Paradosso sull'attore

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1 Denis Diderot Paradosso sull'attore A cura di Paolo Alahż Editori Riuniti

2 Indice 7 Introduzione I edizione ín questa collana : maggio 1993 Titolo origínale : Paradoxe sur le comédien Traduzione di Jole Bertolani Copyrig t Editori Riuniti, 1972 Piazza Vittorio Emanuele II, Roma CI ISBN Paradosso sull'attore 145 Indice dei nomi

3 Introduzione «Non esiste opera di Diderot piú letta, piú commentata, piú contestata, e piú sicura di sopravvivere, del Paradoxe surk comédien, - scrive uno dei migliori e piú preparati studiosi di Diderot, Paul Vernière'. - Finc é vi saranno teatri e attori, genus énitabik, í1 paradosso farà scandalo [...]. Da Coquelin e Sara Bern ardt fino a Copeau, Dussane, Dullin e Jouvet, un'immensa letteratura è stata consacrata al Paradoxe da attori indie guati, feriti o semplicemente divertiti. Ora, se questa esegesi conserva, al di fuori delle circostanze temporali, il suo valore, essa risc ia storicamente di restàre vana, finc é non si saranno svelati con precisione í disegni di Diderot e la funzione esatta c e la sua tesi occupa nell'insieme della sua filosofia. Diciamolo subito : í suol disegni e questa funzione non appaiono con evidenza, e la genesi stessa dell'opera non fa c e renderli piú oscuri.» Certo, il Paradoxe non raggiunge l'altezza e il mordente del Neveu de Rameau : il linguaggio è meno nervoso, lo stile meno sorvegliato, la forma dialogica è meno funzionale, perc é il secondo interlocutore a scarsa realtà dialettica di fronte al primo. E tuttavia il Paradoxe conserva la vivacità tipica di ' Paul Vernière, Introdzution al Paradoxe sur k comédien, in Diderot, Oeuvres est étiques, Paris, Garnier, 1959, pp Genus irritabile vatum», Orazio, Epistolae, libro III, epistola II, citato da Diderot nella lettera a Grimm c e fa da prefazione al Salon del Perciò in questo caso, diversamente c e per altre opere didemtiane, ci sembra meno pertinente quanto scrive Guido Neri nella prefazione alla sua edizione degli Stttidiesteticis di Diderot (Milano, Feltrinelli, 1957), c e cioè «nel Paradosso suůattore la forma del dialogo è, piú c e mai, l'espressione del modo di procedere del suo pensiero, della sua tendenza a trasferire contrasti e alternative fuori del quadro rigido della logica formale». Sulla forma dialogica

4 S Diderot, offre una lettura avvincente, è pieno di episodi e aneddoti vividi e divertenti, e soprattutto afferra il lettore per la profonda aderenza a un tema c e non è soltanto specifico del teatro, ma è cosí legato alla realtà e alla vita di tutti i giorni, alla nostra esperienza quotidiana e comune. Questa aderenza, tuttavia, è dovuta al fatto c e il Paradoxe affronta un tema di vasta portata, ed implica quindi una metafisica, una fisica ed un'estetica, c e sono appunto quelle di Diderot. Da qualunque parte si guardi dunque al problema costituito dal Paradoxe.sur le comédien, si arriva alla conclusione c e, per capirlo e definirlo, è necessario ricostruirne con esattezza la genesi, c e poi, nel caso specifico, è abbastanza complicata. Neppure il Paradoxe sur ů comédien sfugge alla regola pressoc é generale per í capolavori di Diderot : di essere stati pubblicati postumi. E vero c e nella sua prima versione, cioè sotto forma di Observations sur Garrick, l'operetta apparve sulle colonne della Correspondance littéraire. Ma può parlarsi, in tal caso, di pubblicazione? I1 periodico diretto da Grimm usciva ogni quindici giorni in poc e decine di copie manoscritte, c e venivano inviate a quei sovrani, principi, signori, c e ne avevano fatto l'abbonamento, volendo tenersi informati sulla vita letteraria di quella c e era allora la capitale non soltanto della Francia, ma dell'europa. L'aver visto la luce sulla Correspondance littéraire non consentí quindi alle Observations sur Garrick una circolazione píú ampia di quella della piccola cerc ia di qualc e corte ; e l'operetta, del resto rimpolpata, ampliata, rivista piú volte dall'autore, dovette attendere il 1830 per essere realmente pubblicata. La storia della gestazione e della modificazione del Paradoxe, e poi della sua fortuna, è piuttosto complessa, e conviene ricordarla con qualc e precisione. I1 10 ottobre 1769, di ritorno a Parigi dopo un lungo viaggio in Germania, Grimm riprende la direzione della Correspondance littéraire e affida a Diderot la critica di alcuni nuovi lavori. cosi spesso usata da Diderot e sulla sua funzione mi permetto di rinviare a Paolo Alatri, Voltaire, Diderot e il «partito filosofico», Messina-Firenze, D'Anna, 1965, pp. 443 sgg. Tra questi è l'opuscolo intitolato Garrick ou les Acteurs anglois, pubblicato quello stesso anno dal libraio parigino Lacombe. L'opuscolo era apparso anonimo come ««tradotto dall'inglese» ; una nota ripresa da A.A. Barbier (autore del Dictionnaire des anonymes) nell'edizione della Correspondance littéraire a cura di Toumeux (Paris, Gam ier, 1879, vol. IX, alla data del 15 ottobre 1770) aggiunge : «Si sa ora c e l'attore Sticotti è l'autore di Garrick ou les Acteurs anglois». La copia dell'opuscolo conservata nella Bibliot èque Nationale di Parigi reca due annotazioni : dopo «traduit de l'anglois», «par Sticottrv ; in margine a «A Paris, c ez Lacombe, libraire, rue C ristine, 1769», «par Antoine- Fabio Sticotti, d'après Barbien>. Non si tratta però di Antoine-Fabio (o Antonio Fabio, o Anton Fabio) Sticotti, secondo l'indicazione del Barbier ripresa da tutti coloro c e si sono occupati dell'argomento, e neppure di Antonio Giovanni (o Anton Giovanni) Sticotti come vorrebbe l'autore della «voce» Sticotti dell'enciclopedia dello spettacolo Bruno Brunelli. Come a dimostrato il Mcldolesi', il quale a ricostruito esattamente la genealogia di questa famiglia di attori e autori di teatro e le singole personalità dei suoi membri, un Antonio Fabio Sticotti non è mai esistito : il capostipite della famiglia era Fabio, trasferitosi nel 1716 da Venezia a Parigi, e i due suoi figli masc i si c iamavano Antonio Giovanni (talvolta nominato come Fabio) e Mic el (detto Kelly) ; ed è quest'ultimo, di cui fino alla monografia del Meldolesi non si sapeva praticamente nulla, personaggio c e viaggiò ed operò, oltre c e in Francia, anc e in Ing ilterra, in Prussia, in Danimarca e in Svezia, c e polemizzò con Rousseau per la sua Lettre e d'alembert sur les spectacles e c e occupò un posto interessante nel vivace dibattito sul teatro sviluppatosi attraverso i paesi d'europa nel Settecento, è lui l'autore di Garrick. La broc ure francese è a sua volta una libera traduzione di un opuscolo inglese intitolato Tbe Actor or a Treatise of t e art of playing, uscito anonimo nei Di quest'ultimo era autore,non già Jo n Hill, come è stato sempre ripetuto, e ancora ripete s Claudio Meldolesi, Gli Sticotti, comici italiani neì teatra d'europa del Settecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,

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6 Vi sono però nel Paradoxe, nella forma in cui ci è poi pervenuto (e lo vedremo tra poco), alcuni accenni c e Diderot non poteva avervi inserito nell'estate del 1773, perc é si riferiscono ad avvenimenti svoltisi successivamente. Tale l'accenno alla nomina di Necker alla carica di controllore generale delle Finanze, nomina c e avvenne il 29 giugno Siamo cosí alla seconda revisione del pamp let originario, vale a dire alla seconda stesura del Paradoxe. Ma non è finita. La copia del Paradoxe di mano di Naigeon 10, c e contiene l'accenno al Necker, non ne presenta però altri c e sono anc 'essi relativi ad avvenimenti posteriori all'estate del 1773, e c e si trovano invece nella copia inviata da Madame de Vandeul, figlia di Diderot, a Caterina II e conservata nella sua Biblioteca imperiale : si tratta delle allusioni al discorso rivolto al pubblico del Covent Garden dall'attore inglese C arles MacHin la sera del 30 ottobre 1773, di cui riferiva il Saint James C ronicle del 6-9 novembre 1773, e a Gabriele de Vergy di Dormont de Belloy, la cui prima fu data il 12 luglio 1777, sebbene il testo fosse stato pubblicato fin dal Abbiamo perciò la prova c e Diderot redasse una quarta versione delle Observations sur Garrick, cioè una terza versione del Paradoxe, di cui peraltro, al contrario c e per quelle precedenti, è impossibile stabilire con precisione la data, anc e se possiamo dire con certezza c e fu posteriore a quella del frammento su Colbert pubblicato da Gabriel Bonno (Un article inédit de Diderot sur Colbm, in Publications of t e Modern Language Association ofamerica, XLIX, 1934, pp ). 9 Tale potrebbe sembrare anc e l'accenno a Paris sauvée di Sedaine ; ma questa tragedia, messa in scena nel 1782, era stata scritta nel 1770, era stata segnalata da Grimm, nella Correspondance littéraire, fin dal novembre 1772, e Diderot, non solo non l'ignorava, ma era stato anzi incaricato dallo stesso Sedaine di rivederne ì1 testo. 10 È l'unica c e porti l'epigrafe : A Zerbiua penserete, sempre rimasta oscura. La spiegazione c e ne propone Jacqueline Bellas (Que signijie ñpigrap e du *Paradoxe sui le comédien»?, in Revue d' istoire liuéraire de la France, ott.-dic. 1967, pp ) appare convincente : i1 verso della Seroapadroua di Pergolesi (ASer pino penserete) inizia una scena in cui la protagonista, per conquistare Uberto, abbandona il jeu dame, c e fino a quel momento a fallito, e joue, invece, la comédie, riuscendo nel suo intento. La Bellas osserva c e»la servapadrona tra- ; duce perfettamente lo sdoppiamento del personaggio, secondo gli esempi c e Diderot moltiplica nel Paradoxe». Si veda anc e v.e. Swain (cfr. piú oltre a p., 67 di questa Introduzione), p. 58, nota 22. I1 Paradoxe surle comédien fu pubblicato per la prima volta nel 1830 dall'editore parigino A. Sautelet, al quale era stato venduto da Jeudy-Dugour, un francese naturalizzato russo c e l'aveva trascritto dalla copia conservata nella Biblioteca imperlale di Pietroburgo, tra gli inediti inviati da Madame de Vandeul, figlia di Diderot, a Caterina II. Si tratta quindi della versione definitiva dell'opera. Allora nessuno dubitò c e quel testo fosse dovuto alla penna di Diderot. Ma nel 1902 Ernest Dupuy trovò per caso a Parigi, presso un libraio d'antiquariato, un manoscritto del Paradoxe pieno di correzioni e di aggiunte di mano del Naigeon (oggi conservato alla Bibliot èque Nationale di Parigi, cui il Dupuy ne fece dono), e pubblicandolo in edizione critica (Parigi, Lecène et Oudin) con la messa a raffronto delle successive versioni sostenne c e se le Observations sur Garrick erano certamente di Diderot, il Paradoxe sur le comédien andava invece attribuito a Naigeon. Certo, alcune parti corrispondevano a quelle pubblicate con la firma di Diderot nella Correspondance littéraire del 1770 ; ma il Dupuy sostenne c e Naigeon le avesse utilizzate compilando un pastic e, cioè contaminandole con altri passi dello stesso Diderot, con brani tratti dalla Correspondance littéraire, e perfino con aggiunte e correzioni sue proprie. Il valente biografo americano della giovinezza di Diderot, Art ur M. Wilson, in un breve saggio pubblicato qualc e anno fa", a fatto osservare c e il Paradoxe, considerato come una specie di jeu d'esprit quando venne conosciuto nel 1830, colpi come un fuor d'opera perc é deprecava quella «sensibilitâ» nella quale il romantico secolo credeva invece come in un dogma ; di conseguenza, vi era una netta e generale predisposizione, quando nel 1902 fu pubblicata l'edizione Dupuy, a ritenere, con un certo sollievo, c e l'autore dell'opera fosse Nai- " Art ur M. Wilson, Te bibliorap icalimplicati0fl5 offliderot's «Paradoxe sur k comédien», in Diderot Studies III, Genève, Droz, 1961, pp L'opera sulla giovinezza di Diderot è intitolata : Diderot T e testing years (New York, 1957) ed è tradotta in italiano (Diderot. gli anni decisivi, Milano, Feltrinelli, 1971). La seconda parte della biografia diderotiana di Wilson (T e appeal to posterity, c e abbraccia gli anni ) è stata pubblicata, insieme con la prima parte, nel suo volume complessivo Diderot (New York, 1972) e in traduzione italiana da Feltrirtelli nel 1977 (L'appello ai posten)

7 geon, e non Diderot. «C e il tronfio, verboso, noioso Naigeon possa essere stato considerato l'autore di un'opera cosí scintillante - aggiungeva spiritosamente il Wilson - appare a qualsiasi odierno studioso di Diderot come uno di quei fatti c e provano, secondo l'insistente affermazione degli esistenzialisti, come la vita sia assurda.» Ne seguí un ampio dibattito, in cui intervennero, favorevoli alla tesi del Dupuy, Gustave Lanson, Gustave Larroumel, Luden Brune), André Aulard e René Doumic, contrari Emile Faguet e Maurice Tourneux ; e finalmente Josep Bédier, il quale, dopo aver riassunto í termini della polemica, in un breve saggio fondato sull'analisi del manoscritto', dimostrò in modo inconfutabile l'autenticità diderotiana del manoscritto Naigeon (il quale, tra l'altro, copiò dodici pagine senza accorgersi di aver saltato un ampio brano dell'opera, ciò c e non gli sarebbe potuto capitare se avesse composto di suo ; e quando si avvide dell'incidente in cui era caduto, corse ai ripari). In sostanza, il Bédier stabili in maniera assolutamente sicura c e le aggiunte e correzioni apposte da Naigeon, nel suo manoscritto, all'originale testo diderotiano, sono semplicemente il riflesso dei rimaneggiamenti e ampliamenti c e lo stesso Diderot apportò al pamp let dapprima scritto per la Correspondance littéraire. Del resto, il Bédier poté giungere a questa conclusione senza neppure utilizzare l'accenno contenuto nella lettera di Diderot a Madame d'epinay del 18 agosto 1773, accenno c e taglia la testa al toro e c e è stato identificato quasi trent'anni dopo da Herbert Dieckmann". Ma, una volta c e sulla base delle prove accumulate il Paradoxe è ridiventato di Diderot, il problema originario è ńapparso : il paradosso sull'attore sembra essere anc e un para- 2 Josep Bédier, Le Paradoxe sur le comédżen» est-i/ de Diderot?, nei suoi Etudes nitiques, Paris, Coliti, I' Herben Dreckmann, Stand und Probleme der Diderot-Forsc ung, Bonn, i931. Ulteriori definitive prove c e l'autore del Paradoxesuriecomédien è Diden,I c non Naigeon a dato Jean De Booy,Quelques renseignements inédits surun /niflu.terii du «Réve de d'alember, in Neopbilologus, XL, Si veda anc e l' ul Verriière, oc. cit. ;J. Undank, Notes supplémentairessurlesdateseilesrетл cгán.c i/u -I'aradnxe sur le comédien» in Studies on Voltaire and tbc eigbteentb century, ( ~(,levt, Institut et Musće Voltaire, 1961, vol. )(V1, pp ; A.M. Wilson, ful. I tt. dosso nel pensiero di Diderot stesso. Sono troppo numerosi e precisi í passi di altre opere o lettere di Diderot c e, almeno a prima lettura, appaiono come contraddittori rispetto alla tesi sostenuta nel Paradoxe. Di conseguenza, un notevole sforzo è stato compiuto negli anni recenti per negare c e nel Paradoxe vi sia un paradosso. Secondo questo punto di vista, il cui principale sostenitore è Yvon Beloval, Diderot a sempre creduto nel controllo e nell'autodisciplina, cosí come è sempre stato contrario ai trasporti della «sensibilità» ; perciò non vi è alcun paradosso nella tesi sostenuta nella sua operetta. Questa posizione a avuto notevole seguito, pur non conquistando un consenso assoluto e generale 14 ; ed anc e in tale incertezza d'interpretazioni, in questa ambiguità di significato, risiede una delle ragioni del fascino c e il dialogo continua ad esercitare. I1 Paradoxe sur le comédien riguarda : 1) la riforma del teatro ; 2) 7 la creazione drammatica ; 3) la psicologia dell'attore ; 4) l'arte ( i,, (A XQ della recitazione ; 5) i1 problema generale dell'estetica. A considerare uno soltanto di questi cinque temi-come per lo piú si è fatto, specialmente da parte degli attori -e soprattutto-sulla base del titolo, c e in tal senso può trarre in inganno- a considerare l'opera soltanto come una discussione sulla sensibilità dell'attore, si cade in un profondo equivoco e non se ne scorge píú la linea, la struttura, il significato. Piti precisamente ancora, Diderot articola la sua tesi relativa alla psicologia dell'attore in sette argomenti" : 1) l'emozione non si ripete a comando ; è impossibile sentire sempre con la stessa intensità ; gli attori c e recitano commossi sono disu- 1J La tesi del Belava) è sostenuta da Gaetano Capone Braga, Il significato de( Paradoxe sur le comédien di Diderot, in Annali della Facoltà dż lettere, filosofia e magistero dell'università di Cagliari, XVIII (1951), pp , ed è accolta da P. Vernière, loi. cit. ; è invece criticata da A. Boutez De Monvel, Etaiprésent des études «dżderotesquew, in lnfòrmatżon littéraire, settembre-ottobrc 1952, p. 135, ed è sottoposta ad alcune riserve metodologic e da Pierre-Bernard Marquer, Sur l'est étique de Dżderoς in La Pensée, n. 38 (settembre-ottobre 1951), pp ; qualc e riserva anc e in A.M. Wilson, loi. cit. Si veda anc e A. W eiss, Diderot et l'an du comédien, in L'Esprit Créateur, numero speciale dedicato a Denis Dżderot, primavera 1968, pp ls Cfł. A. [ndrd Vi. libers), <voce» Diderot, in Enciclopedia dello spettacolo, Roma, 1957, vol. IV, p

