Maurizio e dall altro la Madonna del Rosario e San Domenico, eseguito a olio su tela dal pittore Giovanni Battista Panario, già attivo assieme al padre Santo per la chiesa di Ognio 40. A giudicare dalla quietanza conservata nell archivio parrocchiale di San Maurizio lo stendardo fu donato alla chiesa da Teresa Gardella, che il 16 maggio 1877 consegnò all artista 120 franchi 41. A Giovanni Battista Panario, celebrato come il padre per l icastica purezza delle sue opere di tematica sacra e con sfondo votivo, come quadretti da devozione o appunto stendardi, si rivolge poco dopo anche la Confraternita del Santissimo Rosario per l esecuzione di un gonfalone a due facce rappresentante sul recto la Madonna del Rosario e sul verso un memento mori simboleggiato da uno scheletro, che incede in un cimitero con una falce. Per l opera, perduta e il cui acquisto fu deliberato il 20 gennaio , Panario ricevette un acconto di 20 franchi, come risulta da una ricevuta del 1 febbraio e ulteriori 60 lire a saldo 44. Inizia nel la lunga questione relativa all organo e alla cantoria. Il 4 gennaio di quell anno si offre occasione di comprare uno strumento di 14 registri in buonissimo stato,la popolazione spinge a fare un buon contratto e la Fabbriceria accetta che alcuni vadano a vederlo e, se è in buone condizioni, lo comprino. L affare non dovette concludersi se il 2 gennaio il signor Andrea Carlo Dondero promette un dono pecuniario alla Fabbriceria obbligandola però a far costruire l organo entro due anni. Anche quest occasione non sembra esser stata colta se nel 1879 si decide di vendere i gioielli e gli ori offerti alla Madonna del Rosario per far costruire l orchestra e di far abbattere il pino parrocchiale per usarne il legname 47 e l 11 ottobre del 1880 la Fabbriceria propone la nomina di cinque Fabbricieri fra gli emigrati in America al fine di procurare offerte per fare l organo e per vari lavori d ornamento 36 Ibidem. 37 La sigla F. distingueva due campanari omonimi. Ringrazio Giorgio Costa per la comunicazione e per i dati sulle campane attuali. 38 APSMN (FN), Libro dei conti, 1917, 2-3 trimestre; 1918, 2-3 trimestre, cfr. APSMN (FN), Bilanci consuntivi della Fabbriceria di S. Maurizio di Neirone dall anno 1913, 1918, 2 semestre. I documenti dell archivio riportano parecchie altre volte notizie su fusioni di campane non corrispondenti a quelle attuali, ma non ritengo utile riferirle in questa sede. 39 APSMN (FN), Libro dei conti, ; Nel Parodi esegue anche due candelieri per 26,5 lire. 40 Cfr. A. ACORDON, Ognio. Note sul patrimonio, in questo volume. Scomparso dalla chiesa dopo il 1977, lo stendardo è stato recuperato, su mia segnalazione, dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale della Liguria. 41 Genova, li 16 maggio Io sottoscritto ricevo dalla Sig.ra Teresa Gardella la somma di franchi centoventi in pagamento d avere eseguito un stendardo a due visi rap.nte da una parte Nostra Signora del SS. Rosario con San Domenico e da l altra parte S. Maurizio dipinto all olio sulla tela che in fede dico 120 franchi. Gio Batta Panario. Cfr. APSMN (FN), foglio sparso. 42 APSMN (FN), Libro confraternita del Rosario dal settembre - fino al APSMN (FN), foglio sparso conservato nel Libro confraternita. 44 APSMN (FN), Libro di cassa dal APSMN (FN), Libro contiene, 4 gennaio. 46 Ibidem. 47 Ibidem

198 della chiesa 48. Il 2 ottobre dell anno successivo, il parroco e Angelo Olcese vengono incaricati di vendere l oro rotto e di comperare il legno per la costruzione dell orchestra 49, mentre il 2 luglio del 1882 vengono deliberate le spese per l incassamento dell organo e della cantoria, opera per la cui realizzazione si chiamano a confronto periti nell arte dei falegnami e degli intagliatori. La gara dovrà svolgersi rapidamente ed entro Novembre i lavori dovranno essere ultimati per poter subito dopo procedere alla costruzione dell organo 50. Il risultato della contesa premia un certo Angelo Scamuzzi, che riceve i primi pagamenti per la costruzione dell orchestra nel e il cui conto viene saldato nel Contemporaneamente inizia la contrattazione con l organaro Felice Paoli, invitato a recarsi a Neirone per stabilire le condizioni del lavoro 53. Il 7 gennaio 1883 Felice Paoli riceve 1000 lire come prima rata per la costruzione dell organo 54, ma il successivo primo luglio l Arciprete viene autorizzato dalla Fabbriceria a procedere, prima amichevolmente e poi per via legale, contro di lui onde compellerlo ad eseguire l organo secondo il contratto firmato nel Novembre La controversia dovette essere temporaneamente sanata in quanto il Libro dei conti riporta uscite relative al pagamento dell organaro 56 e alla registrazione del contratto a Rapallo 57, ma il 27 aprile 1884 si decide di adire le vie legali contro Felice Paoli per costringerlo a terminare i lavori 58 e il 5 luglio del 1885, constatato il fallimento delle vie amichevoli con i fratelli Felice ed Emilio Paoli, se ne delibera la convocazione dinanzi al pretore di Cicagna per obbligarli a prestar fede al proprio impegno o rescindere il contratto 59. Felice Paoli viene così diffidato dal proseguire il lavoro di costruzione dell organo 60, per la cui ultimazione viene incaricato suo zio Lorenzo 61. Per ironia della sorte, lo strumento che provocò tanti problemi alla Fabbriceria non esiste più, essendo stato ricostruito nel dalla Ditta Parodi-Marin di Genova Bolzaneto 62. L intensa attività della fine del XIX secolo è attestata da altre commissioni e abbellimenti della chiesa. A seguito di una donazione a ciò finalizzata, nel 1888 si decide di sostituire la vetrata della facciata 63. Eseguita da Pietro Savio di Alessandria sulla base di un contratto approvato il 6 gennaio , la vetrata, pagata all artista nel , si collega ai lavori della facciata 66 e alla costruzione della grotta e dell al- 48 Ibidem. 49 Ibidem. 50. Ibidem. Per la costruzione della cantoria e l incassamento dell organo si delibera di usare 549 lire italiane avute dagli eredi del defunto Felice De Barbieri. 51 In questo anno Scamuzzi riceve 550 lire in più rate, cfr. APSMN (FN), Libro contiene. 52 APSMN (FN), Libro dei conti, , 2-3 trimestre. 53 APSMN (FN), Libro contiene..., 1882, 30 ottobre. 54 Ivi. L acconto versato a Paoli risulta anche dal Libro dei conti, , 4 trimestre. 55 APSMN (FN), Libro contiene, 1883, 1 luglio. 56 L organaro, del quale non è specificato il nome, riceve altre 560 lire di acconto, cfr. APSMN (FN), Libro dei conti, , 4 trimestre. 57 Libro dei conti, 1884, 1 trimestre. 58 Ivi. 59 APSMN (FN), Libro contiene APSMN (FN), foglio sparso, 23 ottobre 1885, Atto di diffida del procuratore Giuseppe Bacigalupo di Genova. 61 APSMN (FN), Libro contiene, 1886, 3 gennaio. Il saldo a Lorenzo Paoli avviene nel , 4 trimestre, cfr. APSMN (FN), Libro dei conti, 1884, 1 trimestre. 62 Nel 1929 la ditta ricevette un acconto di lire, nel 1930 altre , cfr. APSMN (FN), Libro di cassa dal 1895 al 1974, 1929, 4 trimestre, 1930, 2-3 trimestre. Sull organo cfr. anche F. MACERA, D. MERELLO, D. MINETTI 2000, p APSMN (FN), Libro contiene. 1888, 7 ottobre. 64 Ivi, 1889, 6 gennaio. 65 Libro dei conti. Il pagamento, ammontante a lire 283, avvenne con un certo ritardo rispetto alla consegna del lavoro, come si può dedurre dalla riunione della Fabbriceria del 5 gennaio 1890, nella quale si prende atto di non aver ancora liquidato alcuni debiti, fra cui appunto quello della vetrata, cfr. APSMN (FN), Libro contiene. 66 Sui lavori della facciata, cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive..., in questo volume

199 Fig. 10 Giovanni Battista Ghigliotti, particolare della decorazione ad affresco raffigurante il Martirio di San Maurizio. tare della Madonna di Lourdes, benedetti il 22 dicembre Nel quadro del generale rinnovamento della chiesa nel 1894 si delibera di acquistare un nuovo baldacchino 68, ancora conservato sull altar maggiore, giunto a Neirone l anno successivo 69 e completato da sei aste fatte eseguire dall indoratore Luigi Carpi 70 e di sistemare il cancello del battistero 71, opera, quest ultima, di fattura ottocentesca, ma attorno alla cui commissione o acquisto non è alcuna traccia nell archivio parrocchiale. L atto più significativo di questo particolare momento è certamente la commissione della decorazione ad affresco della chiesa con Storie di San Maurizio (figg. 10, 11) all ornatista Filippo Termi e a Giovanni Battista Ghigliotti, già attivo con la stessa funzione nella chiesa di Ognio 72. Il 7 aprile 1895 si delibera di accettare i disegni presentati da Ghigliotti stabilendo un 67 Cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive..., in questo volume. L altare fu fornito da un certo Giocondo Luchesi, cfr. APSMN (FN), Libro di cassa..., , 4 trimestre. 68 APSMN (FN), Libro contiene, 1894, 1 gennaio. 69 APSMN (FN), Libro di cassa, 1895, 1 semestre. 70 Ivi, 1895, 2 semestre. Luigi Carpi esegue altri lavori per la chiesa di San Maurizio: nel riceve 400 lire per l apparato e l indoratura dell altar maggiore (Libro di cassa...), l 11 ottobre 1901 gli vengono ordinati otto fanali dalla Confraternita del Rosario (Libro Confraternita...), pagatigli 713 lire nel assieme al saldo di 80 lire per la croce (Libro di cassa dal 1880 ), nel 1902 fornisce alla chiesa due leggii per 17 lire (Libro di cassa...) e nel 1906 riceve ben 500 lire per candelieri e altri lavori non specificati (Libro di cassa...). L artigiano fu attivo anche per le chiese di Roccatagliata (cfr. A. ACORDON, Roccatagliata. Note..., in questo volume) e San Marco d Urri (cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note..., in questo volume). 71 APSMN (FN), Libro contiene, 1894, 1 luglio. La spesa per il cancello è inserita nei conti del , Libro dei conti. 72 Sul pittore e sul suo intervento nella chiesa di Ognio, cfr. A. ACORDON, Ognio. Note, in questo volume. Firmati e datati 1895 sul riquadro raffigurante San Maurizio che si rifiuta di adorare gli idoli di fronte all Imperatore Massimino Erculeo, gli affreschi dovettero sostituire una decorazione più antica, nella quale Angelo e Marcello Remondini avevano letto, nel 1890, un altra iscrizione e la data 1711 (cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive..., in questo volume)

200 Fig. 11 Giovanni Battista Ghigliotti, particolare della decorazione ad affresco raffigurante San Sebastiano. compenso di lire e si rimane in attesa di esaminare la proposta che invierà l ornatista, accogliendo nel frattempo l offerta di Giovanni Battista Gardella di Roccatagliata, già autore di quelli della chiesa di San Lorenzo 73, relativa all esecuzione degli scanni del coro 74. Dopo averne accettato la proposta il 7 luglio ,la Fabbriceria salda il proprio debito di lire 800 a Filippo Termi nel , risolvendo in due rate il rapporto con Ghigliotti 77. Gli ultimi lavori eseguiti per la chiesa nel XIX secolo sono le statue della Madonna e di Bernadetta per la grotta di Nostra Signora di Lourdes, opera di un certo Alessandro Sappia 78, e le quattro grandi sculture in gesso raffiguranti San Pietro, San Paolo, San Giovanni e San Giuseppe, pagate nel a Medardo Borelli, autore anche della grotta di Nostra Signora di Lourdes 79, delle tre cornici dei quadri del presbiterio 80 e di varie opere per 73 Cfr. A. ACORDON, Roccatagliata. Note sul patrimonio, in questo volume. 74 Si procede all asta bandita oggi stesso e si stabilisce di accettare l offerta fatta da Gardella Gio Batta di Roccatagliata di costrurre i detti scanni su disegno stabilito e capitolato debitamente firmati in lire 935 a che però la fabbriceria provveda tutto il legname occorrente, cfr. APSMN (FN), Delibere Si delibera a voti unanimi di approvare (...) quanto in antecedenza si era stabilito col signor Termi Filippo ornatista, accettandone i disegni, e fissandogli come onorario lire 800 a che orni tutto il volto della chiesa, escluso quello del coro già ultimato, tinga il cornicione a stucco, cantoria, cassa dell organo, altari e muri laterali, antiporte, le lesene però e gli altari a marmo; a patto però che la fabbriceria faccia le impalcature, provveda biacca, olio, vernice e calce, cfr. APSMN (FN), Delibere Nel 1897 Filippo Termi verrà chiamato a eseguire alcuni ritocchi per una cifra di 20 lire, cfr. APSMN (FN), Libro di cassa. 77 APSMN (FN), Libro di cassa, 1895, 1 e 2 semestre. Sulla decorazione della chiesa, cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive..., in questo volume. 78 Cfr. APSMN (FN), Libro di cassa. 79 Cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive..., in questo volume. 80 Cfr. APSMN (FN), Libro di cassa, , 4 trimestre e

201 Fig. 12 Luigi Agretti, Cena in Emmaus. Roccatagliata 81. Per quanto attiene al patrimonio storico artistico, gli interventi più appariscenti del secolo scorso sono le già menzionate campane del 1937, l organo della Ditta Parodi-Marin del e la risistemazione dell area presbiteriale. In esecuzione di una delibera del 2 luglio , Medardo Borelli viene come già detto incaricato di costruire le grandi cornici con angioletti ed elementi vegetali in stucco 83 intorno al dipinto raffigurante l Immacolata Concezione e Santi e ai lati del Sancta Sanctorum, queste ultime destinate ad accogliere le grandi tele (figg. 12, 13) affidate a Luigi Agretti (La Spezia, ) per un corrispettivo di 800 lire e con l obbligo di consegnarle entro il 30 giugno del Secondo quanto precisato dai Fabbricieri, che ne esaminarono i bozzetti, le due tele rappresentano due soggetti storici della SS. Eucarestia, ossia la Cena in Emmaus (fig. 12) e il meno noto episodio di Elia e l Angelo (fig. 13). Le due tele costituiscono una buona testimonianza dello spirito dell artista spezzino: alla connotazione orientaleggiante delle due opere (si osservi in particolare il brano paesistico sullo sfondo della Cena in Emmaus), che ha paralleli anche nella pittura napoletana di Domenico Morelli, si unisce una particolare sensibilità verso le novità dello stile Liberty, come attesta soprattutto il fluido volteggio dell elegante figura angelica 85. Gli ultimi lavori di un certo rilievo riguardano 81 Cfr. A. ACORDON, Roccatagliata. Note sul patrimonio, in questo volume. 82 Le tre cornici costarono 750 lire, cfr. APSMN (FN), Delibere Cfr. APSMN (FN), Libro di cassa, Cfr. APSMN (FN), Delibere , 1912, 6 ottobre. Il pittore viene in effetti pagato nel 1913 (cfr. APSMN (FN), Libro di cassa, 3-4 trimestre), ma riceve soltanto 780 lire. 85 Su Luigi Agretti, cfr. E. GIOVANDO 1992, pp e E. ACERBI 1992, pp , in part. pp

202 Fig. 13 Luigi Agretti, Elia e l Angelo. la vetrata del coro, raffigurante un angelo o una donna con la croce, allusiva alla Fede, da identificare con quella eseguita nel 1938 da Cristiano Joig di Torino su commissione di Emilia Gardella 86 e l esecuzione di due finestroni del coro da parte di Raffaele Albertella nel 1958 in occasione del terzo centenario dell erezione della chiesa APSMN (FN), Libro di cassa, 1938, 2-3 trimestre; Bilanci consuntivi della Fabbriceria..., L opera venne a costare lire. 87 APSMN (FN), Delibere , 1958, 16 gennaio e Libro di cassa..., Le due vetrate costarono lire. Sull artista cfr. V. PARROCO 1983 vol. 1, p Le foto sono dell Archivio della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico della Liguria (Daria Vinco) tranne le figure 8 e 9 (Fabio Piumetti)

203

204 ROCCATAGLIATA NOTE SULLA CHIESA DI SAN LORENZO E SUL SUO TERRITORIO Cristina Sanguineti Fig. 1 Roccatagliata, chiesa di San Lorenzo: pianta, scala 1:200 (elaborazione grafica R. Eseguiti) Intitolazione degli altari: 1 - San Lorenzo; 2 - SS. Crocifisso; 3 - SS. Rosario; 4 - San Michele; 5 - Carmine. L assenza di una serie cronologicamente completa di fonti documentarie e la disomogeneità ed incompletezza di quelle conservate lascia nell ombra parte della storia edilizia delle due chiese di San Lorenzo, quella attuale di origine seicentesca e soprattutto quella antica non più esistente. Una lapide che si è conservata in loco e risulta trascritta dai Remondini nel volume nono della loro opera sulle parrocchie dell Arcidiocesi genovese attesta l esistenza di un edificio di culto, forse una cappella, almeno a far data dal , che gli stessi storici dicono atterrata nel momento in cui nel 1648 si intraprese la costruzione della nuova chiesa 2. Fra la decisione del cardinale Luca Fieschi e del podestà di Roccatagliata Facinus Blancus sotto i cui auspici nella prima metà del secolo XIV fu costruita la chiesa originaria e quella del cardinale Stefano Durazzo, che nel 1646, conferendole titolo di parrocchia indipendente all interno dell Arcipretura di San Maurizio di Neirone 3 diede impulso alla costruzione della nuova fabbrica, corrono dunque tre secoli. In antico il territorio aveva posizione di preminenza strategica e amministrativa rispetto a quello afferente alla chiesa di Neirone, in considerazione sia della presenza di un castello del quale oggi resta poco più che il sedime di proprietà prima degli Advocati e quindi dei Doria, passato poi ai Fieschi, e da questi venduto alla Repubblica di Genova nel 1433, sia in quanto sede del podestà 4, ma in epoca moderna si vede via via declassato a ruolo secondario rispetto al 1 A. e M. REMONDINI 1890, pp : MCCCXXVIII. De mense augusti ecclexia facta fuit in honorem beati sancti Laurencii misericordia et gracia revendissimi patris et domini nostri domini Luce de Flisco cardinalis dominus Facinus Blancus Lavanie comes et potestas Rochataliate hoc opus fecit laborari Manfredus de Aste me fecit. 2 Ivi, p Ibidem. 4 Cfr. F. SENA

205 Fig. 2 Roccatagliata, chiesa di San Lorenzo: prospetto principale (foto R. Palmisani). territorio di Neirone capoluogo, che conta su una più utile collocazione geografica alla confluenza delle strade fra Genova e Recco. Proprio la costruzione della nuova chiesa seicentesca dà la misura di un cambio di registro nella gerarchia fra i due abitati e può essere assunta a simbolo del definitivo predominio amministrativo della comunità di Neirone su quella di Roccatagliata. Quando si intraprende l edificazione della nuova chiesa si noti, per dar giusto merito all orgoglio campanilistico, più di dieci anni prima rispetto a quella di Neirone Roccatagliata sembra essere ancora sede del podestà-notaio 5, ma le stesse motivazioni che ne hanno determinato la costituzione in parrocchia a sé stante danno conto della sua futura emarginazione ed estrema difficoltà di mantenimento: San Lorenzo è infatti resa indipendente attenta montuositate dictarum villarum Roccataliatae e Crosigliae 6 ossia, in ultima analisi, in considerazione delle difficili comunicazioni che la relegano, fra l altro, ad un economia agricola di sussistenza in cui risulta pressochè impraticabile lo stesso commercio dei prodotti. Situato alla quota di circa 600 metri, l abitato di Roccatagliata vedrà la costruzione della strada carrozzabile solo fra il 1952 ed il 1957, e sino a quel momento i trasporti a dorso di mulo avranno quale non ultima conseguenza quella dell aggravio delle spese di fornitura dei materiali edili, come risulta dai lavori intrapresi nel 1924 di cui si dirà in seguito. L atto con cui la chiesa di San Lorenzo di Roccatagliata viene costituita in parrocchia è registrato il 28 agosto 1646 dal notaio Gio Batta Badaracco, cancelliere della Curia Arcivescovile 7. L epoca precisa di costruzione della nuova chiesa tuttavia non è del tutto chiara. Se i Remondini la datano al 1648, ossia due anni dopo il decreto costitutivo, in realtà risulta che già dal 5 dello stesso agosto 1646 la massaria aveva registrato una serie di spese per l incaminamento della nuova parrocchia, fra cui la contrattazione del cavo d ovra di Torriglia che viene pagato per haver designato la chiesa 8, mentre il medesimo giorno gli abitanti di Roccatagliata e di Crosiglia 9 risultano essersi riuniti in assemblea con lo scopo di nominare una commissione di quattro persone, due per borgo, con l incarico specifico di soprintendere alla fabbrica della chiesa 10. Ciò evidenzierebbe, contrariamente a quanto indicato dai Remondini, una volontà immediata di metter mano ad una nuova costruzione. Tuttavia le spese per interventi a carattere edilizio registrate di lì a qualche mese si riferiscono 5 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p Ivi, p APSMN (FR), Libro della massaria S. Lorenzo di Roccatagliata, 1646, 28 agosto. 8 Ivi, 1646, 5 agosto. 9 Il nome della frazione viene così indicato nel documento, in luogo dell attuale Corsiglia. 10 APSMN (FR), Libro della massaria, 1646, 5 agosto. Le persone elette risultano, Giovanni Pensa q. Luigi e Battino Gardella q. Rocco per Roccatagliata e Rolando Bastia q. Andrea e Bartolomeo Gardella q. Giovanni per Crosiglia

206 soltanto alla fornitura di tredici rubbi di calcina acquistata da maestro Bartolomeo Schiappacasse a soldi 5 il rubbo ed al pagamento dei due mazzacani maestro Pantalino e maestro Battista di Fontanabuona che hanno ristorato la chiesa in cinque giorni a soldi 24 il giorno e testimoniano quindi della decisione di ripiego di effettuare inizialmente semplici lavori di adeguamento o manutenzione alla chiesa originaria 11. L intenzione sembra comunque essere quella di procedere quanto prima alla nuova costruzione, tanto che l anno seguente una commissione composta dal rettore e dal massaro Paulino Pensa si reca a Genova per chiedere alle autorità civili il finanziamento di cento scudi per spender nella nova fabbrica di nostra Chiesa 12. Ed in ogni caso è significativo che la costruzione, come già anticipato, venga effettivamente intrapresa ben dieci anni prima rispetto a quel 1659 in cui la chiesa di Neirone sceglie il sito della nuova fabbrica 13. Non conosciamo in dettaglio lo svolgersi dei lavori, dal momento che purtroppo non si è conservato il libro giornale della fabbrica con la registrazione delle quantità delle forniture e delle spese di manodopera citato nei documenti. Sappiamo soltanto che nell agosto del 1652 in occasione della festa di San Lorenzo la chiesa riceve la benedizione. A quest epoca la fabbrica doveva essere conclusa nelle sue linee essenziali 14 anche se, ad esempio, restava da sistemare ancora il battistero, che arriva via mare di lì a poco e quindi viene trasportato a Roccatagliata da Recco 15. Nel 1655 Mastro Andrea e compagni mazzacani hanno finito di murar e per saldare il debito si procede sia ad una missione a Genova per veder se si poteva haver denari dall Eminentissimo sia ad una forma di autotassazione della popolazione: 11 soldi per fuocho, che portano a raccogliere ventisette lire 16. Similmente a quanto è documentato nel 1672 per la chiesa di San Maurizio di Neirone, anche in questo caso sembra di poter ipotizzare che ad essere terminata fosse soltanto la scatola muraria, ma che nel 1663 mentre a Neirone si intraprende l opera della facciata il livello delle finiture sia ancora approssimativo, dal momento che risulta il pagamento per una canella di tavole per chiuder li balconi sovrani della chiesa 17. Nel 1662 intanto, poco prima delle festività del Santo titolare del 10 agosto, si erano contattati mastro Giovanni ed alcuni mazzacani per accomodare la piazza avanti la chiesa 18. Dieci anni più tardi, sempre in vista della medesima occasione, si incarica maestro Nicolla Gardella di fare la scala per andare in chiesa 19.L anno successivo, oltre a provvedere la chiesa di una pietra di marmo per l acqua benedetta 20, si fanno fare due banchette sul piazzale della chiesa dal maestro Antonio Gardella 21. A quest epoca infatti e sino alla fine dell Ottocento, come si dirà in seguito la chiesa può contare su di un piazzale vero e proprio. Nel 1674 due maestri lignanari di Immontagna eseguono due cancelli, uno nel coro e l altro entro il battistero, oltre che una custodia per riporre oli sacri ed acqua benedetta 22. Nel 1680 infine si è fatto stabilire il choro della chiesa per di fuora, con le due cappelle che restano verso l oriente Ivi, 1646, 11 novembre. 12 Ivi, 1647, 17 luglio. 13 Cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive ed interventi di restauro della chiesa di San Maurizio, in questo volume. 14 APSMN (FR), Libro della massaria, 1652, 10 agosto. 15 Ivi, 1652, 27 agosto. 16 Ivi, 1655, 3 gennaio. 17 Ivi, 1663, 14 ottobre. Per le concomitanti opere alla chiesa di Neirone cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive, in questo volume. 18 APSMN (FR), Libro della massaria, 1662, 4 agosto. 19 Ivi, 1672, 19 luglio. 20 Ivi, 1673, data non chiara collocabile fra il 6 giugno ed il 3 agosto. 21 Ivi, 1673, 3 agosto. 22 Ivi, 1674, 14 marzo. 23 Ivi, 1680, 5 luglio

207 Dell epoca settecentesca non si è conservato alcun documento che possa apportare notizie sotto il profilo della storia architettonica dell edificio, se non la relazione della visita apostolica condotta il 5 luglio del 1750 da Giovanni Bernardo Taccone, canonico della Metropolitana di San Lorenzo, su incarico dell Arcivescovo di Genova, Monsignor Giuseppe Saporiti. Sappiamo allora che a quest epoca la chiesa, che presenta lo stesso impianto attuale a navata unica, non valde ampla, conta cinque altari, sette finestre delle quali alcune tripartite, una cornice in gesso di buona fattura ed una torre campanaria 24. I Remondini ci dicono che nel centenario della sua costruzione, ossia secondo la loro datazione nel 1748, la chiesa fu ristorata 25. In assenza di fonti documentarie dirette non è dato sapere se con ciò debba intendersi che l edificio fu sottoposto ad un intervento di ampia portata a carattere meramente manutentivo oppure se, come era già accaduto quasi quarant anni prima per la chiesa di San Maurizio di Neirone, nell occasione gli furono conferite anche una certa dignità e completezza architettonica secondo i canoni stilistici dell epoca tramite un diffuso intervento di ornamentazione. La corona bene gipzata rilevata di lì a due anni nel corso della citata visita apostolica fa propendere per questa seconda ipotesi, ulteriormente rafforzata dalla notizia riportata dai Remondini stessi, sempre sulla scorta di fonti oggi non più verificabili, che nello stesso 1748 fu ristorato anche l altar maggiore dedicato al Santo titolare Lorenzo 26. In ogni caso l intervento denuncia a quest epoca un intento di emulazione nei confronti della chiesa vicariale. Una certa rivalità fra le due comunità di Roccatagliata e di Neirone traspare ancora nella prima metà del secolo successivo, quando nel 1838, ad un anno dall ultimazione della nuova cappella detta del Portello, i due centri se ne disputano la proprietà. Nella risoluzione della lite interviene il sindaco in persona, adducendo motivazioni di ordine soprattutto storico-geografico per rivendicare nei confronti dell arcivescovo Placido Tadini i diritti della chiesa di San Maurizio: la nuova cappella è stata costruita dalle comunità di Siestri o Carrata con l apporto ossia con un intervento solo parziale di alcuni volontari di Roccatagliata, è stata inoltre edificata sul territorio di pertinenza della parrocchia di Neirone, lungo la strada che conduce a Torriglia e di cui gli abitanti di Neirone da almeno duecentocinquant anni curano la manutenzione, e si trova infine entro quel versante della montagna denominata Portello che scola l acqua piovana sopra diversi quartieri di Neirone 27. Sulla scorta di una controversia inerente il circondario di Roccatagliata che è rimasta agli atti poiché fu sottoposta all attenzione del governatore, sappiamo che a metà Ottocento sul territorio comunale funzionavano le scuole primarie 28. La non agevole conformazione territoriale fa sì anzi che le scuole attivate fossero quattro, una in ciascuno dei quattro centri maggiori: nel Comune di Neirone si tengono quattro scuole elementari, una nel Capoluogo collo stipendio di lire nuove 400, altra in Roccatagliata, una terza in Ognio ed una quarta in San Marco d Urri, le ultime tre collo stipendio di lire nuove 280" 29. I maestri contrattati risultano essere per metà sacerdoti. In particolare dal 1859 nell ambito del bacino d utenza della borgata di Roccatagliata è attivo il sacerdote Ambrogio Podestà 30, mentre nel 1860 vengono ammessi il sacerdote Giuseppe Biglieri per la frazione di San Marco d Urri ed il signor Giacomo Olivero quale maestro di prima e 24 ACC, fasc. 105, Visitatio Ecclesiae Sancti Laurentis de Roccataliata, 1750, 5 luglio. 25 A. e M. REMONDINI 1890, p Ibidem. 27 ACC, fasc. 82, 1838, 6 maggio. 28 ASG, Prefettura Sarda 18, lettera dell Ufficio del Regio Ispettore per gli Studi Primari della Provincia di Genova al Governatore di Genova, Congedo del maestro di Roccatagliata, 1860, 15 giugno. 29 Ivi, lettera della Regia Intendenza della Provincia di Chiavari all Intendente generale della Divisione Amministrativa di Genova, 1858, 25 novembre. 30 Ivi, lettera della Regia Intendenza del Circondario di Chiavari al Governatore di Genova, 1860, 1 giugno

