IDONEITÀ E UNIVOCITÀ DEGLI ATTI NEL DELITTO TENTATO
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- Felice Pieri
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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA LA SAPIENZA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA IDONEITÀ E UNIVOCITÀ DEGLI ATTI NEL DELITTO TENTATO Tesi di Laurea di Silvia Leto Relatore: Prof. Antonino Battiati Correlatore: Prof. Franco Coppi A.A. 2007/08
2 1.3 Inquadramento normativo: l art. 56 del codice Rocco. Il concetto di consumazione esprime, tecnicamente, la compiuta realizzazione di tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie criminosa, si è in presenza di un reato consumato, quindi, tutte le volte in cui un fatto concreto corrisponde interamente al modello legale delineato dalla norma incriminatrice in questione. Il giudizio relativo all avvenuta consumazione del reato, ovviamente, va effettuato di caso in caso, in funzione della diversità degli elementi strutturali che compongono le varie fattispecie incriminatrici. Così, nell ambito dei reati di mera condotta, la consumazione coinciderà con la compiuta realizzazione della condotta vietata; nei reati di evento, invece, la consumazione presuppone, oltre al compimento dell azione, anche la produzione dell evento 1. Nei casi in cui l agente non porta a compimento il delitto programmato, invece, ricorre la figura del delitto tentato, purché gli atti, parzialmente realizzati siano tali da esteriorizzare l intenzione criminosa; diversamente ci troveremmo di fronte ad un mero proposito delittuoso, irrilevante in base al principio cogitazionis poenam nemo patitur. Il vigente codice penale italiano, descrive la figura giuridica del delitto tentato nel primo comma dell art. 56 con la seguente formula: «chi compie 1 FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, parte generale, Bologna, 2005, p.415.
3 atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l azione non si compie o l evento non si verifica». La punibilità del tentativo nel diritto positivo trae origine, dunque, da tale disposizione, che ha efficacia estensiva, consentendo la proibizione di fatti che sono descritti nelle varie norme incriminatrici, ai casi in cui l agente non li realizza al completo, ma compie atti idonei diretti inequivocabilmente a porli in essere. La norma in questione crea nuovi obblighi, rendendo punibili azioni che altrimenti non cadrebbero sotto le sanzioni della legge. Se non esistesse la norma in parola, infatti, colui che cerca di compiere un delitto e non vi riesce, non sarebbe punibile, ostando il principio fondamentale del nullum crimen, nulla poena sine lege, corollario cardine del c.d. principio di legalità sancito nell art. 1 del codice penale. Il delitto tentato è, dunque, la risultante della combinazione di due norme: una principale, la norma incriminatrice speciale; e una secondaria, la norma estensiva contenuta nell art. 56, in tal modo, dal combinato disposto delle due diverse norme, che di volta in volta si abbinano tra di loro, si è originato il nuovo titolo di reato, 2 che risulta essere: autonomo e dotato di tipica oggettività giuridica e di specifica struttura, anche se 2 Così per es., la norma incriminatrice speciale prevista dall art. 624 nel furto, insieme all art. 56 che è norma estensiva, da origine a un nuovo titolo di reato, il tentato furto, che costituisce figura delittuosa autonoma per quanto mantiene il nomen iuris del reato a cui si riferisce; ANTOLISEI, op. cit., p.482.
4 mantiene il nomen iuris della figura delittuosa consumata a cui si riferisce, in altri termini il tentativo non costituisce una circostanza attenuante rispetto al reato consumato, bensì una figura di reato a sé stante. 3 Ne consegue che gli effetti giuridici sfavorevoli, previsti con specifico richiamo a determinate norme incriminatrici, debbono intendersi riferiti alla sola ipotesi di reato consumato e non anche al tentativo, essendosi in presenza di norme quelle sfavorevoli di stretta interpretazione, le quali, a meno che non sia espressamente previsto, non trovano applicazione per la corrispondente figura di delitto tentato. 4 Nel vigente ordinamento penale l ammissibilità del tentativo punibile è esclusa con riguardo ai reati cd. a consumazione anticipata, nei quali, consistendo la condotta tipica nel compiere atti o usare mezzi diretti all offesa del bene giuridico, ciò che costituisce il minimum per l esistenza del tentativo, dà già luogo a consumazione. Tipico esempio è il delitto di attentato, per cui la dottrina maggioritaria 5 ravvisa una struttura della fattispecie analoga al tentativo e, dunque, tende a negare la possibilità di coniugare i due modelli normativi; 3 Cass., 8 ottobre 1957 (Giust. Pen., 1958, II, 71) 4 Cass. Pen., sez. Isent. n del 1985, in Breviaria Iuris al Codice penale, Zuccalà, Cedam, ANTOLISEI, op. cit., p.511; MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 1992, p. 450; RIZ, Lineamenti di diritto penale, Padova, 2002, p. 330.