8 guaii ; 2) necessità dello studio e della riflessione per inserire l'espressione dell'attore in un sistema generale, stabilito, e per trasfigurazione il «fantasma omerico», ingrandimento poetico e modello ; 3) l'emozione si forma in una rappresentazione artistica attraverso un processo c e non è paragonabile con quello c e è determinato da un avvenimento naturale ; 4) l'attore nel pieno possesso dei suoi mezzi è l'attore maturo, e non quello giovane, per quanto pieno di fuoco ; 5) le constatazioni di fatto sul controllo degli attori mostrano o la necessità del sangue freddo o la sostanziale mancanza di emozione ; 6) la recitazione si perfeziona con le prove e le replic e, cioè con la padronanza della parte e proprio quando l'originario ardore è superato ; 7) l'emozione paralizza ; c'è impossibilità psic ica a fare due cose insieme, ad essere commossi conservando il proprio senso critico. Osservate la natura (cioè, diremmo oggi, restate aderenti alla 'I j ~I realtà) : è questo l'essenziale della tesi di Diderot. Occorre j quindi molta osservazione della realtà, e poi capacità di rappresentarla, d'imitarla, di riprodurla : è questo il significato sostanziale dell'opera. Se ne falsa lo spirito a spostare l'accento sull'insensibilità dell'attore. E tuttavia non poteva non accadere c e l'attenzione e le polemic e si fermassero sui due brevi periodi dell'opera, c e sembrano riassumerne tutta l'argomentazione : «E l'estrema sensibilità c e fa gli attori mediocri ; è la sensibilità mediocre c e fa l'infinita sc iera dei cattivi attori ; ed è l'assoluta mancanza di sensibilità c e prepara gli attori sublimi'> ; «Esigo c e l'attore abbia molto raziocinio ; voglio c e quest'uomo sia uno spettatore freddo e tranquillo ; di conseguenza ric iedo da lui penetrazione e punta sensibilità». Nessuna sensibilità! È l'esclamazione c e fa íl secondo interlocutore ; ma, occorre riconoscerlo, è l'esclamazione c e fa qualunque lettore. Non si tratta dunque di un paradosso? «Il primo paradosso del Paradosso- a scritto Claude Roy' -è c e sia opera di un uomo c e sognava di essere attore, non poneva nessun artista al di sopra dell'attore, e i tratto fonda- ř ca i6 Claude Roy, Le Paradoxe dediderot, in Les Nouvelles littéraires, 19 dicembre mentale è di essere stato dotato (o afflitto) di una sensibilità impetuosa, vulcanica, e di un temperamento eccessivo.» L'amore per il teatro aveva infatti accompagnato Diderot fin dall'adolescenza. Allievo al collegio Louis-le-Grand, vi aveva assorbito dai gesuiti, c e lo dirigevano, e particolarmente da padre Porée, il gusto per i classici. «Si sa quale importanza í gesuiti, fedeli all'insegnamento degli Esercizispińtuali-unire la cultura dell'immaginazione a quella dell'intelligenza - attribuissero al teatro, - ricorda il Belaval" : - avevano lottato e dovevano ancora lottare contro il dramma scolastico e umanistico dei protestanti in Germania ; non potevano disinteressarsi della scena nel momento in cui essa diventava un luogo di diffusione per le idee profane. Perciò essi allestiscono dei palcoscenici in tutte le parti del mondo. La sala di spettacolo si affianca dappertutto alla sala di studio. Gli allievi (per la maggior parte figli di famiglie nobili, c e bisogga educare alle belle maniere) recitano le parti ; e sarebbe molto sorprendente c e Diderot non abbia fatto, a Louis-le-Grand, apprendistato d'attore [...]. Dai soggetti biblici e didatticamente moralizzatori, trattati in latino, í gesuiti si erano volti verso la commedia moderna in volgare, e avevano perfino introdotto delle parti femminili e delle scene alla Molière. Curavano particolarmente í cori e i balletti, sempre piú numerosi [...]. Questi balletti erano allegorici, e la pantomima doveva essere espressiva. Nella sua Dissertano de action scenica il padre François Lang moltiplica í consigli sulla mimica dell'emozione. Una recitazione piú naturale, piú espressiva : Diderot c iederà qualcosa di diverso? E, come í suoi maestri gesuiti, reclamerà decorazioni scenic e piú curate e realistic e [...]. Ai suoi maestri, inoltre, Diderot deve senza dubbio l'idea c e bisognerebbe poter rappresentare parecc ie azioni simultaneamente, agire mediante grande concorso di folla, misc iare gli attori a1 pubblico. Cosí, si tratti delle teorie sull'arte drammatica o della realizzazione sulla scena, l'iniziazione teatrale di Diderot comincia sui banc i del collegio : vi riceve alcune idee maestre.» All'uscita dal collegio, Diderot si appassiona alla vita teatrale e comincia a frequentare gli attori ; pensa perfino di diventare " Y. Belaval, L'est étique sans paradoxe de Diderot, cit., pp. 15 sgg. 17

9 attore lui stesso ; per una quindicina d'anni è assiduo agli spettacoli, e cessa di esserlo soltanto verso il 1743, data del suo matrimonio, seguito, l'anno dopo, dall'inizio dell'impegno nell'impresa enciclopedistica. I1 matrimonio, precisa lui stesso, lo a costretto ad abbandonare il teatro, per il quale aveva passione'. La sua educazione teatrale si svolge dunque dal 1732 al Tutta la sua esperienza del teatro lo induce sempre piú a reagire contro ogni forma di enfasi, di ampollosità, di artificiosità, a sostenere una recitazione naturale, vicina al buon senso, aderente alla realtà, una dizione c iara, netta, distinta : insomma un tipo di recitazione c e corrisponda all'ideale borg ese c e Diderot persegue nel teatro in generale, anc e e prima di tutto nella drammaturgia (con successo o meno, è un'altra questione) : Le Fils naturel, scritto nel 1757, messo in scena nel teatro privato del duca d'ayen a Saint-Germain-en-Laye nell'estate di quell'anno", e in rappresentazione pubblica, al T éâtre-français di Parigi, soltanto 14 anni dopo, il 26 settembre 1771, con esito tanto infelice da non avere una sola replica ; Le Père defamille, composto nel 1758, rappresentato a Marsiglia nel novembre 1760, con una coda in provincia - Tolosa, Bordeaux e Lione - fino alla primavera del 1761, e a Parigi («accolto tanto tiepidamente» scriverà piú tardi Diderot, ma in realtà con discreto esito) il 18 febbraio 1761, poi ripreso con maggiore successo nell'agosto 1769 e ancora rappresentato ripetutamente negli anni seguenti 20 ; La Pièce et le Prologue, prima [č I1 passo è molto gustoso, e merita di essere riportato per intero : «Arrivo a Parigi. Stavo per prendere la toga e istallarmi tra i dottori della Sorbona. Incontro una donna bella come un angelo ; o voglia di andarci a letto ; ci vado ; mi nascono quattro figli ; ed eccomi costretto ad abbandonare la matematica c e amavo, Omero e Virgilio c e portavo sempre con me, e il teatro per il quale avevo passione ; troppo felice d'intraprendere l'enciclopedia, alla quale avrei sacrificato venticinque anni della mia vita». " Contro la notizia sempre e da tutti ripetuta c e Le Fili netturel non sia stato rappresentato prima del 1771, Jacques Proust a dimostrato c e la»prio a» avvenne nei teatro privato del duca d'ayen : Le paradoxe du «FUs naturel», in Diderot Stadin IV, edited by Otis Fellows, Genève, Droz, 1963, pp. 209 sgg. lvi è anc e la notizia della «coda» provinciale delle rappresentazioni del Père de famil di cui diciamo subito dopo giudizio sulla tiepida accoglienza nel 1761 è in una lettera a Grimm del 9 giugno 1777 ; in realtà la»prima» diede il notevole incasso di quasi versione, del 1771, di quella c e, rimaneggiata, diventa nel 1781 la commedia Est-i1 bon? Est-i1 mec ant?, né pubblicata né rappresentata durante la vita di Diderot'. Cosí nella drammaturgia come nella rappresentazione, dunque, Diderot è sempre stato deciso fautore di una riforma c e si basi sull'adesione alla realtà, o, come si diceva preferibilmente allora, sull'imitazione della Natura. L'autocontrollo dell'attore ne è una conseguenza necessaria. Ma la sua formulazione nel Paradoxe non ne risulta per questo meno clamorosa e paradossale : l'attore non deve possedere nessuna sensibilità! Del resto, non è stato Diderot per primo ad avvertire la paradossalità della sua tesi, dal momento c e a dato alla sua opera proprio il titolo di Paradosso? La scelta del titolo è sembrata al Dupuy una delle prove c e l'opera non fosse dovuta a Diderot bensì a Naigeon, perc é in quell'espressione sarebbe implicito un senso dispregiativo. Ma il Belaval a dimostrato c e ciò per Diderot non è vero, e a citato qualc e esempio in senso contrario : «Io c e mi preoccupo piuttosto di formare delle nuvole c e di dissiparle, e di sospendere il giudizio anzic é di giudicare, voglio anc e dimostrarvi c e, se il paradosso c e vi o appena esposto non è vero, se non abbiamo parecc ie percezioni tutte insieme e contemporaneamente, è impossibile ragionare e discutere» ; «Un paradosso, di cui poc e persone coglieranno la verità». E poi, Diderot non dice forse nella lettera del 14 novembre 1769 a Grimm di aver scritto «un bel paradosso»? Egli usa cioè il termine nel senso indicato dall'enciclopedia : il paradosso «è una proposizione apparentemente assurda, perc é contraria alle opinioni generalmente accettate, ma c e, nondimeno, è vera, o almeno può assumere un aspetto di verità»' 2. livres» (cfr. D. Diderot, Correspondancepubliée par G. Rot etj. Varloot, Paris, Les Editions de Minuit, 1970, vol. XV p. 62 c nota 24). II lavoro fu rappresentato 25 volte dal 1761 al 1770, 39 volte dal 1771 al 1780, 52 volte dal 1781 al 1790 (cfr. Diderot, Le Rêve de /'AŮmbert, ediz. J. Varloot, Paris, Les Editions Sociales, 1971, p. XLIX, 2). `] Data alle stampe postuma nel 1834, è stata messa in scena alla Salle Valubert dalla compagnia L'Équipe il 30 marzo 1951, ed è entrata nel repertorio della Comédie il 22 novembre Nella lingua greca dalla quale a origine, l'aggettivo paradosso» designa tutto ciò c e soveic ia o contraddice l'opinione comune.»paradossale, nei

10 Louis Jouvet, c e come vedremo meglio piú avanti a dedicato molta attenzione al Paradoxe, propone però un'altra interpretazione 23. Leggendo le speciose considerazioni di Diderot non bisogna mai, scrive il grande attore francese, dimenticare í1 loro titolo : è un paradosso, una scintillante digressione ; intimlando la sua opera Paradoxe, Diderot a voluto sottolineare il d s, carattere anormale, quasi contraddittorio della psicologia }itt ï dell'attore. Ma Belava) osservar c e una tale interpretazione r sarebbe accettabile soltanto se Diderot concedesse al solo attore il potere di sdoppiarsi, mentre invece lo accorda a qualunque artista, ed anc e ad altre categorie, ai cortigiani per esempio, e perfino a qualsiasi osservatore. I1 paradosso sull'attore non è il paradosso dell'attore. C'o < έ Jouvet stima anc e c e Diderot abbia errato non distinguendoo tra il comédien e l'acteur. Ma ciò non è vero : nell'enciclopedia Diderot scrive : «La funzione dei eomédiens esige, per eccellem, [...] un gran numero di qualità c e la natura riunisce r tanto raramente nella stessa persona, da far sí c e si contino piú grandi acteurs c e grandi comédiens». La distinzione, dunque, gli è presente ; e ai suoi occ i il comédien è piú grande dell'acteur. I1 paradosso è pertanto la verità del comédien, e dovrebbe essere quella dell'acteur. Ma qual è questa distinzione tra í due termini, la cui traduzione in italiano si presenta praticamente impossibile? I1 Larousse scrive : «II termine comédien designa l'attore drammatico senza distinzione di genere [...]. Nel linguaggio cor linguaggio moderno, è quindi ogni verità filosofica c e immediatamente colpisca e sorprenda la comune opinione degli uomini, o anc e la stessa tradizione speculativa di fonte alla quale essa si afferma, per quanto poi, controllata nella sua fondatezza logica, essa possa apparire plausibile, ed anni piú plausibile di quella rispetto alla quale si presenta in un primo tempo come paradossale. Accanto a questo significato píá generico, però, si è venuto determinando, nell'età moderna, quello piú tecnico per cui il «paradosso» non soltanto contrasta con l'opinione comune o con quella di una tradizione speculativa c e in virtú degli stessi argomenti in esso impliciti possa essere superata, ma resta comunque in irriducibile antitesi rispetto a un piú vasto o diverso sistema di verità, c e esso contraddice ma non può abbattere, pur non potendo esserne abbattuto. (G. [«ido] C. [alogero l, «voce» Paradosso dell'enciclopedia italiana, Roma, 1335, vol. XXVI, p. 275). 23 In Enηclopédiefтançaae, t. XVII. z, Y. Beloval, op. cit., p : rente si adoperano indifferentemente í termini comédien, acteur, o anc e artista drammatico. La sfumatura tra questi differenti termini rimane sottile. Louis Jouvet dice c e "ci sono acteurs c e sono comédiens, e comédiens c e sono acteurs". Bisogna con ciò intendere c e la parte del genio e quella del mestiere possono di volta in volta avere la prevalenza? Sarebbe come dire c e si nasce comédien, ma si diventa acteur. Nel XVII secolo è il termine comédien, nel senso piú vasto, c e viene adopěrato. La compagnia dell'hotel de Bourgogne, specializzata nell'interpretazione della tragedia, prende, sotto Luigi XIII, il nome di "Compagnia reale di comédiens" [...]. Ai giorni nostri, malgrado l'uso familiare del termine, si attribuisce al titolo di comédien maggiore nobiltà c e a quello di acteur'>. Non sembra c e abbiamo fatto un gran passo avanti ; e infatti tutti í vocabolari sono unanimi e recisi su un solo punto : comédien è c i interpreta moli teatrali, di commedia, di dramma, o di tragedia, indifferentemente. Ma la distinzione tra acteur e comédien? Ci soccorre in proposito André Villiers2 s : «Nel linguaggio corrente si adoperano oggi indifferentemente i termini acteur o comédien, senza preoccuparsi della definizione del Littré : "Acteur è relativo ai personaggi c e agiscono in un lavoro teatrale, e di conseguenza ai personaggi c e li rappresentano ; comédien è relativo alla professione". Queste sfumature di linguaggio si cancellano davanti a un'altra distinzione, secondo la quale esistono due tipi di interpreti, corrispondenti a strutture di comportamento e a ideali di espressione nettamente differenti. Louis Jouvet a ripreso la notazione, c e non è nuova, dandole importanza : "Mentre l'acteur non può interpretare c e determinate parti (le altre le deforma adattandole alla sua personalità), il comédien può invece interpretarle tutte. L'acteur entra nel personaggio, il comédien lo riceve Questa in sé"26. osservazione non deve fuorviarci : in tutti i casi di presa di coscienza del personaggio, è appunto un'anima estranea c e -i T viene ad abitare nell'interprete. Ma la distinzione a il merito di contrapporre colui c e compone í1 suo personaggio a colui zs André Villiers, L'art du comédien, Paris, PUF, 1953, pp θ Cfr. Louis Jouvet, Arte e commediante, nel volume L'attore, a cura di Lucio Ridenti, Torino, SET, 1957, p

11 c e lo piega al proprio temperamento. 11 comédien - la distinzione obbedisce alla suggestione del linguaggio-prende tutti í visi della commedia ; l'acteur non a questa diversità e questa capacità di cancellare, si conserva nell'azione qual è. «L'osservazione va anc e oltre quando Jouvet precisa : "Un tragédien, per esempio, è sempre un acteur, cioè un interprete la cui personalità è talmente forte, talmente evidente, c e il mimetismo lo lascia sempre-anc e quando egli interviene in larga misura - in possesso della sua personalità". E quando, d'altra parte, osserva : "L'acteur è un comédien senza pudore", è un po' "esibizionista". Cosí il tragédien, attore senza pudore, è l'interprete di una certa forma drammaturgica e la sua espressione dipende dalle sue disposizioni caratteriologic e. Senza dubbio, si tratta qui di una semplificazione un po' spinta ; Jouvet osserva molto giustamente : "Vi sono acteurs c e sono comédiens, e comédiens c e sono acteurs". I tipi non sono tagliati in modo cosí netto e sistematico. Basta poco in piú o in meno a fare l'acteur - piú vicino alle sue tendenze istintive, con una personalità fisica e morale c e s'impone vigorosamente sul personaggio -o il comédien-c e dimentica se stesso nella composizione del personaggio. La distinzione tra acteur e comédien, mediante un'approssimazione di comodo, ric iama l'attenzione sulle dominanti o dell'azione pura e personale o del mimetismo della commedia, e mette in evidenza due importanti categorie d'interpreti.» > "l' i Possiamo dunque stabilire c e l'acteurè l'interprete dotato di -`' S ~? > J forte personalità propria, la quale s'impone sul personaggio, e tv "' ` _ c e perciò è adatto ad interpretare soltanto talune parti ; il comef? _ ' dien, invece, piú dotato di spirito mimetico e di capacità imitata? ti T' C- C tive, può interpretare le parti piú diverse. E c e per Diderot il comédien è superiore all'acteur. Dunque il Paradoxe cur le comédien investe l'attore in quella c e per Diderot è la sua espressione piú alta e completa. «Se si considera lo scopo degli spettacoli e il talento necessario in colui c e sa sostenervi una parte con successo, -aveva scritto Diderot nell'articolo sul Comédien (_ 2,%1 t pubblicato nell'enciclopedia - la professione di alt oгé prende necessariamente presso ogni persona dotata di spinto il grado di considerazione c e gli è dovuto [...]. Coloro c e esercitano tale professione sono l'organo dei propri geni e degli uomini piú celebri della nazione [...]. La loro funzione esige, per eccellervi, portamento, dignità, voce, memoria, gesto, sensibilità, intelligenza, conoscenza dei costumi e dei caratteri, insomma un gran numero di qualità c e la natura riunisce tanto raramente nella stessa persona, da far sí c e si contino piú grandi acteurs c e grandi comédiens.» Ma, se Diderot pensa piú al comédien c e all'acteur ; se il paradosso è la verità del comédien e dovrebbe essere quella dell'acteur ; se il titolo dell'opera significa, come propone Belavate', «Difesa dell'opinione contraria a quella comune secondo la quale l'attore dovrebbe essere dotato di grande sensibilità e di scarsa intelligenza, e non meriterebbe il nome e la qualifica di artista» : allora il problema della «sensibilità» dell'attore e quello della sua capacitadí sdöppiärsi acquistano effettivamente tutto il ñïocte e ad essi è dato nel Paradoxe. In c e misura è esso paradossale? Rispetto alle idee c e circolavano al tempo di Diderot, intanto, appare meno paradossale di quanto si possa pensare. Ecco per esempio, nel riassunto fattone dall'abate Raynal nelle Nouvelles littéraires, il contenuto della lettera sull'ars du T éâtre di Antoine-François-Valentin Ríccoboni, detto Lélio fils, pubblicata nel 1750 : «Secondo l'autore l'intelligenza dell'attore consiste nella sua capacità di concepire in qualunque momento il rapporto c e ciò c 'egli dice può avere col carattere del personaggio c e interpreta, con la situazione in cui lo pone la scena, e con l'effetto c e tutto ciò deve produrre sull'insieme dell'azione teatrale [...]. Nel capitolo sull'espressione, l'autore a un'idea nuova c e mi pare bella e vera. Si crede comunemente c e, per esprimere con forza í sentimenti del suo personaggio, un attore debba essere compenetrato di questi sentimenti. Riccoboni sostiépe invece c e se si a la disgrazia di sentire veramente quel c e si,deve esp mere,non sie piu m con izione i recitare. sen amen i si succedono sulla scena cőn una rapidità c é non esiste nella realtà. La breve durata di un lavoro teatrale costringe a una precipitazione c e, avvicinando gli oggetti, conferisce all'azione teatrale tutto il calore c e le è necessario. Se in una scena di 2 ' Y. Beloval, op. d!, p