208 seconda elementare di Neirone ed Ognio. Quando nel 1890 i Remondini danno alle stampe il nono volume che raccoglie notizie sulle parrocchie dell Arcidiocesi di Genova, la chiesa di San Lorenzo di Roccatagliata risulta misurare circa venti metri per otto, contro i circa trenta per nove di quella di Neirone 31. Gli stessi autori sentono l esigenza di segnalare quale dato singolare il notevole incremento quantitativo della comunità di pertinenza di San Lorenzo, che nel 1750 era di soli 350 abitanti circa e nello spazio di cento anni risultava più che triplicata, giungendo addirittura a contare 1300 persone nel É forse anche in ragione di tale incremento che la parrocchia nel 1874 aveva meritato di essere fregiata del titolo di Prepositura e certamente sulla scorta di questi dati si comprende perché nel 1894 si avverte come improrogabile l esigenza di prolungare la chiesa 33. La proposta avanzata in tal senso dal presidente della Fabbriceria viene approvata all unanimità e l assemblea dei fabbricieri delega quindi al parroco il compito di tenere i contatti con il signor Medardo Borelli che dovrà produrre il disegno della facciata, documento che purtroppo non risulta conservato, ossia con lo stesso artista che fra 1890 e 1893 ha portato a termine un intervento decorativo interno inerente gli stucchi del coro e della chiesa 34. La decisione comporta il sacrificio di parte della piazza antistante, che appena due anni prima, conclusasi una non meglio specificata lite riguardo allo sgombero del piazzale che i consiglieri decidono di sostenere 35, aveva impegnato la Fabbriceria nella delibera di onerose operazioni di pulizia 36.L intervento era stato effettuato in concomitanza dei fondamenti della cappella di Nostra Signora del Carmine già del Fig. 3 Roccatagliata, chiesa di San Lorenzo: veduta dell abside e dell altare principale (foto R. Palmisani.) Santissimo Rosario 37 e della ben più modesta costruzione della casetta delle sedie 38, e precedeva di poco la decisione di effettuare alcune opere di manutenzione a sacrestia 39 e canonica 40 nonché di restauro, quali quelle relative alla decisione di aggiustare il pulpito di legno per il quale si approva di farlo pulire 41. Intanto, mentre si è dato corso al proposito di prolungare la chiesa e di dotarla quindi di una nuova facciata, la Fabbriceria decide anche di procedere alla globale decorazione della cappel- 31 A. e M. REMONDINI 1890, p Ivi, p APSMN (FR), Deliberazioni della Fabbriceria dal 1891 al 1992 circa, 1894, 22 aprile. 34 APSMN (FR), Memorie di Roccatagliata, capitolo Spese straordinarie. 35 APSMN (FR), Deliberazioni, 1892, 6 gennaio. 36 Ivi, 1892, 3 luglio. 37 Ivi, 1892, 3 luglio. 38 Ivi, 1892, 2 ottobre; ivi, 1893, prima domenica di aprile; ivi, 1893, 2 luglio. 39 Ivi, 1893, prima domenica di aprile. 40 Ivi, 1893, 5 novembre. 41 Ivi, 1893, 2 luglio

209 la nuova di Nostra Signora del Carmine, tramite ornati nella volta e nelle pareti laterali 42,che verranno proseguiti nel 1904, con le dorature commissionate a Luigi Cerdano di Favale, e con un ornato in pittura affidato allo svizzero Filippo Tani 43. La nuova statua lignea della Santa viene commissionata allo stesso Medardo Borelli di Lavagna 44 cui è stato richiesto il disegno della facciata, artista che risulterà attivo per la chiesa di Roccatagliata in qualità di scultore ancora nel 1905, quando esegue la statua del Santo titolare 45. I lavori edilizi alla fabbrica, che portano ad aumentare la lunghezza dell aula di circa cinque metri 46, si protraggono sino all autunno del 1895, quando giunti sino alla quota corrispondente alla base delle lesene di facciata vengono sospesi con l impegno di impiegare l inverno per la fornitura di materiali (come effettivamente viene registrato nel gennaio successivo) 47,e proseguono per successivi stati di avanzamento fra il luglio e l ottobre del , nonostante la chiesa di Roccatagliata venga definita una delle più povere di tutta la Diocesi 49. Nel 1897 la Fabbriceria decide di procedere alla posa del nuovo pavimento e contratta il marmista Enrico Campofiorito di Chiavari accordandosi per lire 1.60 al metro quadro più lire 200 da impiegarsi per aggiustare l altare maggiore e le balaustre 50. È lecito ritenere che l opera si riferisca alla pavimentazione della chiesa intera piuttosto che della sola porzione appena edificata, con volontà di emulazione nei confronti della chiesa di San Maurizio di Neirone che alla sostituzione del pavimento in ardesia con uno in marmo aveva già provveduto nel decennio Nonostante la cospicua donazione di lire 500 ricevuta da Giovanni Gardella, oste di Neirone 52,l opera del pavimento non viene intrapresa sino all anno successivo 53. A lavoro terminato, seguendo ancora l esempio della chiesa di San Maurizio che aveva assunto analoga decisione nel , la Fabbriceria approva la proposta di dotare internamente la chiesa di uno zoccolo di marmo, stabilendo di scrivere al signor Codda Giuseppe marmista di Chiavari perché venga a prendere le misure e si facci come si deve 55. Il contatto non pare tuttavia essere andato a buon fine, ed anzi sembra che i preventivi vagliati siano stati molti dal momento che ancora nel 1900 e quindi nuovamente nel 1901 la Fabbriceria conclude la seduta con identica deliberazione di appaltare il lavoro a chi lo fa meno prezzo 56. Nel 1898, forse anche in relazione ai lavori di prolungamento e di occupazione di parte della piazza, si registra la lite fra la parrocchia, proprietaria del civico allora indicato con il numero 207, e la famiglia Pensa-Campasso a proposito della proprietà del muro di confine. Il parroco specifica che il muro è tutto di proprietà della chiesa e che la famiglia non può avanzare diritti anche se vi ha poggiato le putrelle per costruire un poggiolo. Nell occasione si specifica inoltre che la chiesa è proprietaria anche dello scoglio davanti alla porta della casa di sua proprietà verso il muro delle piazze degli eredi Pensa, che si trova alla sinistra di chi sale verso il monte, confinanti le piazze dei Pensa sopra, sotto la strada pubblica, 42 Ivi, 1894, 1 luglio. 43 APSMN (FR), Memorie di Roccatagliata, capitolo Spese straordinarie. 44 APSMN (FR), Deliberazioni, 1894, 1 luglio. 45 Cfr. A. ACORDON, Roccatagliata. Note sul patrimonio artistico, in questo volume. 46 APSMN (FR), Deliberazioni, Ivi, 1896, 5 gennaio. 48 Ivi, 1896, 1 luglio; ivi, 1896, 4 ottobre. 49 ACC, fasc. 105, Roccatagliata, San Lorenzo, APSMN (FR), Deliberazioni, 1897, 4 aprile. 51 Cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive, in questo volume. 52 APSMN (FR), Deliberazioni, 1897, 4 aprile. 53 Ivi, 1898, 10 aprile; APSMN (FR), Deliberazioni della Fabbriceria dal 1891 al 1992 circa, 1898, 3 luglio. 54 Cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive, in questo volume. 55 APSMN (FR), Deliberazioni, 1899, 1 ottobre. 56 Ivi, 1900, 7 gennaio; ivi, 1901, 7 luglio

210 a ponente gli eredi Pensa-Campasso, rimpetto il muro della casa, a levante finisce in punta 57.Il parroco puntualizza inoltre che anche il tratto che passa dalla strada all orto è di proprietà della Mensa Parrocchiale e non della famiglia di Lorenzo Gardella detto Giulin, pur trovandosi sotto la loro casa segnata col numero civico 206. Intanto, il prolungamento della chiesa costituisce anche l occasione per mettere mano alle coperture. Nel 1899 il presidente propone di coprire la chiesa vecchia perché il tetto è in deperimento ed è necessario coprirla di nuovo e la Fabbriceria delibera di dare incarico a Bartolomeo Gardella di fare le chiappe necessarie con le gronde per tutto il tetto della chiesa 58. Analogamente, nel 1903, la Fabbriceria approva la proposta del presidente di coprire le cappelle di nuove chiappe essendo che le vecchie son tutte guaste. In sostanza, nonostante la scarsità di mezzi, nell arco di circa dieci anni, fra 1892 ed il 1903 si effettua una serie considerevole di interventi: la costruzione ed ornamentazione della cappella del Carmine, il prolungamento della chiesa, l inizio della nuova facciata, il nuovo pavimento, la zoccolatura interna, il tetto. La scarsità di mezzi impone da un lato che si dilazionino, anche per tempi considerevoli, i pagamenti dei fornitori, come accade a Paolo Foppiano per le provviste di ferri, chiavi ed altro, che vengono pagate nel 1899 atteso che dal 1892 non si aveva più saldato il conto 59. Dall altro la chiesa si indebita con il parroco: una parte del debito relativo ai denari imprestati prima d ora alla Fabbriceria per i lavori della chiesa di prolungamento e pavimento viene saldato nel 1900, quando si stabilisce di dare al parroco un acconto di lire 800 rimanendone ancora 1100 oltre i frutti 60. Il parroco che risulta promotore di questa serie di interventi e di quelli di cui si dirà in seguito è il sacerdote Davide Dondero che amministra la chiesa per cinquant anni, fra il 1887 ed il Giunto contrariamente alla sua volontà, come riporta egli stesso nelle proprie memorie manoscritte, poiché si sentiva già radicato nel territorio facente capo alla chiesa di Favale, trova sia la chiesa che la canonica non troppo in buone condizioni 61 e, oltre a dare impulso agli interventi sopra ricordati, apporta localmente una serie di innovazioni che afferiscono alla tecnologia costruttiva. In occasione della sopraelevazione di un piano della canonica, decisa per dare conveniente alloggio alle suore della Misericordia di Savona ed alla scuola da esse tenuta 62, ad esempio, constatato che nessuno a Roccatagliata sapeva intonacare i muri come si deve chiama Stefano Caricci di Cornia per insegnare alle maestranze locali come si stende l intonaco seguendo i punti di lista 63. Analogamente riesce a convincere la Fabbriceria a sperimentare i suffitti in calce in luogo di quelli in legno di pino, nonostante in un primo tempo i Fabbricieri avendo dimandato ad un maestro muratore foresto, ma che si era stabilito a Neirone si fossero scoraggiati di fronte al prezzo esorbitante che il muratore aveva proposto sapendo che nessuno a Roccatagliata sarebbe stato abile a farli e riesce infine a dimostrare che al contrario risultano più economici di quelli lignei 64. Nell aprile del 1904 la Fabbriceria, considerata conclusa la stagione di interventi a carattere prettamente architettonico, pel bene della chiesa e pel decoro della casa di Dio decide di procedere ad un degno allestimento dell area presbiteriale deliberando l esecuzione di un coro in legno di noce 65. I lavori edilizi preparatori consistenti nel rifacimento dell intonaco 66, con ese- 57 Ivi, 1898, 20 gennaio. 58 Ivi, 1899, 2 aprile. 59 Ivi, 1899, 2 aprile. 60 Ivi, 1899, 13 aprile. 61 APSMN (FR), Memorie di Roccatagliata, capitolo Un po di storia, p Ibidem. 63 Ivi, p Ivi, pp APSMN (FR), Deliberazioni, 1904, 3 aprile. 66 Ivi, 1904, 3 aprile

211 cuzione a marmorino della porzione soprastante il futuro coro, e nella realizzazione di una nicchia destinata ad ospitare la nuova statua del Santo titolare 67 terminano all inizio del gennaio , ma il nuovo coro non viene effettivamente commissionato sino all ottobre del 1906, quando il lavoro è affidato a Gio Batta Gardella di Roccatagliata 69, risultando ancora in corso nel luglio del Intanto nel 1906 si decide di ampliare la sacrestia atteso la sua ristrettezza 71 e nel 1908 di effettuare opere manutentive alla casa del curato 72. Nel 1911, con ritardo di trentacinque anni rispetto ad analoga decisione assunta a San Maurizio di Neirone 73, si delibera di dotare l aula di un organo considerato che avendo già la chiesa fatte varie spese, sia pel ristoro, sia pei stucchi e pitture, sia per altre spese fatte come l abbassamento di 50 cm del pavimento, sarebbe bene e conveniente terminare l opera e si dà incarico di redigere il progetto alla ditta Aletti di Monza 74. Il nuovo organo viene collaudato il 25 giugno , mentre i lavori relativi all orchestra che è stato necessario costruire in controfacciata terminano l anno seguente 76. Per trent anni, sin dall epoca del suo prolungamento nel 1894, la chiesa è rimasta a facciata non conclusa. All opera si mette definitivamente mano nell aprile del 1924, in concomitanza con la decisione di procedere al ristoro del campanile 77, cui si aggiungono ben presto interventi di reintonacatura dei prospetti esterni minori 78. I lavori alla facciata, al campanile ed al prospetto settentrionale vengono approvati dalla Fabbriceria nell ottobre del 1904, rimandando l intonacatura del muro della chiesa a mezzogiorno e del coro nella prossima primavera quando il tempo ce lo permetterà, come effettivamente accade 79. La facciata viene eseguita in cemento a lenta presa, poiché si considera che in questo modo possa resistere al gelo meglio della calce 80. Secondo la perizia redatta da Giuseppe Caricci la spesa per l intervento alla facciata, campanile e prospetti esterni minori ammonta alla considerevole cifra di lire che, pur ridotte a circa dall ingegner Serafino Bernero, contattato in seguito poiché l Ufficio dei Benefici Vacanti di Torino impone che le stime siano redatte da un professionista ingegnere o geometra, testimoniano dell estrema incidenza del costo dei trasporti a dorso di mulo sulle forniture: Roccatagliata non ha alcuna strada carrozzabile e la distanza di 30 chilometri da Chiavari, da dove si deve fare le provviste, rende il materiale con un aumento gravissimo. Nel 1926 si delibera di commissionare a Solferino Barsanti di Pietrasanta un nuovo pulpito in marmo per la somma di lire e nel 1928, a distanza di tre mesi esatti rispetto alla chiesa di San Maurizio di Neirone, si decide di adornare la chiesa colla luce elettrica e si incarica il signor Casassa Giuseppe elettricista di Cornia a fare l impianto nella chiesa e nella canonica Ivi, 1904, 10 aprile; ivi, 1904, 2 ottobre. 68 Ivi, 1905, 1 gennaio. 69 Ivi, 1906, 7 ottobre. 70 Ivi, 1907, 7 luglio. Per il coro e per la statua del santo titolare cfr. A. ACORDON, Roccatagliata. Note sul patrimonio, in questo volume. 71 APSMN (FR), Deliberazioni, 1906, 1 luglio. 72 Ivi, 1908, 5 gennaio; ivi, 1911, 2 aprile. 73 Cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive, in questo volume. 74 APSMN (FR), Deliberazioni..., 1911, 2 aprile. Per l organo cfr. A. ACORDON, Neirone. Note sul patrimonio..., in questo volume. 75 APSMN (FR), Deliberazioni..., 1911, 7 luglio. 76 Ivi, 1912, 7 luglio. 77 Ivi, , perizia per facciata e campanile; ivi, 1924, 6 aprile; ivi, 1924, 6 luglio. 78 Ivi, 1924, 5 ottobre. 79 Ivi, 1925, 5 aprile. 80 APSMN (FR), Memorie di Roccatagliata, capitolo Un po di storia, pp APSMN (FR), Deliberazioni, 1926, febbraio; ivi, 1926, 4 aprile; ivi, 1926, 4 luglio; per il pulpito cfr. A. ACORDON, Roccatagliata. Note sul patrimonio, in questo volume. 82 APSMN (FR), Deliberazioni, 1928, 1 luglio; cfr. C. SANGUINETI, Neirone. Fasi costruttive, in questo volume

212 Se si eccettuano interventi minori quali il rifacimento del tetto della canonica, eseguito alla fine degli anni trenta del Novecento 83,l unico intervento edilizio di rilievo messo in cantiere nel corso della restante parte del secolo è la decisione, assunta nel 1946, di rialzare il pavimento della chiesa che ha ceduto un poco in un punto 84. Nel 1955 con i ricavati dei benefattori, delle lotterie e delle offerte della chiesa viene ordinato il nuovo orologio del campanile, commissionato alla ditta Terrile di Recco 85, e successivamente si dà incarico al pittore Olindo Bandini di Lavagna di eseguire una serie di decorazioni interne che risultano in contrasto con il carattere della chiesa APSMN (FR), Deliberazioni, 1939, 4 luglio. 84 Ivi, 1946, 10 luglio. 85 Ivi, 1955, 8 ottobre. 86 Ivi, 1955, 1 dicembre; cfr. A. ACORDON, Roccatagliata. Note sul patrimonio, in questo volume

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214 ROCCATAGLIATA NOTE SUL PATRIMONIO ARTISTICO Angela Acordon Il patrimonio artistico della chiesa di San Lorenzo di Roccatagliata, eretta in parrocchia il 28 agosto 1646 a seguito del distacco da quella di San Maurizio di Neirone 1, venne formandosi nel corso della seconda metà del XVII secolo e appare già ben delineato nell accurato inventario steso il 13 novembre 1708 dal rettore Giovanni Battista Foppiano 2. L atto assume perciò una valenza notevole per la ricostruzione della vicenda storica delle opere più antiche della chiesa di San Lorenzo, per merito dei parrocchiani, e per nostra fortuna, quasi tutte ancora conservate. Fra le opere menzionate nell inventario risultano di particolare interesse una ancona in coro dove è dipinta l imagine di S. Lorenzo, e quella di S. Ant.o con quella di Bart.o Apostolo attaccata al muro, un crocefisso più grosso per le processioni, una statua di N.ra Sig.ra del Rosario col suo Bambino in barccio [sic] con sue corone di legno in parte inargentate in parte indorate e una ancona ò sia quadro all altare del Crocifisso cõ pittura parimenti del Crocifisso, cõ pittura anche di N.ra Sig.ra, e di S.ta M.a Maddalena e l anime del Purgatorio. Nessuna di queste opere, delle quali si riferirà nel dettaglio più avanti, era menzionata nel primo inventario della chiesa, compilato il 5 gennaio 1647 dal rettore Antonio Clerici 3,ma tanto in questo come nel precedente sono segnalati altri oggetti liturgici, dei quali la Fabbriceria si era evidentemente dotata subito dopo l erezione della chiesa in parrocchia: un tabernacolo di legno col gesso a forma di calice, una pisside grande d argento, una piccola per portare il SS. Sacramento agli infermi, un ostensorio d argento 4, una ombrella di coio rosso fodrata di tafetà crimasi [sic] 5, che nel 1708 viene definita vecchia 6, un sopracielo, ossia baldacchino dello stesso coro con la sua cornice 7, che l inventario del 1708 specifica essere di cuoio 8 e un confessionale di legno dolce 9. Nessuno di questi oggetti, in effetti sottoposti a più facile deterioramento, è giunto fino a noi e dispiace soprattutto per l ombrello e il baldacchino in cuoio, data la scarsità di manufatti in tale materiale conservatisi, soprattutto in Liguria. Anche le note di spesa segnate nel Libro della Massaria dimostrano come i Fabbricieri si dettero subito molto da fare per dotare la neonata parrocchia di quegli oggetti funzionali all esercizio dei suoi compiti liturgici. Al 28 settembre risale l acquisto dell ombrello di cuoio rosso (L. 23,14), del tabernacolo (L. 39,6), di borse, tessuti per fare paramenti, lampadari, ecc. portati a Roccatagliata da Genova il giorno successivo per una spesa di lire 3,6 11 ed è probabilmente ancora di quell anno la Notta del speso dal Sig.r Sabino Canc.re dell Ill.ma Cam.ra relativa al Sopracielo di coro dell istesso del param.to con sua manifattura (L. 48), portato a Roccatagliata da Genova da tale Rolando Bastia il 31 dicembre 1646 per 2 lire, di quattro candelieri, di due vasi di legno dorato e di due fiori (L. 15,10), nonché del Sacrum Convivium 1 Cfr. C. SANGUINETI, Roccatagliata. Note sulla chiesa di San Lorenzo e sul suo territorio, in questo volume. 2 ACC, fasc APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria S. Lorenzo di Roccatagliata. Si precisa che i documenti d archivio della chiesa parrocchiale di San Lorenzo di Roccatagliata sono conservati nell archivio parrocchiale di San Maurizio a Neirone. 4 APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria... e ACC, fasc APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria ACC, fasc APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria. 8 ACC, fasc APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria... e ACC, fasc APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria Ibidem

215 Fig. 1 Anonimo scultore del secolo XVII, Madonna del Rosario. (ossia una cartagloria) con cornice dorata (L. 8) 12, quest ultimo non più indicato nell inventario del Seguono altri acquisti, fra i quali un ostensorio d argento (L. 92,5) comprato a Genova presso un tale signor Lorenzo Pensa Fravego (ossia argentiere) 13, il battistero, di cui si parlerà in seguito e per il quale il 27 agosto 1652 è indicata solo la spesa per il trasporto 14, nonché il dono di un turibolo in ottone con navicella e cucchiaio da parte dell Arcivescovo, che attinse ai fondi delle Elemosine delle chiese povere 15. Terminati gli acquisti necessari, la Massaria passò alla fase di abbellimento e arricchimento della chiesa dotandosi di tele e statue. Attorno o a poco dopo il 1663, data dell erezione della Compagnia del Rosario secondo quanto riferito nella visita pastorale di Mons. Giuseppe Maria Saporiti del 5 luglio , potrebbe risalire la statua lignea policroma raffigurante la Madonna del Rosario (fig. 1), non indicata nell inventario del 5 gennaio 1647 e invece descritta in quello del 13 novembre Lo stretto legame fra l opera e la Compagnia del Santissimo Rosario è attestato dal fatto che essa fu probabilmente commissionata e pagata dai confratelli, come si evince dall assenza di note di spesa relative ad essa nel Libro della Massaria, anche se ciò non può essere provato non essendo rimasto nell archivio parrocchiale alcun registro relativo alla Confraternita. La piccola scultura (cm 106 x 60) si inquadra stilisticamente nella produzione lignea ligure della seconda metà del XVII secolo e rivela una discreta fattura nel non banale andamento del panneggio e nei volti, caratterizzati da una certa fissità e dalla presenza di occhi in pasta vitrea. Eseguita da un artista non di primo piano, la statua è tuttavia offuscata da una consistente ridipintura, che impedisce una più congrua valutazione e un più veritiero apprezzamento delle sue forme. Per conto proprio la Massaria si impegnò invece nella commissione di due pale d altare (figg. 2-3) da collocare rispettivamente nel coro e sull altare verso l Epistola, ossia quello del Crocifisso. Entrambe le opere furono acquistate a Genova e commissionate a Bartolomeo Castello, personalità apparentemente sfuggita alle fonti antiche e della quale non sono stati finora rintracciati altri lavori. La nota relativa all acquisto e alla commissione del primo dipinto (fig. 2) è così descritta nel Libro della Massaria alla data del 19 luglio 1672: Io P. Gio Agostino Garbarino moderno rettore della chiesa di San Lorenzo havendo visto l urgente bisogno ch era in detta chiesa di una ancona dà ponere in choro dove restasse impronto la Pittura che rappresentasse il titolare S. Lorenzo sono andato a Genova di compagnia di un di detti massari ed ivi committi detta ancona al 12 Ibidem. 13 Ibidem. 14 Ivi, 1652, 21 marzo e 27 agosto. 15 APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria ACC, fasc

216 Fig. 2 Bartolomeo Castello, San Lorenzo in trono fra San Bartolomeo e Sant Antonio. Sig. Bartholomeo Castello quale si condusse a casa li 20 agosto e costa tutto compreso ogni cosa, L La tela andò certamente a sostituire l anconetta vecchia nella quale è dipinta l imag.e della B. V. con il Bambino, S. Lorenzo alla parte destra, all altro San Bartolomeo apostolo elencata fra i beni della chiesa nel Nel commissionare la nuova pala, descritta con precisione nell inventario del 13 novembre 1708 come una ancona in coro dove è dipinta l imagine di S. Lorenzo, e quella di S. Ant.o con quella di Bart.o Apostolo 19, i Massari dettarono certamente al pittore la loro volontà iconografica, che, rispetto all ancona più antica, privilegiava il ruolo del santo titolare Lorenzo, collocato al centro della tela, assiso su una nuvola, in posizione dominante rispetto a San Fig.3 Bartolomeo Castello, Crocifissione con Maria, San Giovanni e Maria Maddalena. Bartolomeo e a Sant Antonio. Anche per la seconda tela (fig. 3), che l inventario del 1708 presenterà come una ancona ò sia quadro all altare del Crocifisso cõ pittura parimenti del Crocifisso, cõ pittura anche di N.ra Sig.ra, e di S.ta M.a. Maddalena e l anime del Purgatorio 20, è riportata menzione nel Libro della Massaria: 1673, 6 giugno. Io medesimo Rettore sono andato a Genova di compagnia di Antonio Gardella del Corpus Domini per levare l ancona del Crocifisso che si è posta nell altare verso l Epistola ed è stata fatta dal Sig. Bartholomeo per la quale si è speso quanto si dirà qui sotto tanto per detta Ancona quanto per fornire il suo altare, e prima d ancona simplice costa L Pare davvero fortunata la coincidenza che 17 APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria.... Il libro spiega che 49 lire furono prese da Andrea Gardella come massaro della Madonna ( ): il restante da pie persone della parrocchia. 18 APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria ACC, fasc Ibidem. 21 APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria...; altre spese riguardarono la cornice dorata (L.1), la tela verde scura per coprire detta ancona all altare palmi 23 (L. 7,13), le zanche in ferro per ergerla (L. 12) e due lire al figlio di Benedetto il Pollaiolo di condutta, ossia, credo, per averla portata

217 Fig. 4 Anonimo scultore ligure, fine secolo XVII inizi secolo XVIII, Cristo crocifisso. entrambe le opere, così ben documentate, siano giunte in buono stato di conservazione fino a noi e che sia loro affidato il compito di trasmettere il volto di un artista altrimenti sconosciuto 22. Dall analisi stilistica emerge un chiaro riferimento alla cultura di Giovanni Battista Carlone, al quale rimandano per esempio le tipologie degli angioletti e le vivaci note cromatiche, di Domenico Fiasella, di Orazio De Ferrari e persino di Simon Vouet, la cui Crocifissione per la chiesa del Gesù a Genova è presente nella memoria di Bartolomeo Castello mentre dipinge la sua tela raffigurante la Crocifissione con Maria e i Santi Giovanni e Maria Maddalena (fig. 3). Su questa base il pittore innesta, con esiti affini a Giovanni Battista Merano, alcune invenzioni di Valerio Castello, come le sfrangiature che alleggeriscono i bordi dei panneggi e alcune scelte fisionomiche. Tali elementi fanno pensare a un artista formatosi nella temperie naturalistica della prima metà del XVII secolo, ma che recepisce le novità in direzione barocca della metà del secolo, caratteristiche presenti anche nell unica opera certa finora rintracciata di Francesco Merano 23 con la quale le due tele di Bartolomeo Castello della chiesa di San Lorenzo a Roccatagliata presentano significativi punti di contatto. Si tratta della bella pala d altare della chiesa di Santa Maria di Nazareth a Sestri Levante raffigurante la Madonna col Bambino fra San Giovanni Battista e San Lorenzo, che nel corso del restauro 24 è risultata firmata da Francesco Merano e databile per motivi documentari attorno al Pur non essendo questa la sede più indicata per ricostruire l attività di Bartolomeo Castello, mi preme almeno sottolineare l esistenza di un altra opera, che, grazie ai palmari confronti stilistici, potrebbe essere riferita al pittore, la Sacra Famiglia che appare a Sant Antonio di Padova con le Anime Purganti della chiesa di San Vito a Marola in prossimità della Spezia, già attribuita a Michelangelo Bertolotto da Piero Donati 25. Appare piuttosto improbabile collegare a una precisa citazione d archivio la bella pisside in argento attualmente non conservata in chiesa per purtroppo ovvie ragioni di sicurezza. Di tutta la suppellettile ecclesiastica menzionata negli inventari e nelle varie note presenti nei libri di spesa, la pisside, inquadrabile per stile, tipologia e fattura ancora all interno del XVII secolo, costituisce l oggetto più antico rimasto alla parrocchia e palesa una notevole qualità 22 Di Bartolomeo Castello non è alcuna menzione nelle fonti antiche e neppure nei documenti rintracciati da Luigi Alfonso relativi ai figli e ai parenti di Bernardo e Valerio Castello, cfr. L. ALFONSO 1968, 1, pp ; 2, pp ; 3, pp Raffaele Soprani (1674, pp ) e Carlo Giuseppe Ratti (R. SOPRANI, C. G. RATTI 1769, pp ) dedicarono a Francesco Merano una biografia, dicendolo nato nel 1619 e morto nella peste del Probabilmente riprendendo la notizia riportata dai fratelli Remondini (1890, p. 216), al pittore è stata assegnata anche la tela raffigurante la Carità conservata nella sagrestia della chiesa di Santa Maria delle Nasche in Valle Sturla (M. A. CAMPANELLA 1980, p. 65). 24 Il restauro è stato eseguito con finanziamento statale - perizia n. 344\ dal Laboratorio genovese di Elena Parenti sotto la direzione di Angela Acordon. 25 Cfr. P. DONATI 2001, pp e p. 116, scheda n. 18. L attribuzione della tela di Marola a Bartolomeo Castello trova concorde Massimo Bartoletti