5 per cui un tentativo di attentato, essendo tentativo di un tentativo, costituirebbe una contraddizione in termini, divenendo un non tentativo. 6 La figura del tentativo per espressa previsione di legge non è applicabile, neanche, alle contravvenzioni, infatti, l art. 56 si riferisce esplicitamente solo ai delitti; le ragioni di questa scelta del Legislatore sono di natura politico-criminale, gli illeciti contravvenzionali non provocano allarme sociale al contrario di quelli delittuosi, ed è questa la ragione per cui il dolo rimane caratteristica esclusiva dei delitti, e le contravvenzioni hanno solo natura colposa, e, una volta assunto, che il tentativo non può che essere supportato dal dolo, è da escludere la configurabilità del tentativo nelle contravvenzioni. 7 Dall essenzialità strutturale del dolo per la condotta tipica del tentativo, deriva anche l impossibilità di configurare un tentativo di delitto colposo, sarebbe una contraddizione ammettere il tentativo senza volontà criminosa, vale a dire senza dolo, non essendo strutturalmente concepibile tentare la realizzazione di un fatto senza prevedere o volere il risultato della condotta. Il tentativo nella sfera della volontà, infatti, non differisce dal reato (doloso) consumato, perché esige l intenzione di commettere un delitto, ma 6 Anche in tal caso vi è stato chi ha sostenuto che una pretesa incongruenza logica non sussiste fra tentativo e attentato; SINISCALCO, voce Tentativo, in Enciclopedia giuridica Treccani, p FIANDACA MUSCO, op. cit., p.433.
6 se è perfetto dal punto di vista soggettivo, nella sfera oggettiva esso è incompleto, perché l ipotesi delittuosa descritta dal Legislatore nella norma è realizzata solo in parte. 8 Tale assunto non deve condurre a pensare, come per lungo tempo la dottrina ha fatto, che il tentativo sia un delitto imperfetto, perché ciò può ritenersi esatto solo se si ponga in relazione questa figura giuridica col delitto consumato ma riguardato in se, il tentativo costituisce un delitto perfetto, 9 in quanto presenta tutti gli elementi necessari per l esistenza di un reato: il fatto tipico, l antigiuridicità e la colpevolezza; ed è un fatto a cui l ordinamento giuridico ricongiunge come conseguenza una pena criminale. 10 Mentre altra parte della dottrina 11 ritiene che il termine perfezione, alluderebbe alla verificazione di tutti i requisiti richiesti dalla singola fattispecie legale, e il concetto di consumazione, invece, esprimerebbe l idea che un reato già perfetto ha raggiunto la sua massima gravità concreta; ma è stato notato che nella pretesa differenziazione dei due predetti concetti si annida un equivoco: si confonde il profilo dell integrazione della fattispecie con quello della valutazione della gravità dell offesa. 8 ANTOLISEI, op. cit., p MASSARI, Il momento esecutivo del reato,pisa, 1923, p.134; Così Cass. 17 gennaio 1989, in Cass.Pen., 1990, I, FIANDACA-MUSCO, op. cit., p MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 1992, p.427.
7 La dottrina maggioritaria 12 è, dunque, d accordo nel sostenere che perfezione e consumazione non siano termini antitetici: il tentativo non può considerarsi come un reato imperfetto per il semplice fatto che l'iter delittuoso è rimasto incompleto; in quanto sia la semplice assenza dell'evento (c.d. tentativo compiuto ovvero delitto mancato) che l'eventuale incompiutezza della condotta (tentativo incompiuto) secondo la distinzione fatta dallo stesso legislatore all'art. 56, non assumono rilevanza al punto da togliere perfezione al reato: reato non consumato non equivale a reato non perfezionato (ad es., il reato permanente si consuma con la cessazione della situazione posta in essere, ma si perfeziona nel momento in cui questa ha inizio). Per avere un quadro più completo dell ammissibilità del tentativo nelle diverse categorie di reato, si può aggiungere che, nei reati «unisussistenti», cioè quelli che unico actu perficiuntur, il delitto tentato è giuridicamente configurabile, ma nell unica forma di tentativo «compiuto», in cui l evento non si verifica nonostante l esaurimento dell attività esecutiva; non è, invece, concepibile nel tentativo «incompiuto» postulando questo l interruzione dell attività esecutiva volta alla realizzazione dell evento, dunque per ovvie ragioni, non può aver luogo MORSELLI E., Condotta ed evento nella disciplina del tentativo, RIDPP, 1998, 1, Cass. Pen., sez. I sent. n del 1997, in Breviaria Iuris al Codice penale, Cedam, 2006.