12 tenerezza vi lasciate trasportare dal sentimento ric iesto dalla parte, vi ritroverete d'improvviso col cuore stretto, la voce vi si strozzerà in gola ; se a quel punto dovrete passare rapidamente alla piú grande collera, come vi sarà possibile)». Sembra di leggere il Paradoxe diderotiano. E Rémond de Sainte- Albine, nel saggio su Le Comédien pubblicato nel 1747 e anc 'esso recensito dal Raynal nelle Nouvelles littéraires, sebbene si ponesse all'altro estremo sostenendo la tesi della recitazione come immedesimazione, aveva scritto anc 'egli frasi c e suonano diderotiane, come le seguenti : «È la Natura c e sbozza l'attore, ma è l'arte c e ne compie la formazione» ; un attore può eccellere soltanto «se a quella fine percezione delle convenienze c e dev'essere la bussola degli autori e degli attori ; bisogna c e diventi autore lui stesso» (dove «autore» significa, evidentemente, creatore). Infine la Hamburgisc e Dramaturgie di Lessing ( ) sostiene tesi c e sono anc 'esse molto vicine a quelle di Diderot, al punto c e c'è stato c i a proposto l'ipotesi c e Diderot ne abbia subito l'influenza. D'altra parte, come negare le contraddizioni tra la tesi dei Paradoxe e tante frasi sparse un po' dovunque in altre opere di Diderot? Negli Entretiens sur le Fils nature) (1757) leggiamo per esempio c e un'attrice «dotata d'intelligenza limitata, di penetrazione comune, ma di grande sensibilità, coglie senza difficoltà una situazione psicologica» e sopravanza «tutta la sagacia del filosofo» il quale analizza ; e leggiamo c e «í poeti, gli attori, í musicisti, i pittori, i cantanti di prim'ordine, i grandi ballerini, gli amanti teneri, i veri credenti, tutta questa folla di gente entusiasta e appassionata, sente vivamente e riflette poco». In una lettera alla giovane attrice Mademoiselle Jodin, Diderot scrive : «Un attore c e abbia soltanto buon senso e giudizio è freddo ; uno c e abbia soltanto vivacità e sensibilità è folle. È una certa combinazione di buon senso e di calore c e fa l'uomo sublime ; e sulla scena come nella vita c i mostra píú di quanto sente, fa ridere invece di commuovere». Non si può forse dire c e Diderot capovolga nel Paradoxe queste affermazioni 28 Friedric Luiti nella sua edizione del Paradoxesurle comédíen, Strasbourg, Heiti, «Biblioteca Romanica». quando vi scrive : «È l'estrema sensibilità c e fa gli attori mediocri ; è la sensibilità mediocre c e fa l'infinita sc iera dei cattivi attori ; ed è l'assoluta mancanza di sensibilità c e prepara gli attori sublimi»? E poi c'è il Neveu de Rameau, dove i1 problema si presenta in L i relazione all'eccezionale capacità mimetica di cui il nipote del «a T '^ a grande musicista vi fa sfoggio. Anc e qui, è necessario premettere una definizione dei termini. J.Mntómimá è sempre stata molto a cuore a Diderot, c e l' a fortemente valorizzata. Per esempio, dopo la prima del Tancrède di Voltaire nel settembre 1760, Diderot scrisse al «patriarca», esaltando l'interpretazione della Clairon : «A, mio caro maestro, se vedeste la Clairon mentre attraversa la scena semiriversa sui carnefici c e t'attorniano, le ginocc ia c e le si piegano, gli occ i c iusi, le braccia cadenti come fosse morta ; se udiste il grido c 'ella landa respingendo Tancredi, sareste piú c e mai convinto c e il silenzio e la pantomima anno talvolta una pateticità c e neppure tutte le risorse dell'arte oratoria sono in grado di raggiungere»' 9. Nel Neveu de Rameau Diderot a posto una quindicina di pantomime'", a dedicato alla pantomima tutto un capitolo del suo Discours surlàpoésie dramatique, a cekátodi ìńéitere in rilievo tutto il valore drammatico del gesto espressivo della danza negli Entretiensc sur le Hic naturel, e nel Paradoxe a lodato Garrick per le sue straordinarie capacità mimetic e Ora, bisogna distinguere tra pantomimo e attore. Secondo Jaucourt e Marmontel, c e redassero la «voce» Pantomima rispettivamente per l'enciclopedia e per il Supplemento dell'enciclopedia, il pantomimo crea ex ni ilo una rappresentazione illu- 29 Nella Correspondance di Voltaire, ediz. Besterman ; si tratta della lettera n Vedine l'elenco in Mic èle Duc et, Entretiens sur «Le Neveu de Rameau, Paris, Nizet, 1967, p. 88. t! Cfr. M. Perrin, David G'arrick omme de t éâtre, Lille-Paris, 1978 ; e R. V,rolle, Naverre, Garrick, Diderot: pantomime et littérature, in Mntf etjigures, Publications de l'université de Rouen, Centre d'art, Est étique et Littérature, Paris, 1974, pp. 201 sgg. Si veda anc e G. M. Bergman, Lagrande mode despanton«mes û Paris et lev spectacles de Servandoni, in 7 édtre Researc, t. li, 1960, pp. 71 sgg., in cui si cita «il nuovo stile teatrale, fortemente impregnato di pantomima', c e Mlle Dumesnil, qualc e anno dopo, nel 1743, lancia nel ruolo di Merope, in cui, secondo la formula di Voltaire, recita «col diavolo in corpo

13 Boria e senza durata, mentre l'attore resta subordinato ad un testo c e non a inventato, sc iavo di un'invenzione anteriore e per lui necessitante. Tuttavia, a leggere gli scritti teorici di Diderot, questa distinzione appare assai meno netta, e i due termini sono spesso scambiati, o almeno definiscono due aspetti cosí vicini l'uno all'altro, c e Diderot tende a confonderli. Questa confusione può spiegarsi in base alla posizione critica c e Diderot adotta di fronte al teatro del suo tempo. Infatti, rimproverando agli attori una declamazione statica, auspica al suo posto una recitazione (anzi un jeu, cioè, appunto, uñzíone scenica) viva e naturale, e afferma persino, per l'attore, la necessità di diventare pantomimo. «Noi parliamo troppo nei nostri rammi - scrive neg i ntret;ens sur le Fils naturel- e di conseguenza í nostri attori non vi svolgono sufficiente azione scenica» [«n 5î jouent pas assez>)] ; nel Paradoxe afferma c e il dramma deve concludersi con un'azione e non con un racconto ; nel Dż court sur la poésie dramatique giunge fino ac ied?fe2llee scene mute, veri mimodrammi, sempre in nome della verità e della naturalezza. Perciò, per volontà deliberata o per confusione inconsapevole, Diderot assimila in larga misura l'attore e il pantomimo'. Ma quando esegue una pantomima, il nipote di Rameau contraddice i precetti c e sono alla base del Paradoxe sull'autocontrollo dell'attore. Nella «grande pantomima» da lui eseguita nel Neveu de Rameau, è un crescendo c e lo porta al piú completo e assoluto oblio di se stesso : «Cominciava ad entrare nella passione e a cantare a bassa voce. Elevava il tono man mano c e si appassionava maggiormente. Poi vennero í gesti, le smorfie del viso e le contorsioni del corpo ; e io dico : benone, ecco c e perde la testa [...]. Lui non si accorgeva di niente ; continuava, in preda a un'alienazione spirituale, a un entusiasmo cosí vicino alla follia, da esser dubbio c e potesse ritrarsene e da c iedersi se non si dovesse gettarlo in una carrozza e condurlo direttamente al manicomio [...]. Con l'aria di un energumeno, roteando gli occ i, sc iumando dalla bocca [...]. Aveva completamente perduto la testa». '2 Cfr. in proposito k osservazioni di Jean-Yves Pouìlloux, in M. Duc et, op. cit., pp Sembra c e la contraddizione sia completa : il nipote di Rameau è tanto piú veridico nella sua pantomima in quanto è completamente fuori di sé, preda e vittima di una vera e propria alienazione. Vi è però un'importante distinzione da fare, ed è suggerita da Roland Desn&' : la distinzione tra la pantomima nel teatro_e Ja_pantómíma nel r~mánzö. Nel teatro fa pantomima è mezzo d'espressione, vale come linguaggio gestuale ; nel romanzo il mezzo d'espressione è il linguaggio scritto, e la pantomima cessa perciò di essere un supporto della creazione drammatica, per diventare oggetto di creazione letteraria, il c e è tutt'altra cosa. Basterebbe, per convincersene, ricordare c e nella sua ben nota recente messa in scena del Neveu derameau, Pierre Fresnay non a mai fatto ricorso alla pantomima. Ma torniamo al confronto fondamentale tra le affermazioni contenute negli Entretiens sur le Fils naturel e quelle dei Paradoxe, perc é è in tale confronto c e la contraddizione tra due posizioni opposte sembra indiscutibile Fissiamo prima di tutto un punto : gli Entretiens sono del 1757, le Observaüons sur Gan-ick del 1769, íl Paradoxe sur 1ε comédien del 1773, con successive rielaborazioni. Ora, gli anni 1769 e seguenti sono appunto quelli in cui la filosofia diderotiana trova il suo sviluppo e la sua sistemazione. Certo, ci sono occasioni per cosí dire esterne c e anc 'esse influiscono sull'evoluzione del pensiero di Diderot relativo al teatro e all'attore, e su di esse a ric iamato l'attenzione il Wilson" : per esempio la tournée di Garrick a Parigi nell'ottobre 1764, commentando la quale, e la dimostrazione data dall'attore inglese della sua eccezionale capacità di esprimere in rapida successione una serie di emozioni, Diderot scriverà : «Forse c e il suo animo a potuto provare tutte quelle sensazioni, ed eseguire, di concerto col viso, tutta quella gamma di espressioni? Io non ci credo affatto, e neanc e vol>'s. Un altro elemento è l'influenza c e sulle teorie u Ibidem, p <-' A.M. Wilson, tac. cit " E indubbio c e Diderot fu indotto ad accentuare la sua teoria dell'arte drammatica c e tanto piú è buona quanto piú l'attore è freddo e distaccato, dalla sua interpretazione del nodo di recitare di Garrick. Tuttavia A.M. Wilx'n, nella sua biografia di Diderot (pp ), sostiene c e c'era da parte di Diderot, in questa interpretazione, un certo grado di equivoco, facilitato dal

14 drammatic e di Diderot a l'esperienza nel campo delle arti figurative fatta attraverso i salons' ó : l'importanza della tecnica gli appare sempre maggiore, ed egli si dimostra sempre piú incline ad apprezzare il «finito» rispetto all'abbozzo, allo sc izzo (un particolare, questo, c e torna nel Paradoxe, passando dalla pittura e dalla scultura al teatro, applicato all'attore), e nel Salon del 1767 dà della teoria del modello ideale - c e tanta pane avrà nel Paradoxe - la sua migliore formulazione, e in quello stesso Salon scrive : «Ho visto dipingere La Tour : è tranquillo e freddo ; non si tormenta, non soffre, non ansima ; resta freddo, e tuttavia la sua imitazione è piena di calore. Questo pittore non a mai prodotto niente di getto, a il genio della tecnica ; è un meraviglioso meccanico». Cosí, ripercorrendo il cammino compiuto da Diderot tra il 1757 e il , il Wilson, il Vernière, il Belaval anno insistito sulla necessaria collocazione del Paradoxe sur le comédien nel quadro della produzione diderotiana e dell'evoluzione del suo pensiero. I1 Paradoxe va infatti classificato tra le opere, press'a poco dello stesso periodo, in cui l'autore, alle soglie della vecc iaia, esprime il suo pensiero piú maturo, piú vero e piú intimo. Queste opere sono : Le Neveu de Rameau, c e a occupato Diderot dal 1761 al 1774 ; l'entretien mire d'alembert et Diderot, í1 Rêve de d'alembert e l a Suite de l'entretien (1769) ; í 1 Paradoxe.sur le fatto di aver sempre visto l'attore inglese recitare nel c iuso di una stanza e non sulla scena. «Lo stesso Garrick -aggiunge Wilson - può aver deciso c e Diderot aveva in qualc e modo mal interpretato la base della sua arte, perc é sembra c e non abbia mai risposto a un invito, fattogli da Suard, di commentare quello c e probabilmente era un manoscritto del Paradoxe Sur le comédien. È possibile c e Garrick fosse imbarazzato. Forse giudicò c e Diderot avesse frainteso, come se una persona e e osservasse un celebre musicista prepararsi a suonare Scarlatti facendo le scale, prendesse 1e scale per una sonata e restasse convinto di aver visto e sentito tutto ciò c e era necessario per giudicare l'arte del musicista.» 36 Dei Salons si veda l'edizione di Jean Seznec e Jean Ad émar, 4 voll., Oxford, I Sui Salonscfrs il lavoro critico di Mic ael T. Cartwrig t, Dideot critique d'art et le probléme de l'expression, in Diderot Çtudzes XIII, Genève, Droz, 1969, c e dà anc e conto di tutti i precedenti e della relativa bibliografa e dove sono anc e vari accenni al Paradoxe sur le comédien. Si veda inoltre Marie-Louise Roy, Poetik Denis Diderots, Münc en, Fink, 1966, e Else Marie Bukdall, Diderot critique d'art, Copen agen, comédien ( ed oltre) ; il Supplément au voyage de Bougainville (1772) ; la «satira» Sur les caractères et les mots de caractère, de profèssion, etc., scritta dopo il ritorno dalla Russia (settembre 1774) ; l'entretien d'un P ilosop e avec la Maréc ale de»» (1776). Gli Entretiens surle Fils naturel, c e presentano, in fatto di sensibilità dell'attore, la piú stridente contraddizione col Paradon, sono del Diderot non a ancora approfondito la sua teoria né sull'intelligenza né sulla sensibilità. L'articolo sulla fisiologia, c e si rifa alla teoria di Bordeu, uscirà nell'enńclopedia soltanto nel Fino a quel momento, col termine «sensibilità», Diderot indica in maniera generica e vaga molte cose diverse : emozione, passione, tatto, entusiasmo, ecc. E tutte queste modalità della vita affettiva si unificano sotto l'idea, anc 'essa abbastanza vaga, di istinto. Quando scrive il Paradoxe, sono passati tanti anni, all'età delle passioni è subentrata l'età della riflessione e del gusto, e soprattutto Diderot a approfondito la sua filosofia, si è iniziato al vitalismo di Bor deu, a elaborato la sua nuova posizione nel Rêve de d Alembert, sta per scrivere quella Réfutation d'helvétius in cui renderà dia lettico il suo materialismo, prenďe gli appunti c e rielaborerà negli Elemenčs de p ysíologie. L'intelligenza (il jugement) è posta alle dipendenze del cervello (l'origine du faisceau), mentre l'emotività è diventata periferica, e l'istinto è considerato con un contenuto biologico ben determinato. «Si vede l'evoluzione di Diderot- commenta í1 Belaval". -Ciò c e prima l'interessava nell'istinto, era la sua formazione meccanica mediante l'abitudine ; ma gli si è c iarito c e l'abitudine non poteva a sua volta formarsi se non a partire dall'attitudine ; di conseguenza, ciò c e ora gli appare fondamentale nell'istinto, è soprattutto il suo vitalismo, la sua funzione. Di colpo, l'or dine c e caratterizza l'istinto si contrappone al disordine cosí evidente della sensibilità emotiva. D'altra parte, la ragione non è forse, per eccellenza, una spontaneità orientata, ordinata e ordinatrice, e quindi un istinto? Ecco quindi Diderot portato ad aspettare dalla ragione quello c e prima attribuiva alla sensibilità. Ma, per far ciò, deve limitare il significato della sensibilità, includendovi soltanto l'emozione grezza e la sensiblerie " Y. Belaval, op. cit., pp. 270 sgg

15 vaporosa degli uomini e dei popoli deboli. In conclusione, la famosa contraddizione tra gli Entretiens e í1 Paradoxe non è, alla lunga, cosí stridente come si è preteso, dato c e si basa su termini c e non anno piú la stessa estensione. E lo è tanto meno, in- quanto il Paradoxe conserva, nella creazione, la funzione dell'entusiasmo.come riconosce il Mornet, nei Paradoxe "il ppeta trae e ordina con una superiore lucidità í materiali informi accumulati dall'entusiasmo". I1 c e significa : senza intelligenza, niente creazione valida, certo ; ma senza entusiasmo, niente creazione. Di questo entusiasmo, gli Entretiens ci descrivevano il delirio [...]. Ora, Diderot vuole c e questo delirio sia temperato ; esige maggiore severità nella scelta dei mateńa1i ; tende a razionalizzarlo, non secondo una ragione astratta, ma secondo la ragione-istinto. Si riallaccia al mirabile articolo dell'enciclopedia, apparso nel 1755, c e fa dell'entusiasmo un "capolavoro della ragione". Se infine si aggiunge c e nel Paradoxe Diderot non si attarda piú, come negli Entretiens, sul momento dell'entusiasmo, e riserva la sua attenzione al lungo lavoro c e lo prepara - l'osservazione - o c e lo segue - la messa in opera -, c e cosa resta della contraddizione tra i suoi testi?» I1 punto, dunque, c e troppe volte non si è considerato quando si è polemizzato sul Paradoxe, è c e Diderot, filosofo certamente non sistematico, a adoperato il termine «sensibilità», nelle sue varie opere, in differenti accezioni. Altro è la sensibilità morbosa (sensiblerie), altro è la sensibilità come emotività, e altro ancora è la sensibilità come gusto e come tatto, come capacità di avvertire e di penetrare. Nel primo significato, per quanto riguarda il Paradosso, Diderot la respinge negli attori come nociva ; invece nel secondo significato, e soprattutto nel terzo, ne fa una qualità indispensabile per il grande comédien. Non per nulla scrive c e «altro è sentire, altro essere sensibili». Il jugement c e deve sostituire la «sensibilità» nel significato deteriore del termine, non esclude affatto, nella concezione del Paradoxe, né l'immaginazione né l'entusiasmo : «E il sangue freddo c e deve temperare il delirio dell'entusiasmo» : il delirio dell'entusiasmo, non l'entusiasmo. Cioè controllarlo, ordinarlo, renderlo efficace. I1 genio non è la pura effusione della «sensibilità», ma una misteriosa combinazione di immaginazione e di autodisciplina. E quando, per esempio, si cita come un'altra contraddizione rispetto al Paradoxe la frase di Diderot c e confrontando «l'uomo di genio, il grande scrittore e l'uomo sensibile» scrive : «Di queste tre qualità non accetto c e l'ultima ; essa mi basta, si può possederla ed essere privo delle altre due, c e è raro c e si abbiano senza quella», facendo cosí, pare, il maggiore elogio della sensibilità, si dimenticano varie cose : si dimentica innanzi tutto c e quella frase è in risposta a un complimento di Marmontel, il quale lo aveva definito «uomo di genio, grande scrittore e uomo sensibile», c e il complimento era imbarazzante, e c e Diderot, per non apparire presuntuoso, non poteva rispondere c e come rispose ; e poi si dimentica c e la sensibilità c e in quella risposta a Marmontel Diderot riconosceva a se stesso, non è piú quella del Paradoxe, antitesi dell'intelligenza, sensiblerie nervosa c e viene a corrompere la morale : l'uomo sensibile dell'essai sur les règnes de Claude et de Néron, in cui quella frase tppare nel 1778, è l'uomo di cuore c e è guidato dalla saggezza, non dalla passione disordinata. Insomma, come a precisato il Vernière'A, Diderot, ampliando le Observations sur Garrick e trasformandole nel Paradoxe sur le comédien, è giunto alla conclusione - coerentemente con tutta l'evoluzione e la precisazione del suo pensiero filosofico-c e la sensibilità dell'attore non è c e un caso particolare della teoria della sensibilità sviluppata nel Rêve de (PAlembert, sicc é «il paradosso sull'attore è un annesso al paradosso sull'uomo» : l'attore partecipa della nostra condizione biologica e, nel dualismodi struttura c e contrappone il cervello al sistema simpatico (nel linguaggio di Diderot, il diaframma), nón,può essere geniale se non mediante la piena padronanza del suo essere e mediante la presa di coscienza del suo mostruoso dualismo. Il passaggio da un'estetica del diaframma a un'estetica del cervello affiora in tutte le sue opere dello stesso periodo, e il panpsic ismo materialistico c e è alla base del Paradoxe costituisce la struttura portante del Rêve de d'alembert, dove, parlando non dell'attore ma dell'uomo in generale, Diderot aveva scritto : «Se a la sfortuna di possedere 38 p. Vcrnière, loc, cit

