Falsa detrazione di assegno familiare? E truffa! Cassazione penale, sez. II, sentenza n (Simone Marani)
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- Federigo Romolo Bondi
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1 Falsa detrazione di assegno familiare? E truffa! Cassazione penale, sez. II, sentenza n (Simone Marani) L imprenditore che porta in detrazione gli assegni familiari senza corrisponderli ai propri dipendenti è punibile per truffa e non per semplice evasione contributiva. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 8537/2010, secondo la quale la fittizia esposizione di somme non corrisposte al lavoratore induce in errore l istituto previdenziale sul diritto al conguaglio, realizzando, in tal modo, un ingiusto profitto, tipico del reato di truffa. L omissione e l evasione contributiva I c.d. contributi vengono definiti come quote di retribuzione o di reddito di lavoro, aventi una particolare destinazione assistenziale e/o previdenziale determinata dalla legge. Il versamento di detti contributi, da parte del datore di lavoro, è obbligatorio e la loro riscossione è affidata agli enti di previdenza i quali, solitamente, si occupano anche dell erogazione delle prestazioni nonché del controllo sulla corretta applicazione della legge. Come accennato, i contributi possono essere di due tipologie: a) contributi assistenziali; b) contributi previdenziali. I primi sono costituiti dai versamenti effettuati all Inps o all Inail per ottenere la copertura di rischi collegati all espletamento dell attività lavorativa, mentre i secondi sono costituiti da versamenti periodici di denaro effettuati, nei confronti dell ente previdenziale, da parte del datore di lavoro, allo scopo di ottenere la prestazione pensionistica. Sebbene l onere contributivo veda, quali protagonisti attivi, sia il lavoratore che il datore di lavoro, l obbligo di versamento dei contributi grava esclusivamente in capo a quest ultimo. A tal proposito, l art. 37, primo comma, della legge 689/1981, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 23 dicembre 2000, n. 388, dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, ometta una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegua una o più denunce obbligatorie in tutto o, in, parte, non conformi al vero, sia punito con la reclusione fino a due anni, se dal fatto derivi l'omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra cinque milioni mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti. E possibile distinguere due diverse tipologie di condotte punibili. Da un lato abbiamo la c.d. omissione contributiva, che si verifica allorquando vi sia un mero ritardo nel pagamento dei contributi di cui sopra, documentabile dalle registrazioni obbligatorie denunciate dal datore di lavoro e, dall altro, l evasione contributiva, la quale si configura quando il datore di lavoro occulti o ometta di effettuare le registrazioni o le denunce contributive. La struttura del delitto di truffa, ex art. 640 c.p.
2 Nell esaminare, sommariamente, la struttura del fatto tipico del delitto di truffa, la condotta incriminata dall art. 640 c.p. consiste, in linea di prima approssimazione, in un attività finalizzata alla persuasione, mediante inganno, che la legge tipizza mediante artifizi o raggiri, determinanti di un errore in capo alla vittima, a sua volta produttivo dell ulteriore evento costituito dal danno patrimoniale, con ingiusto profitto per sé o per altri. Gli artifizi vengono tradizionalmente individuati come una manipolazione della realtà esterna, provocata attraverso la simulazione di circostanze inesistenti o dissimulazione di circostanze esistenti, mentre il raggiro può essere definito come un attività simulatrice, sorretta da argomentazioni atte a far scambiare il falso per il vero ([i]). Gli artifici ed i raggiri devono generare un primo risultato, costituito dall errore della vittima; con tale termine dobbiamo intendere la falsa o distorta rappresentazione di una situazione fattuale idonea ad incidere sulla formazione della volontà. Si ritiene che la truffa non si possa configurare nel caso di ignoranza pura, posto che l induzione non è il fatto di lasciare il soggetto passivo nell ignoranza, ma nel generare un falso convincimento ([ii]). La condotta del soggetto agente, all interno del delitto di truffa, è, fin dall inizio, diretta a far sì che la vittima, in conseguenza dell errore, si determini al compimento di un atto di disposizione patrimoniale, il quale rappresenta un componente essenziale, sebbene si tratti di un requisito tacito, della fattispecie di cui all art. 640 c.p. Come evidenziato da accorta dottrina, l atto di disposizione patrimoniale segna il passaggio da un fenomeno interno alla psiche del soggetto passivo ad un effetto esterno consistente nel trasferimento patrimoniale ([iii]). Il contenuto dell atto patrimoniale, il quale può discendere sia da una condotta attiva che omissiva, può essere di più diversa natura: può consistere non solo in un negozio giuridico in senso stretto, potendo configurarsi anche in una mera consegna di beni mobili o immobili, nel consenso all uso, nell esecuzione di obbligazioni o nell accettazione di oneri o di pesi ([iv]). L atto di disposizione patrimoniale deve avere quale conseguenza la produzione di un danno in capo alla vittima. Con tale termine si intende, pacificamente, far riferimento al c.d. danno patrimoniale, ovvero quello consistente in una deminutio patrimonii. La dottrina è concorde nel ritenere che, all interno del concetto di danno, possano essere ricomprese anche le cose aventi valore affettivo posto che, per il diritto penale, anche tali beni entrano a far parte del patrimonio dell individuo ([v]). Al danno per la vittima, infine, deve corrispondere un ingiusto profitto per il colpevole o per altri; Dobbiamo ritenere che il profitto di cui parla l art. 640 c.p. non debba necessariamente essere di natura economica. Quello che è necessario è che il profitto sia ingiusto, ovvero non giustificato in alcun modo dall ordinamento giuridico. La soluzione accolta dalla Suprema Corte