8 CAPITOLO SECONDO ELEMENTO OGGETTIVO DEL DELITTO TENTATO 2.1 I requisiti dell idoneità e dell univocità degli atti: l inizio dell attività punibile. Tra l'ideazione del fatto e la sua consumazione c'è una zona grigia, all'interno della quale si situa il momento d'inizio della condotta rilevante di tentativo, che è di difficile determinazione. Premessa di tale individuazione è la tradizionale e tuttora usuale divisione della zona grigia in due fasi con opposta efficacia: la fase cd. preparatoria e la fase cd. esecutiva. 14 Il problema centrale 15 resta proprio stabilire il momento che segna il passaggio dagli atti preparatori agli atti esecutivi, per individuare l inizio dell attività punibile, infatti, quanto più la soglia della punibilità arretra, tanto più vi è il rischio di far rientrare comportamenti innocui o meri propositi delittuosi, nella sfera del penalmente rilevante; mentre, spostando eccessivamente in avanti il discrimine tra punibile e non punibile, si va incontro al rischio opposto di frustrare quelle esigenze preventive che l istituto del tentativo dovrebbe soddisfare. 14 ANGIONI F., Un modello di tentativo per il codice penale, in RIDPP, 2001, 4, p VANNINI, Il problema giuridico del tentativo, Milano, 1952.
9 In dottrina non tutti sono concordi nell indicare il momento preciso in cui ha inizio l attività punibile. Or dunque l essenza logica del tentare è appunto nell eseguire o, per dir meglio, nell intraprendere l esecuzione. Il tentare esprime non solo il collegamento finalistico con un evento da realizzare, ma anche oggettivamente, l effettivo muovere delle forze umane verso quel fine. Il tentare è per la sua stessa natura un mettere in esecuzione, e la dottrina ha cercato anzitutto di determinare la nozione di atto di esecuzione, per poi giungere, per esclusione, a quello di atto preparatorio. Secondo una costruzione dottrinale, per determinare l inizio dell azione delittuosa occorre guardare al fatto tipico, quale risulta descritto dalla legge; e questo segnerebbe il momento in cui ravvisare la distinzione tra atti di preparazione e di esecuzione. L attività esecutiva sorge quando inizia la violazione della norma penale; pertanto dal momento che il codice ha determinato le caratteristiche essenziali, ovvero i connotati di ogni reato, non dovrebbe essere difficile distinguerne l inizio, il corso e la fine. Così «se il furto è l impossessarsi della cosa altrui, per trarne profitto togliendola dal luogo dove si trova, l apprehensio rei, sarà il primo atto
10 esecutivo del furto, mentre nell omicidio, poiché l uccisione dell uomo è il fatto, l esecuzione si avrà quando si verificherà un aggressione alla vita dell uomo, adoperando l arma o il veleno». 16 A questo punto, secondo tale assunto, soltanto gli atti di esecuzione sarebbero incriminabili. Per tale motivo, è stato aggiunto 17, che anche se fosse dimostrato che gli atti di preparazione sono diretti a commettere un determinato delitto, essi non sarebbero comunque punibili, perché non violano né in tutto, né in parte, il correlativo comando penale. Se, infatti, un soggetto acquista il veleno per uccidere o dei grimaldelli per rubare, non viola in alcun modo con questo solo fatto, rispettivamente il comando di non uccidere o di non rubare; ma avrà iniziato a violarlo soltanto quando avrà cercato di propinare il veleno alla vittima o di forzare la serratura. La ragione giuridica della non punibilità dei soli atti preparatori a titolo di tentativo, starebbe nell assenza della violazione della norma penale contemplante il diritto violato. Tale ricostruzione non può essere accolta per una serie di motivi; innanzitutto si potrebbe opporre che, se la norma prevede la consumazione 16 NAPODANO, Intorno al criterio di distinzione tra preparazione ed esecuzione in tema di tentativo, MANZINI, Trattato di dritto penale italiano secondo il codice del 1930,
11 del delitto, e il fatto nel tentativo non raggiunge la consumazione, non si riesce a capire come questa norma possa essere da quel fatto violata. In secondo luogo, è stato notato che dal punto di vista oggettivo possono sussistere solo azioni, che tentano di andare contro un interesse giuridicamente protetto. Vi possono essere in altri termini, soltanto agenti, che tentano di aggredire un bene. Il tentativo, perciò è una nozione che può soltanto determinarsi dal punto di vista dell agente, non dal punto di vista oggettivo della natura dell atto. Non solo, ma a ben guardare tutta la costruzione si rivela tautologica. Si afferma, infatti, che si ha atto esecutivo quando inizia la violazione della norma, e si aggiunge quindi che, tale violazione comincia quando inizia l attività esecutiva. Il circolo vizioso nell assunto è evidente. 18 Così facendo, al quesito di stabilire il punto in cui incominci l attività esecutiva si sostituisce l altro di ricercare il punto in cui si inizia l attività tipica; ma il problema rimane sempre insoluto. Non solo, ma tale criterio si rivela insufficiente a determinare il tentativo nei reati a forma libera 19. Poiché se è vero che, vi sono reati a forma vincolata nei quali l azione deve presentare certe determinate 18 MAGGIORE, Principi di diritto penale, 1937, p Secondo la dottrina, i reati a forma libera sono quelli che possono essere realizzati con qualsiasi attività che produca un determinato evento; per esempio rientrerebbe in questa fattispecie il reato di omicidio, che può essere commesso nei modi più diversi, e sussiste sempre che con un azione o omissione sia stata cagionata la morte di un uomo.