218 esecutiva nella semplicità dell impianto e nella scelta di un partito decorativo di sobria raffinatezza. L unica menzione di un crocifisso grande è contenuta nell inventario del , che ne precisa la funzione processionale. Una datazione a cavallo fra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo potrebbe essere in effetti applicabile al non grande e molto rimaneggiato crocifisso attualmente collocato sull altar maggiore (fig. 4), caratterizzato da una secchezza di intaglio a tratti quasi calligrafica che trova riscontri nella produzione di scultura lignea tardo seicentesca. L assenza nell archivio parrocchiale di notizie relative alla commissione o all acquisto dell opera, la sua mancata menzione sia nell inventario del 1708 che nella dettagliata visita pastorale di Mons. Saporiti del , depongono a favore della provenienza della tela raffigurante la Madonna col Bambino e i Santi Bernardo, Lucia, Antonio di Padova, Pietro martire, Agata e Apollonia (fig. 5) da un altra sede, probabilmente da una chiesa genovese soppressa, e fanno comunque pensare più a una donazione che a un atto volontario di acquisto da parte della Fabbriceria. L ipotesi è suffragata dal fatto che nessuno dei santi rappresentati nel dipinto risulta avere una specifica devozione in chiesa. Eseguita anche dai suoi aiuti su un disegno di Paolo Gerolamo Piola (Genova, ), la pala è stata considerata da Alessandra Toncini Cabella un opera della maturità dell artista e un esempio di prodotto devozionale di tipo imprenditoriale della bottega per la committenza chiesastica 28 ; aiuti che avrebbero dunque agito sotto il controllo del maestro e col riferimento costante al suo disegno. Figlio di Domenico e fortunato erede della famosa Casa Piola, frequentatore a Roma di Carlo Maratta e del più riposato eloquio degli scultori postberniniani, Paolo Gerolamo elaborò un elegante formula pittorica di composto orientamento Fig. 5 Paolo Gerolamo Piola, Madonna col Bambino e i Santi Bernardo, Lucia, Antonio di Padova, Pietro martire, Agata e Apollonia. classicista, assai frequentata dagli artisti genovesi nel primo ventennio del XVIII secolo e sottesa anche alla tela della chiesa di San Lorenzo a Roccatagliata. Al periodo compreso fra l inventario del 1708 e la visita pastorale del 5 luglio 1750 può essere datato l elegante tabernacolo per gli olii santi in marmi misti (fig. 6) incassato, allora come ora, sul retro dell altare. Definito nella visita apostolica ex cemento, l altare non può essere però identificato con quello attuale, che secondo i fratelli Remondini fu invece rifatto, e consacrato a San Lorenzo, proprio in quell anno 29. L altar maggiore (figg. 7-8), commissionato e realizzato probabilmente poco dopo la visita pastorale del 1750, si rivela stilisticamente e strutturalmente molto simile alle opere note del marmoraro Felice Solaro, autore documentato dell altar maggiore di San Rocco di Ognio e di 26 ACC, fasc Ibidem. 28 Cfr. A. TONCINI CABELLA 2003, pp , 142, scheda n. 86, con bibliografia precedente. 29 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p È interessante notare che l 8 agosto 1677 il rettore di San Lorenzo aveva acquistato un tabernacolo usato dall Arciprete di Uscio per lire 48 per collocarlo sull altar maggiore. Il tabernacolo, del quale non è specificato il materiale, non sembra però poter essere identificato con quello ora sull altar maggiore

219 Fig. 6 Anonimo lapicida ligure della prima metà del secolo XVIII, tabernacolo per gli olii santi. altre opere nel territorio dell attuale Diocesi di Chiavari 30. L altare di San Lorenzo a Roccatagliata presenta infatti una notevole affinità di concezione con quello della chiesa di Santa Margherita a Moconesi, eseguito da Felice Solaro nel , in particolare nella fattura del paliotto e del cartiglio e nella resa degli angeli, in entrambi i casi rappresentati a busto intero (fig. 8). Per tali elementi ritengo almeno plausibile un riferimento attributivo dell altare di San Lorenzo, restaurato nel 1897 da Enrico Campofiorito marmista di Chiavari 32, alla personalità di Felice Solaro e una sua datazione di poco posteriore al Fra l inventario del 1708, dove non è citato, e la visita pastorale del , che invece lo descrive, cade l esecuzione del dipinto raffigurante San Michele Arcangelo che scaccia il Demonio,realizzato da un pittore di estrazione popolare e ancora collocato sull altare intitolato al santo, per il quale fu eseguito. Nel 1892 ebbero inizio le spese per l ampliamento e il rinnovo della cappella di Nostra Signora del Carmine 34 nelle quali rientra un esborso di lire 200 per i due quadri raffiguranti la Madonna consegna lo scapolare a San Simone Stock e la Madonna consegna la lettera a Santa Chiara, dipinti da un non altrimenti noto Carlo Cassana 35. Al termine dei lavori la cappella fu dotata di una statua lignea policroma raffigurante Nostra Signora del Carmine col Bambino (fig. 9), che andò a sostituire il dipinto con lo stesso soggetto descritto nella visita del 1750 sull altare della Compagnia omonima 36. Commissionata a un certo Medardo Borelli, attivo anche per la chiesa di Neirone e che la eseguì nel per un compenso di 300 lire 37, la graziosa scultura - oggi non più sul suo altare dove è stata collocata una statua di identico soggetto in cartone romano e garza gessati e policromi - è impostata secondo l ordinata impronta accademica della fine del XIX e degli inizi del XX secolo e si approssima al linguaggio di Antonio Canepa e degli scultori del tempo. Allo stesso Medardo Borelli la Fabbriceria si rivolse anche per altri lavori 38 fra i quali l esecuzione della statua lignea del santo titolare 30 Su Felice Solaro, cfr. F. FRANCHINI GUELFI 2000, pp e A. ACORDON, Ognio. Note sul patrimonio artistico, in questo volume. 31 Cfr. V. BELLONI 1990, pp APSMN (FR), Deliberazioni della Fabbriceria dal 1891, 4 aprile ACC, fasc Cfr. C. SANGUINETI, Roccatagliata. Note..., in questo volume. 35 APSMN (FR), Memorie di Roccatagliata. 36 ACC, fascicolo 105. Cfr. anche A. e M. REMONDINI 1890, p. 287: l altare del Carmine in istatua dagli esordi del presente secolo, che prima era in ancona. 37 APSMN (FR), Memorie, 1902; Deliberazioni, 5 aprile Parlando dell esecuzione degli stucchi della chiesa eseguiti nel 1890, per i quali si veda C. SANGUINETI, Roccatagliata. Note..., in questo volume, si precisa che Medardo Borelli era domiciliato in Lavagna, cfr. Memorie.... Sull artista, cfr. anche C. SANGUINETI, Roccatagliata. Note..., in questo volume e A. ACORDON, Neirone, Note sul patrimonio artistico, in questo volume. 38 Cfr. C. SANGUINETI, Roccatagliata. Note..., in questo volume

220 Fig. 7 Felice Solaro?, Altare maggiore. Lorenzo (fig. 10), donata alla chiesa nel 1905 da Angelo Pensa fu Pasquale dei Castiglinchi 39. La statua fu concepita per essere collocata in una nicchia che si andava contemporaneamente scavando nel muro dell abside sopra il coro ligneo, per il cui disegno nel 1894 era stato contattato lo stesso Medardo Borelli 40, ma che nell ottobre del 1906 venne affidato al falegname Gio Batta Gardella Silvestri 41. Questi agì sulla base di un proprio progetto e con l aiuto di Federico Gardella, anch egli falegname 42,conducendo a termine l opera, come da data apposta sul cartiglio del seggio centrale, nel Realizzato in legno di noce acquistato presso il signor Luigi Cerdano di Favale 43, che doveva avere anche la qualifica di doratore dati i lavori svolti per la cappella del Carmine 44, il coro presenta una severa linea classicheggiante spezzata dall introduzione di elementi ornamentali vegetali aggettanti che conferiscono al manufatto una piacevole e sottile vibrazione chiaroscurale. Da un ancor più sobria e razionale concezione scaturisce il grande mobile in legno di noce da sagrestia, la cui esecuzione fu deliberata dalla Fabbriceria il 5 gennaio Nel 1905 un certo Bacigalupo, fabbro ferraio di Cicagna, riceve 100 lire per il cancello del Battistero 46, la cui datazione appare piuttosto 39 APSMN (FR), Memorie, Della statua si parla anche nel libro delle Deliberazioni alle date 10 aprile, 3 luglio e 2 ottobre APSMN (FR), Deliberazioni Ibidem. 42 APSLR (FR), Memorie. 43 APSMN (FR), Memorie, 1904 e 1907; Deliberazioni, Cfr. C. SANGUINETI, Roccatagliata. Note..., in questo volume. 45 APSMN (FR), Deliberazioni. 46 APSMN (FR), Memorie

221 Fig. 8 Felice Solaro?, Altare maggiore (particolare). complessa. Fin dal 1652 sono infatti segnalate spese per il trasporto del battistero a Roccatagliata 47, mentre nel 1673 si parla di una pietra in marmo per l acqua benedetta, costata 11 lire compreso il trasporto 48 e nel 1674 vengono pagati due maestri lignanari di Immontagna per aver eseguito, fra le altre cose 49, interno al battistero una custodia, con una cassetta dove si sono posti gli ogli sacri et acqua benedetta 50. Nella visita pastorale del 5 luglio è certamente presente un conopeo ligneo ritenuto decente dal visitatore apostolico, che peraltro ordina che esso venga completato con l introduzione sulla sommità di un immagine di San Giovanni Battista benedicente. Il conopeo descritto nel 1750 potrebbe corrispondere a quello ancora conservato, mentre la pila marmorea parrebbe successiva a quella portata a Roccatagliata nel Il complesso, costituito da elementi di epoche diverse, potrebbe dunque datarsi fra la prima metà del XVIII e l inizio del XIX secolo. L attività della Fabbriceria prosegue abbastanza intensamente nei primi anni del XX secolo con l acquisto di 24 candelieri dall indoratore Luigi Carpi, attivo anche per le chiese di San Maurizio di Neirone e di San Marco d Urri 52, ma soprattutto con la commissione dell organo, sentito come atto finale di una serie di importanti lavori fatti per la chiesa. Così almeno traspare dalla riunione della Fabbriceria del 2 aprile 1911: il presidente fa la proposta di comprare l organo. Considerato che avendo già la chiesa fatte varie spese, sia pel ristoro, sia pei stucchi e pitture, sia per altre spese fatte come l abbassamento di 50 cm del pavimento, sarebbe bene e conveniente terminare l opera facendo l organo. Se ne approva la costruzione. Si presenta un progetto della spettabile ditta Aletti di Monza del prezzo di 3300, esaminato bene il progetto si venne al contratto con tutte le condizioni che si trovano descritte all ultimo del presente volume firmato a Roccatagliata il 28 febbraio Eseguito dalla ditta Aletti di Monza 54 sulla base di un dettagliato progetto conservato nell archivio parrocchiale 55, il nuovo strumento raccolse il plauso di Don Stefano Ferro, organista di San Lorenzo, che rilasciò l atto di collaudo il 25 giugno 1911, come risulta da un breve articolo comparso a sua firma sul Cittadino del 7 47 APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria,1652, 21 marzo: spesi nel camallo per levar il Batisterio, L. 94 ; 27 agosto: Agostino Gardella q. Rocco massaro hà speso in far portare il Batisterio alla Marina alli camalli L. 12; Jo Rettore hò speso in farlo portar da Recco da cinque come dal lib.o giornale della fabbrica in tutto L. 3,5. 48 APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria. 49 Cfr. C. SANGUINETI, Roccatagliata. Note..., in questo volume. 50 APSMN (FR), 1646 Libro della Massaria. 51 ACC, fasc A Carpi Luigi indoratore da Genova per 24 candelieri indorati per altari bassi, L. 200 (cfr. APSMN (FR), Memorie...). Sui lavori per le altre chiese, cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio artistico, in questo volume.; EADEM, Neirone. Note sul patrimonio..., in questo volume. 53 APSMN (FR), Deliberazioni. 54 Cfr. F. MACERA, D. MERELLO, D. MINETTI 2000, p APSMN (FR), Memorie

222 Fig. 9 Medardo Borelli, Madonna del Carmine. luglio di quell anno 56. Nel 1914, per ricordare il padre scomparso, Giovanna Gardella donò alla chiesa le due vetrate ancora presenti nel coro, realizzate dalla ditta Il Vetro Artistico di Bogliasco e costate 925 lire, mentre Maria Gardella contribuì con 200 lire alla realizzazione di due nuovi confessionali, eseguiti per 600 lire dal falegname Gio Batta Gardella 57 e ancora presenti in chiesa. Con motu proprio e a spese proprie la Fabbriceria decise invece di dotare la chiesa di un nuovo pulpito, come risulta dalla riunione del 4 aprile L opera fu affidata al signor Alfredo, figlio di Solferino Barsanti di Pietrasanta, che ricevette 5000 lire di acconto e fu saldato il 4 luglio I lavori ammontarono a 9000 lire, 800 delle quali per spese accessorie 60, dunque qualcosa di più delle 8000 lire Fig. 10 Medardo Borelli, San Lorenzo. previste il 4 luglio. Nel libro Memorie di Roccatagliata si racconta infatti che l 8 maggio il pulpito fu spedito da Pietrasanta alla stazione di Lavagna e che il 19 aprile 1927, apparendo i quattro specchi in marmo troppo miseri, Alfredo Barsanti si recò a Roccatagliata per collocarvi quattro testine di angeli per un aggiunta di 200 lire tutto compreso si arriverà a lire Il 10 agosto 1942, l ordine del giorno della riunione della Fabbriceria riguarda la sottoscrizione di un offerta per la rifusione della campana rotta 62. Venti giorni dopo, il 30 agosto, raccolti evidentemente i fondi necessari, si decide di procedere alla rifusione della campana maggiore e si pongono le condizioni al Signor Picasso 63. Infatti, nel libro delle Memorie di Roccatagliata, alla data 16 settembre 1942, il 56 APSMN (FR), Deliberazioni e Memorie APSMN (FR), Memorie. 58 APSMN (FR), Deliberazioni, 1926, 4 febbraio e 4 aprile. 59 APSMN (FR), Ivi. 60 APSMN (FR), Memorie. 61 Ibidem. 62 APSMN (FR), Deliberazioni. 63 Ibidem

223 sacerdote Enrico Peirano riferisce che il 30 agosto i fratelli Picasso di Avegno portarono a Recco la campana maggiore rotta per procedere alla rifusione. Questi dati, che sono gli unici riguardanti le campane della chiesa, contrastano lievemente con quanto esperito da Giorgio Costa, incaricato dalla Curia di Chiavari di un censimento completo delle campane conservate nel territorio di competenza della Diocesi. La campana rifusa nel 1942 non è la maggiore, ma la seconda, in sol. Tutte le campane furono realizzate nel 1863 da Enrico Picasso di Avegno, ma solo la maggiore, in fa e la quarta, in si bemolle, sono ancora quelle originali, la seconda, in sol, fu come detto rifusa nel 1942, la terza, in la, nel Il 1 dicembre 1955 il pittore Olindo Bandini, residente a Lavagna, è invitato dal parroco e dalla Fabbriceria a iniziare la decorazione ad affresco della chiesa. In uno stile naive di forti policromie che stonano con la sobrietà dell insieme architettonico e delle opere d arte in esso contenute, il pittore esegue le due tele del presbiterio e tutti i riquadri che ancora ornano le pareti e le volte dell edificio per una spesa totale di lire pagatagli in quattro rate dal 19 dicembre 1955 al 17 marzo Nato a Meldola, presso Forlì, nel 1914, il pittore, ancora in vita nel 1991 frequentò la Scuola d Arte a Chiavari dal 1929 al 1935 per poi dedicarsi alla pittura da autodidatta. Oltre che a San Lorenzo a Roccatagliata, eseguì lavori per l albergo Aurelia di Cavi di Lavagna, il teatro Astor di Chiavari e la chiesa di San Luigi a Roma APSMN (FR), Deliberazioni. Francesco Sena (1981, p. 112), penso confondendosi con quelli della chiesa di San Maurizio di Neirone, riferisce gli affreschi a Giovanni Battista Ghigliotti e li dice eseguiti nel Cfr. Dizionario degli artisti, 1991, pp , dove sono citati anche gli affreschi di Roccatagliata. Le foto sono dell Archivio della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico della Liguria (Daria Vinco)

224 CHIESA DI SAN ROCCO DI OGNIO NOTIZIE STORICHE Stefano Montinari La chiesa di San Rocco, che costituisce il fulcro del piccolo nucleo di Ognio, è situata all intersezione tra la strada di mezza costa che unisce San Marco d Urri e Neirone con quella che proviene dalla frazione di Acqua di Ognio attestata lungo la Strada Statale della Fontanabuona. L attuale ampio slargo su cui essa prospetta è una creazione recente, giacché in origine la piazza doveva essere di dimensioni più contenute ed era interamente circondata da edifici, mantenendo perciò un carattere decisamente più intimo e raccolto. L edificio è caratterizzato da una semplice facciata conclusa da un timpano triangolare al centro della quale, tra il sobrio portale di ingresso e l occhio quadrilobato, troneggia la statua del Santo titolare: in effetti, all esterno, l elemento di maggior rilievo è costituito dallo svettante campanile, ubicato sul retro e realizzato, in queste forme, tra il 1922 ed il La chiesa è ad unica navata e si sviluppa per 7,5 m in larghezza e 13 in lunghezza, oltre il presbiterio e il coro profondo 7 m; addossata alla chiesa, sul lato sinistro, è la sacrestia con accesso indipendente. Prima di analizzare le vicende storiche che hanno concorso alla realizzazione dell edificio, può essere interessante trascrivere la descrizione che ne danno i Remondini verso la fine dell 800: ( ) La chiesa che sta rivolta col coro a levante, è un vaso ad una nave, goffamente dipinta nel 1837, ha cinque altari ( ). Degli altari il primo a destra di chi entra è sacro ai SS. Biagio e Gio. Batta, il secondo dal principio di questo secolo è intitolato a S. Vincenzo de Paoli, surrogato al Crocifisso: il terzo è il maggiore veramente bello: egli fu eretto in marmo nel 1757 come da marmetto nel pavimento, non 1750 come scrisse il Rett. Giovanni Andrea Raffetto, e in coro è la statua in legno del Santo, e nuovi scanni in noce dal (...) Il quarto altare è del Rosario con statua vestita di stoffa, il quinto già era dei SS. Antonio di Padova e Pasquale Bajlon, ma a mezzo il secolo presente si volle intitolato a N.S. del Carmine con apposita ancona. Anco gli altari del SS. Rosario, e di S. Vincenzo sono in marmo dal 1876 ma non corrispondono alla bellezza dell altar maggiore. Un anno prima cioè nel 1875 sulla facciata della chiesa fu posta in marmo una statua del santo titolare 1. Ai Remondini, che nella suddetta descrizione incorrono in alcuni errori di datazione di cui si dirà più oltre, si deve tuttavia il reperimento delle prime notizie documentarie relative al borgo di Ognio, ossia quelle tratte dai Registri Arcivescovili degli anni 1147 e 1149: in merito alla locazione di alcune terre si dice, infatti, che alcuni Homines de agonia dant solidos IIII pro manentatico de terris que sunt in his pertinentiis ed anche che laus de scatico et alpiatico hominum de Neironi et de agonio et de hurri 2. Nulla è dato sapere invece circa l eventuale esistenza di una chiesa che, al più, poteva essere costituita da una piccola cappella, tanto che non se ne ha alcuna citazione né nei documenti del 1311 e del 1387, né tanto meno in quelli cinquecenteschi costituiti dagli Annali del Giustiniani (1536) e dalle relazioni di Mons. Bossio (1582) 3. Si può presumere, pertanto, che la costruzione del primo nucleo dell attuale edificio sia da far risalire agli anni compresi tra il 1582 ed il 1603, che è poi la data ampiamente acquisita dell erezione in parrocchia della chiesa di San Rocco, da parte dell Arcivescovo di Genova, Mons. Orazio Spinola, che la assoggetta alla Plebania di Uscio 4. Il giorno 8 gennaio 1619, con apposita bolla, 1 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, pp Ivi, p Cfr. anche F. SENA 1981, p. 116 e segg. 3 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p Ibidem. Cfr. APSRO, fascicoli vari. La data del 1603 è riportata in molti dei volumi conservati in archivio

225 Fig. 1 Ognio, chiesa di San Rocco: pianta, scala 1:200 (elaborazione grafica R. Eseguiti). viene istituita presso la chiesa la Confraternita del Santissimo Rosario poi detta anche della Madonna. Nella fedele traduzione di Don Paolo Chighizola, datata 29/08/1818, si legge tra l altro: Vogliamo noi e onninamente comandiamo che si osservi, cioè che nella circonferenza del venerabile quadro di detta capella li Sacri 15 Misteri della Nostra Redenzione si dipingano, ed anco per il consentaneo riconoscimento di questa concessione nel medesimo quadro il Ritratto venerabile del Santo nostro Padre Domenico del sacro Rosario autore in atto di ricevere in ginocchio dalla mano della Vergine Maria la coroncina d orazione similmente si dipinga 5. È del 10 giugno 1634 l istituzione della Compagnia del Corpus Domini 6, mentre nessuna notizia si ha della formale erezione della Confraternita di San Biagio, anche se si pensa di poterla riferire al 1637 o al più tardi al 1639, 5 APSRO, Bolla generale dell Ordine dei Predicatori e Priore del Convento di S. Domenico di Genova, Gabriele Rosso, avente ad oggetto l istituzione, nella Chiesa Parrocchiale di Ognio, della Confraternita del Rosario (il Documento, che conserva il sigillo originale dell Ordine, è datato 08/01/1619), alla presenza, tra gli altri, del Cardinale Antonio Barberino, protettore della Pia ed universale arciconfraternita del SS. Sacramento nel tempio della B. Maria Minerva in Roma. Il vero e proprio atto costitutivo, che precede la bolla, risale ad alcuni anni prima ovvero al 22/04/1616, in Roma, presso il Convento di Santa Maria sopra Minerva. 6 APSRO, Miscellaneo lavoro per questa Chiesa Parrocchiale di San Rocco d Ognio lavoro di Paolo Chichizola moderno parroco di Ognio addì 27 giugno L istituzione venne pubblicata in Vaticano il 03/07/1634 ed esiste copia dell atto costitutivo trascritto, appunto, da Don Paolo Chighizola

226 data del primo registro della Compagnia conservato presso l archivio parrocchiale 7. Il periodo tra il 1635 ed il 1645 è caratterizzato da un intensa attività edilizia, grazie soprattutto all apporto determinante proprio delle confraternite e ad alcuni lasciti specifici aventi per oggetto opere in via di completamento o da realizzarsi ex novo nella chiesa: dal sopra menzionato registro si riesce a desumere la data di realizzazione del primo altare di San Biagio, ovvero gli anni ( la Compagnia di S. Biagio spende per essere andati a comprare la calcina e più per aver fatto fare l altare del S.to Biaggio 8 ) e quella della relativa ancona per la quale si incarica un artista genovese, come ampiamente descritto da Angela Acordon nelle note sul patrimonio artistico 9, mentre dal libro dei Legati alla Chiesa si apprendono alcune notizie relative allo stato di compimento delle altre cappelle. In quegli stessi anni, infatti, sono registrati numerosi lasciti alla Cappella del Rosario o della Madonna, a quella del Crocefisso o di S.to Terrenziano (1635), alla Cappella di N. S. Gesù Cristo, poi del Corpus Domini (1639), tutte quindi esistenti in una qualche forma, seppur molto semplice, mentre sembrerebbero ancora in fase di completamento le coperture, sulle quali il maestro Batta Monaco interviene nel e la zona del coro, per la quale si registra un lascito per fabricare o il coro o il campanino (1637) 10. A proposito della realizzazione dell altar maggiore, nel 1642 è registrata una curiosa spesa per hauere amazzato il maialone quando si fece l altare mentre dello stesso anno è un lascito per ogni volta che faranno fare l altare in mezo del coro o per calcina o per pagare li maestri quando si farà e il donante sarà morto 11 e pertanto si può considerare questo come l anno di inizio dei lavori dell altare originario, per certo concluso poco dopo. Nel 1646, per volontà dell Arcivescovo di Genova, Card. Stefano Durazzo, il comune di Neirone viene eretto in vicariato indipendente da quello di Uscio e, proprio in quell occasione, si redige una relazione che illustra lo stato della parrocchia: essa è incentrata prevalentemente sul numero di fedeli che hanno ricevuto o devono ancora ricevere il Santissimo Sacramento e sulla povertà della chiesa 12, oltre a contenere in allegato l inventario dei beni compilato dal Rettore Giuseppe Cagnolo 13. A seguito dell erezione in vicariato, come si evince dai registri delle Confraternite nonché dal Libro dei Conti che data a partire dal , i lavori subiscono un certo incremento nel ventennio e riguardano tanto le parti cosiddette comuni, quanto le singole cappelle. Da un lato, infatti, i Massari della Chiesa finanziano i lavori all apparato dell altar maggiore 15, quelli del coro, dove si spende per realizzare la cornisione in legno, per sistemare le finestre e le relative vetrate ed infine per astrigare il coro (1652) 16 ; quelli in canonica, dove si consolida la muraglia ( ) che voleva andare giù 17 e in sacrestia, ove si porta a compimento la pavimentazione, ed infine quelli per il campanile che viene completato anche per quanto attiene alle campane, riparando prima quella esistente (1648) e successivamente acquistandone una nuova (1670) 18. Contemporaneamente le singole Confraternite, con propri fondi, si occupano delle rispettive cappelle cercando di dar loro una forma com- 7 APSRO, Libro della Compagnia di S. Biagio dal Ibidem. 9 Cfr. A. ACORDON, Ognio. Note sul patrimonio artistico, in questo volume. 10 APSRO, Libro de Legati della Chiesa di Ognio dal 1635, Ivi, APSRO, Miscellaneo lavoro, Stato antico della nostra Parrocchia di Ognio, datato 24 aprile. 13 Cfr. A. ACORDON, Ognio. Note sul patrimonio, in questo volume. 14 APSRO, Libro de Conti vecchi della Chiesa di Ognio. 15 Cfr. A. ACORDON, Ognio. Note sul patrimonio, in questo volume. 16 APSRO, Libro de Legati..., 1647, Ivi, Ivi, 1648,

227 Fig. 2 Ognio, chiesa di San Rocco: prospetto principale (foto R. Palmisani). piuta: la Cappella del Crocefisso sembrerebbe la prima ad essere terminata giacché nel 1647 si sta già provvedendo ad abbellirne l altare 19 ;la Cappella dedicata alla Beata Vergine del Rosario sembrerebbe invece risalire agli anni intorno al giacché la Compagnia spende per fare delle pietre e andare a Genova a comprare calcina e matoni, per chiappe, per fare la capella della Madonna (1659) e spende per le vetriate, per li maestri (1664) 20 ; quella del Corpus Domini è oggetto di un qualche restauro nel 1662 speso per maestro Giacomo Martinelli cioè dato a lui per la capella del Corpus Domini L. 21, per giornate e chiappe di maestro Crosiglia, per calcina, per fare pietre, per calcina. Infine la Cappella di San Biagio, il cui altare, come abbiamo visto, è esistente dal 1637, può dirsi conclusa nel 1666, avendo la Compagnia speso per Maestro Gio Angelo Crosiglia e chiappe, per Maestro Giacomo Martinello, per fare delle pietre (1665), per la vedriada della meza luna di S.to Biaggio, per fare abelire la capella di S.to B., per la chiappa dello altare, per la licenza per benedire la capella (1666) 21. L entusiasmo che accompagna la realizzazione dei cinque altari in questo ventennio viene molto ridimensionato per la consueta carenza di fondi che attanaglia spesso le chiese cosiddette povere e quindi nel 1664 la chiesa è costretta a chiedere l autorizzazione a demolire due degli altari già realizzati perché non si riescono a mantenerne gli apparati, dichiarando che quelli rimanenti saranno apparati alla decenza : la curia autorizza la demolizione dei due altari che provocano minor deformità 22. Il 15/04/1682 il visitatore apostolico Giulio Gentile, Arcivescovo di Genova, visita la chiesa emanando successivamente un decreto contenente alcune prescrizioni relative alle decorazioni, mentre non sembrerebbe che debbano essere compiute modifiche di tipo strutturale, il che fa pensare che la chiesa, in detta epoca, dovesse aver raggiunto una certa compiutezza nella forma. Tra l altro vi si legge: La Chiesa parrocchiale di S. Rocco di Ognio visitandone ha decretato come di sotto alla cui chiesa per Rettore serve il Rev.do Antonio Guerneri ha decretato dico, le anime di ricever il SS.mo Sacramento dell Eucarestia capaci n. 220, incapaci n ( ) Vi sono delle Compagnie. ( ) Si indori la chiave del Tabernacolo. Si rinnuovi l oro della Pisside e la si resti. L ostia dipinta nella portetta del T. sia bianca. Nella lunetta del Ostensorio si rinnuovi l oro. La pisside per l infermi nella parte superiore ed il di lei coperchio di dentro s indori e di fuori si (?) dealbi e se le metta la croce con la chiavetta. Il sacrario si chiuda con portetta e chiave. Si accrescano i fanali fino a sei. Insegni il Rettore in tutte le domeniche la 19 Ivi, APSRO, Libro della Compagnia della B. V. del Rosario detto anche della Madonna, APSRO, Libro della Compagnia di San Biagio..., ACC, fasc. 86, cartella , 1664, 21 luglio