16 questa disposizione naturale [la "sensibilità"], l'uomo dotato di grandezza si adoprerà incessantemente a indebolirla, a dominarla, a rendersi padrone dei propri movimenti, e a far sí c e il cervello [l'origine du faisceau] conservi tutto il suo dominio. Cosí facendo serberà il sangue freddo in mezzo ai maggiori pericoli [..] sarà gran re, gran ministro, gran politico, grande artista, soprattutto grande attore, gran filosofo, gran poeta, gran musicista, grande medico [...]. Gli esseri sensibili, cioè í folli, si trovano sul palcoscenico, mentre lui sta in platea ; ed è lui c e è il saggio». I1 Belaval, prendendo probabilmente un abbaglio", include i1 Paradoxe tra le «satire» ; ma le considerazioni c e ne trae non perdono valore anc e se si respinge tale identificazione' : «Questa inclusione del Paradoxe nel ciclo delle tre satire non permette anc e di precisare le intenzioni di Diderot? Per satira egli intende la descrizione di un caso concreto : la satira riguarda un tartufo, e la commedia riguarda il Tartufo. La satira prende di mira un vizioso, e la commedia un vizio. Se esistessero soltanto una o due Preziose ridicole, se ne sarebbe potuto fare una satira, ma non una commedia. Insomma, la satira sta alla grande arte come il singolare sta a1 generale, come l'individuo reale sta al modello ideale. Ora, eccezion fatta per í1 Neveu de Rameau, né il saggio Sur les caractères, né il Paradoxe si fermano a un solo personaggio : essi costituiscono delle raccolte di fatti osservati. Lo scopo di Diderot non è dunque di fare opera d'arte, nel senso c e egli non cerca di darci una lezione morale mediante la pittura di un modello ideale ; il suo scopo non è neppure di fare opera di scienza teorica, come nella Lettre sur les aveugles e nella Lettre sur les sourds-muets. Si tratta invece di notare quei tratti significativi c e c iariscono un carattere, di smasc erare i falsi lineamenti dell'attore per meglio mostrarne la verità : si tratta di un lavoro di psicologia concreta. Questo lavoro resta nella tradizione dei nostri moralisti. L'autore vuole istruire e correggere. Non pici, lo ripetiamo, tipificando í suoi modelli, ma dipingendoli dal vero, tali e quali sono in carne ed ossa. E può darsi c e Diderot abbia approfittato di queste 79 Cfr. note 7 e 8. 'a y, Relavai, op. c1., pp descrizioni dal vivo per liberare quei pensieri semisegreti c e ciascuno porta dentro di sé senza troppo osare proferirli, perc é non sa píú bene, in piena buona fede, in c e misura ci crede e deve farli propri». Q Swf s ; o ło Osservate la natura, restate aderenti alla realtà ; e perciò fate sí ~ c e sull'impulso emozionale abbiano la meglio la riflessione źt critica e l'autocontrollo, c e soli possono mettervi all'altezza ť';+ado.-t delle interpretazioni c e siete c iamati a dare. Questa è la raccomandazione c e Diderot rivolge agli attori,guesto íl significato del Paradoxe Le aggiunte fatte da Diderot al testo della versione originaria non fanno c e svolgersi in questa direzione, cioè nel senso di una maggiore aćcentuazione dei problemi generali, metafisici ed estetici, oppure relativi alla riforma del teatro, c e il problema dell'attore, della sua persoitalità, dell'interpretazione comporta. E sulla riforma del teatro i1 Paradoxe si affianca agli Entretiens sur le Fils naturel (1757) e al Discours sur la poésie dramatique (1758), completandoli. Tra l'altro, Diderot a presente la polemica suscitata dalla Lettre à (l'lembert sur les spectacles di Rousseau (1759), polemica alla quale anno preso parte tra gli altri Marmontel con l'apologie du T éâtre (1761), il marc ese di Ximenes con la Lettre sur l'effet moral du t éâtre, Grimm nella Correspondance littéraire del 15 aprile Diderot concorda ćön Róusseau nella diagnosi : riconosce c e il teatro, cosí com'è, è soltanto un divertimento frivolo in grado di produrre piccole impressioni destinate a dissolversi al termine dello spettacolo ; c e lo spettatore lascia i suoi vizi all'entrata della sala per riprenderli all'uscita ; c e gli si offrono racconti adatti ai bambini ; c e, dalle patetic égerémiadi dí Racine alle rodomóntate di Corneille,_le v_i ~í presentate sulle scene sono false. Ma è nella prognosi c e Diďerot si distacca da Rousseau : questi vuole abolire il teatro, quello vuole riformarlo". Dietro questa diversa conclusione, vi è la diversa concezione della moralità e della natura. Rousseau crede in una 4> Dopo Y. Belaval, c e nell'op. cit. a dedicato alcune pagine al confronto ira Rousseau e Diderot, il tema è stato ripreso da Robert Niklaus, Diderol et Rousseau. Pour et contre le t éâtre, in Dťderot Studies 1V, cit., pp. 153 sgg. Di Niklaus anc e Diderot and Drama, Exeter,

17 f~ic ) Ç_..) Γ moralità stabilita, accessibile a quell'istinto divino c e è la coscienza morali Diderot non ci crede. Predicano entrambi il «ritorno alla Natura» (questa espressione, c e è proverbialmente russoviana, s'incontra tante volte nel Paradoxe) ; ma la Natura non è la stessa cosa per l'uno e per l'altro. Certo, per nessuno dei due la Natura risiede nelle convenzioni sociali, nelle convenienze mondane, nella buona educazione formale ; ma, tutto compreso, Diderot preferisce ancora le convenienze mondane e la buona educazione alla rusticità dei selvaggi. Lo stato di natura appare a Rousseau come un'età d'oro in cui esistono soltanto sentimenti giusti e ragionevoli ; appare, invece, a Diderot come qualcosa c e si ritempra alle passioni forti, d'ispirazione biologica, e tanto dinamica quanto per Rousseau è statica. Dí qui,yer Diderot, il fatto c e la moralità è sempre da promuovere e da rifare, e proprio perc é la moralità e da fare, il teatro può contribuirvi : a condizione c e sia riformato. In termini tecnici, questa concezione della natura e della moralità si traduce, sul terreno teatrale, in un'esaltazione di tutto ciò c e è grande, forte, genuino, magari barbarico : S akespeare diventa un modello. E insistendo nel porre al di sopra di tutto. l'energia di un modello ideale, a spese, se occorre, del buon gusto, Diderot si contrappone a Voltaire come il futuro al passato. E singolare c e Diderot elegga a criterio di elevazione dell'attore-c e in tal modo diventa un vero artista, un creatore-le stesse notazioni sulle sue capacità mimetic e c e Rousseau, avevá elencate per manifestargli íl suo disprezzo. «In c e consiste il talento dell'attore? -aveva scritto nella Lettre á d'alembert.- Nell'arte di contraffarsi, di assumere un carattere diverso dal proprio, di sembrare diversi da come si è, di appassionarsi a freddo, di dire ciò c e non si pensa con la stessa naturalezza c e se lo si pensasse realmente, e di finire col dimenticare il proprio posto a forza di prendere quello di un altro.» Ebbene, ribatte Diderot, quest'arte può essere utilizzata per migliorare l'uomo ; e l'attore intelligente sarà tanto píú apprezzabile quanto piú avrà coscienza dei propri compiti, della loro specificità, e non barerà. Rousseau aveva esclamato : «Voi altri filosofi, c e vi pretendete tanto superiori ai pregiudizi>>, salireste sul palcoscenico? E Diderot ribatte : «tanto ci salirei, c e da giovane, libero da tutti i pregiudizi, volevo fare l'attore» (Entretiens sur le Fils naturel), c e «io stesso, da giovane, esitavo tra l'università e il teatro» (Paradoxe), c e «ci sono salito quando o fatto parodie e pantomime» (Paradoxe). Proprio perc é l'attore si caratterizza per lo sdoppiamento i ra la parte c e interpreta e ciò c e egli è realmente, proprio per questo non vi è nessun legame necessario tra sdoppiamento e immoralità, e proprio per questo l'attore c e magari interpreta sulla scena un personaggio vizioso o repellente, è invece, nella realtà, un uomo specc iato, come nell'esempio, ric iamato nel 1>aradoxe, di Montménil, tartufo sulla scena, uomo candido e onestissimo nella vita. I1 Paradoxe sur le comédien può anc e essere letto in una c iave diversa da quella c e certamente è la principale, anzi la sola in cui consapevolmente lo scrisse l'autore (c e mette al centro del dialogo il problema dell'interpretazione teatrale) : può essere letto, cioè, cercandovi l'inconscia manifestazione di quell'insoddisfazione di sé, c e, come è noto, è stato uno dei piú tenaci motivi conduttori dell'opera di Didęrot'r. Anzi, è proprio tenendo presente c e, forse inconsapevolmente, l'autore inseguiva in quel dialogo anc e un problema di carattere personale, e comunque esistenziale, oltre c e artistico e interpretativo, è tenendo presente ciò c e meglio si può anc e cogliere quanto di sforzato, anc e dal punto di vista di una teoria drammatica, vi è nei noti passi sulla «nulle sensibilité'>. Perc é bisogna riconoscere c e vi è pure qualcosa di sforzato nel modo in cui Diderot sviluppa e presenta le sue tesi. «Diderot s'inganna su un solo punto-osserva in proposito Claude Roy' : - quando illustra la sua tesi con esempi c e vanno troppo oltre. Egli vuole talmente c e lo sdoppiamento sia la ', Sul sentimento di angoscia di Diderot per il fallimento della propria opera cfr. P. Alain ; op. dt., pp. 446 sgg, con relativa bibliografia. In questa prospettiva assume particolare rilievo Le Neveu de Rameau, su cui si veda soprattutto Georges May, L'angoisse de l'éc ec et ta genèse du «Neveu de Rameau, in 1),derot Studies JI, Genève, Droz, 1961, pp Cfr. anc e Yves Benot, 1)idovt de!'at éisme å 1'antirotoniatúme, Paris, Maspero, 1970, pp C. Roy, toc. cit.. (! ycc^ a λø.1o s c 2Çi- c'

18 c iave del mestiere d'attore, da descrivere con ammirazione gli attori c e mentre recitano una scena d'amore litigano sottovoce tra loro, c e fanno piangere il pubblico a calde lacrime e in realtà sono in preda a un'irritazione personale c e non a nulla a c e vedere con la passione del loro testo. Diderot finisce col credere c e l'attore possa essere tanto duplice da essere addirittura spaccato in due. Dimentica qui il consiglio c e egli stesso dava a Mademoiselle Jodin : Se, quando siete sulla scena, non credete di essere sola, tutto è perduto. Sembra in effetti c e lo sdoppiamento dell'attore come quello dell'uomo veramente padrone di sé, non sia mai un divorzio di sé da sé ma una subordinazione delle sue istanze intenon al proposito unieo dell'individuo. Vi è sufficiente gioco nel funzionamento dello spirito umano perc é colui c e piange al funerale di un essere amato possa nel medesimo tempo sorridere della testa del becc ino, senza c e il suo dolore sia meno vivo né meno sincero ; perc é colui c e contempla con passione la donna della sua vita osservi nel medesimo tempo c e il rossetto sulle labbra si è sbaffato, senza per questo essere meno innamorato. Ma se a veramente voglia di ridere a crepapelle, il vedovo ê ancora veramente in lutto? Se prova repulsione per gli sbaffi del trucco, è ancora innamorato? I1 vero sdoppiamento è sempre una subordinazione dell'accessorio all'essenziale [...]. Nel miglior libro c e sia stato ispirato dal Paradosso, Masks or Faces (1888), il grande uomo di teatro scozzese William Arc er interroga tutti gli attori importanti del suo tempo. Essi constatano tutti c e sono capaci, beninteso, di quello sdoppiamento c e consiste nel rialzare una sedia caduta nel bel mezzo di una grande scena di passione, nel sorvegliare con la coda dell'occ io le reazioni del pubblico o il lavoro dei loro compagni. Ma lo spirito si sdoppia qui in funzione del fine c e esso stesso si determina, vi è distanziazione e non divisione, sdoppiamento e non antagonismo, come nel caso degli aneddoti di Diderot [...]. C e occorra un po' di gioco nel congegno per recitare veramente bene, quel margine c e è stabilito - tra il sentimento e la sua espressione-dalla vigilanza del giudizio, niente di pici vero, e il Paradosso, in fin dei conti, non è paradossale ma evidente. Ma Diderot si lascia trasportare dal suo sogno, dall'immagine c 'egli delinea di un uomo tanto padrone di sé, i e sarebbe padrone anc e di un altro sé. Si possono guidare e sorvegliare due cavalli attaccati allo stesso carro, ma non si può correre contemporaneamente dietro a due lepri.» Comunque, per riprendere il discorso interrotto, queste forzature si possono meglio cogliere e comprendere se si tiene presente la possibilità di leggere il Paradoxe individuandovi una manifestazione di insoddisfazione di sé, un problema personale e esistenziale di Diderot. Lo a notato il Freer", lo aveva già osservato precedentemente J. Undank `. «II problema centrale del Paradoxe - scrive l'undank - è quello dell'efficacia dell'attore sulla scena, e questo problema si collega con la questione fondamentale della sensibilità dell'interprete [..]. Tutto il dialogo dipende dal significato e dalle ramificazioni del termine "sensibilità". Per c iarire la sua tesi, Diderot fa numerose allusioni a persone di tutte le professioni, alla società, a se stesso, e all'effetto della sensibilità su di esse e su di sé ; sottrae cosí il paradosso alla scena e finisce col discutere le virtú e le trappole - soprattutto queste ultime - della Çensibilità)stessa. I1 problema si sposta dunque, per fasi successive, dall'efficacia della scena all'efficacia personale nelle diverse categorie e occupazioni sociali, la sensibilità restando sempre il cardine della discussione. Questo mutamento di prospettiva genera una serie di conftsioni, le quali, per quanto possano essere nocive al paradosso e alla teoria estetica c e esso dovrebbe dimostrare, servono a sottolineare il fatto c e Diderot a lasciato c e la questione dell'attore cedesse sotto la pressione del proprio imperioso bisogno di ragionare sul problema generale della soddisfazione personale. «Mosso da una tendenza già riscontrabile nel Rêve de d'a1embert (1769), in cui fa della sensibilità una reazione fisica involontaria, un turbamento o una debolezza dell'organismo e la caratteristica di "tutti gli esseri mediocri", Diderot, nel Paradoxe, crea, senza fare distinzioni, delle analogie tra funzione della sensibilità nel successo personale e professionale dei rap- " Alan J. Freer, Ta/ma and Didesot's Paradox on acting, in Diderot Studies VIII, Genève, Droz, 1966, pp. 23 sgg. 45 J. Undank, Introduzione all'edizione critica da lui eurata deltapièce di Diderot, Est-il bon? Est-il méc ant?, in Studies on Voltaire and t e eig teent century, Genève, 1961, vol. XVI, pp. 107 sgg. E S c τ:

19 presentanti dell'interpretazione artistica - cioè gli attori - e in quello dei rappresentanti della creazione artistica, nonc é dei re, dei ministri, dei capitani di marina, degli avvocati e dei medici. E allo scopo d'includere queste diverse applicazioni della sua teoria, Diderot identifica, in modo poco conseguente, la sensibilità con l'impetuosità, l'ispirazione, l'effusione emozionale, la "follia", l'incostanza del temperamento, l'emotività o la disintegrazione dell'io. In armonia con la propria teoria sull'origine fisiologica della sensibilità, la vede letteralmente come una vittoria del cuore ; delle viscere e del diaframma sulla testa, "la compagna del dolore e della debolezza". Queste generalizzazioni e queste analogie frettolose c e tendono a denigrare la sensibilità, anno un curioso effetto : contribuiscono a demolire il paradosso stesso, giacc é, come a fatto notare F. Vexler nei suoi Studies in Diderot's est etic naturasm (New York, 1922), "se l'uomo sensibile è un essere capriccioso e disuguale, sempre assorbito nell'emozione del momento, incapace di lavorare ad un fine determinato, se è inesorabilmente condannato ad essere pazzo, non sarà buono a niente, come suggerisce la definizione di Diderot, e non sarà meno disadatto alla carriera teatrale c e a qualunque altra professione. Perciò, domandiamo con William Arc er, dov'è il paradosso?". «Fortunatamente la veemenza degli attacc i di Diderot contro la sensibilità non gli a impedito di commettere alcuni gravi errori e di fare talvolta, quasi inavvertitamente, delle giudiziose distinzioni : queste ultime, benc é stornino l'attenzione dagli eccessi della sua teoria estetica e perfino la contraddicano, rendono piú plausibili alcune delle sue esemplificazioni. I buoni creatori artistici, per esempio, non sono totalmente privi di sensibilità. E da essa c e traggono la loro ispirazione ; si contentano di dominarla o di controllarla, attendono c e abbia perduto la sua virulenza. E quegli stessi attori c 'egli ci descrive come assolutamente insensibili, intrattengono, in un lungo frammento d'illustrazione, delle conversazioni sottovoce di natura eminentemente passionale durante le loro rappresentazioni ; dunque la passione non sarebbe piú uno dei segni distintivi della sensibilità? Vi sono momenti in cui Diderot sembra incapace di trovare nel reale i mostri fittizi c 'egli si crea.» I le Ma, per riprendere il discorso sul senso esistenziale c e il. Paradoxe presenta accanto a quello estetico, Diderot «a per e ' cosí dire trovato il suo tema essenziale man mano c e scriveva : ř ll s : : H. ciò c e, in ostituiva partenza, un attacco contro a sen ctà ibili -t-j dell'attore, a preso le proporzioni di una polemica corrucciata ; fissandosi in un unico scopo, Diderot a rinunciato alle distinzioni, a preso a partito la sensibilità stessa e l' a combattuta come fonte di mediocrità e come ostacolo al successo. Egli definisce la sensibilità diversamente, secondo il contesto della sua argomentazione e delle analogie alle quali ricorre, ma ne discerne uniformemente un sintomo infallibile nella perdita del controllo fisico, emotivo e intellettuale : il verbo c 'egli utilizza piú frequentemente per descrivere coloro c e non ne sono afflitti è "possedersi". La sensibilità è cosí un ostacolo alla liberta di c i vuole erigere il proprio corpo coscientemënté ë secondo un piano ; colui c e ne è vittima non riesce piú a dominare se stesso : è alla mercé di uno slancio interiore, e le sue reazioni sono brusc e, violente, irriflessive, automatic e. Non v'è dubbio c e questi sintomi costituivano per Diderot un'ossessione : erano gli elementi decisivi del suo stato diagnostico, e quest'ultimo condannava infatti il malato : un caso disperato. Come sappiamo, Diderot conosceva per esperienza personale ciò c e tali sintomi significavano, e nel Paradoxe non a esitato a ricorrere due volte a questa esperienza e a presentarsi come esempio per sostenere la sua tesi 1...]. La partecipazione di Diderot a ciò c 'egli descrive e la sua reazione violenta a questa tirannia interiore erano cosí profonde e cosí vive al momento del Paradoxe, c 'egli semplificò energicamente la discussione del tema. Eglí teneva a negare qualunque valore alla sensibilità, ~ -- - ed è esattamente co c e fece, m larga misura, rifiutando di ammettere c e essa ayesse un qualsiasi rapporto çon í principi artistici o morali dell'essere cosciente. Nel dominio artistico questa tendenza si manifesta nella sua o_pínigne rádicalé çliç í grandi attori e í grandi artisti sono osservatori perfettamente sensibili e oggettivi, imitatori del béílo iďeäié nef dominio personale, questa tendenza si afferma nel tentativo -piú decisivo man mano c e rivedeva il manoscritto-di negare alla sensibilità ogni traccia della dimensione morale c e solitamente riveste-qua e là nella sua corrispondenza e nelle sue opere

