PRIMO CAPITOLO L ELEMENTO SOGGETTIVO DEL DELITTO TENTATO 1) IL DOLO COME ELEMENTO SOGGETTIVO DEL TENTATIVO
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- Elisa Venturi
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1 PRIMO CAPITOLO L ELEMENTO SOGGETTIVO DEL DELITTO TENTATO 1) IL DOLO COME ELEMENTO SOGGETTIVO DEL TENTATIVO Il dolo del delitto tentato è identico al dolo del delitto consumato : questa affermazione pacifica in dottrina e nella giurisprudenza prelevante 1 identifica il dolo del delitto tentato con il dolo della fattispecie del reato consumato con l inevitabile corollario di poter adattare al delitto tentato tutte le forma di dolo valevoli per il delitto consumato. Prima di passare ad analizzare i significati di una tale affermazione è necessario chiarire ciò che tale affermazione pone per concetto presupposto: la forma dell elemento soggettivo in relazione al tentativo è il dolo. Certamente su un piano strettamente giusnaturalistico si può escludere in via di principio la configurabilità di un tentativo sorretto da colpa: in una tale dimensione, infatti, tentare e colpa sono termini antitetici (sarebbe infatti assurdo che si possa tentare ciò che non si vuole). Tale impostazione giusnaturalistica del problema deve però trovare immediato riscontro nelle 1 Cass., 20giugno 1985, in Riv. pen., 1986, 652; Cass., 22 marzo 1985, ivi, 1986, 344;Cass. sez. un., 18 giugno 1983, in Cass. pen., 1985, 1515, con nota di GUARALDO, Dolo eventuale e delitto tentato: profili di un incompatibilità; ivi, 1984, 493; in Mass. Pen., 1984, 309, con nota di M. GALLO ; Cass., 6 novembre 1981, in Cass. pen., 1983, 1314, con nota di CIAMPI; Cass., 12 giugno 1981, in Riv. It., 1983, 744, con nota di FILÈ, Delitto tentato e dolo eventuale; Cass., 28 settembre 1978, in Riv. pen., 1979, 622; Cass, 21 novembre 1977, in Riv. It., 1979, 687, con nota di D ASCOLA, il dolo del tentativo: considerazioni sul rapporto tra fattispecie oggettiva e fattispecìe soggettiva; Cass., 22 marzo 1977, in Cass. Pen.., 1978, 653; Cass., 5 febbraio 1973, in Giur. It., 1974, 11, 263; Cass., 22 gennaio 1973, ivi, 1974, li,
2 disposizioni di legge che regolano la materia del delitto tentato. Il riferimento è all articolo 56 del codice penale vigente che sancisce la punibilità a titolo di delitto tentato nei casi in cui siano compiuti atti idonei, diretti in modo non equivoco alla commissione di un delitto : la formula in esame non può portarci ad escludere tout court la configurabilità di un delitto tentato sorretto da colpa, specie se interpretata in senso rigidamente oggettivo. Al riguardo sembra necessaria un analisi più ampia che indaghi sul carattere della norma e sulla relazione che intercorre fra l istituto del delitto tentato e altre norme contenute nella parte generale del nostro codice penale. La dottrina ha da sempre inquadrato l istituto in esame nella categoria delle forme di manifestazione del reato attribuendo al delitto tentato qualificazioni proprie anche di altre norme: si è parlato di formula estensiva della punibilità, di norma complementare, integratrice delle fattispecie di parte speciale, accessoria, secondaria 2. Di certo senza la norma in esame l azione non compiuta o la mancata realizzazione dell evento (fatti salvi i casi in cui ci trovassimo di fronte ad una previsione espressa di norma incriminatrici, come delitti a sé stanti) non produrrebbero mai una risposta dell ordinamento e quindi non sarebbero punibili. La pena è infatti subordinata al verificarsi di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice di parte speciale e questa condizione non 2 V., ad es., ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale ; F. MANTOVANI, Diritto Penale, Parte generale, p. 433, Padova 1992, ; G. BETTIOL, Diritto Penale, Parte generale, p. 532, Padova 1976; B. PETROCELLI, Il delitto tentato, p. 12, Padova 1966; M. SINISCALCO, La struttura del delitto tentato, Milano