228 dottrina cristiana pena la sospensione 23. Alcune piccole migliorie sono comunque apportate anche negli anni compresi tra il 1682 ed i primissimi anni del 700, con particolare riferimento ancora alle vetrate del coro 24,alle coperture 25 ed alla nuova campana 26 : tuttavia questi lavori di modesta entità non sono sufficienti a scongiurare la situazione di grave degrado nella quale la chiesa viene a trovarsi negli anni intorno al La prima supplica del Rettore di Ognio, Gio Agostino Guarnero e dei Massari della Chiesa Gio Bacigalupo e Giuseppe Raffetto riferisce infatti che nel 1718 La chiesa di Ognio minaccia rovina et è in sito di grande indecenza, il ché non si può riparare se non con rifarla da fondamenti 27, e lo stesso avviene con le petizioni successive del 1723 e del 1730, quest ultima tramite il procuratore Giulio Bacigalupo, costituito dai Massari stessi il 27/05/1728, il quale avanza un accorata supplica per ricevere fondi. In detta supplica si legge infatti che è diroccata la Chiesa Parrocchiale di S. Rocco della Villa di Ognio. Il culto divino richiede che sia reedificata per la salvezza eterna di tante anime le quali benché miserabilissime sono state pur redente col preziosissimo sangue di nostro Signore Gesù Cristo ( ). Siccome questo si rende impossibile di ciò eseguir non avendo più chiesa ( ), essendo diroccato il preesistente sacro edificio ( ) 28. E, nonostante l enfasi drammatica che spesso caratterizza queste richieste di fondi, si dovrebbe poter affermare che lo stato della chiesa doveva essere effettivamente miserrimo giacché negli anni a partire dal 1728 sono documentati lavori di un certo peso in tutti i registri di spesa delle singole confraternite e nel già citato Libro dei Conti vecchi della Chiesa di S. Rocco di Ognio. Negli anni fino al 1740, in particolare, sono registrati numerosi pagamenti ai vari capo mastri e muratori, tra cui Stefano Raffetto e Giacomo detto il Salto, per il rifacimento della facciata 29, della porta 30 e del campanile 31, oltre che naturalmente per la canonica 32. Un discorso a parte lo meritano gli arredi e gli altari: se dei primi narra ampiamente Angela Acordon nella sua trattazione 33, relativamente a questi ultimi, che come abbiamo visto dovevano essere stati ridotti da cinque a tre nel 1664, sap- 23 APSRO, Miscellaneo lavoro, Documento antico, 1682 giorno di mercoledì 15 di aprile a mezzogiorno Visita Pastorale. Ill.mo e Rev.mo Giulio Vincenzo Gentile arcivescovo di Genova e visitatore apostolico. Esiste sia l originale, datato 27/11/1684, che l estratto, copiato da Don Paolo Chighizola e datato 02/02/ APSRO, Libro della Compagnia, 1684: la Compagnia del Rosario spende per la vetriata del coro. Ivi, 1684: la Compagnia di San Biagio ha pigliato in cascietta per la vedriada del coro. APSRO, Libro de Conti vecchi, 1685: i Massari della Chiesa hanno speso per la vedriada del coro. 25 APSRO, Libro della Compagnia di S. Biagio, La Compagnia di San Biagio ha speso delli denari di S.to Biaggio, per tante chiappe per coprire la chiesa (1694); di più pagato per chiappe per la chiesa (1695). 26 APSRO, Libro della Compagnia, La Compagnia del Rosario spende per far fondere la campana. APSRO, Libro de Conti vecchi, I Massari della Chiesa hanno speso per la campana, per il batacchio della campana grossa (1700), pagato per il resto della campana al signor Innocenzo Guano d ordine del campanaro (1701), per fare la campana (1703). APSRO, Libro della Chiesa dal 1661 al 1745, Si é speso per far fondere la campana in tutto per metallo e per il pagamento delli operai. 27 ACC, fascicolo 86, cartella , 14 maggio. Giacché la chiesa non ha un proprio reddito, si chiede di poter vendere due terreni della chiesa col cui ricavato si potrà dare principio alla fabbrica. Richiesta analoga per un altro terreno da vendere alla chiesa di Lumarzo dell aprile 1723: presumibilmente il terreno è stato venduto ma sono sorte delle controversie che si chiede al parroco di placare. 28 APSRO, Miscellaneo lavoro, Antica petizione, datata 7 giugno, copiata da Don Paolo Chighizola il 16/06/ APSRO, Libro della Compagnia, La Compagnia del Rosario spende per la fabbrica della chiesa cioè pagare li maestri, e ancora per la fabbrica e per il medio della facciata. Seguono altri pagamenti nel 1729, 1735, Analoghe spese, anche nei confronti dei muratori, sono sostenute nello stesso periodo dalla Compagnia di San Biagio (1729), dai Massari della Chiesa (1728, 1729, 1730, 1734), dalla Compagnia del Corpus Domini (1730, 1731). 30 APSRO, Libro della Chiesa, Spese fatte per condurre le pilastrate delle porte; per comprare la pilastrata delle porte e per scopelino di sua spesa e più dato a maestro Giacomo detto il Salto per le sue giornate fatte in chiesa L. 326, per chiappe per li altari, per hauere fatto la porta della chiesa. 31 APSRO, Libro della Chiesa, Speso per resto per calcina quando si è fabbricato il campanile. 32 APSRO, Libro della Compagnia, 1737, Sono documentate nel relativo registro agli stessi anni anche altre spese da parte dei Massari della Compagnia di San Biagio. 33 Cfr. A. ACORDON, Ognio. Note sul patrimonio, in questo volume

229 Fig. 3 Ognio, chiesa di San Rocco: volta (foto R. Palmisani). piamo per certo che si interviene sull altare del Corpus Domini e su quello della Madonna, oltre che sull altar maggiore. Infatti i Massari della chiesa nel 1735 hanno speso per calcina, e porto e per cera e marmo nuovo e gesso corda novi, e denari al stucadore e nel 1736 hanno speso li danari per fare stucare la capella di S. Antonio da Padova e l altare maggiore e per il resto si doveva al stucadore della Capella della Madonna e del Corpus Domini 34. Come si vede, viene citata per la prima volta la cappella di Sant Antonio da Padova presso la quale verrà formalmente eretta il 28/01/1769 la Compagnia della Madonna del Carmine, anche se le spese sostenute dalla medesima Compagnia sono documentate già a partire dal :si può supporre, quindi, che detta cappella - la prima a sinistra entrando - sia stata realizzata proprio nel periodo in questione in uno degli spazi lasciati liberi dalle demolizioni del secolo precedente. Il giorno 01/11/1750 la chiesa di San Rocco è onorata dalla visita pastorale di Mons. Giuseppe Maria Saporiti il quale sembra riconoscere che i lavori, forse conclusi in maniera un po approssimativa in occasione della sua visita, debbano essere necessariamente ripresi affinché la chiesa abbia un aspetto complessivamente più decente. Decretiamo e ordiniamo come di sotto: Dell Ill.mo Sag.to dell Eucarestia. Il Tabernacolo dell Altare Maggiore al di dentro da ogni parte si cuopra di un panno di seta di color bianco e la di lui portetta sia di legno, ovver fatta di ricalco pregiata di entro di panno anzidetto e al di fuori elegantemente lavorata e la di lui chiavetta sia d argento, ovvero almen dorata. La chiavetta però del Tabernacolo, in cui la Ss.ma Eucarestia conservasi, a niuno sia lecito eziandio ad un brieve tiempo di ritener appresso. ( ) Del Battisterio. Il fonte battesimale abbia nella di lui esteriore sommità qualche immagine, la qual Cristo Signore dal Santo Precorsore battezzato ne rappresenti. Delle Sedi Confessionali. All una delle due sedi confessionali si levino le grate e se ne ripongano altre co fori più stretti. L una e l altra però abbiano affissa al di dentro dall uno e dall altro lato qualche immagine, la qual la dominicale Passione ne rappresenti. De Sepolcri. Si scavi un nuovo Sepolcro in cui soltanto cadaveri di uomini si seppelliscano; gli restanti però due si assegnino, vale a dire uno per gli fanciulli e l altro per le donne e ciascheduno di loro per propria iscrizione si distingua. Degli Altari. Nell altare Maggiore e nell Altare sotto il Titolo di S. Biagio avvegnacche nell Atto della Visita per mezzo di fabbri murari si ristorassero, non vi si celebri sacrificio se non pria sian stati benedetti. Nell Altare sotto il titolo di S. Antonio il Tabernacolo di un panno di seta del colore già menzonato dentro si fregi e la di lui portetta in più decente forma si ridu- 34 APSRO, Libro della Chiesa, APSRO, Libro de Conti vecchi, APSRO, Statuto della Compagnia eretta il 28/01/1769 presso l altare di Sant Antonio da Padova

230 ca. Degli Oneri di Messe. In Sagristia, quando la medesima sarà finita e intrattanto in coro, si affigga ed affissa si servi una tavoletta in cui siano descritti tutti i carichi di messe istituiti in detta chiesa. ( ) Dell Archivio. Nella casa canonicale, ovvero quando sarà finita, nella Sacristia, si faccia l archivio i cui gli predetti Libri e qualunque altre scritture alla prefata chiesa si custodiscano 36. Forse anche in seguito alle prescrizioni del decreto arcivescovile si comincia ad intervenire quasi subito sulla chiesa, dapprima comprando una nuova campana ( speso per campana grossa in Lumarzo e speso ancora per campane fondate nella piazza di S. Rocco ) 37, poi ristrutturando completamente la Cappella di San Biagio ( spesa fatta per la Cappella di S. Biaggio, cioè per mattoni, gesso, colori, penelli, di più per gesso, e polvere di marmo, e porto, di più per dati alli stuccatori per pagamento ) 38 ed infine realizzando l altare maggiore, oltre naturalmente ad alcuni interventi sugli arredi sacri, per i quali si rimanda alle note di Angela Acordon 39. In merito alla realizzazione dell attuale altar maggiore, si deve sin d ora far presente che la data del 1757 proposta dai Remondini 40 deve essere posposta agli anni : si parte, infatti, con la raccolta spontanea di denaro scosso dalla buona gente per la fabrica dell altar maggiore di marmo (1763), per proseguire con le spese fatte per l altar maggiore di marmo, si è dato al Marmoraro à conto, spesa fatta per porto dell altare, e balaustri, spesa fatta per il Maestro da Casola per ergere l altare giornate n. 16 (1766); spesa fatta per dare la paga al marmoraro per l altare (1767 e 1768), e concludere con le spese per accomodare balaustri (1777). Il marmoraro citato è quel Felice Solaro al quale vengono saldati definitivamente i conti il 22/08/1769, come previsto dal contratto depositato presso il Notaio Ferdinando Ferrari in Ferrada, solo grazie al generoso contributo ai Massari di San Rocco da parte di un fedele 41. Mentre proseguono i lavori in chiesa, giacché si registra una spesa fatta per colori per la chiesa, per penelli, per calcina biancha 42, i fedeli, sotto l impulso delle varie confraternite, riescono a raccogliere anche i soldi per acquistare l Indulgenza Plenaria e, dopo aver presentato formale richiesta con un documento datato 15/04/1785, la ottengono da Papa Pio VI il 12/06/ Dopo la concessione dell Indulgenza, si hanno a disposizione nuovi fondi per eseguire altri lavori tra cui il restauro della facciata, effettuato da un autore lombardo, tal Giacomo Martinengo detto il Zingaro. Li massari pro tempore della Chiesa Raffetto e Lagomarsino hanno fatto lavorare alla canonica, piazza della Chiesa e facciata ristorata, ed hanno preso per capo maestro un lavoratore lombardo nominato Il Zingaro al quale terminato il lavoro di L. 400 a lui dovute hanno dato ac conto lire 198 oltre le spese di vitto che hanno fatto (1794); nel 1796 hanno dato al sudetto capo maestro L. 132 poi altre 32, rimane debitore di L. 38 ma le aspetta fino all anno venturo Infine i Massari della Chiesa hanno assaldato il conto a Giacomo Martignone, figlio del capo maestro cognominato il Zingaro, e li hanno dato a saldo L La situazione delle diverse Confraternite erette nella chiesa non è sempre molto chiara e nel 1799 e di nuovo nel 1818 risultano esistenti quelle della Chiesa, del Corpus Domini, della 36 APSRO, Miscellaneo lavoro, Visita Pastorale di Mons. Giuseppe Maria De Saporiti del primo novembre. Esiste sia l originale, datato 27/11/1684, che l estratto, copiato da Don Paolo Chighizola e datato 27/08/ APSRO, Libro degli ascritti alla Madonna del Carmine l anno 1870, Già negli anni si deve registrare il tentativo di far riparare a Genova la campana e la decisione di comprarne una nuova. 38 Ivi, 1759 e Cfr. A. ACORDON, Ognio. Note sul patrimonio, in questo volume. 40 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, pp APSRO, Libro degli ascritti..., Quietanza in atti del Notaio Giuseppe Maria Morchio, ricopiata nel presente registro. 42 Ivi, APSRO, Miscellaneo lavoro, APSRO, Libro degli ascritti,

231 Madonna, di Sant Antonio, di San Biagio, di San Vincenzo, delle Anime Purganti. Nel 1801 l Arcivescovo di Genova Giovanni Lercari concede l altare Privilegiato secondo il Breve Pontificio alla Chiesa Parrocchiale di S. Rocco di Ognio e stabilisce per privilegiato l Altar Maggiore della medesima da durare dal presente infrascritto giorno sino al giorno 15/11/1807 : tale privilegio sarà rinnovato sotto il regime di Andrea Cevasco, predecessore di Don Paolo Chighizola, fino al Sembra che nel 1821, tuttavia, la chiesa di Ognio necessiti di ulteriori restauri, come scrive Don Paolo Chighizola in una supplica ai Benefattori delle Chiese povere al fine di ottenere alcune sovvenzioni: La chiesa parr.le di S. Rocco di Ognio si trova di presente bisognosa di parecchi ristori, giacché il tetto è logoro dalla vecchiezza e notabilmente offeso, le vetriate vecchie, e in cattivo stato, il pavimento anch esso guasto assai, e la canonica rigida senza il riparo de vetri, oltre la scarsità molta di biancheria per la Sacristia 46. Don Paolo Chighizola, o Chichizola, da Zoagli, merita una particolare citazione per aver riordinato i documenti dell Archivio parrocchiale che abbracciano i primi due secoli di storia della chiesa, durante il suo rettorato tra il 1818 ed il 1827, anno della sua compianta morte; il suo successore, Giuseppe Raffetto da Ognio, Rettore tra il 1828 ed il 1858, non si dimostra all altezza ed anzi viene ripetutamente accusato dalla popolazione di aver spogliato la chiesa dei sacri arredi per venderli ad orafi che poi infatti testimonieranno contro di lui e ne causeranno il definitivo allontanamento. Esemplificativa della pesante situazione venutasi a creare è la lettera di una parrocchiana che scrive per conto di una parte della popolazione di Ognio, lamentandosi circa il fatto che i beni della chiesa siano affidati ad uno il quale ebbe il coraggio di spogliarla perfino delli arredi i più sacri. Il Raffetto viene così allontanato per 5 anni, ma se ne lamenta in Curia, chiedendo di essere sottoposto ad un regolare processo e di essere reintegrato; viene temporaneamente riammesso ma nel 1853 fioccano nuove accuse nei suoi confronti ed egli è definitivamente allontanato nel 1858 con provvedimento del Ministero di Grazia e Giustizia 47. Intorno agli anni un epidemia di colera colpisce il Genovesato ma non Ognio e forse per questo motivo si vorrebbe provvedere ad un rinnovo di alcuni degli arredi della chiesa dedicata al Santo cui si dovrebbe lo scampato pericolo: se una qualche modifica potrebbe essere avvenuta, per certo non può trattarsi del pressoché totale rifacimento menzionato da parte della bibliografia consultata che incorre in un errore di datazione di circa un secolo, postdatando al 1837 il completo rinnovo della chiesa e degli altari, intervento che è invece più correttamente avvenuto negli anni intorno al 1737, come si è potuto appurare consultando la documentazione d archivio 48. Alla metà dell 800, infatti, la chiesa non solo presenta una pesante situazione debitoria 49,ma si trova sempre in pessime condizioni di conservazione, come risulta da una dettagliata relazione risalente al Sguardo volto al piazzale e nel vederlo così spoglio ed informe e tutte le muraglie cadevano a terra ( ); ma quale triste spettacolo non ti si presentava la facciata della chiesa, tutta piena di buchi, sconnesse le chiappe, del tutto scrostata ed informe la sacristia, un mucchio di ciottoli servivano da scalinata. La torre o campanile tutto aperto, sporco, due volte percosso dal fulmine ed intanto la pioggia tramandava in chiesa una gran quantità d acqua; la canonica a pezzi APSRO, Miscellaneo lavoro, Ivi, Supplica del 2 febbraio. 47 ACC, fasc. 86, cartella Cfr. F. SENA In particolare egli afferma che: nel 1837 la Chiesa viene ingrandita per poterla dotare di cinque altari, il maggiore dei quali è comunque precedente e risale al APSRO, Miscellaneo lavoro, Del 6 ottobre è un Prospetto dei debitori della Parrocchia di San Rocco di Ognio che si sono tassati per le campane e che non hanno ancora pagato le tasse, avendo la Chiesa pagato per loro ai signori fratelli Boero (?) fondatori di Campane in Genova 800 il 14/04/ Ivi, agosto

232 Già l anno successivo, tuttavia, vengono intrapresi consistenti lavori di restauro, come si legge nella Memoria dei lavori fatti fare in questa chiesa parrocchiale di Ognio cominciando dall anno : in particolare si apprende che si procede al ristoro della facciata con nuova croce e nuovo ordine con scalinata di chiappe, al ristoro della cupola e del campanile, avendo fatto chiudere i quattro fenestroni inferiori a quelli delle campane; nuovi ordini di cornicioni e capitelli ( ), al riadattamento delle scale e solai del campanile, nonché al rifacimento del piazzale esterno e ad opere non meglio precisate riguardanti il tetto della chiesa 52. Per quanto attiene alla canonica, la stessa viene costruita ex novo a partire dal 1863, in base ad un disegno di Agostino Gardella dell anno precedente, non senza aver dovuto attendere comunque il permesso di abbattere tre alberi 53. Non si trova conferma in archivio, invece, di alcuni lavori citati in bibliografia, tra cui il rifacimento del coro, con la relativa statua lignea di San Rocco, nel e il posizionamento in facciata della statua del Titolare nel 1875, avallata unicamente dalla data incisa nel piedistallo 55. Nel 1896 la chiesa è oggetto di visita pastorale da parte del Vescovo di Chiavari, Mons. Fortunato Vinelli che, nella sua relazione sullo stato materiale e spirituale della Chiesa, fa presente che la popolazione è ben governata, molto pia ed anche che la chiesa si trova in buone condizioni di conservazione per cui nulla vi è da ordinare 56. Nei primi anni del Novecento non sono documentati lavori murari di particolare entità, mentre si registrano spese più consistenti per i restauri degli arredi e delle tele 57, per l acquisto e la riparazione delle campane dai fratelli Picasso ma soprattutto per la decorazione della volta ad opera di G. B. Ghigliotti e Giovanni Pellegrini 58, intervento quest ultimo che risale al 1906, come riportato già in parte della bibliografia 59. Degne di nota, invece, sono le spese relative al rifacimento del campanile che viene iniziato nel 1922 e concluso alla fine del 1924, come testimoniato anche dalla lapide murata all esterno della chiesa che ricorda la consacrazione del gennaio 1925 da parte del Vescovo di Chiavari Amedeo Casabona. Di un certo rilievo, infine, sono anche le spese per il rifacimento dell altare del Carmine nel 1929 e quelle per il restauro dell organo, che risalgono al Ivi,1860. Relazione a firma del Parroco Domenico Ginocchio. 52 Ivi, I lavori al tetto parrebbero essere cominciati il 9 settembre. 53 Ivi, Cfr. F. SENA 1981, p. 116 e segg. 55 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p APSRO, Relazione della visita pastorale di mons. Fortunato Vinelli, Cfr. A. ACORDON, Ognio. Note sul patrimonio, in questo volume. 58 APSRO, Spesa della Chiesa di S. Rocco di Ognio dalla 1 a domenica gennaio 1894 e seguito, 1903 e Cfr. F. SENA 1981, p APSRO, Spesa della Chiesa di S. Rocco, , 1929,

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234 OGNIO NOTE SUL PATRIMONIO ARTISTICO Angela Acordon Fig. 1 Anonimo scultore ligure, fine XVI-inizi XVII secolo, Cristo crocifisso. Le prime notizie relative al patrimonio artistico della chiesa di San Rocco di Ognio, eretta in parrocchia nel 1603 dall Arcivescovo di Genova Orazio Spinola 1, risalgono al 7 settembre 1617, data dell inventario redatto dal rettore Giacomo Sapata 2. In quell anno, fra i beni della chiesa sono annoverati un tabernacolo in legno dorato per il Santissimo Sacramento; quattro angeli, due per l altar maggiore e due per l altare della Madonna; parecchi paramenti, alcuni dei quali qualificati già come vecchi e logori; un crocifisso grande sopra di un altare et uno picholo portatile; una imagine de la Madonna di legno, con due veste; uno batisterio de marmoro biancho picholino; tre tele turchine una da crovire l anchona de l altar mazore, una da crovire la Madona, una da crovire il Crucifiso grande; uno confalone de la Madona del Rosario 3.Si è presi da una certa amarezza nel constatare che, a causa dell usura del tempo e della poca accortezza degli uomini, quasi nulla di quanto menzionato nell inventario faccia ancora parte del patrimonio della chiesa. Perduta l ancona dell altar maggiore e la Madonna di legno non meglio specificata, ma forse da ritenere, come vedremo più avanti, un manichino raffigurante la Madonna del Rosario, pare esserci pervenuto solo il Crucifiso grande, probabilmente identificabile con quello attualmente collocato nel presbiterio (fig. 1), per la sua antichità e il suo discreto stato di conservazione da considerarsi, assieme al sottostante altar maggiore, l opera di principale interesse oggi conservata nella chiesa di San Rocco. La fisionomia del viso e l andamento del perizoma morbidamente raccolto su un lato, la risoluzione dell anatomia col torace regolarmente segnato dalle costole, la resa descrittiva e nettamente definita dei capelli e della barba inducono a datare il Crocifisso fra la fine del XVI e i primissimi anni del XVII secolo 4. Inizialmente sull altare del Crocifisso, l opera era già bisognosa di restauri il 16 aprile , veniva dotata di nuovi canti nel 1763 per una spesa di 22 lire 6 e compariva nuovamente, assieme ad altri due crocifissi piccoli, nell inventario steso il 26 agosto 1818 da Don Paolo Chichizola 7. Appena più tardo è certamente il tabernacolo per gli olii santi a destra dell altar maggiore (fig. 2), con cornice in ardesia recante nella parte superiore l iscrizione OLIO S., che ne sottoli- 1 Cfr. S. MONTINARI, Chiesa di San Rocco di Ognio. Notizie storiche, in questo volume. 2 ACC, fasc Ibidem. 4 Il Crocifisso è citato al numero 61 dell inventario del 1646, cfr. APSRO, Libro dei Legati della Parrocchia di Ognio dal 1650 al APSRO, Libro de Conti vecchi della Chiesa di Ognio. Il lavoro costò 22 lire. 6 APSRO, Libro degli ascritti alla Madonna del Carmine l anno APSRO, Miscellaneo lavoro per questa Chiesa Parrocchiale di San Rocco di Ognio lavoro di Paolo Chichizola moderno parroco di Ognio addì 27 giugno

235 Fig. 2 Ignoto lapicida degli inizi del XVII secolo, tabernacolo per gli olii santi. nea la peraltro già ben chiara funzione, e il monogramma cristologico a rilievo. In precario stato di conservazione, il tabernacolo, la cui porticina lignea presenta ormai labili tracce di un antica pittura, è ornato sui lati da motivi a candelabra e, nelle fasce superiore e inferiore, da sottili racemi, motivi decorativi che riconducono alla cultura tardorinascimentale, ma che ben s inquadrano in una produzione artigianale dell inizio del XVII secolo. Nel 1636, nell ambito della costruzione dell altare intitolato a San Biagio 8, la parrocchia s impegna nella spesa di lire 5 e soldi 4 per far eseguire a Genova il quadro di San Biagio 9, certamente già concluso il 18 dicembre se quel giorno l Arcivescovo concedeva ai parrocchiani il permesso di richiedere e raccogliere offerte per terminare il pagamento dell opera. La licenza di questua, curioso e raro documento che testimonia forse di una prassi per ora poco nota, è valida per i successivi tre giorni nella città di Genova e per tutto il viaggio di trasferimento della tela fino a Ognio 10. Il dipinto oggi collocato sull altare intitolato a San Biagio non corrisponde tuttavia a quello realizzato nel Lo si evince dall esame dei caratteri stilistici, che inducono a datare l opera già nella seconda metà del XVII secolo, nonché dal differente soggetto trattato. Al numero 63 del già citato inventario del 1646 si legge infatti: una ancona dove è depinto Sto Biaggio con Sto Gio. Sto bartolomeo, Sto Giuseppe, e Sto Francesco che sta sopra la sua altare. Si tratta dunque, ad evidenza, di un altra tela che, rispetto a quella ancora conservata (fig. 3), raffigura, oltre a San Biagio, San Giovanni Battista e San 8 Cfr. S. MONTINARI, Chiesa di San Rocco di Ognio..., in questo volume. 9 APSRO, Libro dei Legati. 10 ACC, fasc

236 Fig. 3 Anonimo pittore genovese della seconda metà del secolo XVII, San Biagio in cattedra fra San Giovanni Battista e San Bartolomeo, 1677 (particolare). Fig. 4 Anonimo pittore genovese della seconda metà del secolo XVII, San Biagio in cattedra fra San Giovanni Battista e San Bartolomeo, 1677 (particolare). Bartolomeo, anche San Francesco e San Giuseppe. Il dipinto del 1636 era già bisognoso di restauro l anno successivo, quando sono registrate spese per havere pagato il pittore che è venuto a rafrescare e accomodare l ancona che si era guastata quando la portarono 11, un restauro che probabilmente non condusse al totale recupero del quadro, rendendo necessaria poco dopo l esecuzione di un altra opera. La tela raffigurante San Biagio in cattedra fra San Giovanni Battista e San Bartolomeo (figg. 3, 4) risale infatti al 1677 e fu realizzata a Genova per la cifra, comprensiva delle spese di trasporto, di lire 89,10. L anonimo autore echeggia, con esiti meno delicati e modi più rudi, le scelte stilistiche, al tempo già diffuse e apprezzate, di Domenico Piola e mostra tangenze col procedere dell ancor poco conosciuto Pietro Raimondi, come con consueta e generosa acutezza mi invita a osservare Massimo Bartoletti. Lo scioglimento della personalità di questo artista, annoverato fra gli allievi diretti di Domenico Piola da Carlo Giuseppe Ratti 12, è stato per molti anni affidato solo alla tela raffigurante l Apparizione di Cristo a Santa Caterina della chiesa genovese della Santissima Annunziata di Portoria, citata dal biografo e alquanto vicina alla pala di Ognio, ma recentemente si è approfondito grazie al reperimento di un opera firmata nella parrocchiale di Rezzo, già attribuita al figlio di Domenico Piola, Anton Maria 13. Chiunque sia l autore del San Biagio in cattedra di Ognio, discendono da Domenico Piola le fisionomie di San Giovanni Battista e di San Bartolomeo, colti in un assorta distanza che sembra caratterizzare le scelte espressive dell artista, mentre l andamento dei panneggi e il loro ductus pittorico, pur rammen- 11 APSRO, Libro dei Legati. 12 Cfr. R. SOPRANI, C. G. RATTI 1768, II, p.51; E. GAVAZZA 1987, II, p Cfr. A. GIACOBBE 1993, p. 205, tav. 13. La firma di Pietro Raimondi è emersa nel corso di un restauro effettuato da Riccardo Bonifacio sotto la direzione di Franco Boggero

237 Fig. 5 Anonimo pittore genovese degli inizi del XVIII secolo, Cristo risorto. tando analoghe soluzioni piolesche, non può essere meglio analizzato a causa dell inclemente ridipintura, forse risalente al restauro, comprensivo dell acquisto di una nuova cornice, eseguito nel Di proprio, il pittore rivela soprattutto una tendenza all allungamento delle figure, che trova riscontri nell ampio seguito di Valerio Castello e in particolare in pittori come Giovanni Battista Merano. Il 9 giugno 1709 viene costruito il fonte battesimale 15, non identificabile con quello attuale. Quest ultimo, composto da un prospetto a tabernacolo eseguito nel 1939 per una spesa di lire , presenta una porticina lignea pagata nel 1940 a Gino Raffetto 17 ed è chiuso da un cancello in ferro battuto ispirato alle fluidità vegetali rococò, ma ascrivibile a un tale fabbro Raisio di Cicagna, che lo consegnò nel Stilisticamente riferibile agli inizi del XVIII secolo è anche la porticina di tabernacolo dipinta a olio su rame raffigurante Cristo Risorto (fig. 5), che il soggetto rappresentato farebbe pensare proveniente dall altare del Crocifisso, ma le cui misure corrispondono così esattamente alla porticina del tabernacolo moderno dell altar maggiore da far pensare che sia stata realizzata per quella sede. Un dipinto che rivela la conoscenza della pittura genovese tardo seicentesca legata al linguaggio di Giovanni Andrea Carlone, gradevole nella ricerca degli accostamenti cromatici e, nonostante le ridotte dimensioni, assai curato nei particolari. L opera di maggior interesse ancora conservata nella chiesa è l elegante altar maggiore (figg. 6, 7), che i fratelli Remondini dicono eseguito nel recuperando quanto scritto in una piccola lapide successivamente spostata e collocata nel pavimento sotto la porta che immette al vano alla base del campanile. In effetti, nel gennaio del 1758, è registrata una spesa di 222 lire per l apparato dell altar maggiore, costituito da un baldacchino, quattro busti, sei candelieri e otto reliquiari 20. Se questo potrebbe far pensare all ornamento del nuovo altare, altre note d archivio inducono a posticipare, se non l esecuzione, almeno la consegna del manufatto, che andò a sostituire il vecchio altare eretto nel Nel 1768, infatti, vengono riscosse 438 lire dalla buona gente per la fabrica dell altar maggiore di marmo, ma già nel 1766 sono registrate altre spese per esso, fra cui un acconto al marmoraro di lire 854,250 per porto dell altare, e balaustri e 28 lire a tale Maestro da Casola per ergere l altare, giornate n. 16 (perché 14 Cfr. APSRO, Spesa della chiesa di S. Rocco di Ognio dalla 1 a domenica gennaio 1894 e seguito: Dato ad un pittore per rinfreschi del quadro di S. Biagio, L. 30 ; la cornice costò invece 18 lire. 15 APSRO, Libro della chiesa dal 1661 al APSRO, Spesa della chiesa. 17 Raffetto ricevette 120 lire per l esecuzione della porticina e di altri lavori non specificati, cfr. APSRO, Spesa della chiesa..., Il fabbro Raisio, se ne leggo bene il nome nella difficile grafia, ricevette 230 lire comprensive del cancello e di altri lavori, cfr. APSRO, Spesa della chiesa. 19 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, pp APSRO, Libro degli ascritti. 21 APSRO, Libro dei Legati