20 )i in altri contesti, alcuni dei quali sono precisamente contemporanei alla composizione del Paradoxe [...]. Nel Paradoxe la sensibilità - e in fin dei conti la società - porta tutto il peso della reale sollecitudine c e Diderot aveva per quelle forze interiori ed esteriori c e ipotecano la libertà degli individui, nei loro sforzi per realizzare se stessi ; essa è dunque il capro espiatorio col quale Diderot se l'è presa al momento, ma questa vittima ci dice molto di piú sul suo carnefice c e su se stessa. II Paradoxe costituisce un capitolo cruciale di una storia completa : tutto sommato, non tradisce c e la complessità delle reazioni di Diderot-e la sua perplessità -di fronte al problema piú vasto posto dal suo senso d'incompiutezza, un problema c e si è formato lentamente nel suo spirito e l' a accompagnato per gli ultimi quindici anni della sua vita. Come un fosco raggio di luce c e passi attraverso un diamante sfaccettato, quel problema a attraversato il prisma del suo pensiero e risc iarato ora l'una ora l'altra delle forze accidentali e jpressive della vita-il bisogno il caso la società-ora l'una ora l'altra di quef(e potenąg ineluttabili e insondabili - la sensibilità, l'amore, l'amicizia e g att c e questi sentimenti ispirano o ric iäruano». I I1 Paradoxe surle comédien non era stato ancora pubblicato, e i : /t già aveva inizio la discussione, destinata a protrarsi per oltre un secolo, circa la sua validità e-aг `taóílità. A dare inizio a1 dióat- T p ~ '4 r' tito furono lememörie d1talmaj Nato a Parigi nel 1763, François Josep Talora divenè, f partire dal 1789, il piú celébie attore drammatico francese. Per trent'anni membro della Ćomédie-Française, fece anc e numerose tournées sia nelle diverse province francesi, sia in Ing ilterra e in Germania, e mori a Parigi nel L'anno prima della morte, pubblicò a Parigi í suoi Mémoires sur Lekaln et sur l'art dramatique, in cui polemizzava con Diderot. Ma come sappiamo da un articolo intitolato La mort de Tancréde c e lo scrittore Marie Aycard pubblicò nel Courrier français il 27 marzo 1840, una decina d'anni prima dell'uscita dei Mémoires Talora era invece un deciso sostenitore delle teorie drammatic e di Diderot'". In '" La ricostruzione molto precisa e documentata di questo episodio e di quanto vi fa séguito è stata fatta da A.J. Freer, 'oc. cit. quell'articolo, l'aycard riferiva un colloquio avuto con Talma.i Marsiglia nel «Ciò c e secondo lui doveva impedire l'eccellenza del teatro - scriveva l'aycard - è c e quando un attore è giovane, per quanto la natura lo abbia dotato di talento, gli fa difetto l'arte, mentre quando lo studio gli a fatto lenalmente apprendere l'arte, la giovinezza lo abbandona.» E tàceva proprio il passo di Diderot : «A c e età si diventa grandi attori? All'età in cui si è pieni di ardore, in cui il sangue bolle nelle vene, quando il piú lieve turbamento ci scombussola e lo spirito s'infiamma alla minima scintilla? Mi pare di no. Colui c e la natura a destinato ad essere attore, eccellerà nella sua arte soltanto quando avrà acquistato grande esperienza, quando la foga delle passioni si sarà spenta, quando la testa sarà tranquilla e l'animo tenuto a freno». «"Una sera, in casa del Signor C""", diceva Talma, " o recitato a lungo d'ispirazione - riferiva ancora l'aycard - abbandonandomi ai miei sentimenti del momento e dimenticando completamente c e ero Talma per credermi Ac ille o Orosmane ; ma, a parte lo spossamento in cui mi lasciava questo metodo, ero disuguale : buono quando ero ben disposto, cattivo quando una preoccupazione personale o una cattiva digestione mi riportava, mio malgrado, alla realtà. Ho infine compreso c e dovevo rendermi indipendente dalle miserie della vita quotidiana e scuotere il giogo della mia individualità [...]. Ho sentito c e il mio scopo doveva essere non già d'impressionare me stesso, ma d'impressionare gli altri. L'attore deve infatti agire sulla folla, e per riuscirci occorre c 'egli sia padrone di sé".» Infine l'aycard riproduceva una lettera scritta da Talora al suo amico A*", in cui ritroviamo, quasi parola per parola, un passo del Paradoxe : «Pici vivo, caro amico, piú rifletto, piú studio, e piú mi confermo nella tuia opinione sulla mancanza d'uniformità negli attori c e recitano d'istinto. Non bisogna attendersi da loro alcuna unità ; la loro recitazione è alternativamente forte e debole, calda e fredda, piatta e sublime. Saranno domani mediocri là dove oggi sono stati sublimi ; e in compenso eccelleranno là dove oggi sono stati mediocri. Mentre invece l'attore c e punta sulla riflessione, c e a soltanto quegli slanci c e a studiati secondo la natura umana, c e recita d'immaginazione e di memoria imitando costantemente un modello ideale, sarà 4 0 4l

21 sempre uguale, sempre lo stesso ad ogni rappresentazione. Egli a tutto calcolato, combinato, fissato, ordinato nella sua mente ; nella sua declamazione non vi è né monotonia né dissonanza. I1 calore a un suo sviluppo, i suoi slanci, í suoi abbandoni ; a un inizio, una fase intermedia, un punto estremo. Son sempre gli stessi accenti, le stesse posizioni, gli stessi movimenti ; e se vi è qualc e differenza tra una rappresentazione e l'altra, sarà generalmente a vantaggio dell'ultima. Non conoscerà giornate buone e cattive : sarà come uno specc io, sempre pronto a riflettere í medesimi oggetti, e a rifletterli con la stessa precisione, la stessa forza e la stessa verità. A1 pari del poeta, attingerà continuamente al pozzo inesauribile della natura, mentre in caso contrario avrebbe visto ben presto la fine della propria ricc ezza». Questa lettera dimostra come nei 1814 Talma fosse completamente conquistato alle posizioni del Paradoxe, c e egli conosceva direttamente", dopo c e in precedenza aveva letto nella Correspondance littéraire le Observations sur Garrick. A quegli stessi anni deve riferirsi l'episodio raccontato da Adolp Crémieux nelle sue Memorie e ricordato da Cesare Rantoli'. Quando ero giovane avvocato a Nimes - scrive il Grémieux - í1 mio amico Talma, il celebre artista drammatico, venne per sentirmi parlare. Terminata la mia arringa, ero in un bagno di sudore ; onde Talma mi c iese, tutto stupito, se la mia eccitazione fosse autentica, intima, sentita. "Certamente - risposi - ; voi pure vi sarete trovato spesso nella medesima situazione." "Mai - esclamò Talora - mai in vita mia!" "Non mi darete ad intendere c e restiate freddo attraverso il fuoco e la passione con cui trascinate tutto il pubblico!"" Ebbene - disse Talora ridendo-domani ve lo dimostrerò." L'indomani si dava l'andromaca di Racine. Io presi posto nel palco di proscenio. Ecco la scena in cui Oreste, vittima delle Erinni, è in " Quale manoscritto del Paradoxe utilizzò Talmai I1 Freer, c e esamina questo problema, giunge alla conclusione c e, essendo numerosi i manoscritti c e circolavano sia in Francia c e in Germania, e perfino in Russia (e Talora era in contatto con ambienti russi), è impossibile rispondere in modo definitivo a tale quesito. '" C. lesarel Rantoli, La sensib,titeà degli attori, in Nuova Auiofagia, gennaiof raào 1910, pp preda alla piú spaventosa furia. Talma recitò con tanta naturalezza c e attraverso gli spettatori corse un brivido. A me invece, pur recitando i suoi versi, Talma lanciava tali freddure e battute di spirito, c e dovetti convincermi c 'egli non sentiva affatto l'agitazione in cui aveva posto gli spettatori.» Senonc é, undici anni dopo la lettera all'amico A***, nei Mémoires surlekain et sur l'art dramatique pubblicati a Parigi nel 1825, la posizione di Talma appare radicalmente mutata. È vero c e in quest'opera Talma cita elogiativamente Lekaln, il quale «col tempo pervenne a regolare tutto i1 disordine c e la sua esperienza aveva dapprima necessariamente gettato nella sua recitazione, apprese a dominare la sua foga e a calcolarne í moti» ; ma subito dopo, istituendo un confronto tra le due grandi attrici Dumesnil e Clairon, non esitava a prendere partito in favore della prima, la cui recitazione, com'è noto, era tutta d'istinto, in contrasto con quella della Clairon, c e era invece tutta affidata al piú severo e preciso autocontrollo"<. Vi è poi un passo in cui Talma affronta esplicitamente la tesi di Diderot e c e non lascia dubbi sul capovolgimento del suo pensiero avvenuto nei dieci anni'trascorsi tra la lettera all'amico A''** e i Mémoires : «Mi sia consentita una digressione sulle due qualità principali dell'attore, la sensibilità e l'intelligenza, c e potrà servire di risposta a un'opinione di Diderot. Dopo aver detto c e è la natura c e deve dare all'attore le qualità esteriori, l'aspetto, la voce, Ip sensibilità, il giudizio e la finezza, e c e spetta allo studio dei grandi maestri, alla pratica del teatro, al lavoro, alla riflessione, perfezionare i doni della natura, il c e è perfettamente giusto, Diderot aggiunge piú avanti, con una incredibile contraddizione, c e egli esige dal grande attore molto giudizio, c e lo vuole spettatore freddo e tranquillo della natura umana, e c e di conseguenza deve avere molta finezza e nessuna sensibilità. Io attribuisco alla natura stessa dell'ingegno di Diderot la causa di questo bizzarro paradosso ; infatti egli era dotato di un'intelligenza vasta e attiva, ma mancava di sensibilità ; e í suoi p " In una autobiografia manoscritta, citata da A.M. Wilson (Diderot, New York, 1972, p. 623 e p. 856, nota 30), Edward Gibbon si pronunciava, come Diderot, in favore della Clairon nei confronti della Dumesnil

22 scritti ne sono la prova. L'ampollosità del linguaggio, c e segue dovunque l'esagerazione delle idee, lo caratterizza. Diderot comprende tutti i principi astratti e tutte le conseguenze delle cose, ma non capisce niente delle facoltà mobili dei sentimenti. Il suo stile, generalmente enfatico e declamatorio, non riceve mai le varie influenze c e agli scrittori sensibili e delicati sono impresse dalle loro emozioni interiori, tanto molteplici e diverse. I1 suo spirito era capace di entusiasmo, ma il suo cuore non aveva passione, giacc é si esaltava sempre e non era mai penetrato. Di qui la sua eloquenza uniformemente elevata, e quel tono monotono di grandezza c e toglie ai suoi discorsi lievità e naturalezza. Confrontiamo la toccante semplicità e suprema energia díjeanjacques con l'apparato falsamente animato delle frasi filosofic e di Diderot, e ci convinceremo c e quest'ultimo non a mai avuto un solo elemento di :Quélla sensi bilitaautentica e spontanea c e sottopone la penna dei poeti, il pennello dei pittori e gli organi dei veri attori all'espressione giusta e naturale delle aglta7lonl dolci, tristi o terribili, c e essi sanno rappresentare con la potenza della loro arte. Tra Jean- Jacques e Diderot si distingue la differenza c e passa tra la verità e l'ostentazione, come tra gli attori si discerne la dizione sentita c e è ispirata dalla natura, dalla declamazione convenzionale c e si può apprendere e i cui accenti non commuovono perc é non escono dal fondo del cuore. Diderot non aveva dunque affatto ciò c e occorre per giudicare del talento degli attori, e non é da stupirsi c e egli abbia molto esaltato quello di Mademoiselle Clairon, c e era tutto di maniera, e per ciò stesso aveva qualc e analogia con l'ingegno di quel filosofo, e c e abbia nello stesso tempo sottovalutato quello di Mademoiselle Dumesnil, c e aveva la sua radice in una squisita sensibilità ; si lascia tuttavia sfuggire il riconoscimento c e quest'ultima era talvolta sublime, e nell'elogio pomposo c 'egli fa della sua protetta esclama abbastanza freddamente : "Quale recitazione più perfetta di quella di Mademoiselle Clairon?". Confesso c e preferisco la recitazione sublime a quella perfetta». Questo passo merita un commento. In primo luogo va osservato c e nel suo giudizio sull'ingegno di Diderot, Talma prendeva un profondo abbaglio. Negandogli quella sensibilità c e, al contrario, era la sola dote c e Diderot riconoscesse a se stesso, il grande attore sbagliava profondamente. «Quando affermo c e la sensibilità è il carattere della bontà d'animo e della mediocrità dell'ingegno - aveva scritto Diderot nelle Observations sur Garrick, e il passo ricompare con piccole varianti di forma nel Paradoxe- faccio uno sforzo di cui poc e persone sono capaci ; giacc é, se la natura a creato un'anima sensibile, voi lo sapete, è la mia» ; e, come abbiamo già avuto occasione di ricordare, rispondendo a Marmontel, c e aveva esaltato in lui «l'uomo di genio, il grande scrittore e l'uomo sensibile», aveva scritto : «Di queste tre qualità, non accetto c e l'ultima». Quanto allo stile diderotiano, è noto come la critica letteraria abbia radicalmente mutato i suoi giudizi : se i contemporanei consideravano Diderot come uno scrittore tipicamente istintivo ed estemporaneo, oggi si sa, anc e per il confronto con í manoscritti trovati dopo la sua morte, quanto invece egli si travagliasse in quel lavoro di lima c e è per uno scrittore il corrispettivo del severo addestramento all'autocontrollo c e Diderot ric iedeva agli attori. La sua scrittura, poi, era tutt'altro c e pomposa e sentenziosa, anzi a piuttosto il carattere della lingua parlata. Perciò tutta la definizione data da Talma del temperamento, dell'ingegno e dello stile di Diderot, ci appare assolutamente inaccettabile, e inficia profondamente la sua pretesa individuazione dei motivi psicologici e stilistici c e sarebbero alla base della teoria teatrale del filosofo. Ma l freer aggiunge un'altra considerazione. Talma- come del resto abbiamo già visto in alcuni critici e studiosi di oggi - aveva messo il dito sulla principale debolezza dell'argomentazione di Diderot e cioè la sua intransigente e paradossá1è n i- stenza sulla test c e l'attore, per essere grande, debba tot a l- mente mancare di sensibilità. Proprio per essere provocante e paradossale, Diderołavévácosí in qualc e modo distorto il proprio pensiero. In realtà, come dimostrano tanti altri passi dello stesso Paradosso, Diderot pensava c e alle doti naturali e istintive l'attore dovesse aggiungere, per diventare veramente perfetto, una disciplina, una padronanza dei propri mezzi, un autocontrollo, c e si acquistano soltanto a prezzo di grande e continuo studio, di riflessione, di osservazioni a freddo su come si comporta la natura umana. Se si prende la teoria di