3 risulta essere soddisfatta nel caso in cui come già detto l azione non si compia o l evento non si verifichi. Solo grazie all introduzione nel nostro ordinamento di un apposita norma si rendono punibili condotte che altrimenti sarebbero penalmente irrilevanti. Non si può infatti condividere la tesi secondo la quale attraverso l introduzione di tale norma sarebbe punibile anche la realizzazione parziale della fattispecie delittuosa 3 ; infatti, come già esaminato in precedenza, in tanto si ha una risposta sanzionatoria dell ordinamento in quanto la situazione concreta che l agente ha posto in essere coincida integralmente con ciò che è previsto nella parte condizionante la norma: tale principio generale escluderebbe quindi la possibilità di esprimersi in termini di realizzazione parziale egualmente punibile 4. Posta l esistenza di tale norma nel nostro ordinamento (art 56 c. p. vigente) si tratta ora di evidenziare la situazione di rapporto e quindi il punto di riferimento che legittimerebbe le qualificazioni sopra accennate: questo può essere rappresentato dall ordinamento penale nel suo complesso o dalle singole disposizioni incriminatrici. Se ci riferiamo all ordinamento penale nel suo complesso possiamo sicuramente definire la norma del delitto tentato come norma estensiva, in quanto prevedendo la punibilità per fatti altrimenti penalmente irrilevanti estende l incriminazione che invece dovrebbe essere limitata al delitto consumato. 3 PETROCELLI B., Il delitto tentato, Padova 1966; 4 SINISCALCO M., La struttura del delitto tentato, Milano 1959 <<La formula della realizzazione parziale, a prescindere da questioni di esattezza terminologica, esprime una posizione sostanziale essenziale: essa indica infatti l assunzione di un limite preciso relativamente all inizio degli atti punibili. >> 5
4 Se, al contrario, ci riferiamo alle singole disposizioni incriminatrici il carattere integrativo, estensivo o complementare della disposizione sul delitto tentato non può essere dimostrato: la disposizione dell articolo 575 c. p., ad esempio, che prevede il delitto di omicidio non può dirsi correttamente integrata dall articolo 56 c. p. in quanto la disposizione contenuta nell articolo 575 c. p., relativamente al contenuto che gli è proprio, non necessita di integrazione. Inoltre, in tanto si può definire come accessoria o secondaria in quanto si ricollega necessariamente ad una disposizione di parte speciale alla quale accede e senza la quale non avrebbe possibilità di concreto funzionamento: tale norma infatti, come del resto altre speciali forme di manifestazione del reato 5 sono definite in dottrina schemi vuoti di per sé 6 che acquistano rilevanza penale solo attraverso il collegamento con un particolare tipo delittuoso. Il necessario collegamento con le disposizioni di parte speciale senza il quale la norma dell articolo 56 non potrebbe operare, raddoppia le singole figure criminose generando di conseguenza nuove fattispecie di delitto risultanti dalla compenetrazione delle due parti, la parte generale (rappresentata dall articolo 56 e quindi dagli elementi descritti in tale norma) e la parte speciale. 5 Si pensi al concorso eventuale di persone nel reato ex art. 110 c. p. SINISCALCO nota che non sussistono problemi nel caso in cui più agenti realizzano insieme e ciascuno al completo la fattispecie di reato: infatti in questi casi la disposizione che prevede la punibilità per il reato potrebbe essere sufficiente ad incriminare tutti i concorrenti. La differenza si avverte invece nel caso di istigazione, favoreggiamento o di realizzazione parziale dell azione descritta nella disposizione incriminatrice: in questi casi tali condotte solo attraverso una disposizione specifica (contenuta normalmente in parte generale) possono ritenersi punibili. 6 PIETROCELLI B., Il delitto tentato, Padova,
5 A questo punto l individuazione dell elemento soggettivo di questa nuova fattispecie delittuosa non può che trovare riscontro nell articolo 42 comma 2 del nostro codice penale che prevede il dolo come forma ordinaria di responsabilità per i delitti: se il delitto tentato è infatti un delitto che nasce dalla compenetrazione dell articolo 56 c. p. con una norma incriminatrice di parte speciale non si vede perché non dovrebbe operare l articolo 42 comma 2 come principio generale di responsabilità. Lo stesso articolo 56 parla di atti diretti a commettere un delitto negando ammissibilità giuridica per il tentativo di contravvenzione e innescando quindi l operatività del principio contenuto nell articolo 42 che nega la punibilità a titolo di colpa per i delitti se non in caso di espressa previsione legislativa: restano pertanto nettamente esclusi dalla figura del delitto tentato i delitti colposi. L affermazione per cui il tentativo è solo doloso è contraddetta da alcuni autori che in passato hanno affermato che non sussiste alcun motivo di incompatibilità tra colpa e tentativo, prospettando al riguardo l idea che anche nel delitto colposo si può verificare una incompleta realizzazione della fattispecie 7. Questa teoria si giustificherebbe proprio alla luce degli aspetti oggettivi del tentativo che in astratto non giustificano una definitiva incompatibilità. Sono stati fatti a proposito degli esempi tra cui quello della madre che lascia un veleno sul tavolo intorno al quale giocano i propri figli: l azione della madre è sicuramente imprudente nei confronti dei figli ma 7 ALIMENA F., il concetto unitario del reato colposo, in Riv. It. Dir. Pen.,
