Parte Prima. Le parti comuni. a cura di Pia Grazia Mistò

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1 Parte Prima Le parti comuni a cura di Pia Grazia Mistò 1

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3 L art c.c. fa un elencazione non tassativa delle cose comuni, degli impianti e dei servizi comuni, con un criterio unitario di classificazione. Tale norma contempla tra le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune e i piani o le porzioni di piano in proprietà esclusiva due differenti forme di collegamento: l incorporazione (fisica) tra beni inscindibili e la congiunzione stabile tra beni inseparabili, determinata dalla destinazione dell uso o al servizio. Tra le parti dell edificio che la legge considera necessarie a permetterne l uso comune sono espressamente indicate: le scale i portoni d ingresso e gli anditi. Essi, quindi, ove il titolo non disponga altrimenti, sono sempre comuni a tutti i condomini, siano o non utilizzati o utilizzabili da tutti, poiché occorre guardare solamente al servizio che dette parti presentano all unità dell edificio. L art c.c classifica le parti comuni dell edificio in tre gruppi distinti. Nel primo si comprendono le parti che costituiscono elementi integranti dell edificio, senza le quali, questo non sarebbe né completo né utilizzabile: n. 1 il suolo su cui sorge le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell edificio, necessarie all uso comune. Nel secondo gruppo sono, invece, comprese le parti costituenti semplici pertinenze al servizio comune n. 2 i locali per la portineria e per l alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune. Nel terzo gruppo, infine, sono comprese le parti destinate bensì all uso ed al godimento dei condomini, ma tuttavia senza carattere di permanenza o di necessità, nel senso che non sono di quelle di cui non si possa stabilmente o utilmente fare a meno per rendere abitabile l edificio n. 3 le opere e le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l acqua, per il gas, per l energia elettrica, per il riscaldamento e simili fino al punto di diramazione degli impianti locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini. Da questa distinzione derivano due conseguenze diverse in ordine alle predette qualità di cosa comune di una parte dell edificio. La prima conseguenza è che l esclusione di una parte dell edificio dal novero delle cose comuni deve essere esplicitatamene manifestata per iscritto, non essendo valevole come esclusione il fatto di non averla inclusa tra le parti comuni menzionate nel titolo, sempre che si tratti di una parte compresa nei primi due gruppi: appunto perché costituendo essa elemento integrante della costruzione (n. 1) o pertinenza di uso necessario (n. 2). La disposizione contraria del titolo deve essere al riguardo tassativamente manifestata. La seconda conseguenza è che tale esclusione, allorché si tratti di una parte destinata all uso ed al godimento utile 3

4 ma non indispensabile alla funzionalità dell edificio (n. 3), può essere rilevata per implicito dal silenzio del titolo in ordine ad essa, quando cioè tale parte non risulti menzionata fra quelle comuni nell atto di trasferimento delle singole porzioni dell edificio o di quelle di costituzione del condominio. Dall incorporazione, che rende le cose proprie e comuni inseparabili le uni e dalle altre, ha origine la relazione fisica indissolubile. Dal collegamento funzionale, scaturisce che le cose possono separarsi. Pertanto, all attribuzione della proprietà comune può derogarsi solamente per titolo contrario: in presenza di un atto scritto, con contenuto precettivo, dal quale espressamente si fa derivare un diverso regime. La situazione di fatto, desumibile dalle caratteristiche strutturali dell opera e la sua obiettiva funzione è vinta dal titolo contrario. La giurisprudenza della Suprema Corte, in relazione all art c.c. afferma che al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione occorre far riferimento essenzialmente alla situazione di fatto (destinazione) e giuridica (titolo) esistente al momento e precisamente al primo atto di trasferimento di un unità immobiliare dall originario unico proprietario ad altro soggetto (Cass. 4 novembre 1994, n. 9062). 4

5 Capitolo 1 I beni comuni ai sensi dell art c.c. 1. Suolo Per suolo su cui sorge l edificio, deve intendersi quella porzione di terreno su cui poggia l intero edificio ed immediatamente la parte infima di esso. Rientrano in tale nozione la superficie sulla quale poggia il pavimento del pianterreno e l area dove sono infisse le fondazioni che si trova sotto il piano cantinato più basso: si presume di proprietà comune indipendentemente dalla sua menzione nell elenco delle cose comuni contenuto nei titoli costitutivi o regolamentari, perché data la sua funzione rispetto all intero complesso in condominio, non può non presumersi come appartenente alla collettività dei condomini. Il suolo è quello occupato e circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali esterni del fabbricato stesso, dovendosi avere riguardo alla materiale e fisica occupazione del terreno coi materiali e manufatti di cui il fabbricato è composto. Il terrapieno, destinato a sorreggere il soprastante pavimento di un terraneo costituisce un opera indispensabile per l uso del piano stesso e, pertanto, va compreso tra le parti comuni dell edificio. 2. Sottosuolo Per il combinato disposto degli artt e 840 c.c., il sottosuolo è costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell area superficiaria che è alla base dell edificio condominiale. Pertanto va considerato di proprietà comune, anche se non menzionato espressamente dall art. 1117, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini, e ciò anche con riguardo alla funzione di sostegno che esso contribuisce a svolgere per la stabilità del fabbricato. Oggetto di proprietà comune è quella porzione di terreno su cui viene a poggiare l intero stabile, cioè la parte infima di questo, esistente sotto il piano cantinato più basso, per cui i vani scantinati possono presumersi comuni non in quanto facenti parte del suolo su cui sorge l edificio, ma solo ed in quanto risultino obiettivamente destinati all uso ed al godimento comune. 5