23 Diderot in tutta la sua interezza, e non soltanto in alcune formulazioni piú sforzate in cui essa si presenta in qualc e passo del Paradoxe, e se analogamente si considera c e anc e Talma, nei suoi Mémoires, riconosce la giusta parte dovuta all'aspetto riflessivo dell'arte della recitazione, allora le posizioni del filosofo e quelle dell'attore appaiono meno distanti. Tanto píú se sí tiene presente c e, usando il termine «sensibilità», Diderot tendeva a farlo coincidere con quello di sensiblerie, c e è una condizione patologica. Resta il fatto c e tra il 1814 e il 1825 si era fatta strada nell'animo di Talma la concezione romantica del genio in generale, e di quello teatrale in particolare ; e c e questa concezione non poteva non entrare in urto con la concezione classica c e aveva animato il Paradoxe diderotiano. Nei Mémoires Talma esaltava «quella immaginazione c e, creatrice, attiva, potente, consiste nel riunire to un solo oggetto fittizio le qualità di parecc i oggetti reali, c e associa l'attore alle ispirazioni del poeta, lo trasporta in tempi c e non esistono píú, lo fa assistere alla vita di personaggi storici o a quelli di esseri appassionati creati dal genio, gli rivela come per magia la loro fisionomia, la loro statura eroica, il loro linguaggio, le loro abitudini, tutte le sfumature del loro carattere, tutti í moti del loro animo, e perfino le loro speciali singolarità». In questi termini Talma formulava la concezione romantica dell'arte della recitazione, basata sull'espressione di forti emozioni e sulla sintesi intuitiva, attraverso quella misteriosa facoltà c e è l'immaginazione. Una tale definizione non poteva non svalutare la consapevolezza artistica, quale era stata teorizzata e difesa da Diderot. Ma poic é sia Diderot c e Talora valutavano entrambi l'importanza tanto dell'ispirazione quanto della disciplina nell'arte della recitazione, si spiega come il filosofo e l'attore potessero compiere ambedue un cammino, sia pure in senso inverso, dalle posizioni degli anni giovanili a quelle dell'età matura. Mentre infatti Diderot era giunto tardi alla formulazione intransigente e paradossale della necessità per il grande attore di reprimere la propria sensibilità, Talora, seguendo il cammino dei romantici, giungeva nella maturità ad esaltare l'ispirazione a scapito dell'autodisciplina. Come tra gli Entretiens śur le Fits nature) e il Paradoxe sur le comédien si precisa -per dirla con Yvon Belava) - il passaggio da quella c e potrebbe c iamarsi un'estetica del diaframma e un'estetica del cervello, cosí, in senso inverso, Talma modifica le proprie convinzioni tra la lettera all'amico A"' e i Mémoires cur Lekaln etsurìartdramatίque. ( Attraverso questi ultimi, il dibattito sulla teoria drammatica-1 η.' Í i, v r di Diderot e sul Paradoxe sí animò tra il 1825 e il Ad esso (, R s r ( r ) partecipafono tra gli altri l'attore Félix Bemier de Maligny detto Aristippe, allievo, compagno ed erede di Talma, con la, sua T éorie de l'art du comédien ou Manuel t éâtral (Parigi, 1826),, I 7V preceduta dalle Réflexions générales sur l'art du comédien, e Regnault-Warfin con í Mémoires istoriques et critiques sur F.-J. Talma et sur l'art t éâtral (1827). Nella seconda metà del secolo diciannovesimo il grande,». attore comico Constant Coquelin, nel suo libro su L Art et le a comédien, pubblicato a Parigi nel 1880, rispondeva ai quesiti sollevati dal Paradoxe in termini assolutamente diderotiani. Otto anni dopo, nel libro pubblicato a Londra nel 1888 col titolo Masks or Faces.,l' autore e critico drammatico inglese William Arc er raccoglieva í risultati di un'inc iesta su larga scala per c iarire le conclusioni del Paradoxe, e tra le altre pubblicava le risposte di Adelaide Ristori e di Tommaso Sályini. Quest'u)- timo diceva : «Io non dubito un solo istante c e Coquelin veramente creda nella sua teoria alquanto paradossale, e c 'egli si adoperi per metterla in pratica. Ma píú d'una volta, ascoltando questo artista perfetto, sentii c e ai suoi caratteri mancava pure qualcosa. L'attore c e non sente quanto egli rappresenta è solamente unlmeccanismo ingegnosissimo, c e mette in movimento mote e molle le quali, alla lor volta, dànno alla sua figura morta una tale parvenza di vita, c e lo spettatore è costretto ad esclamare : "C e meraviglia! Se fosse viva mi farebbe ridere o piangere". Quegli invece c e sente è in grado di trasfondere questo sentimento nel pubblico, ode esclamare : "Questa è vita! Questa è realtà!". In una parola, è la forza del sentire c e crea l'artista ; tutto il resto è il lato meccanico della sua arte, e questo lato meccanico è comune a tutte le arti [...]. 10, mentre recito, vivo una duplice vita. Dall'una parte piango, o?ido, e nello stesso tempo decompongo il mio pianto e il mio riso fintene- ín modo c e essi arrivino ä quei cuori ć e dejdero Ed eguale esperienza è stata fatta anc e da tutti í grandi

24 H" 2 OLI artisti c e o conosciuti. La Ristori versava sera per sera, a quanto ella stessa mi raccontava, vere lagrime ; ed uno dei piú celebri artisti c e io abbia conosciuto, m'assicurava c e, quando recita, si sente tutt'uno coi personaggi». Era, questa dell'arc er, la prima di una serie di analog e indagini c e poi si sarebbero susseguite. Nel i 910 í1 Ranzoli, nell'articolo già ricordato, osservava c e dall'inc iesta di William Arc er risultava come gli attori dessero risposte contraddittorie e come quindi fosse vano attendere da essi la soluzione del problema c e è insolubile nell'ambito delle loro opinioni. Occorre pertanto, continuava il Ranzoli, cercare le ragioni obiettive c e possono militare a favore delle due tesi contrapposte, e queste ragioni obiettive sono tutte, secondo il Ranzoli, «a favore della tesi del non sentire». Se sentii serö, ègilsëfivéijà, sïlògörerébbero, morirebbero giovani ; invece i grandi attori sono quasi tutti longevi ; e se l'efficacia della finzione scenica fosse in rapporto diretto con la vivacità del sentimento dell'attore, essa andrebbe via via diminuendo col ripetersi delle rappresentazioni, mentre invece accade esattamente il contrario. I1 vero artista, concludeva quindi, affina, migliora, perfeziona la sua interpretazione col progredire e il ripetersi delle rappresentazioni. Nel periodo tra le due guerre mondiali risorge un vasto interesse per il Paradoxe. Ne sono testimonianza le Réflexions d'un comédien sur le «Paradoxe de Diderot» del grande attore, autore, regista e critico Jacques Copeau, pubblicate nella Revue universelle nel 1928, poi come introduzione a un'edizione del Paradoxe sur le comédien dell'anno appresso, infine nel volume di Notes sur le métier de comédien, uscito postumo a Parigi nel 1955 (Copeau mori nel 1949) ; le Réflexions du comédien di Louis Jouvet, pubblicate nel 1938 ; il dialogo Le comédien sans paradoxe dell'attrice e scrittrice Béatrix Dussane, del 1933 ; vari scritti di André Villiers, tra cui il volume su La psyc ologie du comédien, del 1942, l'articolo A propor du «Paradoxe» de Diderot, pubblicato nella Revue d' istożre du t éâtre, ottobre-dicembre 1954, il volume su L'art du comédien, del 1953, l'eccellente «voce» dell'enciclopedia dello spettacolo dedicata a Diderot, del Infine, tre nuove ampie inc ieste : quella condotta presso alcuni attori di teatro da Alberto Marzi e Sof a Vignola, pubbli- tata nel nella Rivista di psicologia col titolo L'espressione delle emozioni sulla.scena ; quella raccolta presso 21 eminenti attori da Marc Blanquet nella sua edizione del Paradoxe sur le comédien, c e è del 1949 (Paris, Editions Nord-Sud) ; e quella presso 13 giovani attori intervistati da Germaine Lot, Ils re'pondent à Diderot in Nouvelles littéraires, 28 febbraio í_ : È proprio dalle due prime inc ieste c e Giovanni A. Biancá prende spunto per quello c e costituisce uno dei saggi critici piú interessanti e acuti c e siano usciti sull'argomento 50. I1 Bianca comincia coll'osservare c e fattole non a bisogno dí superare se stesso (cioè la pro ria sensibilità di uscire da se stesso, per studiare śé śťëśso riprodursi poi fedelmente una volta c e abbia trovato in sé la migliore espressione ; egli devë uscire da se stesso perc é solo fuori di sé può trovare quella espressione, quella realta superiore nella quale consiste la creazione artiśtica. E allora il problema del rapporto tra sensibilità e intelligenza nell'arte diventa quello del rapporto tra arte e vita : e l'arte viene concepita come qualcosa c e è al di fuori, al di sopra della vita. «E allora - prosegue - non si tratta piú di un fantasma ideale, di qualc e cosa c e supera gli stretti confini della realtà vissuta ; si tratta invece della vita stessa, cosí com'è, c e si deve riprodurre come in uno specc io ; e il vantaggio dell'intelligenza c e osserva la vita rispetto alla sensibilità c e la vive sta nel fatto appunto c e la prima è piú capace di riprodurla fedelmente di quanto non sappia fare l'altra. La freddezza, la mancanza di partecipazione dell'attore non stanno a significare c e l'arte si muove su un piano diverso da quello nel quale si svolge la vita, ma, a1 contrario, c eper imitare quanto!,, piú fedelmente e_possibile la vita, bis gna staccarsi da essa : "' bisogna sdoppiarsi e guardarla dal di fuori in modo da coglierla ' e renderla nel modo più efficace possibile ; e il modo piú efficace significa quello c e dà la sensazione precisa c e si tratti della vita stessa.» I1 Bianca coglie tuttavia una contraddizione in cui cade Diderot. Le tesi del Paradoxe- egli dice infatti-sono due, e in 5» Giovanni A. Bianca, dlparadosso dell'attore d~ teatro di Diderot e ilparadosso dell'arte, nel volume 7l cinema, l'attore e ťl rapporto arte-vita, Messina-Firenze, D'Anna, 1960, pp

25 contrasto tra loro. Da una parte si sostiene c e l'attore non sente, perc é per riprodurre perfettamente la vita non bisogna viverla, ma osservarla attentamente e senza partecipazione, dal di fuori ; dall'altra parte invece si dice c e l'arte si svolge su un piano c e è diverso da quello in cui si svolge la vita, e c e l'attore non sente e non partecipa appunto perc é qui siamo fuori della vita e le cose anno tutte un valore e un significato diverso da quello c e esse anno nella realtà. Le due tesi sono diverse e in contrasto tra loro, mentre Diderot, nel servirsi di esse per arrivare a una medesima conclusione, le presenta come se stessero a significare la stessa cosa. Insomma, secondo í1 Bianca, Diderot non a risolto il rapporto tra arte evita, oscillando tra la tesi c e le fa coincidere e quella c e pone all'arte un «modello ideale)) tratto dalla vita ma con essa non coincidente. I1 fatto è c e le due tesi anno entrambe un proprio fondamento, e se fatti e argomenti ci sono c e sembrano confermare l'una, ci sono altri fatti e argomenti c e sembrano militare a favore dell'altra ; ed è appunto per convalidare la sua affermazione circa la fondatezza di entrambe le teorie, c e í1 Bianca riporta" i risultati delle due inc ieste sopra citate. Egli si muove cioè sullo stesso terreno di Cesare Ranzoli, vale a dire la dimostrazione - attraverso le risposte contraddittorie degli attori - dell'impossibilità dí pervenire sperimentalmente a controllare la validità o meno della teoria diderotiana~ed anc e, in definitiva, del fatto c e sia la tesi diderotiana del non sentire come quella ad essa contrapposta della partecipazione dell'attore ai sentimenti c e rappresenta, anno ciascuna una propria parte o un proprio aspetto di verità. Ripercorriamo anc e noi i risultati di quelle inc ieste, se non altro per l'interesse c e presenta il conoscere come attori di grande statura abbiano giudicato e giudic ino le caratteristic e della loro arte. zinne somatica identica a quella provata nell'emozione corrispondente ; 2) Se sí, c e sforzo gli occorre per vincere o interrompere quel determinato stato? Come avviene il passaggio brusco dalla rappresentazione dell'emozione all'espressione sorridente con cui riceve l'applauso? 3) Sé_durante la rappresentazione distati emotivi a la possibilità sdoppiarsi ;-fino á di ι c e punto riesce a sdoppiarsi ed è al tempo stesso se c é con-! trolla ę il personaggio c e vive sulla scena ; 4) Se nelle emozioni reali conserva la coscienza della propria mimica ed è portato a controllarsi ; 5) Se in genere ritiene c e il fatto di essere attore abbia un'influenza sia pur negativa sulle sue emozioni reali ; 6) Se c'è divergenza tra l'interpretazione c e darebbe e quella c e è costretto a dare per appagare il pubblico ; ossia, vivere il personaggio per sé, è diverso dal farlo vivere per gli altri? 7) Dimentica di essere il personaggio, nei momenti piú salienti della rappresentazione? A lungo? O non lo dimentica mai? Vi è però una serie di osservazioni c e il Bianca fa sul modo in cui sono formulate queste domande, e tali osservazioni sembrano almeno in parte inficiare in partenza il carattere probante delle risposte. Per esempio, a proposito della terza domanda : si tratta certamente del punto centrale del problema ; ma lo sdoppiamento avviene solo nell'arte, oppure si verifica sempre, o quasi sempre, nella vita, anc e se in modo meno evidente? Rispondere a quest'ultimo quesito sembra preliminare proprio per la problematica sollevata dalla tesi diderotiana. A proposito della quarta domanda : essa si potrebbe rivolgere a qualsiasi persona c e viva nel mondo, riguarda cioè insieme il problema dell'espressione nell'arte e dell'espressione nella vita : non si a forse anc e nella vita ordinańa una coscienza della propria mimica, specie quando si a l'intenzione precisa di farsi capire o di suscitare anc e in altri un certo sentimento'. A proposito della quinta domanda : essa 1/ fd0fl : jt5 _' L'inc iesta pubblicata dalla Rivista di psicologia era basata sulle seguenti domande : 1) Se il rappresentare mimicamente una determinata emozione viene a porre l'attore in una situasi Nel capitolo dello stesso volume intitolato ąf rmazioni di alcuni attori, pp Una discussione intorno alte 52 Questo problema è al centro del libro di un sociologo americano, Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, II Mulino, Si tratta dei modi, spesso straordinariamente sottili, nei quali ciascuno di noi tende a fornire di sé un'immagine accettabile, a delimitare il proprio ambito territoriale, a comunicare al «pubblico» - c e spesso non è se non una conoscenza occasionale - un'impressione coerente con la parte c e s'intende rappresentare. L'impostazione di Gofftnan (nota Luciano Gallino, Le masc ere c e

26 1? fl ( CA potrebbe essere presentata anc e in modo diverso, vedere cioè se le emozioni reali possono avere influenza sull'arte dell'attore, aiutandolo a interpretare certe parti, o, al contrario, danneggiandolo ; e questa seconda ipotesi non nel caso soltanto c e l'attore śia costretto a esprimere sentimenti c e sono in contrasto con quelli c e egli possiede realmente, ma anc e nel caso inverso c e proprio la presenza dell'emozione reale impedisca una perfetta e c iara espressione di essa, come vuole Diderot. A proposito della sesta domanda : il problema è un altro : quando un attore (o un artista in genere, o anc e un uomo comune) cerca un'espressione dei propri sentimenti, per c i la cerca? Ci sono casi in cui la cerca solo per sé? Ma se la cerca solo per sé, perc é dovrebbe cercare questa espressione? Non c'è sempre il bisogno di comunicare con qualcuno, anc e se questo qualcuno è solo un personaggio immaginario, anc e se si è convinti di non voler parlare a nessuno, tanto c e si scrive un diario e poi lo si nasconde e non si vuole c e lo legga nessuno? L'espressione di un sentimento non risponde sempre a questa esigenza di comunicazione, anc e se di fatto non trovando nessuno con cui ci si senta incoraggiati a comunicare si finisce col c iudersi in sé e col parlare in silenzio, fino a convincersi c e solo con se stessi si aveva il desiderio di comunicare? Vediamo comunque le risposte piú interessanti c e furono date a quell'inc iesta. Corrado Racca distingue due tipi di attori, il nordico e il latino, gli uni meccanici, gli altri c e invece provano l'emozione c e rappresentano, tanto da trovarsi in una situazione somatica quasi identica a quella provata nell'emozione corrispondente. «Ma è da studiarsi il fenomeno delle replic e : l'attore latino passa per questi gradi : interesse-disinteresse-noia, fino alla ripetizione meccanica. Ripetizione meccanica, però, derivata dalla noia, non sistema di recitazione.» Secondo il Racca, quindi, si può fare dell'arte immedesimandosi, vivendo portiamo, in La Stampa di Torino del 17 aprile 1970) è per l'appunto quella «drammaturgia», la persona è vista come un attore c e per necessità o convenienza recita una pane, con tutti i problemi e 1e tensioni c e ne seguono. La parte può essere piú o meno conosciuta ; le reazioni del pubblico possono essere sottovalutate o addirittura impreviste ; la scena in molti casi non è conseguente con il soggetto. la parte recitata, ma si può anc e farla rimanendo staccati dalla parte : sentendo e non sentendo. «Vi è uno sdoppiamento c e col crescere dell'emozione sparisce.» C Renzo Ricci afferma c e l'emozione c e prova l'attore sulla { scena è relativamente simile a quella reale ; però «vi è piú verosimiglianza c e verità, per quanto, dopo lo studio preparatorio, l'attore sia nel personaggio e il personaggio sia in lui : fusione non completa, perc é è sempre l'attore c e controlla, guida il personaggio fino ai momenti di acme drammatica, in cui l'attore si abbandona al personaggio». Nelle emozioni reali Ricci dic iara di essere normalissimo e nella vita privata non porta nulla dell'attore, «anzi, semmai, un pudore di sé, una negazione alla rappresentazione fuori del palcoscenico». r Maria Melato dic iara c e nella commedia può esprimersi ' v 4 L ata senza sentire, «ma la tragedia non può essere interpretata in modo conveniente se non è vissuta. I1 ringraziare il pubblico non ric iede sforzo, è gesto esteriore c e non interrompe il perdurare dell'emozione. Nella Sacra ftammasr, quando all'ultimo atto la madre confessa di aver ucciso il figlio e perc é, è tale la lotta c e avviene nell'intimo sotto l'apparente calma, c e l'attrice rimane spossata e dopo resta per ore nello stesso stato d'animo, pur potendo ringraziare come sempre». Qui, come nota il Bianca, la posizione di Diderot appare addirittura capovolta : il ringraziamento agli applausi del pubblico, c e è la vita, viene compiuto meccanicamente, imitato, si potrebbe dire, nella sua esteriorità senza essere vissuto, mentre ciò c e viene vissuto in quel momento è la parte c e si recita. Tuttavia la Melato aggiunge c e carattere indispensabile dell'?fljsta è lo sdoppiamento, c e è sempre in atto. Durante lo spettaćolö 1'ar tista è due : sé e íl personaggio, e si controlla anc e nei momenti di acme mai può né deve abbandonarti : la verità non è l'arte, l'~rtë per essere vera non deve dimenticare l'estetiéa é Pí~síëmé. L'arte è misu a». II c e, evidentemente, contraddice quanto detto prima ; perc é in questa seconda parte della risposta è implicito c e l'arte non s'identifica con la vita. È però interes- 5' Titolo italiano del dramma di William Somerset Maug am, T e Sacred Flame (1928), andato in scena nel 1930 con la compagnia della Melato al teatro Argentina di Roma