238 Fig. 6 Felice Solaro, Altare maggiore. l.4 ha pagate il rettore) 22. Anche se il lavoro verrà liquidato al marmoraro in altre tre soluzioni da lire 233,6,8 cadauna, rispettivamente nel 1767 e 1768, fino al saldo del 22 agosto , pare abbastanza chiaro che l arrivo e il montaggio dell altare sia avvenuto nel Il responso dei documenti conferma l impressione che l ignoto marmoraro citato nelle varie tranches di pagamento sia identificabile con Felice Solaro, che aveva bottega a Genova. Nel Libro degli ascritti al Carmine, alla data 22 agosto 1769, si legge infatti che in atti del notaio genovese Giuseppe Maria Morchio è conservata una quietanza di lire 233,6,8 per saldo a compimento di L. 700 fatta dal Sig. Pietro Carmarino a favore de Massari di S. Rocco d Ognio, obbligatisi ad esso per altretanto che dovevano al Signor Felice Solaro Marmoraro per l Altar Maggiore di marmo, come da instrumento fatto in atti del Signor Ferdinando de Ferrari in Ferrada 24. Di Felice Solaro, qui alle prese con una delle sue opere meglio riuscite, sono noti due altari già a Voltaggio, l altar maggiore dell oratorio di San Sebastiano del 1776, poi alienato alla chiesa dei Santi Rocco e Sebastiano di Parodi Ligure 25 e quello dell Arciconfraternita di San Giovanni Battista (pagamenti dal 1781 al 1787), del quale non è nota la sorte 26. Il marmoraro dovette essere molto attivo nel territorio oggi compreso nella Diocesi di Chiavari: al da tempo noto altare della chiesa di Santa Margherita a Moconesi 27, realizzato nel 1748, 22 APSRO, Libro degli ascritti. 23 Ibidem. 24 L altare venne a costare globalmente 1500 lire, cfr. APSRO, Libro degli ascritti. 25 Cfr. F. FRANCHINI GUELFI 1995, p Cfr. F. FRANCHINI GUELFI 2000, pp , con bibliografia precedente. 27 Ivi, p

239 Fig. 7 Felice Solaro, Altare maggiore (particolare). sono infatti da aggiungere quelli di Santo Stefano a Pannesi, con un primo pagamento del 1753 e un saldo del 1762, di San Giovanni Battista a Semorile del 1787 e di San Pietro Apostolo a Zerli, eseguito dal Sig. Felice Solari marmoraro Sotto Ripa nel , rintracciati da Agnese Avena e Alessandra Molinari nel corso della schedatura delle chiese della Diocesi di Chiavari 28.L impostazione dell altare con i grandi angeli laterali e il paliotto centrale ornato da una figurazione del Santo titolare della chiesa, la resa degli elementi decorativi e il recupero di soluzioni memori di quanto si faceva in quegli anni a Genova nella bottega di Francesco Schiaffino, fanno inoltre pensare che possano essere ascritti a Felice Solaro anche l altare della chiesa di San Lorenzo a Roccatagliata e - quasi certamente - quello di San Maurizio a Neirone, davvero simile all esemplare di Ognio 29. Fra le opere di suppellettile ecclesiastica sono da segnalare un turibolo (fig. 8) e una navicella (fig. 9) recanti il punzone Torretta e la data 1760, ma il cui decoro presenta alcune varianti (si veda in particolare la presenza delle teste di cherubini nel turibolo), tuttavia sempre riconducibili all esuberanza propria del gusto ornamentale settecentesco successivo al rococò.allo stesso periodo, ma forse di qualche decennio precedente, appartiene la parte superiore rimasta di un ostensorio (fig. 10) ornato da una raggera con nuvole, che si diparte da un nodo formato da due angeli che richiama motivi stilistici presenti nell argenteria ligure degli anni Venti e Trenta e in particolare, come mi suggerisce Franco Boggero, nei manufatti di Francesco Ghisolfo. Donata alla chiesa nel 1872, come risulta da 28 Ivi, p Cfr. A. ACORDON, Roccatagliata. Note sul patrimonio artistico, in questo volume; EADEM, Neirone. Note sul patrimonio artistico, in questo volume

240 Fig. 8 Ignoto argentiere genovese del secolo XVIII, turibolo. un iscrizione che non rivela il nome del benefattore, la lampada pensile (fig. 11), forse identificabile con quella fatta sistemare dal Signor Luigi Persico - definito aparatore - nel , presenta caratteristiche decorative che consentono di inquadrarla pienamente nella cultura artistica rococò, ma alcuni punzoni recanti oltre al marchio genovese Torretta la data di esecuzione creano qualche dubbio sulla sua esatta datazione. Su tutte le catene di sospensione si legge infatti la cifra 70, mentre nel corpo della lampada compare più volte la cifra 73. Si potrebbe pertanto cautamente affermare che la lampada sia stata realizzata nel 1773 e le catene nel 1770: l esecuzione nell avanzato XVIII secolo giustifica in ogni modo la resa più ferma di elementi ornamentali desunti dal repertorio rococò e la raffinata eleganza classicheggiante che prelude al periodo neoclassico. L inventario del 26 agosto costituisce un prezioso ante quem per la datazione dell ovale raffigurante Santa Caterina (fig. 12) e per la pala dell altare di Nostra Signora del Carmine. Di Santa Caterina si conservava una reliquia, che nel summenzionato inventario Don Paolo Chichizola, ricordando la festa e la novena che si celebravano in chiesa, dice essere andata smarrita 32, probabilmente assieme al suo reliquiario, eseguito fra il 1757 e il 1758 grazie a una raccolta di denaro, che conferma la sentita devozione verso la santa genovese nella parrocchia di Ognio 33. La realizzazione dell oggetto potrebbe aver costituito una buona occasione per invogliare un parrocchiano benestante, o un facoltoso frequentatore della chiesa, a donare il dipinto, fatto che spiegherebbe l assenza nell ar- 30 Persico ricevette per il lavoro 40 lire, cfr. APSRO, Spesa della chiesa..., 25 giugno APSRO, Miscellaneo lavoro. 32 Ibidem. 33 APSRO, Libro degli ascritti

241 Fig. 9 Ignoto argentiere genovese del secolo XVIII, navicella. chivio parrocchiale di pagamenti per la sua realizzazione o per il suo acquisto. L opera è stilisticamente databile attorno alla metà del XVIII secolo e rivela una notevole finezza della trama pittorica e della discreta e pausata dimensione emotiva ancora memore delle morbide stesure e delle efebiche tipologie di Bartolomeo Guidobono, attivo alla fine del secolo precedente. L anonimo autore non sembra tuttavia ancora toccato dalla cultura classicista, che nel 1751 dette luogo all istituzione dell Accademia Ligustica di Belle Arti. La tela, che per la presenza dell aureola attorno alla testa della santa può essere datata dopo il 1737, anno della canonizzazione di Caterina Fieschi Adorno, si colloca infatti nell ambito della produzione genovese influenzata dalla cultura marattesca romana e mostra affinità con il linguaggio di Domenico Bocciardo (Finale Ligure Marina, Genova 1746) 34. Meno interessante appare la Madonna del Carmine fra Sant Antonio di Padova e San Simone Stock, eseguita probabilmente poco dopo il 28 gennaio 1769, data dell istituzione della Compagnia del Carmine presso l altare di Sant Antonio di Padova 35, non a caso ricordato anche nell iconografia della nuova tela. Essa andò presumibilmente a sostituire l ancona dove è dipinto la Madonna con Sto Rocco e Sto Antonii e Sto Bastiani descritta dal parroco Pietro Giuseppe Cagnolo nell inventario del 23 aprile Perso il riferimento al suo altare d origine, la suddetta tela, per la quale è segnalato un restauro di 15 lire nel , finì forse per errare per la chiesa e risulta oggi smarrita. La Madonna del Carmine fra Sant Antonio e San 34 Sul pittore cfr. M. BARTOLETTI, in La Pinacoteca..., 2001, pp , scheda n. 82, con esauriente bibliografia precedente. 35 Cfr. S. MONTINARI, Chiesa di San Rocco di Ognio, in questo volume. 36 L ancona è citata al numero 60 dell inventario, a sua volta collocato alla fine del libro, cfr. APSRO, Libro dei Legati. 37 APSRO, Libro degli ascritti

242 Fig. 10 Ignoto argentiere genovese della prima metà del secolo XVIII, ostensorio. Simone Stock è frutto invece di un pittore locale piuttosto attardato, che, ormai pienamente all interno del XVIII secolo, ripropone in forme convenzionali, e alquanto artigianali, le invenzioni dei maggiori artisti genovesi della fine del secolo precedente, in particolare di Domenico Piola e dei suoi seguaci. Quando il 22 aprile 1616 venne costituita la confraternita del Santissimo Rosario nella chiesa di San Rocco di Ognio, da Roma si impose ai confratelli l esecuzione di un dipinto raffigurante i quindici Misteri e San Domenico in atto di ricevere il Rosario dalle mani di Gesù e Maria 38. Anche l attestazione dell avvenuta istituzione, documentata dalla Bolla Generale dell Ordine dei predicatori e Priore di San Domenico di Genova, Gabriele Rosso, datata 8 gennaio 1619, ribadisce che nell ancona del Rosario si dipinga l Immagine della Vergine in Fig. 11 Ignoto argentiere genovese della seconda metà del secolo XVIII, lampada pensile. atto di dare la coroncina del beato Domenico. E nella detta ancona i quindici misteri della medesima pinti ne risaltino 39. I confratelli non raccolsero tuttavia il pressante invito e rivolsero invece la loro devozione a un opera, che probabilmente già possedevano, così citata nell inventario del 7 settembre 1617: una imagine de la Madonna di legno, con due veste 40. La descrizione della Madonna come lignea, seguita dall indicazione di due vesti a lei strettamente associate, fa pensare che si trattasse di un manichino più che di una vera e propria statua. Tale sensazione pare rafforzata da altre notizie raccolte nell archivio parrocchiale. Nel prezioso inventario del 23 aprile 1646, l opera è citata al numero 62 semplicemente come una effige della Madonna del Rosario che sta sempre nello suo altare e le vesti, menzionate al numero 33, sono diventate tre 41. Inoltre, nel 1669 e nel 38 Cfr. S. MONTINARI, Chiesa di San Rocco di Ognio, in questo volume e APSRO, Libro di Varie memorie, e scritti per l archivio parrocchiale di S. Rocco di Ognio l anno del Signore Lavoro e fatica di Paolo Chichizola. 39 Cfr. S. MONTINARI, Chiesa di San Rocco di Ognio, in questo volume. 40 ACC, fasc APSRO, Libro dei Legati

243 Fig. 12 Anonimo pittore ligure della prima metà del secolo XVIII, Santa Caterina Fieschi Adorno. 1673, vengono acquistati - rispettivamente - un altra veste e un manto per la Madonna 42.La possibilità di trovarsi di fronte a un manichino parrebbe trarre alimento anche da una notizia riportata da Angelo e Marcello Remondini, che nel 1890 riferivano della presenza nella chiesa di San Rocco di una statua della Madonna vestita in stoffa 43, e dal fatto che il 15 marzo 1903 è nuovamente registrata una spesa di L.20,50 per acquistare una veste di Nostra Signora del Rosario compresa la guarnizione e la cucitura 44. Contro tale ipotesi sembra invece porsi il resoconto della visita pastorale del 6 luglio , che sull altare della Madonna del Rosario registra una Icona venerata effiges lignea bene picta. Tale descrizione sembrerebbe infatti meglio corrispondere a una statua vera e propria, ma, dal momento che il viso e gli arti dei manichini erano generalmente in legno, Fig. 13 Anonimo scultore ligure, fine XVIII-inizi XIX secolo, Madonna del Rosario. non si può escludere che si trattasse di uno di questi. Sta di fatto che il 4 gennaio , stendendo l inventario della chiesa, il nuovo parroco Domenico Ginocchio menziona due statue di Nostra Signora del Rosario, segno che, fra il 1750 e il 1859, ne era stata realizzata un altra. Appare tuttavia altamente improbabile identificare la statua più recente con un manichino in legno e stoffa, un tipo di manufatto, per quanto oggi si sa, legato a una cultura più antica e realizzato soprattutto fino al XVII secolo. La statua scolpita fra il 1750 e il 1859 dovrebbe dunque essere quella ancora conservata in chiesa (fig. 13), ma i maldestri interventi subiti dall oggetto rendono impossibile stabilirne l esatta cronologia. In particolare genera qualche dubbio l iconografia, che presenta la Madonna su un trono, secondo uno schema compositivo, al 42 APSRO, 1647 Libro della Compagnia della B. V. del Rosario detto anche della Madonna. 43 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p APSRO, Spesa della chiesa. 45 ACC, fasc Ibidem

244 Fig. 14 Santo e Giovanni Battista Panario, San Giuseppe con Gesù Bambino. quale l anonimo autore potrebbe essersi comunque rifatto in epoca più tarda, consueto fino al XVII secolo, ma meno usato in quelli successivi. Se si pensa alla sorte toccata a molte statue lignee, stravolte da una totale rigessatura e ridipintura, diventa scientificamente scorretto escludere che la Madonna del Rosario di Ognio possa essere identificata con i dati d archivio sopra citati e per il momento ipoteticamente riferiti a un altra opera, presumibilmente, come detto, a un manichino non più conservato. La scritta SANTO E GIO BATTA PANA- RIO FO. N apposta sul lato sinistro della tela e la richiesta all Arcivescovo del parroco Domenico Ginocchio di consentirgli la facoltà di benedire un nuovo quadro rappresentante San Giuseppe ad uso di questa chiesa Fig. 15 Anonimo scultore del XIX secolo, San Rocco, fugano ogni incertezza attorno all ovale raffigurante San Giuseppe con Gesù Bambino 47 (fig. 14). Menzionati da Federico Alizeri 48 come appartenenti a quella incerta generazione che prevenne le riforme dell Accademia, Santo (Genova ) e suo figlio Giovanni Battista Panario si caratterizzano, come ben rivela il quadro in esame, per un linguaggio improntato a una precisione quasi nazarena che anticipa soluzioni puriste, unito a una naturalezza sentimentale di sapore romantico. Al 1867 risale l organo, costruito dalla ditta genovese di Giacomo Poggi 49 e restaurato nel 1921 e nel , mentre nel 1868 fu realizzato il semplice ma elegante coro, un tempo ornato da una statua lignea raffigurante il titolare Rocco 51, non identificabile con quella, in gesso 47 Ibidem. 48 Cfr. F. ALIZERI 1866, pp Su Santo Panario cfr. anche F. CERVINI, in La Pinacoteca..., 2001, p. 159, scheda n. 87. Santo Panario lavorò anche per le chiese di Neirone (cfr. A. ACORDON, Neirone. Note sul patrimonio..., in questo volume) e di Roccatagliata (EADEM, Roccatagliata. Note sul patrimonio..., in questo volume). 49 Cfr. F. MACERA, D. MERELLO, D. MINETTI 2000, p Nel 1963 l intervento costò lire ed è segnalato come rinovazione dell organo che è riuscita ottima, cfr. APSRO, Spesa della chiesa. 51 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p. 293 e F. SENA 1981, p

245 Fig. 16 Anonimo scultore del XIX secolo, pulpito (particolare). dipinto, oggi conservata al centro dell abside e acquistata da un altra chiesa, secondo la memoria locale, ben dentro il XX secolo. Quest ultima opera andò certamente a sostituire la vecchia statua lignea, alla quale è da riferire la notizia che nel 1776 furono pagate 32 lire a un pittore per la statua di S. Rocco e lavoro d intorno 52. La devozione verso San Rocco da parte della comunità di Ognio, che attribuiva al santo titolare il merito di aver salvato il paese dall epidemia di colera che interessò Genova nel , è sottolineata dalla piccola scultura marmorea (fig. 15) collocata nel 1875 sulla porta d ingresso della chiesa, come risulta dalla data incisa nella parte inferiore della cornice. L impostazione e l andamento formale della statua si avvicinano così sensibilmente alla formella centrale del pulpito (fig. 16), attualmente separato dalla sua colonna di sostegno, da far pensare che le due opere siano state eseguite, se non nella stessa bottega, almeno nello stesso periodo. Realizzato in marmi policromi, giallo di Siena, nero, verde e rosso di Francia, il pulpito presenta infatti i caratteri stilistici propri dell Ottocento anche nella sua tendenza alla rimeditazione sui testi dei secoli precedenti. Nel 1894 tale Antonio Valente di Cicagna riceve 225 lire per i canti del Crocifisso e come acconto del sopracielo dell altar maggiore 53, ossia del baldacchino in legno intagliato e dorato (fig. 17), tipico prodotto del XIX secolo, recante sulla mossa cornice ornata da ovoli e fogliette gli attributi di San Biagio (tiara e pastorale) e di San Giovanni Battista (croce) e, all interno, la colomba dello Spirito Santo entro raggiera. Spese per la realizzazione o il restauro del baldacchino compaiono più volte nei registri parrocchiali, che consentono di capire come, prima di quello attuale, ne furono realizzati altri tre. Il primo, già fatto accomodare nel , fu eseguito forse poco dopo l erezione della chiesa e fu sostituito da quello comprato nel , mentre per il terzo, alla cui realizzazione concorsero tutte le Compagnie che avevano sede in chiesa, sono annoverate uscite dal 1737 al gennaio del , quando il Libro degli ascritti al Carmine segnala la spesa di 220 lire per l apparato dell altar maggiore composto da un baldacchino, quattro busti poi venduti 57, sei candelieri e otto reliquiari. All inizio del secolo scorso, con un unica fusione dei fratelli Picasso fu Matteo ed Enrico Picasso fu Gio Batta del 1903, furono realizzate le sei campane che, sulla nota della maggiore, compongono un concerto in re calante 58.Nel libro intitolato Spesa della chiesa di S. Rocco di 52 APSRO, Libro degli ascritti. 53 APSRO, Spesa della chiesa. 54 APSRO, Libro dei Legati. 55 APSRO, Libro dei Legati... e Libro de Conti. 56 APSRO, 1647 Libro della Compagnia..., 1737; Libro de Conti..., 1738; Libro della Compagnia..., 1738; Libro degli ascritti..., , 1745, 1758; Libro della chiesa..., Dall analisi della frequenza delle spese e della consistenza delle cifre sembra comunque probabile che il baldacchino sia stato realizzato fra il 1737 e il APSRO, Libro degli ascritti..., ottobre Le campane presentano tutte la stessa data, ma a Ognio si racconta che una di esse venne fusa nella piazza antistante la chiesa

246 Fig. 17 Antonio Valente, baldacchino dell altar maggiore, Ognio dalla 1 a Domenica gennaio 1894 e seguito 59, alla data 26 dicembre 1903 è infatti segnalato un pagamento di 860 lire ai fratelli Picasso fonditori, mentre al 16 giugno 1904 si legge dato al Signor Firpo venuto da Genova per il collaudo delle campane L Firmati e datati Ghigliotti G. B. fece 1906, gli affreschi della volta furono pagati al pittore, nato a Sestri Ponente nel 1853 e morto a Genova nel 1917, nel L artista, che nell occasione lavorò assieme a un certo Giovanni Pellegrini, da considerarsi forse un decoratore, ricevette lire per il ristoro della chiesa, ma credo plausibile che in tale voce fosse compresa anche l esecuzione del lavoro di decorazione pittorica, dato che nei libri dei conti non si ritrovano altri pagamenti ai due artisti e vista la consistenza della cifra ricevuta. Raffigurando Secondo Giorgio Costa, che per conto della Curia di Chiavari sta conducendo la schedatura di tutte le campane conservate nelle chiese della Diocesi e al quale devo le informazioni sopra riportate, è probabile che una delle sei campane possa essersi rotta subito e che sia stata rifatta sul posto nello stesso anno. 59 APSRO; il libro contiene notizie fino al I libri dell archivio parrocchiale riportano numerosissime volte voci di spesa relative alle campane, cfr. APSRO, Libro dei Legati..., 1648, 19 luglio; 1670, 15 novembre; 1853, 6 ottobre, foglio sciolto; Libro di Varie memorie..., 1860; Libro de Conti..., 1701, 21 febbraio e 20 giugno; 1703; Libro degli ascritti..., 1750, 1 novembre; 1753, agosto; 1770; 1773; 1774; 1777, 30 luglio; 1805; 1807; 1816; 1818, 26 agosto. Nell archivio della Curia di Chiavari è inoltre conservato un documento del 16 settembre 1787 col quale Luigi Picasso del quondam Giuseppe campanaro presente, a titolo di grazioso imprestito dà lire 200 di moneta corrente a Genova a Gio Batta Bacigalupo e Giacomo Raffetto, Massari della chiesa, da usare come mutuo per la costruzione di un nuovo mulino. La restituzione è prevista entro otto giorni. Nel febbraio del 1804 gli stessi Massari si costituiscono per altre 200 lire di fronte allo stesso notaio Gio Maria Benedetto Maggi. Anche in questo caso i soldi dovranno essere resi entro otto giorni. L archivio della Curia conserva anche un fascicolo con l estratto di alcune spese del 24 febbraio 1808, nel quale sono indicati vari esborsi per le campane. 61 APSRO, Spesa della chiesa

247 la Madonna del Carmine adorata da San Rocco, San Biagio e altri Santi (fig. 3 p. 228), fra cui San Francesco, San Giovanni Battista e Sant Ignazio, il grande medaglione centrale riassume tutte le devozioni presenti nella chiesa di Ognio e s inquadra più nella cultura pittorica tardo ottocentesca che in quella degli inizi del secolo successivo, come denota l assenza nella decorazione di elementi Liberty. Attivo anche nella chiesa di San Maurizio di Neirone, dove affrescò la volta della navata 62, Giovan Battista Ghigliotti, pur molto operoso anche per la città di Genova, manifesta una piacevolezza nella resa di alcuni particolari, ma soprattutto una certa difficoltà nella disposizione delle figure all interno di composizioni poco risolte e spesso troppo affollate. Particolarmente arduo appare il tentativo di abbinare correttamente i dati d archivio in nostro possesso ai gonfaloni ancora esistenti in chiesa. Senz altro perduto il gonfalone citato nell inventario del 7 settembre in quanto probabilmente sostituito forse da quello eseguito nel , scomparso inspiegabilmente quello raffigurante San Rocco che riceve il Rosario dalle mani di Gesù e Maria 65, restano altri tre stendardi. Il primo, a due facce raffiguranti sul recto la Madonna del Rosario e sul retro San Rocco in adorazione dell Eucarestia, è databile agli inizi del XX secolo e molto vicino allo stile di Giovanni Battista Ghigliotti; il secondo, ancora a due facce e apparentemente più antico, presenta sulla fronte l immagine di San Domenico in atto di ricevere il Rosario dalla Madonna col Bambino e dietro, ancora una volta, San Rocco in adorazione dell Eucarestia; il terzo, ascrivibile al XIX secolo, reca da una parte la Morte, effigiata in forma di scheletro con un ampio sudario, la falce e la clessidra e, dall altro, le Anime Purganti ai piedi della croce. Nessuno di questi stendardi, tuttavia, sembra stilisticamente riferibile al 1912 o al 1938, anni a cui, secondo quanto riporta il Libro della cassa delle Figlie di Maria conservato nell archivio parrocchiale, risale l acquisto di due nuovi gonfaloni pagati rispettivamente 425 e 550 lire. La pala d altare raffigurante San Luigi Gonzaga e San Filippo Neri in adorazione della croce risale probabilmente all inizio del XX secolo e testimonia la diffusione della devozione verso questi santi, ma senza rivestire particolare interesse dal punto di vista della risoluzione stilistica. 62 Cfr. A. ACORDON, Neirone. Note sul patrimonio..., in questo volume. 63 ACC, fasc APSRO, Libro della chiesa. 65 L opera, schedata nel 1977 da Fausta Salamino per conto della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico della Liguria, Scheda OA n. 07/ , era databile al secolo XVIII e potrebbe dunque essere identificata con il gonfalone del Le foto sono dell Archivio della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico della Liguria (Daria Vinco)

248 CHIESA DI SAN MARCO D URRI NOTIZIE STORICHE Stefano Montinari La chiesa di San Marco d Urri sorge in posizione isolata nei pressi dell antico percorso che da Acqua di Ognio sale, toccando prevalentemente nuclei di case sparse, in direzione di Colla dei Rossi e la Scoffera. La chiesa è ad unica navata e si sviluppa per 5,75 m in larghezza e 11 in lunghezza, oltre il presbiterio di m 6,20; addossata al lato destro è una piccola canonica a due piani, mentre l alto campanile che la fiancheggia sul lato sinistro appare in verità piuttosto sproporzionato per una chiesa di campagna, costituendo un emergenza visiva decisamente curiosa per il contesto circostante, dal carattere prettamente rurale. Prima di analizzare le vicende storiche che hanno concorso alla realizzazione dell edificio, può essere interessante trascrivere la descrizione che ne danno i Remondini verso la fine dell 800: ( ) La chiesa ad una nave larga m. 5,75 e lunga m. 11 oltre il presbitero di m. 6,20, fu nel 1875 e 76 così traforata profittando della incavatura già esistente delle cappelle da pigliar aspetto di chiesa a tre navi, assai poco armonizzanti. Essa ha tre soli altari, il maggiore con le balaustrate di marmo, quello del Rosario con statua di legno in piedi e quello di S. Carlo Borromeo, il quale però nel 1836 mutò titolare essendovi stata innalzata una statua in legno di N. S. Assunta in Cielo del moderno Stefano Valle: S. Carlo però vi si festeggia ugualmente. In coro avvi una discreta ancona rappresentante M. V. coi SS. Marco, Gio. Battista e Antonio abb. Nel 1875 fu anche riedificato il campanile già da parecchi anni atterrato, il quale riuscì sproporzionato alla facciata per la sformata sua altezza e in esso collocarono ben tre campane: e pur cento anni fa, cioè nel 1750 a detta del Rett. Solari, non avea neppur sacristia. Non trovansi neppur antichità in questa chiesa, che tale non è la lavagna che scusa l architrave della porta come a Neirone, ove è scolpito a lato del monogramma di Gesù: Sanctus Marcus IHS anno Fig. 1 San Marco d Urri, chiesa di San Marco: veduta (foto R. Palmisani). Però attrasse il nostro sguardo un antichissimo confessionario con intagli ed un pancone con epigrafe scolpita nel dossale sotto lo stemma Avanzino a motivo di una lite agitata e vinta nel 1753 della Sig. Maria Caterina Avanzino in Macaggi, relativo al diritto d un posto speciale in chiesa, come allora si costumava 1. I Remondini, come è noto, riferiscono di aver reperito le prime notizie documentarie relative al borgo di Urri, noto anche come La Valle o In Valle, nei Registri Arcivescovili degli anni 1024 e : in merito alla locazione di alcune terre si dice infatti che le stesse posite sunt in loco qui dicitur hurri ed anche che laus de scatico et alpiatico hominum de Neironi et de ago- 1 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p

249 Fig. 2 San Marco d Urri, chiesa di San Marco: facciata (foto R. Palmisani). nio et de hurri ; in un altra locazione di terre si dice Dominus Syrus (...) locavit totas res S. Syri quas ipsi tenuerunt in villa qui appellatur a lamanigra et Urri ab costa roverosa usque ad ecclesiam stoblelle (località a Pannesi) 2. La costruzione della chiesa di San Marco è invece da far risalire agli anni compresi tra il 1597, anno in cui Mons. Matteo Rivarola, Arcivescovo di Genova, trovandosi in Cicagna, dà facoltà a parecchi uomini di San Martino del Vento, chiesa annessa a Santa Margherita di Masso, di fondare la nuova chiesa sotto il titolo di San Marco, delegando l arciprete di Uscio a scegliere il luogo più conveniente 3, ed il 7 Luglio 1603 quando, con decreto dell Arcivescovo di Genova, Mons. Orazio Spinola, la chiesa medesima viene eretta in parrocchia, distaccandola dal Vicariato di Bargagli ed assegnandola a quello di Uscio 4. A parte l inventario compilato da Mons. Domenico Caressio nel analizzato da Angela Acordon nelle note sul patrimonio artistico cui si rimanda 5 - le prime notizie documentarie reperite presso l archivio di San Marco fanno riferimento all istituzione, presso la parrocchia, di due Confraternite: la prima, quella del Santissimo Rosario, mediante apposita bolla del ; la seconda, quella della Carità, a seguito della visita del 4 maggio 1646 da parte del Cardinal Durazzo il quale, con successivo decreto, impartisce anche i seguenti ordini: si provveda un baldacchino per le processioni; si raccomodi il tetto; le finestre del coro sian chiuse con vetri o tele; per l altare di San Carlo si provveda un Crocifisso; la finestra (San Carlo) si chiuda almeno con tela; altare del Rosario si provveda almeno d un crocifisso 7. Alla data del 1646, pertanto, l altare di San Carlo e quello del Rosario - ed i relativi arredi 8 - sono già esistenti in una qualche forma, anche se con ogni probabilità risultano di semplicissima fattura: la scarsità di ulteriori documenti relativi ai primi anni di vita della chiesa non consente, allo stato attuale delle ricerche, di conoscere forma, livello di compimento e eventuale veste decorativa del resto dell edificio. Bisogna giungere agli anni per registrare la costruzione vera e propria delle cappelle di San Carlo e del Rosario, come risulta da un autorizzazione vescovile appositamente rilasciata in data 03/07/1684: Il R.mo Vicario Generale Carlo Noceto in atti del notaio Carlo Boasi cancelliere concesse la facoltà di poter far 2 Ibidem. Cfr. anche F. SENA 1981, p. 103 e segg., il quale però riporta la data del 1024 come ACC, fasc. 127, Si ritiene che si tratti della chiesa di Santa Margherita di Tasso di Bargagli. 4 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p. 307 e segg. Cfr. APSMU, fascicoli vari. Da notare che in alcuni registri viene talvolta riportata la data del 01/07/ ACC, fasc. 127, Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio artistico, in questo volume. 6 APSMU, Libro dei Legati dal 1603 al APSMU, In questo libro vi sono descritti li fratelli e sorelle della Compagnia del SS.mo Sacramento, del Rosario, ecc. Il Decreto è del 21/05/1646. Si ricorda che il 1646 è l anno in cui il Comune di Neirone viene eletto in vicariato indipendente da quello di Uscio. 8 Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume

250 Fig. 3 San Marco d Urri, chiesa di San Marco: particolare della volta (foto R. Palmisani). fabbricare le cappelle del Rosario e di San Carlo purché siino visitate dal rev. Rettore Bartolomeo Fregoglia di Santa Margherita di Tasso 9. Nei registri parrocchiali è stato reperito il dettagliato elenco dei lavori svolti e delle relative spese sostenute entro la fine del 1685, non solo relativamente alle due cappelle, ma anche al coro, alla pavimentazione della chiesa e alla canonica che sembrerebbe essere stata realizzata ex novo in quella data: Denari sborsati al fornasiaro, per la licenza di fabricare et anche di benedire l altari, ( ), per calcina bianca, gieso, sacchi, pinelli, bogliolo, chiodi per porto di detta robba, per una ferrata, per ferri delle lampade e altari, per giornate de maestri n. 83 fatte a stabilire il choro della chiesa, la capella di N.S. del Rosario et alzare chanonica et coprirla pagati a Lorenzo Caramella per fare le chiappe, per fattura di chiappa grande, quadretti grandi et picholissimi, et altri lavori di chiappe per uso della chiesa et canonica (1684); spesa che si fa per la chiesa per compra di legno per la fornace, per denari sborsati al fornasiaro, per stabilire il corpo della chiesa et capella di S.to Carlo giornate dei maestri in n. 50; per giornate 38 del scopellino per fare lastricare tutta la chiesa et riquadrare li ciaparoli (1685) 10. Per la Cappella di San Carlo è indicata anche la data di compimento ed ancora, il 03/07/1685, si finì di tutto punto la cappella di S. Carlo 11. Negli anni immediatamente successivi sono documentati altri lavori che riguardano innanzitutto l esterno. Si è fatto fare la muraglia del piazzale dalla porta maestra fino alle scale e si è speso L. 42 (1692) e le vetrate della chiesa speso per 5 telari di vetri, per il porto delli vetri qui e delli telari da Genova (1699); pressoché in contemporanea si attua un primo intervento alle coperture speso per abaini n. (120) 81 (l. 24,10), per giornate n. 21, per chiodi, per coppi, per calcina presa a Genova 4 cantara e per il porto da Genova a Recco, da Recco a Chiesa (1699), ma dopo circa un decennio, nel 1710, si deve intervenire nuovamente: speso per far restaurare il tetto del choro e della chiesa e per il pagamento dato al maestro et garzone, per compra di un taglio di pietra per fare gli abadi- 9 APSMU, Libro dei Legati dal APSMU, Libro dal 1627 al Nota di tutte le spese che si fanno per la fabbrica della chiesa e della canonica il 28/05/1684 (ovvero a partire dal...). 11 APSMU, Libro dei Legati dal

251 ni per coprire detta chiesa 12. Intorno al 1702, nel frattempo, sono state sostenute altre spese per il coro per le spese del choro ascenda a lire 21 come si vede nel libro piccolo de decreti L. 21, ma soprattutto ne sono registrate di più consistenti al campanile speso per comprare legna della calcina, per soldi dati al fornasiaro cioè Simone sia far le chiappe e cuocere la calcina per 23 giorni, per polvere da aprir la piedra, per comprare la piedra, per 49 giornate di due maestri al lire 2 al giorno (L. 98) per le spese del campanile come si può vedere nel libro delli decreti e de legati L , oltre ad alcune altre relative agli elementi di arredo 14. Gli inventari del 1710, assai utili per quanto riguarda la descrizione degli arredi sacri, dal punto di vista edilizio si limitano a confermare la presenza in chiesa di tre altari, ovvero i due già citati e quello maggiore 15 : più curioso risulta invece rilevare che nel 1715 sono presenti presso la chiesa ben sei confraternite, ovvero quelle della Chiesa, del Corpus Domini, della Madonna, di San Carlo, del Purgatorio, del Riscatto degli Schiavi e Luoghi Sacri, anche se manca la data della loro formale istituzione 16. Le notizie successive riguardano la visita pastorale del 1750 effettuata da Gio Bernardo Taccone, Canonico prevosto della cattedrale di Genova, su ordine di Mons. Giuseppe Maria Saporiti, a seguito della quale viene emanato un decreto con alcune prescrizioni riguardanti la chiesa, in particolare gli arredi 17. Gli anni successivi sono impiegati per eseguire alcune opere che oggi definiremmo di manutenzione ordinaria non solo della chiesa, ove si spende per fare agiustare il tetto della sacrestia (1761), per chiappe per rifare il tetto della chiesa (L. 50) (1762), per fare giustare il suolo della chiesa (L. 26), per fare giustare la campana (L. 34) (1765), per fare imbianchire la chiesa (L. 23), per fare giustare il tetto della canonica (l. 20) (1766), per lavoro di un maestro intorno al tetto e calcina canonica (1773) 18, ma anche degli arredi, interessati da interventi di restauro 19. A livello di opere edilizie è assai probabile che si sia trattato di interventi veramente di poco conto se nel 1775 apprendiamo che la chiesa è dotata solamente di un miserabile, e di poc altezza campanile, due picciole campane, tre miseri altari il magiore privilegiato, il secondo di Nostra Signora Assunta ed il terzo di San Carlo Borromeo, ovvero una situazione di poco dissimile da quella registrata nel già menzionato inventario del L ultimo quarto del secolo registra alcuni interventi limitati per lo più agli arredi, tra cui quello alla statua della Madonna cui fa cenno Angela Acordon nelle note sul patrimonio artistico 21, oltre ad alcune spese per la riparazione delle campane allora esistenti 22. All inizio dell 800 la chiesa subisce il primo dei numerosi furti degli arredi mobili (in questo caso di una pisside ed altri piccoli elementi) proprio mentre è in corso la raccolta dei fondi per realizzare una nuova campana che, per buona sorte, riesce ad essere portata a termine e consegnata alla chiesa nel , poco prima che si dia inizio ad altre opere di manutenzione che interessano ancora il tetto della sagrestia vecchia, le pareti e il pavimento della chiesa, i vetri della canonica 24. Nel 1818 le strutture della chiesa, ed in partico- 12 APSMU, Libro dal 1627, 1692, 1699, 1702, Nota spese fatte al tempo del Rettore Stefano Maggiolo. APSMU, In questo libro..., 1692, APSMU, In questo libro..., Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 15 ACC, fasc. 127, Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 16 APSMU, Libro dei Legati dal 1603, 1715, 13 gennaio. Elezioni dei Massari nuovi delle varie confraternite. 17 ACC, fasc. 127, APSMU, Libro degli introiti e spese (dal 1750 al 1836), Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 20 APSMU, Fogli sparsi, Filza III. 21 Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 22 APSMU, Libro degli introiti e spese, 1784 e segg. 23 Ivi, Tra l altro vi si legge che si è speso: per fare la campana et altre finiture, per una campana nuova di bronzo il peso rubbi 27,15 a soldi 23 la libra (L. 773,10). 24 Ivi, 1805, 1806, 1808,

252 lare tetto e campanile, vengono seriamente danneggiate da alcuni fulmini, come riportato dalla Gazzetta di Genova del 20 maggio dello stesso anno: Memoria: Meteore. Un fulmine de più terribili s è scagliato a mezzo giorno sul campanile della chiesa parrocchiale di S. Marco d Urri (detta la Valle) distante tre quarti d ora da Neirone in Fontanabuona Questo accidente fu accompagnato da guasti gravissimi e da fenomeni assai singolari. Attestano i paesani, ch erano in qualche distanza, di aver veduto la nuvola procellosa spaccarsi in due e sortirne due catene di foco, o serpenti infiammati, che si avventarono ad un tempo sul campanile e sulla chiesa; e sembra infatti dall esame de guasti prodotti che due, non uno, debbano essere stati i torrenti elettrici. Il primo, che ha colpito il campanile diroccando il cupolino ov era la Croce, e portandone de pezzi a mezzo miglio di distanza, e fendendo il muro a levante, e andando a disperdersi nel suolo, come sembrano indicare due fossi fatti presso il campanile medesimo. L altro più terribile ancora ha scoperto un terzo del tetto della chiesa, sollevato il pavimento, smosso il battistero di marmo, levate da posto le panche, e spezzati quasi tutti i vetri. È pure entrato nella casa del Parroco e in primo luogo in cucina scoprendone il tetto. Erano in sette persone ed è cosa prodigiosa come nessun ne abbia riportato gran danno 25. Gli anni compresi tra il 1818 ed il 1824, pertanto, sono dedicati al ripristino delle strutture danneggiate dagli eventi meteorici, con particolare riferimento proprio al campanile - speso per canelle per i ponti del ristoro del campanile, per mine 27 di calcina selvatica, altre mine 14, per chiappe palmi 300, per croce del campanile (1819), per chiappe prese in Neirone, per giornate nel campanile (1820) per calcina campanile (1821) per scale e solari del campanile (1824) - ed al tetto e alla facciata della chiesa: speso per chiappe ad uso della chiesa e canonica, per giornate alla facciata della chiesa et altri ripari (1821), per la conversa della chiesa, per tetto della sacrestia vecchia (L. 30), per far imbianchire la chiesa (L. 12), per lavori a tetto chiesa (1824) 26. Pressoché negli stessi anni, il parroco è fatto oggetto di una specifica comunicazione da parte del sindaco relativamente alla necessità di provvedere chiesa e campanile di opportune chiavi con serratura al fine di impedire l accesso alle persone non autorizzate 27. Il 18 agosto 1824 parrebbe essere avvenuta una visita arcivescovile del Cardinal Lambruschini con conseguente approvazione del bilancio della parrocchia, anche se non se ne trova conferma negli archivi vescovili 28, mentre si sa per certo che i lavori, con i pochi denari a disposizione, procedono molto lentamente e interessano in prevalenza il rifacimento delle campane 29. Già nel 1827, Don Luigi Raffetto è costretto a rivolgere una supplica all Arcivescovo, facendo presente che la cappella del Rosario è spaccata in più luoghi a seguito di un terremoto e risultano rotti anche il pavimento della chiesa e il tetto della sagrestia 30. Trattandosi della chiesa più povera dell intero Genovesato, come risulterà anche da una successiva lettera del parroco al Magistrato delle chiese 31, presumibilmente è solo grazie ad una donazione che si può procedere ad un primo lotto di lavori spendendo per ingrandire la sacristia e stabilire 2 stanze per il parroco cioè metà della 25 APSRO, Miscellaneo lavoro per questa Chiesa Parrocchiale di San Rocco d Ognio lavoro di Paolo Chichizola moderno parroco di Ognio addì 27 giugno Memoria: Meteore, APSMU, Libro degli introiti e spese, APSMU, Fogli sparsi, Circolare del sindaco al parroco il 6 maggio: A seguito delle Istruzioni, che il parroco dovrebbe aver già ricevuto dal suo superiore relative alla custodia di campanili, e all uso delle campane in virtù di dette circolari dell Ill. Sig. Colonnello comandante di Chiavari in data del 21 scorso marzo n. 11, mi trovo in dovere di significarle di far munire il campanile della sua chiesa delle opportune porte e serrature, onde non possa avervi accesso chichessia senza il suo ordine, ed assenso, usando di tutte quelle cautele e diligenze, affine impedire qualunque inconveniente, che nascer potesse dall abuso, ed incuria nella custodia. 28 APSMU, Libro degli introiti e spese, Il bilancio dell anno 1824 è approvato da Joachin canonicus Bonfan, emissario dell Arcivescovo, ma non sono state reperite altre conferme. 29 Ivi, Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 30 ACC, fasc. 127, Lettera del 27 giugno. 31 Ivi, Lettera del 10 marzo

253 sacristia dai fondamenti fabricata ed il resto inalzata (1828), ma soprattutto per stabilire l altare di Maria V. del SS.mo Rosario, pulpito ed incorniciata la capella (1836) 32, come può appurare de visu il Cardinale Arcivescovo Placido Maria Tadini nella sua visita alla chiesa datata 10/05/1836. La sua relazione così recita: La chiesa è rettoria, sacra a San Marco Evangelista dal 7 luglio 1603, tre altari compreso il maggiore, uno sotto titolo del Rosario, l altro di San Carlo, e ora vi si collocherà la statua di M.a V. Assunta al cielo. Vi è fonte battesimale, campanile e cimiterio non ultimato; ultima visita card. Lambruschini 1824, 18 agosto, altar maggiore privilegiato 33. Questa visita, oltre a confermare l avvenuta realizzazione del nuovo altare del Rosario, fornisce anche l importante notizia dell intitolazione dell altare già di San Marco all Assunta, ivi compresa la collocazione in situ della statua lignea, opera di Stefano Valle, come già ricordato dai Remondini 34. Presumibilmente dello stesso anno - o al più di quello successivo - è anche il seguente bando di gara per la realizzazione del coro ligneo della chiesa: Condizioni relative al coro da farsi nella chiesa di San Marco d Urri. Eseguire e consegnare entro 3 novembre corrente anno L. 2 penale al giorno; legname noce non tinto; suolo e specchi sotto i sedili di castagno ad eccezione degli specchi che sono nel Sancta Sanctorum; l assuntore deve pagare lire 20 per il disegno; chi partecipa alla gara deve pagare lire 50 di deposito alla fabbriceria; la fabbriceria farà collaudare il lavoro 35, ma non è dato sapere chi risulta vincitore della gara stessa anche perché non si ha più alcuna notizia sulla chiesa fino almeno al , anno in cui viene a mancare il parroco Luigi Raffetto che ne era stato rettore per quasi 30 anni. Il sostituto del Raffetto, Gio Andrea Pejrano, parroco tra il 1844 ed il 1856, si distingue per il malcontento causato alla popolazione che molto presto lo denuncerà all Arcivescovo e all autorità civile ritenendolo indegno di reggere la chiesa e, forse, il mandante dei sempre più frequenti furti degli arredi. Nonostante le accuse mosse più o meno velatamente contro il parroco - tanto che comunque sin dal 1845 i bilanci devono essere letti ed approvati pubblicamente di fronte all intera popolazione - si può affermare che almeno le spese di manutenzione ordinaria vengono portate avanti regolarmente dai Massari della chiesa: tra queste si segnalano quelle per alcuni ristori alla facciata - dato al muratore di Toriglia per giornate 8 alla facciata della chiesa ( ) - per il rifacimento del tetto del coro - speso per abbadini in n. 620 provveduti per rimettere il tetto del coro ( ) ed infine quelle per la costruzione di una nuova cucina ad uso della canonica: Noi sottoscritti fabbriceri (...) abbiamo fatto costruire ed eddificare una nuova cucina a comodo maggiore della canonica, non ancora però del tutto ultimata per suolo, finestre, forno, fornetto, e cappa quale lavoro si fece da divoti parrocchiani ed in parte da pii benefattori (1845) 37. Aumentando il malcontento, il Pejrano è costretto a difendersi con queste parole: appena entrato io parroco trovai la chiesa sprovista d arredi i più necessari, come sarebbe di pianete, piviali, tovaglie, camici, corporali ed altro, che in parte dei miei denari, ed in parte con elemosine, per mio mezzo procacciare alla stessa provvidi, come ne risulta dà libri parrocchiali 38. A comprova della sua buona fede afferma anche di aver fatto imbiancare l interno della chiesa, restaurare la facciata, rimettere in stato decente le due sagrestie e riparare il tetto del coro e della 32 APSMU, Libro degli introiti e spese, 1827 e segg. 33 APSMU, Fogli sparsi, Sacra visita dell Ecc.mo arciv. Placido Maria Tadini, sacerdote Luigi Maria Raffetto. 34 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p Per la figura del Valle, cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 35 APSMU, Fascicolo pratiche varie. 36 APSMU, Libro de conti parrocchiali della chiesa di San Marco d Urri cominciato il 1 aprile 1843.Vi è la possibilità che si tratti dei fratelli Cordano, dei falegnami Montà e di Bisso Emanuele Luigi, che risultano titolari di un contratto non datato per un opera in noce e specchi, riportato sul manoscritto negli anni intorno al APSMU, Libro de conti parrocchiali, ACC, fasc. 127, Lettera del 9 gennaio

254 chiesa a sue spese e non con i soldi della fabbriceria; proprio per questo, con una successiva lettera dell 8 luglio del 1848, il rettore chiederà un aiuto economico per avere qualche oggetto necessario al culto divino come pianete, piviali, camici o, almeno, un piviale bianco e una pianeta rossa, o un ternario violaceo 39. Tra il 25 luglio ed il 16 agosto del 1847, San Marco d Urri viene visitata da quattro missionari di Fassolo (Genova), con permesso del vicario generale Gualco, i quali si adoperano per la spirituale riforma delle anime e per promuovere l erezione di una Via Crucis che viene in effetti istituita l anno successivo con apposito decreto del 12 aprile 1848 ed è resa possibile, tuttavia, solo grazie alla munifica donazione di una fedele 40. Dalla documentazione d archivio si apprende inoltre che intorno alla metà degli anni 50 vengono commissionate ad un falegname le due porte laterali dell altar maggiore, oggi scomparse - speso per due portiere ai lati dell altar maggiore con fornimento e manifatura dal signor Stefano Noziglia in Genova 41 - mentre altri lavori riguardano prevalentemente gli elementi di arredo, quali ad esempio alcuni candelieri, la mobilia per la chiesa e la croce dell altar maggiore 42. Tuttavia, le opere di una certa consistenza si verificano solo dopo l allontanamento del parroco Pejrano, il quale aveva comunque già riferito, in una sua relazione del 2 gennaio 1853, circa la necessità di provvedere al restauro del tetto ed al rifacimento della croce dell altar maggiore cadente e affatto indecente 43. Seguitando a mancare i soldi, si ordina dapprima al Burò dei Massari e al Tesoriere di far rientrare i redditi del parroco e successivamente, nel gennaio 1855, si legge che considerando poi che fra i bisogni della chiesa sarebbe necessaria la rinnovazione del Crocifisso e canti della croce all altar maggiore, per ciò fu deliberato d ordinare tali lavori, e successivamente di fare convenire nanti dal Giudice mandamentale tutti i renitenti, che vanno debitori della chiesa 44. Subito dopo l insediamento del nuovo parroco, Don Giuseppe Biglieri, primo di una serie di prelati che reggeranno la parrocchia per non più di un decennio cadauno, la chiesa è oggetto nel maggio del 1857 di una visita pastorale da parte di Mons. Arcivescovo Andrea Charvaz, il quale detta alcune prescrizioni per i restauri da compiersi in seguito, visto che in occasione della sua visita ci si è limitati a dare il bianco alla chiesa mentre si sta provvedendo a realizzare le balaustre dell altar maggiore 45. Fra gli ordini impartiti si può leggere: ai confessionali sovrappongasi una piccola croce, e ad uno affiggasi la tabella dei conti riservati; siano ristorate nei luoghi indicati le mura della chiesa affinché l umidità del suolo esterno dalla parte di tramontana più non le danneggi, vi si pratichi al di fuori un fosso sufficientemente largo e profondo. Nel cimitero: mettere una croce nel mezzo e rifare i muri rovinati; si consiglia inoltre di ottenere le autorizzazioni per l ampliamento o per un nuovo camposanto 46. Nonostante che dalla relazione dell Arcivescovo non sembri emergere tutto sommato una situazione tanto grave, negli anni immediatamente successivi al 1858 viene deliberato di provvedere con urgenza ad alcuni lavori di una certa entità, tanto alla chiesa quanto agli arredi. Nei registri si legge, infatti, che il consiglio di Fabbriceria ordina di comprare un Cristo, ossia 39 Ivi, Lettera dell 8 luglio. 40 APSMU, Libro de conti parrocchiali, Decreto 12 aprile 1848: erezione della Via Crucis, 14 quadretti con i necessari braccialetti, oggetti, e croci dalla benefattrice, nominata la signora Angellina Bisso (cancellato e cambiato in) Mosso di Genova. Questi quadretti, oggi, non sono più conservati in chiesa. 41 Ivi, Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 43 APSMU, Nuova erezione ossia stabilimento di Fabbriceria della Chiesa di S. Marco d Urri ( ). Relazione del 02/01/1853 relativa ai bisogni della chiesa. 44 Ivi, Nota del gennaio APSMU, Libro de conti parrocchiali, APSMU, Libro de conti parrocchiali, Si legge, tra l altro, che ( ) ad agosto speso per i cancelli ossia balaustri di marmo per il puro costo franchi 340 (Lire di Genova 425), speso di porto per gli stessi marmi di coro ( ). 46 APSMU, Fogli sparsi, Filza I, Sacra visita Ecc.mo arc. Andrea Charvaz

255 Crocifisso, con croce per processioni, ed un confalone, essendo vecchio e indecente l attuale 47 e stabilisce di comprare una cassa per portare l immagine di Nostra Signora Assunta e di comprare calce per ristorare la facciata della chiesa 48 ; inoltre si delibera di provvedere ai restauri al campanile e al tetto della chiesa, di rifare una muraglia della canonica ora pericolosa 49 e si stabilisce il rifacimento del muro della canonica che minaccia rovina e si costruisce un forno: si nomina per tutto mastro muratore e falegname Giuseppe Tacchino fu Bartolomeo di questo luogo 50, provvedendo poi ai restauri del tetto del coro della chiesa 51. I lavori alla facciata ed alle coperture e una parte di quelli della canonica sono effettivamente eseguiti - speso per chiappe per la facciata, per calcina, per giornate della facciata a Giovanni Capurro, per vetri e stocco della finestra della facciata, saldato conto de crocchi, per calcina per la facciata (1860), dato a Girolamo Capurro per giornate fatte nei ristori alla cucina, per materie provviste per ristori a chiesa e canonica (1864), speso per sei cantere di calce per ristori della canonica e tetto della chiesa e del coro soldi 24, lastre per coprire la sommità dei tetti della chiesa ed il coro, vetri e ferri per chiesa e canonica, olio, al maestro Tacchino Giuseppe per 13 giornate, al muratore Giovanni Capurro per giorni 19 e mezzo, al maestro B.meo Capurro per giornate sei, per gronda del coro ai Fratelli Resasco (1866), a saldo ai F.lli Rosasco per chiappa grande scalini, al muratore Giovanni Capurro per 6 giornate e mezza, cantara 6 calce per la scalinata, per 10 giornate impiegate dai manovali nella scalinata della canonica (1867) 52 - ma rimane il drammatico problema del campanile, ormai prossimo al crollo: sarebbe di somma urgenza di eseguire la riparazione del campanile della chiesa che minaccia rovina col pericolo delle persone della chiesa e della canonica che per ovviare i tanti danni bisogna rassodarlo ( ); egualmente che le pareti della chiesa interna sono piene di macchie e quindi devono essere rintonacate e doversi togliere l umidità che tanto danno reca alle pareti del coro ( ): si delibera la nomina di 2 maestri muratori, maestro Giuseppe Tacchino q. Bartolomeo e Maestro Leopoldo, incaricati di compilare anche una relazione 53. A seguito della relazione, stante la consueta carenza di fondi per provvedere ad una messa in sicurezza della struttura, ci si rivolge al sottoprefetto del Circondario di Chiavari che si degni di ordinare che vengano immediatamente eseguiti i lavori 54 : la demolizione completa del campanile viene così portata a termine tra l aprile e l ottobre del 1867 quando si afferma che urge rimuovere il materiale del campanile demolito e riattare il tetto della chiesa per impedire l inondazione della chiesa in tempo di pioggia, si propone quindi di provvedere le ardesie e tutto il necessario per rimediare al detto inconveniente e si delibera la sistemazione delle gronde del tetto della chiesa rotte dalla demolizione del campanile 55. Poco dopo, nell agosto del 1869, la chiesa viene nuovamente visitata da due missionari che si adoperano ancora una volta per la spirituale riforma delle anime al fine di ottenere la benedizione papale che viene poi effettivamente concessa 56. Circa la conformazione della chiesa attuale, 47 APSMU, Nuova erezione, Verbali del 3 aprile e del 3 luglio. Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 48 Ivi, Verbale del 1 luglio. Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 49 Ivi, Verbale del 6 aprile. 50 Ivi, Verbale del 4 ottobre. 51 Ivi, Verbale del 10 aprile. 52 APSMU, Libro de conti parrocchiali, APSMU, Registro delle deliberazioni della Fabbriceria e della Masseria di San Marco d Urri ( ), Verbali del 4 novembre e del 6 gennaio. 54 Ivi, Verbale del 17 febbraio. 55 Ivi, Verbali del 6 ottobre e del 5 gennaio. 56 APSMU, Libro de conti parrocchiali, Si legge: L anno del Signore 1869 addì 1 agosto i R. di Missionari urbani Migone Alessandro e Michelangelo Leoncini cominciarono in questa Chiesa i SS. spirituali esercizi in forma di missioni che terminano il giorno 15 agosto colla benedizione papale con grande profitto spirituale della popolazione

256 come si è visto i Remondini fanno risalire agli anni anche le opere interne che hanno di fatto trasformato l impianto della chiesa da una a tre navate 57. Se il giudizio non proprio entusiastico sul tipo di intervento potrebbe essere condiviso, giacché la realizzazione delle aperture in prossimità degli altari del Rosario e dell Assunta genera un impianto decisamente ibrido, la datazione proposta fa presumibilmente riferimento alle sole notizie orali, in quanto sia i registri delle deliberazioni, sia i libri dei conti di quegli anni accennano solo genericamente ad alcuni lavori in canonica e chiesa 58 : tuttavia i lavori devono comunque essere già conclusi nel 1882 se in una relazione da consegnare all Arcivescovo si dice che La chiesa è di tre navate, in origine era una, l allargamento è avvenuto dopo l ultima visita 59. Deliberata finalmente la ricostruzione del campanile - Fabbricieri dell anno 1875: dato principio al campanile della chiesa di S. Marco d Urri. La fabbrica cominciata fu dell anno 1875 del mese di gennaio 6 giorno di Pasqueta ( ) - si dà l avvio ai lavori che vengono conclusi entro il 1879 e comportano una spesa complessiva di Lire 60. Negli anni successivi si procede ad altre opere che riguardano la copertura della facciata di ardesie affinché l umidità non le sia dannosa (1884), alcuni restauri alla canonica (1888) 61, l ampliamento del piazzale esterno - speso per la piazza della Chiesa (L. 111), per riparazione per il piazzale (L. 20) (1889) - seguito dalla decisione di impiantare sul piazzale della chiesa quattro piante per la frescura nella stagione calda (1893) e da ulteriori interventi di restauro del tetto si fa osservare come minacciando anzi facendo danno il tetto della chiesa è necessario rifarlo e si desidera (farlo) presto (1894) 62 : tuttavia la maggior parte delle spese fa riferimento al restauro o alla realizzazione dei nuovi arredi sacri e delle tele, come ampiamente descritto da Angela Acordon nelle note sul patrimonio artistico 63. Nel 1896 il Vescovo di Chiavari, Mons. Fortunato Vinelli, visita la chiesa di San Marco d Urri e quella di San Rocco di Ognio; mentre a San Rocco è conservata copia del decreto emanato in seguito alla visita vescovile, a San Marco abbiamo notizia delle prescrizioni impartite soltanto in maniera indiretta: Il parroco avvisa i convenuti del decreto lasciato dal vescovo riguardo all umidità del coro, al doversi fare un confessionale per le donne e doversi fasciare di bianco colla croce sopra del battistero col quadro del battesimo di Cristo 64. È proprio per ottemperare agli ordini vescovili, ma anche perché presumibilmente la situazione è diventata insostenibile, che gli anni tra il 1897 ed il 1902 sono impiegati a cercare di risanare la zona del coro e della canonica, dapprima all esterno - si tratta di opere già deliberate, cioè di far aggiustare il coro esternamente per asciugarlo quanto è possibile e poi poter fare il coro internamente: al quale uopo si incarica Giovanni Capurro di parlare con un falegname per una relativa perizia (1900) 65 -, e poi all interno, dove viene finalmente realizzato il nuovo coro ligneo 66. Agli anni risalgono poi alcune opere di restauro della statua di N. S. Assunta e del Rosario 67, mentre è del 1905 la discussione su dove collocare in luogo decente l immagine o statua di N. S. della Guardia e si ragiona se è meglio una nicchia o un altare (01/01/1905), deliberando nello stesso anno di far fare due altarini laterali ovvero un nicchio per la 57 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p. 307 e segg. 58 APSMU, Libro de conti parrocchiali, APSMU, Fogli sparsi, Filza III, Relazione notificata all Arcivescovo il 15 luglio. 60 Ivi, APSMU, Libro de conti ( ), APSMU, Registro delle deliberazioni ( ), Delibere rispettivamente del 5 ottobre 1884 e del 1 luglio APSMU, Libro de conti ; APSMU, Libro delle deliberazioni ( ). Delibere rispettivamente del 6 ottobre 1889, del 1 gennaio 1893, del 7 gennaio Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 64 APSMU, Libro delle deliberazioni, Relazione del 25 aprile. 65 Ivi, Delibera del 7 gennaio. 66 Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 67 Ibidem