6 3. Utilizzo del sottosuolo Il sottosuolo, costituito dalla zona esistente in profondità al disotto dell area superficiaria che è alla base dell edificio condominiale ancorché non menzionato espressamente dall art c.c. tra le c.d. parti comuni, per il combinato disposto di questa norma e dell art. 840 dello stesso codice e con riguardo alla funzione di sostegno ch esso contribuisce a svolgere per la stabilità del fabbricato, va considerato di proprietà comune, in mancanza di un titolo (atto scritto, ovvero maturata usucapione) che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini. Il sottosuolo può essere utilizzato per altri scopi, tanto da parte di un singolo condomino, quanto da parte della collettività condominiale. Inoltre, lo spazio esistente al di sotto è suscettibile di ulteriori destinazioni, quali i parcheggi e posti auto. Il posto auto rappresenta una pertinenza della singola unità immobiliare negli edifici di nuova costruzione, per quanto concerne gli edifici, invece, preesistenti non dotati di posto auto riservato, si pone la questione del parziale mutamento di destinazione del sottosuolo, integrando gli estremi dell innovazione ai sensi dell art c.c. Le innovazioni, di cui tratta l art c.c. nei suoi due commi, devono essere tenute distinte dalle modificazioni che si concretino in un utilizzazione della cosa comune da parte del singolo comproprietario ai sensi dell art c.c.: dette modificazioni, che non implicano alterazione della consistenza e della destinazione della cosa anche quando determinino un uso più intenso a favore dell autore, sono consentite sempre che non ne consegua un cambiamento della destinazione del bene comune o un turbamento dell equilibrio nella possibilità di uguale uso da parte degli altri comproprietari; le innovazioni sono invece costituite da quelle modifiche materiali della cosa comune che importino alterazione dell entità sostanziale o mutamento della sua destinazione o- riginaria. Ma anche tra le innovazioni contemplate dall art c.c. occorre distinguere quelle, dirette al miglioramento o all uso più comodo o al maggiore rendimento delle cose comuni (comma 1), le quali, nell interesse dell intero condominio e ovviamente con la partecipazione di tutti i condomini alla spesa, possono essere disposte dall assemblea condominiale con la maggioranza indicata dal comma 5 dell art c.c.; quelle, che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni inservibili all uso o al godimento anche di un solo condomino (comma 2) e che sono perciò vietate. 4. Fondazioni Le fondazioni non sono le parti dei muri maestri che stanno al di sotto dell area, ma tutto quanto si è fatto nel sottosuolo, quali scavi, opere di consolidamento, di rincalzo, ecc., allo scopo di elevare e reggere l edificio. 6

7 Nelle case divise per piani, le opere fatte negli scantinati, dirette a rafforzare i muri maestri e a sottrarli nelle fondazioni all azione delle acque provenienti dal sottosuolo, sono a carico di tutti i proprietari in proporzione, come stabilito dalla normativa. I muri di un edificio, agli effetti della loro qualificazione di maestri vanno considerati nella loro struttura unitaria e non già sulle singole parti, per attribuire all una o all altra una diversa qualifica. 5. Facciata La facciata risulta dall insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominate ed imprimono alle varie parti dell edificio ed all edificio stesso nel suo insieme una determinata fisionomia ed in particolare pregio estetico: il Giudice deve accertare non soltanto se l edificio abbia, ed in che misura, un decoro architettonico e se esso risulti concretamente turbato o leso dall opera che il condomino intende compiere o ha già compiuto, ma anche se tale turbamento o lesione importi un deprezzamento dell intero edificio. Pertanto, nel condominio, sia per le innovazioni in senso tecnico sia per le modificazioni ai sensi dell art. 1102, il criterio limite è integrato, dalla fondamentale esigenza, sottolineata dall art. 1120, che non resti compromessa la stabilità e la sicurezza del fabbricato, non venga alterato il decoro architettonico di esso, né resti, comunque precluso o diminuito per alcuno dei condomini l uso ed il godimento di alcune parti dell edificio. 6. Balconi L attribuzione in proprietà comune delle cose, degli impianti e dei servizi, enunciati espressamente o richiamati per relationem dall art. 1117, postula il collegamento strumentale, materiale o funzionale, tra le parti comuni e il fabbricato, cioè tra le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune e tutti i piani o le porzioni di piano: esige che le parti siano materialmente necessarie per l esistenza o l uso, ovvero siano destinate all uso o al servizio dell edificio (termine di sintesi per indicare tutti i piani e le porzioni di piano compresi nel fabbricato). È del tutto evidente che i balconi non sono necessari per l esistenza o per l uso, e non sono neppure destinati all uso o al servizio dell intero edificio, non sussiste, quindi, una funzione comune dei balconi, i quali normalmente sono destinati al servizio soltanto dei piani o delle porzioni di piano, cui accedono. I balconi, con le relative mensole e balaustre, sono degli accessori dei singoli appartamenti, e come tali, sono da considerare di proprietà dei rispettivi condomini. Invece, i balconi di cui sono dotati le scale di un edificio condominiale, che sono accessibili unicamente da queste ed hanno una funzione architettonica, luci- 7