6 potrebbe non sfociare in un evento dannoso nel caso in cui un terzo attento tolga il veleno dal tavolo. Secondo questa teoria il tentativo concernerebbe l elemento materiale e non quello psicologico: l azione dell esempio è colposa in quanto potrebbe produrre la morte di uno dei figli se un terzo attento non impedisse il verificarsi dell evento. Secondo i sostenitori di queste teorie il ritenere il tentativo solamente doloso, sembrerebbe frutto di una concettualizzazione ormai consolidata non ponendosi ostacoli sul piano logico alla incriminazione di una condotta colposa che per un caso non produca l evento. Seppure sul piano logico sembra non possano muoversi critiche, è indiscutibile che l ostacolo posto dalle previsioni legislative (art 56 c. p. e art. 42 comma 2 c. p. ) sia insormontabile e che quindi si possa affermare che, in base alle attuali previsioni del nostro codice, il titolo di responsabilità previsto per il delitto tentato sia il dolo. 8
7 2) IL DOLO DEL TENTATIVO E IL DOLO DELLA CONSUMAZIONE, PRECISAZIONI E LIMITI DELLA FORMULA. Individuata nel dolo la forma dell elemento psicologico del delitto tentato la dottrina ha da sempre sostenuto che l elemento psicologico della fattispecie tentata sia identico a quello della relativa fattispecie consumata in quanto tanto il delitto tentato quanto il delitto consumato richiederebbero la medesima risoluzione criminosa. Tale impostazione è sicuramente condivisibile se con essa si vuole affermare che nel tentativo la volontà dell agente deve tendere alla consumazione. Sicuramente diverso sarebbe il discorso se con la stessa si volesse sottolineare una perfetta identità di elemento psicologico, ritenendo quindi compatibili con la fattispecie tentata tutte le forme con cui il dolo si atteggia nella fattispecie consumata: in altre parole, se vi fosse perfetta identità, qualsiasi forma di dolo sarebbe automaticamente sufficiente ad integrare un tentativo punibile. Affermare una perfetta identità di elemento psicologico, inoltre, ci porterebbe a dover sostenere, come diretta conseguenza dell affermazione, una relativa identità dell oggetto del dolo: quindi, il dolo del tentativo risulterebbe identico al dolo del relativo delitto consumato sia nella struttura che nell oggetto. Il Petrocelli 8, abbracciando tale impostazione, sostiene infatti che il dolo del tentativo è costituito dal dirigersi della volontà alla produzione dell offesa tipica del delitto 8 PETROCELLI B., Il delitto tentato, Padova 1966 p. 35; 9
8 consumato, come risulta dalla dizione dell art. 56 c. p. che parla di atti diretti a commettere un delitto : l elemento psicologico del delitto tentato, quindi, non potrebbe non essere che quello del delitto consumato in quanto ne conterrebbe integralmente lo stesso oggetto. Infatti, sostiene l autore, l agente ha agito con l intenzione di produrre tutta l offesa che è propria del relativo delitto dirigendo i propri atti alla consumazione: colui che realizza un tentato omicidio agisce con l intenzione di cagionare la morte. Se non ci fosse identità di oggetto tra il dolo e del tentativo e quello della consumazione, l idea stessa del tentare non avrebbe alcun senso. Secondo altra autorevole dottrina 9 le considerazioni in tema di identità di elemento psicologico non sembrano così ovvie: la ricostruzione dell oggetto del dolo del tentativo al fine di evidenziarne eventuali differenze rispetto a quello del delitto consumato dovrebbe innanzitutto muovere da basi di diritto positivo. Il nostro ordinamento all art. 43 c. p. qualifica il delitto come doloso, o secondo l intenzione, allorquando l agente abbia preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione il fatto previsto dalla legge come reato. Sulla scorta dell art. 47 c. p. si ritiene che oggetto del dolo, e quindi oggetto della rappresentazione e volizione che l art. 43 richiede al fine di imputare un fatto reato a titolo di dolo, sia l insieme degli elementi che costituiscono la fattispecie, oggettivi o materiali, positivi 9 M. SINISCALCO M., La struttura del delitto tentato, Milano 1959 p