257 Madonna della Guardia 68. Non si sa a quando risalga la devozione alla Madonna della Guardia presso San Marco, ma è certo che l attuale altare della navata sinistra, in prossimità di quello del Rosario, viene realizzato nel 1906, come regolarmente documentato nei libri contabili, dove si legge che Capurro Luigi ha ricevuto dalla fabriceria di San Marco d Urri per la costruzione dell altare e il tetto della canonicha e altri lavori L.711, Successivamente, visto il cattivo stato del pavimento della chiesa, si delibera di provvedere facendo nuovo il pavimento di mezzo ed ai lati servendosi di ciò che di buono si può trovare nel vecchio 70 nonché si provvede alla realizzazione della statua per il nuovo altare di N. S. della Guardia appena terminato 71 e, nell imminenza di una visita arcivescovile, si delibera la sistemazione del piazzale esterno che sta rovinando, oltre ad alcune opere di ordinaria manutenzione delle murature e degli arredi tenendosi a poca spesa attesa la scarsità dei mezzi 72. Gli anni compresi tra le due Guerre Mondiali sono dedicati ancora ad interventi di ristoro della chiesa, quasi sempre in prossimità di visite pastorali, tra cui quella del 1924 della quale, tuttavia, manca il riscontro documentario 73 :i lavori più consistenti riguardano spesso le coperture, il rifacimento del pavimento o la sistemazione del piazzale esterno APSMU, Libro delle deliberazioni, Delibere del 1 gennaio e del 1 ottobre. 69 APSMU, Libro de conti..., Pagamento datato 11 dicembre. Vi si legge anche che si è speso per 8 quintali di calce L. 9,60, per 1000 mattoni bucati L. 4,00, per 180 mattoni grossi L. 5,00, per mattoni piccoli L. 2,40, per 2 ciappe (1906). 70 APSMU, Libro delle deliberazioni, Delibera del 5 aprile. 71 Cfr. A. ACORDON, San Marco d Urri. Note sul patrimonio, in questo volume. 72 APSMU, Libro delle deliberazioni, Delibera della prima domenica di gennaio. 73 Ivi, Delibera del 20 aprile. Nell attesa di una visita del Vescovo, si decide di restaurare il pavimento della chiesa, riparare la chiesa specialmente in fondo, ristorare esterno della chiesa e della canonica. 74 Ivi, 1928, 1929, 1930, 1931, 1938; APSMU, Libro de conti ( ), 1934, 1935, 1938,

258 SAN MARCO D URRI NOTE SUL PATRIMONIO ARTISTICO Angela Acordon Quando nel 1617 Mons. Domenico Caressio ne redigeva l inventario 1, la chiesa di San Marco d Urri possedeva un numero consistente di paramenti e di suppellettili liturgiche, lignee, in argento e in metalli meno nobili. L arredo era completato da un tabernacolo in legno dorato e in parte dipinto; da un immagine di rilevo della Madonna col Bambino, collocata sul suo altare e da ritenersi una statua lignea o forse un manichino, dal momento che l inventario segnala anche la presenza di alcuni abiti per vestirla; da un ancona con San Carlo ubicata sull altare dedicato al santo, composta anche da una croce con dentro gli misterii della passione di Gesù Cristo in legno dipinto; e da una ancona della Batissima Vergine con tre figure con sua tella da coprirla cioè la figura di Sto Gio Batta Sto Marco titulare de detta... chiesa et Sta Consolata. Di tutte le opere menzionate si è conservata soltanto la tela raffigurante la Madonna col Bambino fra San Marco, San Giovanni Battista e Santa Consolata (fig. 1), la cui esecuzione sembrerebbe dunque cadere fra il 7 luglio 1603, data del decreto di erezione della chiesa 2 e il 1617, ma l excursus logico e la presenza fra i santi effigiati del titolare della chiesa, Marco, portano ad accostare almeno la sua commissione alla data più antica, a meno di non pensare a una sua provenienza dalla cappella, succursale della parrocchia di Santa Margherita di Tasso 3, dalla quale ha avuto origine la chiesa di San Marco. L analisi stilistica riconduce infatti il dipinto a una datazione fra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, con una probabile collocazione nell ambito della bottega di Lazzaro Calvi, la cui vicenda cronologica (secondo Raffaele Soprani 4 era nato attorno al 1502 e aveva vissuto fino a 105 anni) non impe- Fig. 1 Lazzaro Calvi?, Madonna col Bambino fra San Marco, San Giovanni Battista e Santa Consolata. disce di riconoscerlo quale autore, se non altro, dell impianto compositivo. Le fisionomie dei volti, soprattutto del San Marco, percorrono infatti le opere di questo prolifico e longevo artista, tendente spesso a reiterare i propri modelli, sia personalmente, sia attraverso la trasmissione alla bottega, composta dal fratello Pantaleo e dai suoi figli 5. Particolari somiglianze si ravvisano con la Predica del Battista del Santuario di Nostra Signora del Monte databile al 1572 circa, con la Deposizione della Santissima Annunziata di Portoria, firmata e datata 1577 e con la lunetta raffigurante tre Storie di San Giovanni Evangelista, conservata 1 ACC, fasc. 127, Cfr. S. MONTINARI, Chiesa di San Marco d Urri. Notizie storiche, in questo volume. 3 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p Cfr. R. SOPRANI 1674, pp Sui fratelli Calvi cfr. M. BARTOLETTTI, in La Pittura, 1988, pp ; E. PARMA, in La Pittura in, 1999, pp (con bibliografia precedente)

259 Fig. 2 Ebanista ligure del secolo XVII, confessionale. nella chiesa di San Giovanni di Prè e collocabile attorno al , quest ultima molto vicina alla tela di San Marco d Urri nella resa statuaria degli ampi e pesanti panneggi, nella gestualità retorica e nelle scelte tipologiche dei visi dall espressività poco diversificata. All attribuzione dell opera a Lazzaro Calvi potrebbe porre un ostacolo l avanzatissima età del pittore, tuttavia, convergendo attorno al suo nome gli aspetti stilistici e i dati cronologici, sarei propensa a riconoscere la sua mano nella tela. Questa verrebbe dunque a configurarsi come una delle sue ultime fatiche, pur senza omettere la possibilità che la bottega possa aver proposto ai committenti un opera più antica di Lazzaro, magari inserendovi la figura di San Marco, titolare della chiesa; un ipotesi che potrebbe essere confermata o smentita da un restauro preceduto da un accurata indagine diagnostica. Un eventuale provenienza della tela dalla cappella che precedette l erezione in parrocchia della chiesa spiegherebbe però ancor meglio il tono arcaico dell insieme, mentre la pennellata più morbida e la dolcezza materica, che conferiscono all immagine un carattere appena più naturalistico, potrebbero risalire a un intervento di restauro antico. Verso questa soluzione sembrerebbe spingere anche un anomalia documentario-iconografica riscontrabile nella tela. Nella descrizione di Mons. Caressio del 1617, infatti, la figura femminile inginocchiata sulla sinistra è identificata con Santa Consolata, riconoscimento che non mi pare il caso di mettere in discussione data la prossimità cronologica con il momento di esecuzione del dipinto e in quanto ribadito sia dall Arciprete Paolo Gardella nell inventario del 29 marzo 1710, sia dalla scritta apposta sulla copertina del libro tenuto dalla santa 7. Difficile è invece capire come mai, nel 1890, i fratelli Remondini, descrivendo l opera come una discreta ancona collocata nel coro, vedessero al posto di Santa Consolata la figura di Sant Antonio Abate 8. A complicare lo scioglimento del problema si aggiunga che, per quanto oggi appare, la santa effigiata presenta una corona che appartiene agli attributi di Santa Elisabetta d Ungheria o di Santa Brigida di Svezia, ma non a quelli di Santa Consolata. Questa incongruenza iconografica potrebbe giustificarsi con un cambiamento di devozione, per così dire trasferito sull opera forse nel corso dell intervento di restauro cui la tela fu sottoposta nel Nella delibera di autorizzazione 10 a quell intervento è annotato anche l impegno di spesa di lire 170 per l acquisto di un dipinto raffigurante San Carlo con la sua cornice, senz altro da identificare nella tela, qualitativamente poco interessante, ancora presente nella navata destra. Questa andò certamente a sostituire il dipinto citato nell inventario del 1617 e già in cattive condizioni nel marzo del 1693, quando 6 Per l attribuzione e l iconografia del dipinto, cfr. G. ZANELLI, in La Commenda, 2000, pp , scheda n ACC, fasc. 127, 29 marzo La scritta sul libro è la seguente: CÔSOLATA VIR\GO, P. ORA P. NOBIS\DNI. 8 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, pp APSMU, Libro de conti della Frabiceria d Uri (dal 1898 al 1907), APSMU, Libro delle deliberazioni (dal 1889 al 1945)

260 Fig. 3 Anonimo scultore genovese della prima metà del XVIII secolo, Cristo crocifisso. fu fatto riaccomodare et renfrescare per 24 lire 11. L esame degli inventari rafforza l impressione sulla cronologia scaturita dall analisi stilistica del confessionale ligneo (fig. 2) riccamente intagliato posto sulla destra dell entrata. Non menzionato nel 1617, esso può essere infatti quasi certamente identificato con l unico confessionario citato nell inventario del 29 marzo , assai probabilmente con quello fatto restaurare nel e forse con quello affidato alle cure di tale Diosma Basilio il 21 settembre Già noto ai fratelli Remondini 15, il manufatto attinge a un repertorio ornamentale esclusivamente vegetale, ripercorrendo specie nella parte bassa, in epoca già pienamente seicentesca, fisionomie tardo-rinascimentali e rivelando invece nella trabeazione e nelle lesene l esuberante freschezza tipica del decoro del XVII secolo. Le caratteristiche decorative improntate a una sorta di horror vacui e la scelta dei motivi ornamentali si ricongiungono a manufatti liguri della prima metà del XVII secolo, influenzati dagli stilemi della cultura gesuita legata alla corrente artistica romana, rappresentati a Genova dal confessionale e da quanto resta del mobilio della sagrestia della chiesa del Gesù, entrambi eseguiti da padre Gian Paolo Taurino (1580 circa ). Recepiti anche nella sagrestia del Santuario della Misericordia di Savona dal sacerdote Orazio Grassi e dal legnaiolo di Varazze Pietro Ratti ( circa), questi modelli conobbero in periferia e nell entroterra traduzioni in forme più semplici, spesso tendenti a interpretare il decoro analogamente a un piatto arabesco, che ha tangenze forse non casuali persino con la cultura moresca 16.L assenza nei dati d archivio di una spesa relativa all acquisto del confessionale induce a ipotizzare un dono alla chiesa di San Marco 17 da parte di un personaggio per ora sconosciuto, che non è escluso possa essere addirittura identificato con qualche parrocchiano abile nella lavorazione del legno ed esecutore dell oggetto. La sobria eleganza che accompagna il molle abbandono del Cristo appena spirato riconduce il Crocifisso (fig. 3) dell altar maggiore, senza dubbio l opera più interessante e di maggior pregio conservata in chiesa, all insegnamento di Anton Maria Maragliano. I richiami ai più composti e tranquilli crocifissi del celebre scultore e la qualità davvero elevatissima del manufatto costituiscono altrettante spie della frequentazione da parte dell anonimo autore dell importante bottega di Strada Giulia e special- 11 APSMU, In questo libro vi sono descritti li fratelli e sorelle della Compagnia del SS.mo Sacramento, del Rosario, ecc. 12 ACC, fasc. 127, 29 marzo Nell Inventario, Don Paolo Gardella menziona anche un quadro raffigurante la Decollazione di San Giovanni Battista, del quale non si è reperita altra notizia. 13 APSMU, Libro de conti, Ibidem. 15 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p Cfr. A. GONZALEZ PALACIOS 1996, pp. 61, Secondo quanto scrive Francesco Sena (1981, p. 122) il confessionale, come la panca della quale si parlerà più avanti, furono donati dalla famiglia Avanzino, nel XVIII secolo

261 Fig.4 Anonimo lapicida del XVIII secolo, lastra in ardesia, mente la fisionomia allungata del viso dal fragile profilo. I caratteri stilistici del Crocifisso non ricadono tuttavia pienamente nel linguaggio di Anton Maria. Si può quindi pensare a un esecuzione dell opera all interno dell atelier maraglianesco, a diretto contatto col maestro, da parte di uno scultore di talento, per il momento non ancora identificabile con nessuno degli artisti che ne presero a modello il dettato 18. Uno stretto seguace, dunque, che raggiunse risultati simili a quelli dell autore del Crocifisso della parrocchiale di Casella 19, databile fra il 1724 e il Anche il Crocifisso di San Marco d Urri può essere datato attorno a quegli anni o più probabilmente, come pensa Daniele Sanguineti (comunicazione orale), verso il e ascritto a un allievo che si rifaceva a modelli maraglianeschi precedenti. Circa la datazione appare interessante che nell inventario del 21 novembre 1716 sia annotata la presenza in chiesa di 2 cristi di legno uno dei quali piccolo e l altro grosso, ma vecchio 20.Fu probabilmente a seguito di tale usura e dopo tale anno che venne fatto eseguire l attuale Crocifisso, che versava già in cattivo stato nel 1853, quando i verbali della Fabbriceria annotavano fra i bisogni della chiesa il restauro della Croce dell altar maggiore 21, non realizzato per mancanza di fondi fino al 1855, quando il parroco anticipò la cifra per il lavoro 22. Oltre al probabile recupero della struttura, in quella circostanza venne sostituita la croce e furono aggiunti i tre nuovi canti e il titolo, forniti dal sig. Giuseppe Richelmi di Genova per una spesa di lire L esito di questi lavori emerge nell inventario del , nel quale vengono menzionati due crocifissi in buono stato, sul pulpito e sull altar maggiore. Nel , infine, si deliberò la doratura del Crocifisso 25,la cui spesa di lire 200 è annotata nel biennio ed è comprensiva della doratura di un non meglio identificabile Crocifisso delle donne e di otto cartegloria 26. Al secolo XVIII sono ancora ascrivibili la lastra 18 Su Anton Maria Maragliano, cfr. D. SANGUINETI a Cfr. R. SANTAMARIA 1999, p ACC, fasc. 127, 21 marzo APSMU, Nuova erezione ossia stabilimento di Fabbriceria della chiesa di S. Marco d Urri - li 28 aprile 1846, APSMU, Libro de conti parrocchiali della chiesa di San Marco d Urri cominciato il 1 aprile 1843, Ibidem. 24 APSMU, fogli sparsi, filza III. 25 APSMU, Libro delle deliberazioni, APSMU, Libro de conti (dal 1876 al 1906),

262 Fig. 5 Anonimo intagliatore della prima metà del secolo XVIII, panca. in ardesia (fig. 4) sulla porta d ingresso della chiesa, ornata da medaglione raggiato centrale racchiudente il monogramma cristologico e recante la scritta incisa SANCTUS MARCUS ANNO 1727, e la panca (fig. 5) in legno intagliato, caratterizzata da una lunga epigrafe che corre sullo schienale sotto lo stemma della famiglia Avanzino. Secondo quanto riferito dai fratelli Remondini il manufatto si collega a una contesa, vinta a metà del XVIII secolo dalla signora Anna Maria Macaggi, relativa al diritto di un posto speciale in chiesa 27, ma l oggetto deve considerarsi precedente, sia per l aspetto morfologico e tipologico, che fa pensare al perdurare di stilemi seicenteschi all inizio del secolo successivo, sia per un restauro eseguito nel 1733, almeno a voler prestare fede a quanto affermato nella prima riga dell iscrizione: LAU- RENTJ FELICIS MACAGGI UTI DNA RESTAURAVIT ANNO Nonostante la devozione al Santissimo Rosario sia attestata ab antiquo nella chiesa di San Marco d Urri dato che fin dall inventario del 1617 viene menzionata un immagine a rilievo della Madonna col Bambino collocata sull altare del Rosario e che l istituzione della Confraternita risale al , la statua (fig. 6) oggi presente in chiesa appartiene a un periodo molto più tardo. I caratteri stilistici e il raggelamento delle invenzioni e delle tipologie maraglianesche, evidenti soprattutto nella stilizzazione della nuvola, dei visi e del velo bianco che rigidamente copre il 27 Cfr. A. e M. REMONDINI 1890, p Questo il testo completo dell iscrizione: LAURENTJ FELICIS MACAGGI UTI DNA / RESTAURAVIT ANNO NEC NON IUXTA SENTIAM / LATAM A RMO D. VIC.O GENLI UTEX ACTIS ANNI 1754 ETIAMQ. / PRO EXEQ.NE EIU- SDEM COM ORDINE EXECMORUM DEPUTATORUM / AD RES ROCCATALIATAE NOMEN DENUO AC STEM- MA POSUIT / ANNO Cfr. S. MONTINARI, Chiesa di San Marco d Urri, in questo volume

263 Fig. 6 Anonimo scultore genovese della seconda metà del XVIII secolo, Madonna del Rosario. capo a Maria, si accordano con il linguaggio della scultura lignea genovese attorno agli anni Settanta del XVIII secolo e in particolare come mi suggerisce Daniele Sanguineti - con il procedere di Agostino Storace 30, allievo strettissimo di Maragliano e continuatore, seppur con toni più accademici, delle sue forme. Una più corretta valutazione è comunque resa difficoltosa dal pesante rimaneggiamento al quale è stata sottoposta la statua, totalmente ridipinta e in gran parte rigessata, probabilmente, nel restauro del 1903, per una spesa prevista di lire In quell anno la statua fu consegnata, assieme alla Madonna Assunta (fig. 8), della quale avremo occasione di parlare fra breve, all indoratore Carpi, credo identificabile con quel Luigi, attivo anche per le chiese di San Maurizio a Neirone e di San Lorenzo a Roccatagliata 32, che entrerà poi in conflitto con la Fabbriceria a proposito della cifra pattuita 33. I caratteri dell intervento, infatti, non paiono poter risalire al 1793, anno in cui sono segnalate le uscite di lire 38 per aggiustare la statua della Madonna, di lire 12 per farla portare ad aggiustare ad Uscio e di lire 4 per portare la statua di Nostra Signora in Genova 34. Nel 1774 fu acquistata la pila in marmo et il suo recipiente, ossia il semplice fonte battesimale (fig. 7), ornato sulla fronte da un cherubino secondo una tipologia molto diffusa fin dal XVI secolo 35. La chiesa era tuttavia già dotata di un battistero il 29 gennaio , ma dalla visita pastorale di Monsignor Saporiti del 6 luglio , apprendiamo che esso si trovava alla sinistra dell altar maggiore, che era chiuso da un cancello ligneo e coperto da un ciborio sovrastato da una croce, che il visitatore apostolico prescriveva di sostituire con l immagine di San Giovanni Battista. Il visitatore apostolico non fa alcun cenno alla pila marmorea e definisce il tutto satis decens, abbastanza decente, facendo perciò pensare più a un oggetto costituito da un materiale povero che al pregiato marmo. È dunque probabile che nel 1774 si sia provveduto a far eseguire la pila con la sua vasca battesimale in marmo per impreziosire e nobilitare il vecchio battistero. Dal 1827 al la parrocchia si impegnò nella spesa per le campane. Il lavoro fu commissionato ai fratelli Picasso quondam Luigi di Avegno, noti fonditori di campane: nel 1827 Giuseppe riceve pagamenti per la campana 30 Su Agostino Storace, cfr. D. SANGUINETI 1994, pp ; ID b, pp ; R. SANTAMARIA 1999, pp APSMU, Libro de conti, Cfr. A. ACORDON, Neirone. Note sul patrimonio artistico, in questo volume; EAD., Roccatagliata. Note sul patrimonio artistico, in questo volume. 33 APSMU, Libro delle deliberazioni, 1903, 4 ottobre. Secondo il contratto l indoratore Carpi avrebbe dovuto ricevere 400 lire, ma, a fine lavoro, ne pretendeva 550. Essendogliene state già pagate 350, la Fabbriceria decide di dargli ancora solo 40 lire, per un totale, dunque, di 390 lire. 34 APSMU, Libro degli introiti e spese (dal 1750 al 1836), APSMU, Ivi, ACC, fasc. 127, ACC, Ivi, APSMU, Libro degli introiti

264 maggiore e per la campana piccola 39, mentre nel 1831 è la volta di suo fratello Giovanni Battista, pagato per la seconda fondazione della campana in giugno 1830 per saldo di tre rubbi di metallo per rottura campana 40. La campana rotta era forse quella acquistata nel 1802 per un totale di 773, 10 lire 41. Il 10 ottobre 1909 il Libro dei Conti riporta un uscita di L. 80 come acconto per le campane 42, ma nessuna di queste voci d archivio è riferibile alle quattro campane che compongono il concerto attuale, intonato in re. La campana maggiore, appunto in re e recante una targhetta con la scritta E. Picasso 1966, è una rifusione, ma non sappiamo di quale campana, mentre le altre tre, rispettivamente in mi bemolle, fa e sol bemolle, presentano la scritta a mano che le identifica come opere realizzate nel 1876 dai fratelli Picasso fu Emanuele e Giacomo Zio 43. Nel 1836, come apprendiamo dalla visita pastorale di Mons. Placido Maria Tadini 44, la chiesa decise di dotarsi di una statua raffigurante Maria Vergine assunta in cielo (fig. 8) da collocarsi all altare intitolato a San Carlo. L opera fu commissionata allo scultore genovese Stefano Valle, che l 11 agosto del 1837 la consegnò ai Massari della chiesa assieme a una lettera per il parroco, dalla quale si evince una spesa totale di lire 500 e il rammarico dell artista di non poter essere presente alla festa che verrà tributata alla sua opera 45. La statua era già nota a Federico Alizeri 46, che tratta brevemente dell attività di Stefano Valle includendolo, con Giambattista Drago e Paolo Olivari, fra gli scultori dediti principalmente a lavorare il legno. Poco attivi Fig.7 Anonimo lapicida del secolo XVIII, acquasantiera. per la città di Genova, ma molto per contadi e per ville, fatto che - a giudizio dello scrittore - renderà loro difficile assurgere alla fama e alla gloria, questi scultori rimeditarono sul linguaggio dei più importanti artisti passati, giungendo a uno stile misurato per effetto dei dettami appresi nel corso dei loro studi nell Accademia dei Professori del Disegno. Nel 1860 si stabilì di far costruire una cassa per portare in processione la statua, i pagamenti furono effettuati parte in quello stesso anno, parte nel successivo ed ammontarono a 80 franchi 47.L anno dopo, 39 Ivi, Ivi, Ivi, APSMU, Conto della Frabiceria di S. Marco d Urri (dal 1907 al 1915). 43 I dati relativi alle campane attualmente in uso mi sono stati forniti da Giorgio Costa, che qui ringrazio sentitamente. L esperto sta conducendo una catalogazione completa di tutte le campane conservate nella Diocesi di Chiavari. 44 APSMU, fogli sparsi, filza III. 45 La lettera, della quale segue il testo, è conservata in APSMU, Cartella pratiche varie. Consegnai la figura rappresentante Maria Vergine Assunta ai Massari da voi mandati tutta bene ultimata colla sua aureola di stelle d argento detti Massari mi pagarono un acconto nel suo nome di lire sessanta, e quindici dico 60,15 un acconto di detta figura che colla somma dalla vista di lire centocinquanta fa 210,15 che andare in 500 restano ancora 289 che di questi si è obbligato il Sig. Giovanni Perasso per 150 a pagarsi in tutto l agosto il restante a pagarsi in tutto novembre L aureola costa lire venti, che questa è stata pagata dal Sig. Paolo Tacchini. I paesani non sanno niente del prezzo che costa. ( ) mi rincresce il non poter venire appresso della figura e godere della festa, e della sua persona, per troppo lavoro di premura. Stefano Valle. 46 Cfr. F. ALIZERI, 1866, vol. III, pp APSMU, Nuova erezione, 1860 e Libro de conti,

265 Fig. 8 Stefano Valle, Maria assunta al cielo. nel 1862, la Madonna Assunta ebbe bisogno di un restauro che costò alla chiesa L. 65,10 48, assai meno di quello, al quale si è già fatto cenno, eseguito dall indoratore Carpi e costato inizialmente lire Alla medesima matrice culturale accademizzante di Stefano Valle, ma con risultati alquanto modesti, attinge anche l ignoto scultore del Cristo processionale oggi collocato sulla parete sinistra della navata centrale. L opera fu acquistata nel , subì un danno presumibilmente molto grave essendo stata fatta cadere nel giorno dell Assunta del , e fu perciò sottoposta a restauro nel L evento ebbe persino una coda legale nel , quando i libri registrano un pagamento all avvocato Chichizola, al quale era stato probabilmente affidato il compito di citare in giudizio, per ottenere il rimborso delle spese, i responsabili dell incidente 53. Al 1859 risale anche la decisione della Fabbriceria di acquistare un gonfalone 54, la cui immagine, non ricostruibile in quanto non pervenutaci, fu affidata a un non altrimenti noto pittore Antolo (o Antola?) di Genova, probabilmente la stessa persona pagata nel dalla Fabbriceria di Neirone per l esecuzione dei Misteri del Rosario 55. I libri d archivio restituiscono parecchie notizie relative all esecuzione del coro, anche in relazione ai gravi problemi di umidità della parte muraria 56.L archivio conserva infatti un foglio sciolto 57, che costituisce una sorta di bando di gara, anteriore al 3 novembre 1837, ma, almeno nella sua parte lignea, il coro attuale fu eseguito nel , per una spesa, risultante dal libro dei conti, di 1165 lire 58. Eseguita probabilmente da artigiani locali, l opera è caratterizzata da specchiature lisce intervallate da lesene scanalate sormontate da capitelli con decori vegetali e presenta un elegante purezza di forme di gusto classicheggiante. Non sappiamo a quale data risalga nella chiesa di San Marco la devozione verso Nostra Signora della Guardia, ma a partire dal 1905 gli atti parrocchiali delineano una discussione su dove collocarne l immagine o la statua (fig. 9), ancora da eseguire. In particolare si discute se sia meglio una nicchia o un altare 59 e il primo ottobre dello stesso anno si delibera di far fare due altarini 48 Ivi, APSMU, Libro de conti, 1903; Deliberazioni, APSMU, Nuova erezione, APSMU, Libro delle deliberazioni, 1889, 7 aprile. 52 APSMU, Libro de conti, Ivi, Il consiglio di Fabbriceria ha ordinato di comprare (...) uno confalone, essendo vecchio e indecente l attuale, cfr. APSMU, Nuova erezione, 1859, 3 aprile. 55 Cfr. A. ACORDON, Neirone. Note sul patrimonio..., in questo volume. Per l esecuzione dell opera il pittore percepì 52 lire, ben poco rispetto alla cifra generale dello stendardo, costato fra tessuti e galloni 514,8 lire: cfr. APSMU, Libro de conti, Cfr. S. MONTINARI, Chiesa di San Marco d Urri, in questo volume. 57 APSMU, Fascicolo pratiche varie. 58 APSMU, Libro de conti, APSMU, Libro delle deliberazioni,

266 laterali ovvero un nicchio per la Madonna della Guardia 60. Nessun altro dato fino al 3 gennaio 1909, quando si decide di raccogliere il denaro per far eseguire una statua in cartapesta di Nostra Signora della Guardia da un artista specializzato nel genere 61. La parrocchia interpellò infatti lo scultore che raccolse forse la sua massima fama proprio nella realizzazione del soggetto della Madonna della Guardia apparsa al Beato Benedetto Pareto, il rapallese Antonio Canepa (Rapallo, 25 marzo Genova, 20 marzo 1931) 62, che richiese un acconto di lire 150 (ma dai dati d archivio non è poi emersa la cifra totale) per il legno e altri oggetti. Fu forse lo scultore stesso, specializzato nell intaglio ligneo, a suggerire alla Fabbriceria di non realizzare l opera in cartapesta 63.L artista, molto prolifico, aveva eseguito la sua prima statua raffigurante la Madonna della Guardia nel 1893 per l erigendo santuario di Velva, ancora nella Diocesi di Chiavari, riscuotendo grande successo anche a Genova, dove, nell attesa che fosse terminato l edificio (1895), l opera venne esposta prima in Nostra Signora delle Vigne e poi in San Torpede 64. La perfetta politezza della statua, che richiama più la levigatezza del marmo che la spigolosità del legno, rimanda alla cultura di stampo classicista, nella quale lo scultore, allievo nell Accademia di Santo Varni e Giovanni Scanzi, si formò. Nel ventesimo secolo si registrano ancora spese per le campane nel e una curiosa vicenda legata a una statua di un metro e mezzo raffigurante il Sacro Cuore, che un anonima benefattrice desiderava donare alla chiesa, come si evince da una lettera del 31 marzo del venditore di Articoli Sacri Costanzo Boggiano, il cui negozio si trovava in Via Tommaso Fig. 9 Antonio Canepa, Madonna della Guardia. Reggio a Genova, che ne annuncia l arrivo per l aprile successivo. Unica richiesta della donatrice è che in chiesa venga istituita una festa annuale dedicata al Sacro Cuore. Il successivo 18 maggio, tuttavia, Boggiano scrive di nuovo al parroco per lamentarsi, per conto della donatrice, per non aver ottenuto ancora alcuna risposta, ma ribadisce che non appena arriverà l opera, avvertirà perché si disponga di andarla a prendere 67. Il dono dovette essere poi accettato visto che la statua è ancor oggi conservata in sagrestia. 60 Ibidem. 61 Ibidem. 62 APSMU, Libro delle deliberazioni, 1909, 3 gennaio. Su Antonio Canepa, cfr. P. A. STOPPIGLIA, 1932; R. SANTAMARIA, 1999, pp ; voce Canepa, Antonio, in Dizionario Biografico..., 1994, II, p APSMU, Libro delle deliberazioni, 1909, 2 maggio. 64 P. A. STOPPIGLIA 1932, pp APSMU, Conto della Fabbriceria, APSMU, Fascicolo pratiche varie. 67 Ibidem. Le foto sono dell Archivio della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico della Liguria (Daria Vinco)