12 caratteristiche, sicché è facile stabilirne la tipicità e quindi il carattere esecutivo dell azione, vi sono anche molti reati, suscettibili di modalità diverse di realizzazione, nei quali non è possibile determinare a priori il carattere esecutivo tipico. Mentre nei reati a forma vincolata l inizio dell azione delittuosa è determinata dalla legge, nei reati a forma libera ha riconosciuto la Suprema Corte che deve essere determinato dal giudice, tenendo conto dello specifico bene protetto e dell attività astrattamente e concretamente idonea all aggressione del bene. Non solo, ma anche nei reati a forma vincolata il coefficiente di variabilità del mezzo esecutivo è sempre notevole. Soltanto la considerazione di circostanze concrete entro le quali l azione criminosa si esplica, può denunziare quali siano l atto e il momento del processo esecutivo, che pongono la causa efficiente dell effetto. 20 A ciò si aggiunga che anche nelle ipotesi nelle quali il momento esecutivo viene rappresentato da un solo mezzo, come può essere la morte cagionata da un arma da fuoco, rimane sempre da determinare se il momento dell esecuzione si inizia con lo spianare il fucile o col mirare o invece col premere il grilletto. Soltanto la considerazione delle circostanze di fatto concrete, entro le quali l azione criminosa si verifica, e non la 20 MASSARI, Il momento esecutivo del reato, 1934, p. 165.
13 descrizione del fatto tipico, può denunziare quale sia l inizio del processo esecutivo e quale invece si riveli un atto preparatorio. Parte della dottrina ha fatto ricorso alla teoria della causalità per spiegare l inizio dell attività punibile. Così è stato affermato che il tentativo è costituito non solo da quell attività esecutiva prevista dall ipotesi normativa, ma anche da quella precedente ad essa, «che noi siamo tratti a pensare indissolubilmente necessaria aderente all evento che avrebbe dovuto per essa verificarsi». «Il tentativo è perciò l azione tipica che realizza una parte del fatto descritto nel precetto penale o magari l azione precedente all azione tipica, logicamente a questa indispensabile, che ha per oggetto immediato la realizzazione iniziale del fatto ( urtare un individuo per borseggiarlo, prendere contro un soggetto la mira per sparare il colpo ), l azione che aggredisce il bene direttamente o indirettamente». 21 Altro autore ha affermato che la «nozione di atto esecutivo non può desumersi che dal contenuto della norma penale». 22 Dunque, per tentativo va inteso, non soltanto l azione tipica che realizza una parte del fatto descritto nel precetto penale, ma anche l atto precedente logicamente necessario alla realizzazione iniziale del fatto. 21 VANNINI, La nozione di attività esecutiva, Riv. Pen., MASSARI, op. cit., p. 165.
14 Il codice Zanardelli nell art. 61, richiedeva l inizio di esecuzione della condotta tipica ai fini della configurazione del tentativo, operando così una distinzione tra atti preparatori (non punibili) e atti d esecuzione (punibili), che risale al codice napoleonico, secondo una formula tuttora in vigore in Francia in base alla quale per aversi tentativo occorre un commencement d exécution. L odierno codice Rocco nell art. 56, si limita a richiedere atti idonei diretti in modo non equivoco, è stata, dunque, volutamente abbandonata tale distinzione, ed è questo uno degli aspetti innovativi più importanti e discussi apportati dal Legislatore del Tale scelta si rese necessaria in primo luogo, a causa della difficoltà sottolineata più volte dalla dottrina e dalla
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