27 sante notare c e anc e la Melato, come-lo vedremo- tutti gli attori c e sostengono c e i1 dramma dev'essere «vissuto», aggiungono sempre c e in ogni caso l'attore si sdoppia, e c e il controllo di sé rimane un elemento essenziale e una condizione necessaria per raggiungere i1 risultato scenico. Anna Proclemer tende a porre su due piani diversi l'arte e la vita : «La vita della scena a forme troppo diverse da quelle reali per poter essere eguale» ; infatti il pianto vero è per lo píú inefficace : per convincere e commuovere il pubblico occorre il pianto «studiato e sorvegliato». Anc e Ruggero Ruggen afferma c e l'attore «non deve provare l'emozione c e rappresenta», deve «sentirla fino a un certo punto», senza c e ciò gli tolga il controllo dell'espressione ; e l'esigenza scenica di comprensibilità per il pubblico è per lui «una seconda natura». Cose analog e dice Sergio Tofano. Memo Benassi dic iara : L'attore c e rappresenta l'emozione non deve provarla ; quelli c e asseriscono questo sono commedianti» (dove, sarà perfino supero-uo sottolinearlo, íl termme «commedianti» a un significato deteriore e non coincide affatto con quello di comédiens q, : della lingua francese e di Diderot). Elena da Venezia dice c e «il sentire una parte non è viverla, come nella corrispondente vita reale : bisogna tener conto c e siamo in un mondo di sentimenti creati da noi». Paolo Stoppa afferma c e il rappresentare mimicamente una parte non sempre lo viene a porre in una situazione somatica identica a quella provata nell'emozione reale corrispondente, ma aggiunge tuttavia c e «in genere, per rendere il dolore sulla scena, si ric iama alla mente un dolore provato, un qualc e motiv o personale, cosí da prendere un'espressione triste». E cosí, conclude il Bianca al termine della rassegna delle opinioni manifestate nell'inc iesta della Rivista di Psicologia, il rapporto tra arte e vita rimane un problema da risolvere. Vediamo ora i pareri raccolti da Marc Blanquet nella citata sua edizione del Paradoxe sur le comédien. - R, <RH f Nel 1920 Sara Bern ardt, Rr1 NP~ I) al termine della sua carriera, f diceva (lo ricorda Béatrix 1 Dussane nella sua risposta, c e è la C (1 f c prima tra quelle raccolte dal Blanquet) : «Se la collera o la pietà p', -f- del suo personaggio non gonfia il suo cuore al punto da farlo scoppiare, l'attore non saprà mai far dimenticare allo spettatore di avere di fronte a sé un eroe immaginario, c e si muove in un quadro fittizio, illuminato da un "c iaro di luna" o da un "sole" entrambi strettamente elettrici». E Béatrix Dussane a sua volta : «L'attore non è quella "testa di ferro" di cui sogna Diderot, ma piuttosto una testa di stoppa c e rapidamente s'infiamma e altrettanto rapidamente si spegne sempre emotiva, come la pellicola fotografica è sempre sensibile. Un attore, un vero attore, fin dalla prima lettura di un copione-soprattutto a una prima lettura-si commuove, né píú né meno di c iunque altro, alle disgrazie di un personaggio, ma la sua emozione tende ben presto ad esprimersi - intendo la sua emozione, e non quella del personaggio di cui legge le parole. Istintivamente prenderà un'apparenza fisica a somiglianza dell'eroe, delineerà dei gesti, sí metteva a vivere una seconda vi/a. L'attore è. l'essere in cui l'emozione suscitata da un testo si trasforma di colpo in atti. Un attore non è forse colui c e agisce?- Tutto il segreto psicologico e fisiologico dell'attore è racc iuso nel termine c e indica la sua professione. L'attore è colui c e è pronto a mutare, ad essere la prima vittima, al tempo stesso cosciente e inebriata, dell'illusione c e deve creare. È a se stesso, píú c e allo spettatore, c e egli recita. P il quale a vissuto con quegli attori allo stato puro c ésono attori italiani, lo a mirabilmente espresso in Questa sera si recita a sogçe/lo.l'attore non recita veramente bene se non finisce col credere c eß c e si rappresenta sia davvero accaduto». Jacques ĆopeaT «Contestare all'attore la sensibilità ragione della sua presenza di spirito, significa rifiutarla a qualunque artista c e osserva le leggi della sua arte e non permetteì mai al tumulto delle emozioni di paralizzare la sua anima. L'artista regna _con cuore tranquillo sul disordine del suo atelier e dei suoi materiali. Píú l'emozione lo pervade e lo solleva, píú il suo cervello diventa freddo. Questa freddezza e questo tremore sono compatibili come nella febbre e nell'ebbrezza. L'intelligenza, risc iarata dall'esperienza e dal ragionamento, costruisce idee coerenti e variate. La sensibilità le anima e le riscalda. All'interno ed entro i limiti di una concezione, l'anima si travaglia, e in questo travaglio si effettua l'operazione misteriosa, precaria, soggetta ad ogni sorta di circostanze e di particolarità, c e rivestirà sempre píú esattamente l'idea - ciò 1i ~ SSλ >ug 2 :2FlNL~.,~

28 c e Diderot c iama un "fantasma" o un "simulacro" - con le forme necessarie, coi segni tangibili dai quali lo spettatore riconoscerà la natura di ciò c e accade dentro l'attore. Via via c e c$ :, questi modi espressivi trovano la loro misura, il loro accento, la <-i m. +± loro profondità, via via c e prendono possesso_ del corpo e + ' I s EI1i sue reazioni, essi stimolano a loro volta í sentimenti interiori c e sempre píú realmente s'istallano nell animo dell'attore lo riempiono, lo soppiantano. E a questo stadio del lavoro c é nasce maüfraésïsviгuppä injnjerga çoqqpjsjata, ottenuta, di cui si può dire e agisce sull interprete come una seconda atura c e ispira a sua v i1ia le reazioni fisic e e dà loro automa, eloquenza, naturalezza e libertà». E altrove : «L'assurdità del Paradoxe è di opporre í procedimenti del mestiere alla libertà del sentimento, e di negare, nell'artista, la loro coesistenza e simultaneità. Non soltanto la tecnica non esclude la sensibilità ma anzi la rende possibile e la libera. E grazie al mestiere c epossiamo abbandonárç i, perc e e grazie _ âděsso c e sapremo ritrovarci». Jo V c C Louis Jouvet «La questione è molto più complessa di come L- 9 ~'N 91,ьΡM1ć. la presenta Diderot. La psicologia dell'attore non è quella dei čcl 1?( X e comuni mortali Noň é possibile assimilare a ariindividuo ordinario quel particolare campione di umanità c e è l'attore, i1 quale passa la vita ad essere un altro da sé, o almeno a sembrano. Diderot, c e è uno spettatore, non può studiare l'attore se non attraverso il suo personaggio. Come potrebbe rappresentare ciò c e avviene in quel curioso animale tra l'istante in cui affronta una parte e l'istante in cui è un eroe? È indiscutibile c e l'attore sarebbe mediocre se la sua sensibilità gli permettesse soltanto di provare í sentimenti del suo personaggio e di appropriarsene. La lucidità, la facoltà di osservazione c e Diderot prende per una manifestazione dell'intelligenza dell'attore, L gre G,7 a 4 deriva dalla sua sensibilità. L'íntéllí~enza dell'attore, è ancora H sempre la,suá sensibilità, ejeyatąflno aji mtuczione. E cio, a?' 5 t s b, Gfa' tućti gli stadi della sua creazione, quegli stadi, quelle fasi, quei e vz+z г passaggi c e Diderot non a potuto sospettare né concepire, ' giudicando un personaggio già realizzato. Non è tanto di disponibilità c e si tratta. All'inizio, è uno stato di vera sincerítà, in, una convinzione totale c e l'attorë deve affrontare la sua parte, se vuole avere qualc e possibilità di trovarne le espressioni giuste. Al secondo stadio dell'evoluzione della parte, la sensibilità dell'attore deve permettergli di prendere coscienza di sé e di raggiungere una sorta d'insincerità, dalla quale al terzo stadio, alla terza fase, uscirà quella sincerità affinata, controllata, lucida, c e gli permette di recitare, di apparire, di simulare il personaggio affidatogli, e di raggiungere cosí, ma senza mai spezzare lo slancio della sua sensibilità, quello "spettatore freddo e tranquillo" sognato da Diderot. La simula-! ; o2 ~, ~~ zinne è una scienza basata sulla conoscenza di se stessi. La luci- c+-- r O /10 s< dita dell'attore non è c e la sua sensibilità controllata dalla sen- si s 7 si ilítà st e ssa». E si veda anc e con quanta finezza Jouvet discute altrove'' la teoria diderotiana mostrando, con l'esperienza e la maestria c e gli erano proprie, tutta la complessità del problema dello sdoppiamento dell'attore e del rapporto tra sensibilità e intelligenza nell'interpretazione. Pierre Blanc ar : «Benc é, ormai da molto tempo, gli iniziati 3 _ pc~r ï{ concordino nel rifiutare qualsiasi credito al Paradoxe, non è mai stato contraddetto apertamente. Di modo c e, da duecento anni, il pubblico continua a discuterne con serietà e ad accordare una leale attenzione ai suoi errori preconcetti, nonc é alle negligenze concertate del suo discernimento. Eppure si tratta proprio di un paradosso. Diderot si è preso cura di scriverlo lui stesso. Ma non è il Paradosso dell'attore c 'egli tratta - il c e potrebbe significare c e il mestiere di attore reca in sé un paradosso -, no, si tratta proprio del Paradosso sull'attore, vale a dire un'opinione sull'attore c e pretende di contrastare l'opinione comune. Diderot non ci confessa cosí, forse a sua insaputa, c e è deciso a singolarizzarsi? D'altra parte, non dovremmo restituire le sue riflessioni al tempo in cui le a scritte, per cercare, con un estremo sforzo di obiettività, di identificare le ragioni c e lo anno condotto a opinioni tanto singolari e renderci conto c e la sua filosofia era ancora lontana dall'idea di relatività, la sua logica era incapace dí ammettere l'interpretazione degli elementi morali c 'egli tiene separati, accorgerci c e egli resta al di qua delle profontà mćèntmente rivelate dei dati della coscienza, per esem- 54 Louis Jouvet, Témoignages sui le t éâtre, Paris, Flammarion, 1962, pp e Di Jouvet anc e Le Comédien dismcarné, Paris,

29 pio, o del subcosciente, e vedere c 'egli non poteva trascendere le dimensioni conosciute alla sua epoca, quell'epoca in cui l'attore era scomunicato? Ma tutto ciò non è nelle nostre capacità. Limitiamoci a constatare c e egli pretende di giudicare di un risultato, come se questo risultato fosse spontaneo invece d'essere lo sbocco di una serie di operazioni di cui conviene percorrere í differenti stadi, per definire quel c e è o quel c e dev'essere l'attore. Come a organizzato e svolto i suoi esercizi prima c e noi lo vediamo sulla scena, qualunque sia la parte c e recita, cioè al momento in cui è arrivato a destinazione? Diderot non pensa né ad indagare su ciò, né ad illuminarci in proposito. Bisogna dunque c e cerc iamo di farlo coi nostri mezzi. Prima di tutto, il nostro attore a preso contatto col suo personaggio, vale a dire c e a letto o gli anno letto un copione. Fino a quel momento, egli era ancora spettatore, ma non, come vuole Diderot, "spettatore insensibile". No, per Dio! Bisogna al contrario c e durante questi preliminari egli sia tanto capace di commuoversi quanto il piú emotivo, il piú sensibile degli spettatori c e piú tardi comporranno il suo pubblico. È a quel momento c e gli è offerta la prima occasione di comportarsi da grande attore : vibrando piú e meglio del piú spettatore tra gli spettatori. Talma ci dice, con parole piú nobili, piú o meno la stessa cosa : "Se l'attore non è dotato di una sensibilità almeno eguale a quella del piú sensibile dei suoi spettatori, non potrà commuoverli se non debolmente". Non è con un eccesso di sensibilità c e egli riuscirà a produrre delle impressioni profonde e a commuovere gli animi piú freddi. La forza c e solleva non deve avere maggiore potenza di quella c e essa vuole scuotere? È evidente. I colpi, i moti interiori, le emozioni c e l'attore subisce man mano c e svolge l'avventura del suo futuro personaggio, imprimono in lui, durante questa lettura, una serie d'immagine c e egli si sforzerà di conservare intatte, c e egli fotografa cosí vive come sono, perc é costituiscono dei modelli c e egli potrà continuamente consultare durante la successiva elaborazione del suo doppione. E questi modelli non appartengono c e a lui. Sono suscitati da una finzione c e gli è estranea, ma a proposito della quale egli reagisce secondo se stesso, secondo il suo sistema sensibile e il suo carattere. Essi recano il marc io della sua personalità. Su questi dati essen- ziali, secondo queste vive impressioni, l'attore costruirà il suo sogno, vale a dire c e ordinerà le sue intenzioni, le sottoporrà al controllo del suo gusto, del suo senso critico, della sua intelligenza : concepirà un'opera d'arte. Poi, concepito il suo sogno, comincerà a realizzarlo. L'ora del suo mestiere è suonata. Egli si trova allora in quello stadio di disordine e di febbre in cui ci mette un trasloco [...J. Ha concepito un progetto d'arte. Ha fatto opera d'artista. Poi, le sue doti anno messo in opera le risorse del mestiere, ed eccolo sulla scena, trasfigurato, riempito da un'altra anima, nell'atto di incarnare "l'altro". E c e fa? Ci racconta un viaggio. Rivive, sotto í nostri occ i, un'avventura c e l' a condotto lontano da lui, in regioni morali ove l' anno assalito le sensazioni piú diverse, ove a scoperto l'imprevisto, presentito l'incognito, trovato ciò c e, in precedenza e al di fuori di noi, egli a profondamente vissuto : l'emozione c e l' a gettato nella risata o nelle lacrime. E potrebbe, nel corso di questo esercizio, conservare, come dice Diderot, un cuore secco? È mai possibile c e il suo sia il solo mestiere c e gli conceda il miracolo di persuaderci c e è commosso se non sente niente? E poic é il termine "talento" torna cosí spesso nel corso del Paradoxe, senza c e mai l'autore lo definisca, non ci accorgiamo c e il talento dell'attore è il risultato al tempo stesso del suo concetto artistico e dell'abilità con la quale egli esercita il suo mestiere? E c e, se qualunque effusione artistica implica, in qualsiasi artista, della sensibilità, anc e il talento dell'attore la comprende? Non esitiamo ad affermare c e l'attorenon riuscirà a commuovere se non sara stato commosso lui stesso e a precisare c e per lui non è tanto importante essere commosso nel momento in cui "agisce", quanto esserlo stato all'origine e nel corso della preparazione di cui ci offre il risultato. Giacc é il fatto c 'egli riproduce virtualmente - grazie al mezzo di trasmissione in cui consiste il suo mestiere-l'emozione reale da lui provata, determina una reazione automatica della sua sensibilità, perc é è lui c e opera tale riproduzione e perc é l'oggetto c 'egli riproduce è parte di lui stesso». C arles Dullin : «Diderot non a risolto il problema della recitazione drammatica ; ma c i saprebbe risolverlo? Come tutti i miracoli dell'arte, la recitazione drammatica è inesplicabile. Se per sensibilità s'intende quella facoltà di percezione VJL~ ;J 58 59

30 dalla quale si riconosce un attore, la considero indispensabile all'esercizio del nostro mestiere. Tutti i grandi attori sono sensibili ciascuno alla propria maniera, ma non sono grandi se non a condizione di saper controllare gli effetti della loro sensibilità. Senza tale controllo, la sensibilità rasenterebbe ben presto la sensiblerie, escludendo ogni sfumatura di recitazione, a cominciare dall'ironia». ij4 ~ (v L ~ Jean-Louis Barrault : «Chiedere ad attori che cosa pensano del Paradoxe sur le comédien è un'impresa disperata. Gli attori, proprio perché sono attori, non possono avere alcuna opinione sul Paradoxe. 1 Paradoxe sur le comédien è l'opinione di uno spettatore. Non torniamo sulla questione dello sdoppiamento : accettiamolo come un dato. C'è dunquenell'uono una duplice posizione : l'una reale, che ha una presenza visibile, palpabile ; l'altra impalpabile, solamente presentita, certámentè ~ïesente, ma di unapresenza invisibile. 1 teatro utilizza questa duplicita dell'uomo, non solamente nella maniera in cui ricrea la vita, ma anche nella sua esistenza propria. 1 teatro non si accontenta di tradurre sulla scena dei caratteri che sono doppi, ma è in se stesso un doppio gioco. L'essere umano che fa vivere sulla scena è il píú doppio che si possa immaginare. Le due posizioni di questo essere umano portano ciascuna un nome : la prima, quella che è palpabile, reale, che ha una presenza visibile, si chiama il personaggio ; la seconda, quella che si dissimula in una carcassa ossea e si rivela il meno possibile, si chiama l'attore. E l'attore, all'interno, che dirige la partita, che il personaggio esteriormente presente ha l'aria di recitare vera- ( mente. Perché la credibilità sia perfetta, è dunque indispensabile che il personaggio sia sincero, ma non è obbligatorio che l'attore, all'interno, lo sia anche lui. Se la partita è facile l'attore potrà lasciarsi andare alla sincerità, e il suo personaggio non farà che guadagnarci in autenticità. Ma se la partita è ardua, sarà necessario che l'attore domini e regoli la sua sincerità per essere pronto a sormontare tutti gli ostacoli, o semplicemente per economizzare le sue forze. Giacché, se l'attore non ha l'obbligo di essere sincero, gli è però necessario assicurare un controllo permanente. È lui che guida il personaggio. Un attore tragico, la cui recitazione è stilizzata al massimo, che parla in alessandrini, che si muove nel mezzo di una situazione cristalliz- zaca, complicata ma simmetrica, che obbedisce col corpo e con la voce a un ritmo aritmetico, deve acquistare una facoltà di controllo, senza la quale sarà incapace di realizzare completamente il suo personaggio. Píú le difficoltà sono grandi, píú l'attore, dietro il suo personaggio, deve economizzare la sua sincerità. E tanto piú, allora, questo personaggio rischia di mancare di autenticità. l problema dell'attore consiste dunque nell'acquisire íl controllo d'una sincerità. E non è un paradosso, perché l'uomo è duplićø>. Edwige Feuillère : «La sensibilità è necessaria all'attore all'inizio della corsa, ma ml mestiere non lo è durante la competizione meno di quanto lo sia all'arrivo, non lo è durante le prove meno di quanto lo sia durante le rappresentazioni. Giacché, se è necessario essersi commossi per commuovere, bisogna anche, per riuscirvi, diventare commoventi dominando la propria emozione, come il domatore con la sua belva, pena il venire - come lui - sbranato dall'animale, e - come lui- fallire il suo scopo superandolo». Pierre Renoir : «Lungi da me l'idea di negare l'esistenza del i4 w~ R mestiere né la sua utilità. Ma il mestiere dell'attore è anch'esso sensibilità. ntendiamoci bene, tuttavia, sul significato di questo termine. La sensibilità non è, come credono troppi giovani attori, la facoltà di piangere vere lacrime. La sensibilità, per l'attore, è la duplice facoltà di provare numerose sensazioni e di tradurle, di farle provare, di renderle sensibili agli_ altri. 1 fatto che l'attore rispetti una regía non dimostra che egli, al momento della rappresentazione, non sia sensibile. La verità è che a quel momento l'attore è a1 tempo stesso cosciente e inco-.5ew A HE ww sciente. Ed è questo il solo, il vero, l'inesplicabile paradosso f 1 v?jan dell'attore, quella sorta di sdoppiamento che l'autore del Para- ~ f,-ft., w dosso sull'attore non ha sospettato». Per Pierre Fresnay come per Ludmilla Pitoeff e per Pierre Brasseur l'arte drammatica non è spiegabile, è un mistero tanto insondabile quanto quello dell'esistenza, il dono che permette ad alcuni attori di eccellere non è definibile, l'arte dell'attore è un mistero prima di tutti per lui. Ma Fresnay è diviso tra il dar ragione e il dar torto a Diderot, sebbene propenda piuttosto 60 61