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268 BREVE STORIA DELL OCCUPAZIONE UMANA Stefano Montinari III-II millennio a.c.: l attuale Liguria è occupata da gruppi umani la cui cultura materiale può essere ascritta rispettivamente all Età del Rame e all Età del Bronzo. L economia, prevalentemente di sussistenza, attiva la pastorizia di alpeggio (piccola transumanza) e la coltivazione del minerale di rame. XVI sec. a.c.: a partire dalla Media Età del Bronzo cominciano a manifestarsi caratteri che diventeranno propri dei gruppi chiamati Liguri dalle fonti antiche, archeologicamente riconoscibili nelle testimonianze dell Età del Ferro (IX-III sec. a. C.). VI-IV secolo a.c.: a questo periodo risalgono alcuni apparati funerari rinvenuti in località Corsiglia di Neirone, di poco più recenti rispetto ai rinvenimenti della ben nota necropoli di Chiavari (fine VIII-VII sec. a.c.), nella quale sono stati rintracciati influssi sia etruschi che padani. III secolo a.c.: le notizie relative alle lotte tra i Liguri della Riviera di Levante e i Romani fanno spesso riferimento agli eventi di maggiore rilievo quali la vittoria di Tiberio Sempronio Gracco (238 a.c.), il trionfo sui Liguri di Lucio Cornelio Lentulo nel 236 e le spedizioni di Quinto Fabio Massimo nel 233 e 230 a.c., anche se l area nella quale si svolgono tali eventi è da identificarsi più probabilmente con quella pisano-lunense; i dati archeologici relativi al periodo in esame, tuttavia, sono piuttosto scarsi. II secolo a.c.: la colonizzazione romana diviene sistematica a partire dal 158 a.c. con la definitiva sconfitta dei Veleiati, mentre la costruzione della Via Aemilia Scauri tra Luni e Genova nel 109 a. C. è l unica notizia di rilievo per la zona in questione. I Liguri mantengono inizialmente una qualche indipendenza anche in età imperiale giacché nella Tavola di Velleia, ove sono individuati i vici romani di epoca traianea, non è documentato alcun municipio nella riviera di levante, sebbene l organizzazione del territorio sia assimilabile a quella romana, suddivisa in municipio, pago, vico ed un castellare diviso tra i diversi vici. Si presume che il primitivo ordinamento ecclesiastico che fa capo alla pieve, intesa come unità religioso-territoriale, derivi proprio dalle antiche circoscrizioni pagensi sopravvissute alla conquista romana. La pieve intesa come edificio era invece la chiesa-matrice, la sola in cui si potesse amministrare il sacramento del Battesimo, anche dopo il sorgere di altre chiese o cappelle. Ancora nel XII secolo le pievi sono solo 4 in tutta la vallata ovvero Lavagna, Cicagna, Uscio e Bargagli. 500 d.c. circa: con la disgregazione dell impero romano, la Liguria di levante si trova soggetta da un lato all influenza bizantina e dall altro subisce forti pressioni longobarde provenienti da nord, anche se difficilmente si arriva ad uno scontro aperto; la curia ambrosiana, rifugiatasi a Genova nel 569, dà origine, con la pieve di Uscio, ai suoi vasti possedimenti nella valle che permarranno fino al Rinascimento. 643 d.c.: con la definitiva vittoria del longobardo Rotari si ha l inizio dell era feudale, con l istituzione dei ducati (che nascono dalle ceneri dei municipi romani), divisi in comitati retti da comes, ovvero conti, il cui potere si accresce esponenzialmente, in parallelo con la diminuzione del controllo del potere centrale. VII sec.: dopo la fondazione del monastero di San Colombano di Bobbio nel , i monaci benedettini cooperano con Rotari per l evangelizzazione sistematica delle valli. Con ogni probabilità, tuttavia, il controllo milanese sulla valle è rispettato, come attestato anche dalle intitolazioni delle chiese: se già ad Orero, infatti, è presente un intitolazione a

269 Sant Ambrogio, oltre Soglio prevalgono i titoli di San Michele Arcangelo (longobardo) e San Martino (santo guerriero bizantino), spesso accoppiati a poca distanza l uno dall altro. 774 d.c.: quando re Desiderio è sconfitto da Carlo Magno, tutta la Liguria passa sotto la dominazione dei Franchi che raggruppano le contee in marche, rette da marchesi con carica vitalizia ma non ereditaria; nascono così la Marca Aleramica (Monferrato, Acqui, Savona), la Marca Arduinica (Alba, Albenga, Mondovì), la Marca Obertenga (Genova, Tortona, Pavia, Milano e la Lunigiana). 774 d.c.: la val d Aveto e la bassa Fontanabuona passano con editto carolingio ai monaci di Bobbio; Cicagna, Lavagna e Rapallo formano un Comitato con sede del conte a Rapallo, dipendente dal marchese Oberto d Este (residente a Este e Rovigo e quindi lontanissimo); il potere passa dagli Estensi ai Malaspina d.c.: sotto Ottone I il potere amministrativo tende a confondersi ancor più con quello religioso perché per arginare le pretese dei conti e dei marchesi, poco disposti a essere controllati, Ottone I aumenta in modo considerevole il potere dei vescovi circa: crescono i contrasti tra Genova, che sta acquistando sempre più potere e Milano, che seguita ad esercitare il controllo sul territorio grazie alla presenza dei monasteri; a Bobbio (che ha l appoggio delle famiglie Malaspina e Fieschi), Genova deve opporre San Fruttuoso di Capodimonte (con i non meno potenti Doria). Si consolida l Avvocazia della Fontanabuona (che comprende Ognio, Gattorna, Neirone e Tribogna), ovvero una struttura di impianto longobardo (gli Advocati erano un ramo affiliato ai Visconti) che ufficialmente deve controllare l esazione delle decime spettanti all arcivescovo di Milano, tramite il monastero di Santo Stefano a Genova, ma in pratica consiste in un vero e proprio controllo feudale da parte del signore locale. La fortezza di Roccatagliata di Neirone, di origine longobarda e spettante per metà alla diocesi milanese e per metà a quella genovese, è controllata dai Fieschi per conto dei milanesi e, fino alla loro rinuncia, dai Doria per conto della Repubblica di Genova : si acuiscono i contrasti tra i Fieschi, che sono a Lavagna e Roccatagliata, ed i Malaspina stanziati a Santo Stefano d Aveto; Genova, dopo alcuni tentativi di mediazione interessata che si rivelano infruttuosi, assume il controllo di Chiavari con la costruzione della fortezza ed inevitabile è la guerra. Genova si trova a dover fronteggiare i Malaspina, Federico Barbarossa, la città di Pisa, i Fieschi di Lavagna e i Da Passano di Framura tutti alleati contro la Repubblica; dopo alterne vicende i Malaspina si trovano soli contro Genova per cui devono progressivamente cedere, rinunciando definitivamente alla Fontanabuona nel fine XII-metà XIV secolo: cresce la forza dei Fieschi, vassalli genovesi e tradizionalmente guelfi; Genova, che nel frattempo è dilaniata da lotte intestine, nomina un podestà straniero ed i suoi possedimenti sono divisi in podesterie: una di queste è costituita da Chiavari, Lavagna e Rapallo con le valli Fontanabuona, Sturla e Garibaldo, amministrata dai conti di Lavagna con sede a Rapallo; ma nel 1220, a causa di altre lotte interne ai Fieschi, la podesteria si scinde in quelle di Rapallo e Cicagna la prima, Lavagna la seconda. 1389: Cicagna diviene sede di podesteria autonoma. ante 1547: il quadro politico della Riviera di Levante è caratterizzato dalla lotta tra la Repubblica di Genova (ghibellina) ed i conti Fieschi di Lavagna (che nel frattempo hanno riarmato la fortezza di Roccatagliata) anche se, fino alla congiura dei Fieschi, non sfocia mai in una vera e propria guerra; per questo, il proble

270 ma più grave che si verifica in Fontanabuona per tutto il XV secolo è costituito dal banditismo. post 1547: dopo la caduta dei Fieschi, la valle continua ad essere segnata dal banditismo e dalle guerriglie locali, tra cui si segnala quella del : Cicagna viene inclusa nel capitanato di Rapallo. 1672: è di quest anno il noto tentativo di congiura dei valligiani guidati da Raffaele della Torre di Calvari contro la Repubblica di Genova, con l appoggio promesso ma non concesso dei Savoia, desiderosi di un nuovo sbocco al mare dopo aver perso Oneglia nel La rivolta è soffocata nel sangue e la pace è mantenuta e, stranamente, pare diminuire anche il fenomeno del banditismo : dopo le resistenze riuscite del 1747, la Repubblica è costretta a capitolare di fronte ai Francesi che istituiscono la Repubblica Democratica Ligure, solo una premessa all annessione all impero napoleonico; anche in questo caso i fontanini si dimostrano insofferenti e si ribellano - dapprima pacificamente - agli emissari inviati in valle per parlare della Costituzione democratica che dovrebbe essere approvata dal popolo il 14 settembre Il 3 settembre, guidati da Paolo Bacigalupo ed ancora una volta dopo il Balilla al Grido di Viva Maria, i rivoltosi muovono su Chiavari e poi Rapallo, Recco, Nervi ma a Quinto, arrestato il Bacigalupo, il corteo degli oltre 5000 si scioglie e la Costituzione viene approvata con alcune modifiche nel dicembre : in questi anni, ovviamente, i fontanini oppongono una fermissima resistenza ai francesi e le vicende storiche narrano di imboscate agli invasori, repressioni durissime con borghi incendiati, marce su Genova e precipitose ritirate. Nel 1800 c è la resa definitiva ai francesi e questi ultimi, per non correre ulteriori rischi, istituiscono a Cicagna un presidio di gendarmi. 1816: con la caduta di Napoleone la Fontanabuona entra a far parte, come tutta la Repubblica ligure, del regno del Piemonte e Ferrada prima, Cicagna poi diventano capoluogo di mandamento

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274 UN MONDO DI CONTADINI Raffaella Spinetta Il territorio agricolo comunale Tutto il territorio agrario del Comune di Neirone ha tracce di antichi terrazzamenti o, nelle zone più fertili, ha terrazze coltivate. Le zone più produttive sono quelle maggiormente esposte a solatio. Le colture su fasce e, in particolare, l agricoltura promiscua risalgono a tempi antichi, tanto che, secondo la Caratata ( La Podesteria di Roccatagliata, 1547) esistevano orti e colture già nelle Ville di Neirone, Corsiglia, Roccatagliata e Ortiseto. La Villa di Neirone, per es., comprendeva luoghi denominati: Piane, Scoglia, Coni (cioè appezzamenti isolati), Sorbolo (forse con una buona presenza di Sorbus aucuparia, come si osserva oggi nei pressi della Rocca Cavallina), lo Favaro, le Spine, lo Rivazzo (dirupo, in dialetto), Roncodonego (cioè zona disboscata per ottenere campi coltivati), Carpeneto, li Marroni Binelli (sta per castagni gemelli), Sambuco, le Maxere (muraglie a secco a sostegno di terrapieni). Ma come si costruiscono i muretti a secco? Innanzitutto si prepara il sito che, inizialmente, deve essere liberato dalle pietre affusolate; poi viene scavato nella roccia lo spazio per il nuovo muro di sostegno. Viene, successivamente, posata la prima pietra, generalmente più grande delle altre, atta al sostegno della struttura. Le pietre più piccole vengono posate secondo l inclinazione verso monte della prima pietra. Per controllare l andamento del muro viene steso un filo che ne segna lo sviluppo sul versante. Alle spalle della nuova muratura vengono posti nuovi detriti e piccoli sassi che formano uno strato drenante a protezione del muro. Raggiunto il livello stabilito, si copre il drenaggio con del terreno compatto. Muretti a secco particolari si osservano nell area del M. Spina. In questa zona, a giudicare dalla vegetazione che su di essi è cresciuta, si è prati- Un particolare della ruota del mulino di Rosasco, tuttora in ottimo stato (foto R. Spinetta)

275 La costruzione delle carbonine presso il M. Caucaso (foto R. Spinetta). cato, in passato, sia il pascolo che la coltivazione. La scerardia dei campi, l ortica, la stellaria, l amaranto, l euforbia sono solo alcuni esempi di specie-guida che consentono di capire che qui si sono susseguiti sfalci e pascoli. Altre aree ruderali che vi consigliamo di visitare sono: Aia Zanello, Corsiglia, Feia, Forcossino e Siestri. Aia Zanello, in particolare, è un intera città contadina abbandonata. Ha case, fontane, scale in pietra e carruggi, il tutto immerso in una vegetazione di felci aquiline, arbusteti e boschi in degrado. Ci abitano, saltuariamente, alcune persone. Al tramonto, il sole riflette i suoi raggi sui tetti in ardesia e pietra ed i buchi negli spessi muri di calce e pietra a vista fanno intravedere solai in castagno, spesse travi e pilastri. A Corsiglia le case sono ancora in parte abitate; sono a schiera e spesso hanno vicino le tracce di ponti e mulini per la molitura delle castagne secche e dei cereali. Feia, vicino a Case Spina, è un borgo circondato da ampie fasce coltivate a patate e, un tempo, a cereali vernini. Forcossino, così come Siestri, è un insieme di case in pietra, scale, aie, fienili, porticati, archi e criptoportici, costruiti con senso pratico per il riparo di piccoli animali, attrezzi, utensili e vivai. E numerosi sono gli altri siti archeologici del territorio che ci ricordano con vivida sensibilità il mondo dei contadini. A voi la ricerca e la scoperta Ronchi, seccatoi, carbonine Molte sarebbero le testimonianze del mondo contadino da conoscere, apprezzare e valorizzare. In questo contesto, riportiamo tre soli spunti di riflessione, tre tradizioni di cui restano tracce e fragranze: il ronco, il seccatoio, la carbonina. Secondo quanto riporta Marco Porcella nel suo Maggiolungo, i ronchi erano delle sterpaglie che venivano tagliate, lasciate seccare e poi bruciate. Con la zappa veniva scorticato il terreno,

276 si seminavano alcune leguminose, tra cui il leme. Il ronco si faceva nei terreni non troppo ripidi, senza costruire muri. Magari si realizzava qualche cordone di zolle per deviare l acqua. Le zolle tagliate erano fatte seccare al sole; poi, con la legna sotto e le zolle sopra si facevano come delle piccole carbonine e si incendiavano. Alla fine, restavano dei mucchietti di cenere da spargere. Nei ronchi si seminava grano per tre anni. I seccatoi sono testimonianze contadine più comuni e note alla maggior parte delle persone della Val Fontanabuona. Hanno, solitamente, un focolare al centro su lastre di pietra appena rialzate dal pavimento, una grè, con travetti di castagno o ontano e, infine, solitamente, una catena appesa ad una trave principale recante all estremità inferiore un coperchio ( tèstu ). I seccatoi riscontrabili nei castagneti della valle si distinguono da altri ruderi o dai fienili in pietra per la presenza di feritoie esterne che avevano la funzione di far uscire il fumo che si formava all interno e che, spesso, purtroppo, costava la vita a chi custodiva il fuoco. E infine, un ultima particolarità rurale dell Appennino: la carbonina o carbonaia. Le carbonine sono state innalzate, un po dappertutto in Liguria, fino all inizio dell ultima guerra, sugli spiazzi praticati dai carbonai nei boschi di legno forte (faggio, acero, rovere, leccio). La carbonaia dura pochissimo dopo il suo allestimento, ha una pianta circolare ed una configurazione tronco-conica. Il legno, accatastato, viene ricoperto da tre, quattro centimetri di terra battuta, con foglie sottostanti perché il suo bruciare interno non venga a contatto diretto con l aria. Valori ed attività da salvaguardare Coltura del granoturco (foto A. Spinetta). Il mondo contadino è, per la Val Fontanabuona come per molte comunità montane del territorio italiano, un patrimonio da conoscere e tutelare oltre che da valorizzare, perché tutti siano consapevoli che il presupposto per crescere sicuri e forti in un ambiente che rischia di essere maltrattato, è proprio la conoscenza delle nostre radici. Le varietà locali, gli strumenti di uso comune e gli elementi dell architettura rurale sono spesso nascosti e vanno cercati con cura, trovati per non perderli. Nel Comune di Neirone, oltre agli agglomerati già citati, ci sono nuclei ancora abitati che per i loro toponimi e per la localizzazione sono emblematici della collina ligure. Orticeto, Cerisola, Montefinale, Piana di Ognio, Ciliegia ed altri nuclei anche di piccole dimensioni sono testimonianza di coltivazioni ed antichi usi del suolo. Orticeto è un nucleo lineare di case a schiera tuttora abitate, poste a solatio e circondate da terrazzamenti ampi con alcune stalle e fienili. Cerisola, poco lontano da Neirone, appare, invece, come un insieme di campi e frutteti con alcune case sparse in pietra. Il nome ricorda le ciliegie e, forse, è così a giudicare dalle numerose piante di pruno da uccelli (Prunus avium) o

277 gende, uno per tutti: San Marco d Urri. In una delle zone dirupate dell area di San Marco, infatti, sembra si sia gettata secoli orsono una giovane donna tormentata dalle passioni d amore per un uomo che non le volevano lasciar sposare. Alcuni problemi da risolvere I borghi montani lineari dell alta valle. Roccatagliata (foto R. Spinetta). ciliegio selvatico che imbiancano a primavera i blandi terrazzamenti dell area. Montefinale, il cui nome significa al confine del monte, è noto non solo per le querce secolari, simbolo della frazione e vanto per l intero comune, ma anche per la presenza di case centenarie di grande suggestione, querceti e punti panoramici usati ogni anno dagli abitanti di Ognio per osservare, tra la pace della natura e la piacevole compagnia degli altri, i fuochi di artificio di Gattorna. E ancora, Piana di Ognio e Ciliegia. La prima area si trova sopra Ognio dove, ai contrafforti del M. Cavello, si allargano ampi noccioleti e castagneti e aree ormai abitate come la zona di Bescalupo. Ciliegia, toponimo di indubbia origine, si trova invece nell area di San Marco d Urri: poche case contadine, tante aree coltivate a patate e varietà orticole adatte al freddo, soprattutto cavoli. Tanti altri sono i luoghi avvolti da storia e leg- I problemi da risolvere in un area circondata da boschi e coltivi sono legati al territorio montano. Sono due quelli che si notano da fuori, anche senza fare indagini accurate: gli incendi per i boschi in degrado e lo spopolamento per i nuclei urbani. Il fuoco, impiegato un tempo per la pulitura dei castagneti da frutto, costituisce un problema se non viene controllato. Esso incide sul suolo, che diventa poco potente e quindi povero in lettiera ed humus. La frequenza e l estensione che caratterizzano gli incendi, censiti dalla stazione del Corpo Forestale dello Stato di Gattorna e dei Comuni limitrofi, fanno sì che le colline del comprensorio si ricoprano di felceti a felce aquilina. Per dare al lettore un idea della frequenza con cui avvengono gli incendi in questa area, si riportano i dati dal 1985 al M. Cavello: cinque incendi estesi; - Montefinale: quattro incendi estesi; - Crovaria: quattro piccoli incendi; - Neirone: quattro incendi; - Lezzaruola: due incendi; - Le Corsiglie: due incendi. Il caso della patata quarantina: territori e pratiche storiche Quasi tutto il territorio coltivabile del Comune di Neirone, fino a qualche decennio fa, era adibito alla coltura delle patate quarantine e di altre varietà. Esse erano seminate in terreni situati a quote intorno ai metri, limite minimo del castagno nell area del M. Caucaso. Le Quarantine crescevano e si sviluppavano

278 Nuclei abitati ad Orticeto (foto R. Spinetta). bene intorno ai metri, nelle zone di Cazzarina (sopra a Rosasco), Corsiglia, Roccatagliata, Forcossino e Gure, Giassina, Aia Zanello, Sciarè, Feia, Case Spina. Secondo le testimonianze raccolte sul territorio, i campi maggiormente utilizzati per la coltura di varietà diverse di Solanum tuberosum L. erano collocati nei seguenti appezzamenti o proprietà terriere i cui nomi sono stati riportati con il loro termine dialettale: Gratua-Fondo Piano (Ognio) Cunio de Luiggia (Ognio) Bascia, Pian Cerexa, Isua, Fondo Villa, Scarsunaie (Ognio, Isola) Margaressu, Che-e Lunghe, Cian Cro-osello, Serra (Crovaria) Cian du Mas-ciu, Campassu (Rosasco) Valle da-a Gure (Gure vicino a Forcossino) Ciosetta, Cian, Seppa, Cantu, Ciani (San Marco d Urri) Fussu, Serexa, Pezza (Ciliegia) Ronculungo (Tassorello) Furca, San Martino (San Martino del vento) Fasce lunghe, Cian-e, Friccià (Rossi di Lumarzo) Costa Finale (Costa Finale). Non tutte le proprietà terriere citate dai locali erano coltivate a patate quarantine. È ipotizzabile che lo fossero solo quelle a quota compresa tra i 600 e gli 800 metri, secondo quanto ricavato a Rossi di Lumarzo, una delle frazioni più alte della Val Fontanabuona. Sulla base delle testimonianze raccolte e osservando le carte prodotte per il piano di sviluppo agrario (Carta delle potenzialità foraggere - seminativi con pendenza <35%, settembre 1980), è possibile costruire una carta della vocazione che comprende le aree maggiormente utilizzate per la coltura delle patate e del frumento presente nelle colture di rotazione. Nella carta, oltre alle aree che abbiamo definito vocate, sono stati indicati i siti di allestimento delle Fosse e le relative aree, i siti di provenienza delle patate da seme, i siti e le direzioni di scambio del seme. Quella delle Fosse o Pusse è un antica usan

279 za. Un metodo di conservazione delle patate da seme che sfrutta le proprietà termiche del terreno per evitare i marciumi dei tuberi, preziosi per la semina primaverile. In molte zone della montagna genovese i contadini, infatti, scavavano pozze nel terreno, in aree non coltivate a quota ed esposizione piuttosto costanti. Nel territorio di Neirone esse erano collocate nelle strette fasce di Corsiglia, Roccatagliata, San Marco d Urri, Giassina e Forcossino e in aree limitrofe dai nomi caratteristici. Secondo le testimonianze di locali (in particolare Guglielmo Gardella) i siti maggiormente impiegati per questa pratica di conservazione sono: In t-i Capurri (San Marco d Urri) In t-e Cian-ne (Piane di Corsiglia) Sotto alle rocche di Aia Zanello (Aia Zanello) In t-i Gure (Forcossino) Costa Giassina (Giassina) In t-a Cassaina-a (Cazzarina) Campasso (Corsiglia) Ma come si costruiva una Pussa? Si scavava una pozza nel terreno profonda circa 1 m e larga quanto bastava per contenere i semi. A contatto col terreno si metteva uno strato di paglia ben compatto per separare il terreno umido dalle patate, che altrimenti sarebbero germogliate. Una peculiarità: sopra la paglia non erano sistemate le patate, bensì alcune lastre in ardesia. E sopra le ardesie i tuberi ben sani e in gran quantità. Quando c era quasi un quintale di patate ricoperto di foglie di castagno, si completava il tutto con circa 25 cm di terra. A questo punto, dopo aver coperto i semi di terra, intorno al cumulo di terra era allestito un essenziale e intelligente metodo di drenaggio. Tutt intorno veniva scavato un piccolo solco che doveva accogliere l acqua piovana, che poi veniva convogliata all esterno per evitare l eccesso dannoso di umidità che provoca l insorgere di muffe nei semi. Il M. Spina, esempio di insediamento rurale sparso (foto R. Spinetta). Le patate si tiravano fuori dalle fosse ai primi di marzo e venivano vendute o scambiate con i coltivatori delle aree vicine

280 LE AMMINISTRAZIONI DAL DOPOGUERRA AD OGGI Amministrare i piccoli comuni, piccoli per area e non certo per prestigio, è da sempre una scommessa per il futuro del territorio. Occorre che i territori montani, infatti, accrescano le loro potenzialità e le sviluppino. Questa, dal Dopoguerra ad oggi, è stata tra le principali finalità dei sindaci del Comune. Di seguito, grazie alla collaborazione dell Ufficio Anagrafe del Comune di Neirone, sono raccolti i dati relativi ai primi cittadini dal dopoguerra ad oggi, con i periodi dei loro mandati, accompagnati da alcune significative immagini del territorio comunale. Dal 1946 ad oggi si sono succeduti, presso il Comune: Sindaco Michele Lercari: in carica dal 1945 al 1946 Sindaco Angelo Ferretto: in carica dal novembre 1946 al novembre 1948 Sindaco Angelo Musante: in carica dal 1948 al 1951 Sindaco EraldoDe Martini: in carica dal 1951 al 1960 Sindaco Pietro Rosati: in carica dal 1960 al 1978 Sindaco Agostino Guarnieri: in carica dal 1978 al 1980 Sindaco Romano Federighi: in carica dal 1980 al 1995 Sindaco Romano Nestori: in carica dal 1995 al 1999 Sindaco Stefano Sudermania: dal 1999 a tutt oggi in carica

281 Neirone. Roccatagliata

282 Ognio. San Marco d Urri

283 Corsiglia. Forcossino

284 Siestri. Cappella del Portello

285 Centrale idroelettrica che produce circa 5 MW annui. Essa fu costruita agli inizi degli anni 40 da operai locali seguiti da un ingegnere idraulico (foto A. Botto). Condotta in cemento della centrale idroelettrica di Neirone. È un opera idraulica ineguagliabile per il Levante ligure (foto R. Spinetta)

286 Bacino di carico (foto A. Botto)

287

288 ATTUALITA E POTENZIALITA FUTURE Raffaella Spinetta Cenni sull uso del suolo dal dopoguerra ad oggi Dopo aver letto e studiato con cura e passione un territorio montano, viene spontaneo coglierne l attualità, cercarne le curiosità e farle un po proprie. È questa la premessa all ultimo capitolo del testo. Esso ha carattere di cronaca, ma anche propositivo. Dal Dopoguerra ad oggi, Neirone è rimasta un isola privilegiata ancora immersa nelle tradizioni e, talvolta, basata sull agricoltura. Il problema più grave che deve affrontare è lo spopolamento, ma ci sono già segni vivi di rinascita grazie al ritorno di valori ed ideali legati all ambiente. Forniamo una nota sull agricoltura, perché insieme all ambiente è l aspetto che maggiormente si dovrà curare anche in futuro in un ottica di sviluppo sostenibile. Nell intero territorio si praticano ancora l orticoltura, la viticoltura, l ulivicoltura e la frutticoltura. Tra le varietà da vino più usate in viticoltura, ci sono, secondo le testimonianze di contadini e alcuni studi del 1980 della Comunità Montana Val Fontanabuona (PIANO DI SVILUPPO AGRICOLO, 1980): Alberola, Bianchetto, Vermentino, Rollo, Bosco, Ciliegiolo e raramente Dolcetto, Nebbiolo e Bonarda, che sono di origine piemontese. È importante menzionare la frutticoltura poiché moltissime sono le varietà da recuperare e rilanciare, proprio come si è cercato di fare nel 1999 con il caso della Quarantina (Solanum tuberosum, L). Alcune fruttificazioni tipiche della zona sono le pesche Agostane, le pesche Settembrine e le piccole e saporite mele Carle. Un ultimo appunto, legato all uso del suolo, lo dedichiamo all allevamento. Nel territorio comunale è, infatti, ancora in uso l allevamento bovino, caprino e di specie animali di bassa corte, ossia conigli, galline e sporadicamente tacchini. Cronache d epoca e immagini del passato Neirone e tutto il suo territorio sono sempre stati un luogo vivo e in fremito sociale. Feste, sagre, affollate partite di carte nel bar, tante manifestazioni e tornei nei piccoli campi da calcio: piccoli, ma ricchi di entusiasmo da sempre. La Festa delle torte di Ognio, la Sagra delle patate di Neirone e Roccatagliata, le notti di Natale nella chiesa presso San Marco d Urri e le varie feste patronali delle quattro parrocchie del territorio sono le suggestioni che ogni visitatore e soprattutto i cittadini non dimenticano mai. Per dare a tutti la possibilità di assaporare alcuni di questi momenti l Amministrazione Comunale ha fornito alcune foto, conservate con cura e sentimento negli uffici comunali, a documentare alcuni episodi significativi della storia locale

289 Un momento di pausa in una foto di squadra, che ha anni di storia. I calciatori, dignitosamente immortalati alla fine di una partita negli anni Trenta, si erano costruiti un piccolo campo in località Rià. I componenti del gruppo della squadra sono, dall alto al basso, partendo da sinistra: Olcese Luigi, Musante Angelo, Sartorio Francesco, Caramella Valerio, De Barbieri Virgilio, Rosasco Carlo, Schiappacasse Adelio, Zinio Carlo, Olcese Giovanni, Sudermania Salvatore, Caramella Silvio. Il calcio era un attività amatoriale, ma di grande diffusione nella Val Fontanabuona, tant è vero che si è sviluppata fino ad oggi con numerose squadre locali

290 La foto, che risale agli anni 20, concessaci gentilmente dal Sindaco del Comune di Neirone, documenta l inaugurazione del Monumento ai numerosi Caduti della Prima Guerra Mondiale. Questa seminò numerose perdite di vite umane nelle famiglie neironesi. Un immagine di Neirone da una cartolina d epoca (1941)

291 Vedute di Neirone da una cartolina d epoca (1943). Particolare del Municipio

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