9 e negativi 10. Anche per la fattispecie del delitto tentato la ricostruzione dell oggetto del dolo non puo che seguire le regole generali valevoli per qualsivoglia delitto. Il soggetto agente deve innanzitutto volere gli atti che compie ma non può che rappresentarsi il fine verso il quale tali atti tendono che non è altro che il delitto consumato. In altre parole, mentre per quanto riguarda la condotta in senso stretto si ha un momento di volizione nel preciso significato psicologico del termine, in ordine a tutti gli altri elementi si può solo parlare di rappresentazione. Proprio grazie a questa differenza si possono cogliere i primi aspetti che differenziano il dolo del delitto tentato da quello del delitto consumato. Nel delitto tentato il soggetto agente vuole (e pone in essere) dei comportamenti che non essendo previsti dalla relativa fattispecie consumata non occorre siano contenuti nel dolo di consumazione e viceversa i momenti finale del fatto tipico, secondo il disposto di parte speciale, per la consumazione devono essere voluti, mentre nel tentativo non possono che essere rappresentati: gli atti realizzati devono quindi essere voluti mentre i momenti finali del fatto di parte speciale devono essere soltanto previsti, rappresentati. Secondo Siniscalco, inoltre, gli atti realizzati (voluti perché rappresentati) sono legati grazie ad un particolare collegamento alla rappresentazione dei 10 Le cause di giustificazione sono ritenute elementi negativi del fatto in quanto verificandosi una di queste cause la fattispecie manca di tipicità. L assenza di cause di giustificazione deve essere oggetto di rappresentazione da parte del soggetto agente come si desume dall art. 59 c. p.: per versare in dolo è quindi necessaria la consapevolezza di agire in assenza di cause di giustificazione. 11
10 momenti finali della fattispecie speciale: senza uno stretto collegamento sarebbe infatti possibile incriminare a titolo di tentativo determinati atti compiuti dall agente solo a titolo di esperimento, ricognizione. La distinzione che viene operata è tra piano generale e piano particolare dell agente, indicando con il primo la risoluzione criminosa a commettere un certo delitto e con il secondo la volontà che muove come abbiamo detto i singoli atti fino a quel momento realizzati. Per potersi avere tentativo punibile sarà quindi necessario sul piano psicologico che l agente si rappresenti gli atti successivi a quelli che compie (e che vuole) come necessari alla realizzazione del fatto criminoso di parte speciale inseriti in una serie causale contestuale a quelli che da lui vengono compiuti 11. La visione del Siniscalco ricalca in qualche misura l impostazione offerta da Delogu in tema di identità tra dolo di tentativo e dolo di consumazione: egli parte dal principio che la volontà sia strettamente collegata all azione, nel senso che prima che questa inizi non può dirsi che esista una volizione dell azione. Il dolo viene, infatti, scomposto da Delogu in due elementi che sono la volontà e l appetizione : la prima rappresenterebbe il coefficiente che lega l individuo all azione, la seconda che lo legherebbe all evento Questa impostazione del problema troverebbe secondo Siniscalco un soddisfacente riscontro anche nella lettera della legge all art. 56 c. p. nella formula << diretti.. a commettere un delitto>> con relativa esclusione della punibilità di coloro i quali pur avendo l intenzione di commettere un delitto operino a fine di ricognizione o di esperimento pur avendo commesso atti che sul piano oggettivo siano conformi alla fattispecie del delitto tentato 12 DELOGU, la struttura del reato tentato, in Annali di dir. e proc. pen., 1937, p
11 L autore sostiene che, essendo i reati che ammettono la figura del tentativo composti in più atti, si avranno tante volizioni quanti sono gli atti che l agente pone in essere per poter realizzare il completamento della catena causale che sfocerà nella consumazione del delitto particolare. Tali volizioni sono stimolate e coordinate dall appetizione dell evento ma esiste solo la volizione dell atto compiuto, mentre non può esserci ancora quella degli atti da compiersi. In sostanza cioè, per il Delogu, nel delitto tentato, premesso che l elemento psicologico consiste di volontà e di appetizione, l appetizione sarà identica a quella del reato consumato, ma la volontà o meglio le volizioni saranno quantitativamente diverse a secondo degli atti posti in essere dal soggetto attivo. 13
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