31 d va verso il se condo piatto della bilancia'. Brasseuraggiunge : «È la sua sensibilità c e permette all'attore di ricostruire piú o meno esattamente quella dell'autore, quella c e a presieduto alla nascita di un determinato personaggio. Giovane, sarà guidato dall'istinto - malissimo nella maggior parte dei casi - verso questo fine c e i1 piú delle volte sorpasserà senza scorgerlo ; dotato di un po' piú di mestiere, e altrettanto diminuita la sua intempestiva foga, liberato in qualc e modo da se stesso, ci n u- scirà piú facilmente. Misc iando di meno la sua situazione per sonate a quella c e deve rappresentare, sarà - beninteso, con un po' di fortuna! - il personaggio, e nient'altro c e il personaggio». Jean-Pierre Aumont: «Non credo all'insensibilità dell'attore, ma neppure alle virtú di una sensibilità c e non sia controllata da un vero senso critico. Cíò_c e vi è di straordinario nel nostro mestiere, è c e siamo al tempo stesso attori e spettatore. Sí cerca d'essere il personaggio immaginato dall'autore_ pur conservando nei suoi confronti l'orecc io teso verso lo spettatore. Ed e questo orecc io c e c i permette di dosare quel c e facciamo, di recitare insomma con quel compagno c e è il pubblico, tenendo conto, come fa qualsiasi giocatore a1 tavolo da gioco, delle possibili reazioni di quel compagno'6.di questo dosaggio piú o meno abile di sensibilità e di senso critico sono fatti gli attori piú o meno buoni. Ed è quando il dosaggio è perfetto c e l'attore a qualc e possibilità di apparire sublime. Quando quest'orecc io fa la sua parte ma niente di piú, e la sensibilità fa la sua parte ma niente di piú, allora l'attore s'identifica coi per sonaggio». зρ L_ ' % ; Bernard Blier : «Una sensibilità è indispensabile all'attore : L2 5cvS Gcry 4V* >". /'aý+ quella dell'autore. La sua gli è senza dubbio utilissima ; senza di essa è evidente c e non gli riuscirebbe di essere egli stesso sensibile all'altro ; ma tanti attori credono di poter supplire con quella c e essi c iamano la loro sensibilità -e c e non è altro c e sensiblerie- alla mancanza di sensibilità di certi autori, e mi " Cfr. Y. Betaval, op. cii., p. 259.,r I1 testo francese ~ contiene un gioco parole intraducibile : di ade jo uere o un mot avec ce partenaire qu'est 1e public, en tenant compte. comme tout joueur devant une table de jeux, des réactions possibles de./muer ce partenaire» s i gn ì- tìca sia giocare c e recitare; partenaire è compagno di gioc i. domando se si deve considerare questo tipo di sensibilità come l'elemento essenziale della recitazione drammatica - contro Diderot - o non invece - con lui - come il nemico pubblico numero 1 dell'attore. Credo c e la verità stia a metà strada-trá questi due poli. La sensibilità dell'attore, qualunque ne sia la qualità, è tributaria della sensibilità dell'autore ; Perciò non le deve permettere di provare se non quest'ultima. In seguito s'imporrà all'attore un controllo permanente dei propri effetti, controllo c e procederà, oso dire, dalla sua stessa sensibilità, poic é si tratterà per lui non sempre di temperarla, ma in certi casi anc e di esaltarla. Ma senza questa facoltà di controllo - tanto importante per l'attore quanto l'impostazione della voce - non c'è attore autentico». François Périer : «Tra l'identificazione totale col personaggio e i1 controllo costante dell'interpretazione, è proprio li, credo, c e si pone l'attore, senza c e nessuno dei due fenomeni sia completo. Personalmente, _non o mai l'impressione di essere questo o quel personaggio, ma piuttosto la sensazione di animarlo e di dissimularmi dietro di lui. Mi sembra di sorvegliare continuamente questo essere c e l'autore a fatto nascere». E, per finire, René Simon : L'arte drammatica è in se stessa un paradosso. È proprio ciò c e a mio avviso fa la grandezze del mestiere di attore, questo mestiere c e permette al piú dolce degli esseri di brillare nella parte di un assassino, alla piú pura delle ragazze di eccellere nella parte di una vamp, alla meno virtuosa delle donne di intenerire le folle nella parte di un'ingenua. Jean Cocteau a giudiziosamente quanto poeticamente batte±źátô quel cocktail di bellezza e di bruttezza c e è l'attore : "mostro sacro". Non tutti, purtroppo, sono sacri. Ëd è jjçdrarnma della maggior parte degli attori : il conflitto tea i d_esideń e le possibilità. La mia lunga carriera di "precettore" m' a insegnaťó Tatti c e ai loro inizi tutti gli attori - e molti di loro, d'altronde, per tutta la loro carriera - sono attratti soltanto da personaggi c e non sono in grado di interpretare bene, non possedendo nessuno dei mezzi particolari c e sono necessari alla loro interpretazione. Unásola colpevole : la loro sensibilità. È la sensibilità dell'attore c é lo inganna facendogli sentire intensamente ciò c e sarà incapace dí_far sentire a1p u- b, - - I llico. Di qui a concludere c e la sensibilità è il nemico pub- ie2 51H9N C o C 7(A J Fftîf&4l t. r?

32 jtrsb : ì ; A1 Oł : f(yc l-buto numero 1 dell'attore non c'è c e un passo. Bisogna tuttavia fare una distinzione tra gli attori-intendo dire tra í grandi attori. Ci sono degli artisti allo stato puro ; in nessuno stadio delle loro creazioni essi potrebbero, evidentemente, fare a meno della loro sensibilità. Ce ne sono altri - quelli c e io c iamo i comédiens - i quali, in nessuna delle medesime fasi, fanno appello ad essa. Questi ultimi non sono per ciò meno grandi, a condizione, beninteso, c e lab ro intelligenz a sosti- ( tulsca, nel corso del lavoro preparatorio c e la trasformazione di uri parte in personaggio esige, quella sensibilità naturale piú o meno efficace con un'altra sensibilità, senza dubbio di ori - ginepuramente intellettuale, ma c e sia piú efficace. Per conto mio, fatte poc e eccezioni, preferisco quelli c e recitano a quelli c e sono, quelli c e dànno al pubblico l'illusione della sensibilità -anc e se non ne anno ricevuto dalla natura la piú piccola porzione - e della sincerità - anc e se ne sono assolutamente incapaci =a quelli il cui nobile intento è senza dubbio di far condividere al loro pubblico una emozione c e anno essi per primi provato, c e provano forse ancora ogni sera, ma c e non riescono a partecipare agli spettatori se non raramente, mediocremente o per nulla. I1 grande attore è quello c e, simulando alla perfezione, da quel místíficatore professionale c e è e dev'essere, raggiunge sistematicamenté í1_ suo scopo, c e è di mistificare». Diamo infine conto di alcune altre posizioni di attori ai quali Germaine Lot a rivolto le seguenti domande : «Recitate con la testa o col cuore? E c e pensate dell'affermazione : "È l'assoluta mancanza di sensibilità c e prepara gli attori sublimi?»». Jean-Paul Belmondo : «Non o mai letto il Paradosso e me ne rallegro, perc é &èdó c e altrimenti non sarei mai diventato attore! Con c e recito? Con l'istinto». Roben Hirsc : «L'attore non esiste. Ci sono degli attori. Ognuno é ün ćašô particolare, e non posso parlarvi c e di me. Diderot non fa per me : io sono 57 1 risultati dell'inc iesta condotta da Germaine Lot in occasione della messa in scena parigina della Religieuse e del Nevc de Rameau (due opere, com'è noto, non scritte per il teatro) sono stati pubblicati come già si è detto, nel periodico Les Nouvelle.s littéraires del 28 febbraio I per la sincerità innanzi tutto. Si tratti di Nerone o di Scapino, mi dò fino in fondo, senza risparmiarmi, e un personaggio mi aiuta a interpretarne un altro. La sensibilità, all'inizio delle prove, la metto da parte ; finc é o il copione in mano, leggo senza espressione. È soltanto quando conosco bene il testo c e il personaggio esce a poco a poco, e quando tutto è a posto, quando mi sento sui binari, allora mollo, pronto a straripare!». Laurent Terzieff «L'essenziale, per l'attore, è di convincere. Ćiascdnd a il suo metodo e il suo modo di ricercarne la condizione ricorrendo a tutte le concordanze, a tutte le affinità c e può avere col personaggio, la situazione, etc. Io credo c e si reciti soprattutto col lavoro delle prove ; è grazie a questa somma di lavoro c e si crea, nell'attore, una specie di alc imia : le sue energie vengono modificate dalla parte c e interpreta, al punto c e questa parte giunge talvolta a modificarlo interamente. I1 vero paradosso, per me, è la coesistenza nell'attore di tre cose in sé contraddittorie : la tendenza all'identificazione, mai totale, certo, ma alla quale ci si può avvicinare in alcuni rari momenti in cui si dimentica tutto ; la necessità di allargare il testo, c e si tratta d'ingrandire'finc é raggiunga le dimensioni della teatralità ; e infine un certo sdoppiamento, nel senso della situazione, c e fa sí c e l'attore, quando vi è pervenuto d'istinto, raccolga il suo ritmo per ritrovarne uno nuovo». Jean Le Poulin : «II Paradosso? Sono favorevole dall'a alla Z! E t situazione c e crea l'emozione. L'attore è il conduttore di questa emozione, ma è unicamente grazie al mestiere, grazie al talento, c e la comunica. La sensibilità, qui, non è l'arte di commuoversi ; è una dote naturale c e permette all'attore di far risentire al pubblico il grado di emozione nel quale dovrebbe essere, ma al quale egli non può abbandonarsi, perc é l'emozione è qualcosa c e va facilmente all'eccesso e c e perciò è necessario controllare, stilizzare. Io interpreto con la testa, con l'istinto, il carattere del mio personaggio. Ma c e a a c e fare con ciò il cuore?». Jo n Gielgud : «Allora indulgevo alle mie emozioni e credevo e egüèšto fosse recitare. Imparai solo molto piú tardi c e, per quanto uno possa indulgere alle proprie emozioni nell'immaginare una parte, non deve mai farsene possedere sinc é non abbia deciso perfettamente ciò c e vuole rappresentare agli spettatori». Noel Coward : «La piú 64 65

33 pericolosa teoria avanzata ai nostri giorni è c e un attore dovrebbe sentire quel c e recita otto volte la settimana. Questo è del tutto assurdo. Recitare non è un modo d'essere : recitare è recitare ; è comunicare l'impressione di certi sentimenti. Se i sentimenti sono reali, è assai probabile c e un attore perda la capacità di recitare e l'attenzione del pubblico, perc é se un attore perde se stesso perde assai probabilmente anc e gli spettatori». I1 romanzo di Mario Soldati intitolato L áttore 5Θ è opera di fantasia, ma largamente basata su elementi reali, dei quali l'autore a diretta esperienza per la sua pluridecennale consuetudine professionale col mondo dello spettacolo, del cinema e del teatro. Vi leggo (p. 37) un passo c e rispecc ia le convinzioni strettamente diderotiane di Soldati, non sappiamo se rafforzate da una lettura del Paradoxe o maturate in modo del tutto autonomo rispetto ad esso : «L'attore è un artista come qualunque altro artista. I suoi rapporti con le sue opere sembrano piú diretti e piú evidenti solo perc é la materia con cui l'attore lavora non è fuori di lui, non è penna, carta, parola scritta, pennelli, colori, tele, argilla, marmo, note e timbri musicali, ma è la sua stessa persona, la sua voce, i suoi sguardi, il suo corpo, i suoi gesti, il suo modo di camminare. In realtà, attore è c i sa usare, c i a imparato a usare la propria persona fisica, nervosa e spirituale, come qualcosa di almeno parzialmente staccato da se stesso, cosí da dare, con la propria persona, un'immagine c e abbia una consistenza e una vita autonoma, né piú né meno di qualunque altra opera d'arte. I supi rapporti, perciò, con i personaggi da lui interpretati sono sottili, segreti, misteriosi. Rapporti con una forma, uno stile, un fantasma inventato : non specc i autobiografici. E accade, semmai, il contrario di ciò e volgarménte śí pensa. Píú facile per un attore creare personaggi diversi da sé c e non simili a sé. Quelli diversi sono da lui meglio oggettivabili». Segnaliamo infine tre lavori recenti. I1 primo è quello di Piero Colombo, Autant de mouc oirs que de spectateurs. Sensibilità e lacrime nel teatro francese del Settecento, in Atti della Accademia delle scienze dell'istituto di Bologna, Classe di scienze morali, 5~ M. Soldati, L'attore, Milano, Mondadori, , fase 2, I1 secondo è di Marialuisa Grilli, c e a curato un volume di Denis Diderot, Teatro e scritti sul teatro, Firenze, La Nuova Italia, 1980, da cui a escluso tuttavia il Paradoxe sur le comédien, rimandando per questo testo alla prima edizione da noi curatane. Infine, il notevole saggio di V.E. Swain, Diderot's «Paradoxe sur le comédien» : t e paradox of reading, in Studies on Voltaire, n. 208, Oxford, 1982, con ampia bibliografia. Giunti al termine di questa rassegna di convincimenti, di ηρ opinioni, di ipotesi, di esperienze, dobbiamo confermarne la premessa : è impossibile trarre dalle dic iarazioni degli attori un verdetto sulla validità del Paradoxe diderotiano. I1 problema resta aperto. E aperto lo vede lo stesso autore di una delle inc ieste Marc Blanj et il quale conclude : «Diderot, dunque, non si sbagliava se non a metà quando scriveva : "Anc e se queste verità venissero dimostrate, í grandi attori non le accetterebbero". Senza dubbio, e quasi all'unanimità, non le accettano. Ma queste verità, sono state dimostrate? Non mi sembra. E se mi fosse consentito di trarre una conclusione da questa inc iesta, noterei c e í "considerato" della sentenza di riabilitazione cosí emessa dai nostri attori in favore della sensibilità, non sono di natura tale da facilitarne la dimostrazione». C'è da dire c e l'opinione degli attori interpellati nell'inc iesta del Blanquet e nelle altre non è poi cosí unanime, e c e molte voci si sono espresse a favore della teoria di Diderot. Ma a noi sembra soprattutto c e buona parte delle risposte negative rispetto alla tesi diderotiana siano basate su un equivoco, cioè su un'interpretazione distorta del tërmine «sensibilità». Quando per esempio Ç ean Cocteau sí esprime nei termini c e C- tc r54 V abbiamo già citato, e parla dt<aina sincerità conquistata, ottenuta, c e agisce sull'interprete come una seconda natura e ispira a sua volta le sue reazioni fisic e dando loro autorità, eloquenza, naturalezza e libertà», c e cosa dice di diverso da ciò c e intende Diderot quando parla di «mobilità viscerale acquisita»? E quando Louis Jouvet afferma ç e Páttóré devë «educare le sue facoltà emotive'> To J V r «ac3uisire un meccanismo di sicurezza c e faccia dà sifone e provoc i poi di riflegsó, l'emozíone> ; quando dicë c e con il ripetersi delle rappresentazioni 66 67

34 diminuisce la sensibilità dell'attore, mentre in compenso aumenta la sua capacità esecutiva, non siamo ancora a quella «seconda natura» c e Diderot configura con l'immagine dello sc iavo il quale impara a muoversi in catene, sicc é l'abitudine di portarle lo libera dal peso e dalla costrizione? Ma è una seconda natura, questa sincerità, c e non s'identifica mai del tutto con la natura tout court, con la realtà pura, cioè con la sincerità autentica. Anc e Çopeau ammette c e «vi è una misura della sincerità, come vi è ùna misura della tecnica», e perciò l'attore deve sapersi «servire della sua emozione». Ma un'emozione di cui ci si serve non è un'emozione autentica, non è esatta_mente l'emozione reale. Diderot non dice niente di piú. Si può dunque concludere c e il Paradosso sull'attore è meno paradossale di quanto possa essere apparso. Non v'è dubbio c e anc e il Paradoxe, come pressoc é tutte le opere di Diderot, conserva un largo margine di ambiguità. Vi Is i a ric iamato l'attenzione anc e GuidoNeri nella citata prefazione alla sua edizione degli Scritti di estetúâ ďiderotiani, osservando c e ciò c e sconcerta, nel Paradoxe, è il fatto c e Diderot non arriva, o non si preoccupa di arrivare, ad armonizzare c iaramente gli argomenti portati a sostegno della sua concezione dell'arte, tutta tendente a una riforma c e esaltasse la verosimiglianza al di fuori però di ogni forma passiva, impulsiva, di imitazione della natura, con í diversi spunti polemici o programmatici c e nascono via via dal suo discorso. «La funzione civile, la dimensione morale dello spettacolo ; il rapporto tra il linguaggio d'uso e la finzione scenica ; il valore e i limiti c e sono da assegnare a quest'ultima : sono tutti problemi c e Diderot imposta, illustrando la straordinaria ricc ezza dei loro sviluppi, rna evitando di formulare una risposta definitiva e inequivocabile.» Ma una risposta definitiva e inequivocabile alle questioni poste sul tappeto era possibile, è possibile? Forse vedeva giusto Grimm quando, in una nota apposta alle Observations sur GarricÇ Tla Correspondance littéraire del P novembre 1770, scriveva : «Queste idee meriterebbero di essere approfondite ; esse derivano da una teoria delle arti imitative c e non è ancora ben c iarita. Tali arti sono sempre fondate su un'ipotesi : non è il vero c e ci affascina nelle opere d'arte, è la menzogna c e si avvicina quanto piú è possibile alla verità ; ma la menzogna esagera sempre, il fantasma dell'immaginazione è sempre piú grande dell'immagine naturale. C e cosa costituisce dunque l'essenza del grande attòre, dell'attore geniale? Non è la sensibilità ; su ciò sono perfettamente d'accordo col nostro filosofo ; ma non è neppure la volontà contraria : o conosciuto uomini di pietra, peraltro dotati di un'estrema finezza di spirito, c e erano incapaci di recitare sia pur mediocremente una scena di teatro. 11 grande attore è quello c e è nato con il dono dí çéei_ tare in modo superlativo, e a perfezionato tale dono medlar!tç lo studio So bene c e questa definizione non insegna nulla, ma è cosí per tutte le definizioni esatte ; accontentatevene ; perc é, se le generalizzate, non vi resteranno c e delle parole vag e, e le persone sprovvedute crederanno c e voi abbiate appreso loro delle importanti verità, mentre non avrete fatto altro c e dar loro delle c iacc iere. Ciò c e fa sí c e un uomo sia grande attore, gran poeta, grande artista, non dipende da qualità generali, ma da modificazioni cosí sottili c e il nostro sguardo riesce a malapena a scorgerle e il nostro linguaggio ancor meno ad esprimerle, coší sottili c e basta una linea in piú o in meno per far scomparire il talento o per esaltarlo al suo massimo grado. La sensibilità è dunque una qualità neutra ed estranea al talento di un grande attore, può esserci o non esserci nell'individuo c e possiede questo talento in grado eminente ; ciò non a nulla a c e fare con la questione ; il carattere morale e il genio o il talento sono due composti di qualità del tutto indipendenti le une dalle altre, sicc é il genio può ritrovarsi indifferentemente unito all'animo piú sensibile o a quello piú insensibile. Si trova di tutto a questo mondo, e la varietà delle combinazioni è inesauribile». Cosí, se il Paradoxe sur le comédien è da centocinquant'anni oggetto di discussioni appassionate, se esso sembra urtare la suscettibilità degli attori, c e si sentono negati o diminuiti da una teoria la quale contesta loro la «sensibilità», la «sincerità», è certo c e si tratta di un'opera, proprio per questo, estremamente viva e sempre attuale. Dice bene André Villierss" c e oggi possiamo eludere la netta distinzione e lápêrénťoia alter '9 A. Viltiers, «voce» Diderot, cit. 69

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