3 Dopo aver precisato, per sommi capi, i requisiti strutturali del delitto di truffa, apparirà chiara la soluzione alla quale sono giunti i giudici della Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione. Attraverso la pronuncia in rassegna, il giudice nomofilattico ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale il datore di lavoro che, per mezzo dell'artificio costituito dalla fittizia esposizione di somme come corrisposte al lavoratore, induce in errore l'istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, realizzando così un ingiusto profitto, risponde di truffa e non già una semplice evasione contributiva, di cui all art. 37 della legge 689/1981 ([vi]). Dall esame della fattispecie appare evidente la ricorrenza di tutti i requisiti essenziali del delitto di truffa; in primis l attività ingannatoria del datore di lavoro il quale, esponendo in maniera fittizia le somme corrisposte al lavoratore, pone in essere una condotta idonea a trarre in inganno l istituto previdenziale. Tale attività è sicuramente produttiva di un atto di disposizione patrimoniale, avente contenuto negativo, produttivo, a sua volta, di un ingiusto profitto per l imprenditore con conseguente danno per l amministrazione e per il lavoratore, quantificabile nella somma di denaro non corrisposta dal primo. (Altalex, 18 marzo Nota di Simone Marani) [i] G. Fiandaca E. Musco, Diritto penale, Parte speciale, II, 2, Bologna, 2002, 170. Secondo gli autori, a differenza degli artifici, che necessitano di una proiezione nel mondo esterno, i raggiri possono dunque esaurirsi in una semplice attività di persuasione che influenza la psiche altrui, a prescindere da qualsiasi mise en scène. [ii] F. Mantovani, Diritto penale, Delitti contro il patrimonio, Padova, 2002, 194. [iii] Pedrazzi, Inganno ed errore nel delitto contro il patrimonio, Milano, 1955, 64. [iv] La Cute, voce Truffa, in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 263. [v] F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte speciale I, Milano, 2002, 362. Non vi sono dubbi, secondo l autore, che il danno debba essere determinato con criteri oggettivi, ovvero sulla base di un giudizio della generalità degli uomini e non solo di colui che è vittima dell inganno. [vi] Per tutte: Cass. pen., Sez. II, 27 febbraio 2007, n , Maravalle, in Ced, rv ; Cass. pen., Sez. III, 19 ottobre 2000, n , Doti, in Ced, rv truffa detrazioni false detrazioni assegni familiari Simone Marani
4 Integra il delitto di truffa, e non il meno grave reato di cui alla L. n. 689/1981, art. 37, il datore di lavoro che, per mezzo dell'artificio costituito dalla fittizia esposizione di somme come corrisposte al lavoratore, induce in errore l'istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, realizzando così un ingiusto profitto e non già una semplice evasione contributiva. (Fonte: Massimario.it - 10/2010. Cfr. nota di Simone Marani) truffa datore di lavoro evasione contributiva SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II PENALE Sentenza 2 febbraio - 3 marzo 2010, n Svolgimento del processo La Corte di Appello di Lecce, con sentenza in data 18 aprile 2008, confermava la condanna pronunciata dal Tribunale di Lecce - sezione distaccata di Casarano il 15 novembre 2005 alla pena di mesi nove di reclusione ed Euro 600,00, di multa nei confronti di I.M., dichiarata colpevole del reato di cui all'art. 640 c.p., per avere, nella sua qualità di amministratore unico del "Calzaturificio Conar s.r.l." portato in detrazione sui rendiconti mensili le somme da corrispondersi a titolo di assegni familiari omettendo di corrisponderle agili aventi diritto. Propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputata, deducendo: 1) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in relazione all'art. 195 c.p.p.. Le dichiarazioni del teste ispettore del lavoro, P.L., sarebbero inutilizzabili, in quanto costui non ha accertato nulla direttamente, ma ha raccolto dichiarazioni dei lavoratori, che avrebbero dovuto essere sentiti a dibattimento. 2) erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 640 c.p.. Nella fattispecie non potrebbe ravvisarsi alcun artificio o raggiro nè alcun danno per l'inps o beneficio per la ditta e, pertanto, avrebbe dovuto essere contestato il reato di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 37, per le violazioni compiute fino al 31 dicembre 2000 e, per il periodo successivo, di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 19, con la necessità per il giudice di compiere gli accertamenti previsti da
5 dette norme. 3) prescrizione del reato ex art. 157 c.p., essendo il reato consumato nel novembre 2000 ed essendo trascorsi 8 anni dalla consumazione. Motivi della decisione I motivi di ricorso sono infondati, poichè La questione di inutilizzabilità è stata dichiarata irrilevante dalla sentenza impugnata, la quale ha correttamente osservato, in applicazione della c.d. prova di resistenza, che il fatto è documentalmente ricavabile anche dai documenti e dalle ricevute riconducibili allo stesso imputato e relative al pagamento dopo l'accertamento ; anche il motivo con il quale si deduce l'erronea applicazione della legge penale è infondato, poichè questa Suprema corte ha già affermato il principio secondo il quale integra il delitto di truffa, e non il meno grave reato di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 37, il datore di lavoro che, per mezzo dell'artificio costituito dalla fittizia esposizione di somme come corrisposte al lavoratore, induce in errore l'istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, realizzando così un ingiusto profitto e non già una semplice evasione contributiva (Sez. 2^, 27 febbraio 2007, n , Maravalle, rv ; Sez. 3^, 19 ottobre 2000, n , Doti, rv ). Deve, però, rilevarsi la decorrenza del termine prescrizionale, essendo stato il reato commesso, secondo il capo di imputazione, da ****, con là conseguenza che non potendosi applicare l'art. 129 c.p.p., la sentenza deve essere annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la Sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione. Così deciso in Roma, il 2 febbraio Depositato in Cancelleria il 3 marzo ( da )
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