8 fera e di aerazione, costituiscono parte organica ed integrante dell intero fabbricato, e debbono pertanto, presumersi di proprietà comune, ai sensi dell art (Cass. 13 dicembre 1979, n. 6502). L apertura di un balcone, da parte di un condomino, su un cortile comune non può senz altro ritenersi legittima a norma dell art. 1120, comma 1, occorrendo, invece, accertare di volta in volta, soprattutto in r relazione all ampiezza del cortile, se essa comporti una sensibile diminuzione di aria e luce a danno del medesimo (Cass. 4 aprile 1973, n. 944, in Mass. Giust. civ., 1973, 503). Poiché l uso della cosa comune è sottoposto dall art ai due limiti fondamentali consistenti nel divieto per ciascun partecipante di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, esso non può estendersi all occupazione di una parte del bene comune tale da portare, nel concorso degli altri requisiti di legge alla usucapione della parte occupata (Cass. 14 dicembre 1994, n ). Una delle questioni maggiormente controverse è la ripartizione delle spese, in relazione alle parti comuni, si può affermare che le spese concernenti gli elementi del balcone che prospettano all esterno dell edificio condominiale gravano sempre e comunque sul condominio in quanto tali elementi, quali frontalini, balaustre, ineriscono alla facciata. La Cassazione, con sentenza 18 marzo 1989, n. 1361, ha chiarito che sono di pertinenza condominiale gli elementi decorativi esterni ai balconi (frontalini, aggiunte sovrapposte con malto cementizio, viti di ottone, ecc.), mentre fanno carico al regime di proprietà esclusiva del balcone tutte le opere che concorrono alla formazione dello sporto. L assemblea non ha poteri deliberativi in ordine alla ripartizione delle spese, in senso difforme dai criteri legali. E concorrono a conferire all immobile attraverso l armonia e l unità di linee e di stile quel decoro architettonico che costituisce bene comune economicamente valutabile e come tale autonomamente valutato (Trib. Napoli, 27 ottobre 1993, in Arch. locazioni, 1995, 167). È una delle questioni maggiormente dibattute, se determinate parti di un edificio condominiale i c.d. frontalini cioè lastre di marmo travertino fissate sulla fronte della soletta dei balconi siano necessarie all uso comune ovvero siano determinate al servizio o all ornamento della proprietà di un determinato condominio. Il problema non può essere generalizzato ma occorre un attenta analisi, attenendosi al criterio della determinazione particolare e prevalente delle parti dell edificio e individuando, la precipua funzione di tali parti in rapporto alla proprietà esclusiva (nel caso di specie, balcone facente parte integrante di un appartamento) e alla struttura e caratteristiche dell intero edificio. Nel caso concreto, la Suprema Corte con sentenza 3 agosto 1990, n è pervenuta, al convincimento che i frontalini siano parti comuni dell edificio condominiale, nel senso che tali lastre di marmo travertino non svolgono alcuna funzione protettiva (come parapetti o ringhiere) nell esercizio del diritto di pro- 8

9 spetto praticabile dai balconi delle singole proprietà dei condomini né una specifica funzione ornamentale per i singoli balconi, constatando che le parti medesime servono all armonia della facciata dell intero edificio e, altresì, a gocciolatoi non solo per impedire le infiltrazioni d acqua negli oggetti dei balconi, ma per dare alla caduta delle acque piovane un andamento uniforme. Le parti dell edificio in questione sono necessarie all uso comune (nella loro funzione di gocciolatoi ), oltre al godimento di tutti i condomini per l armonia della facciata dell edificio: il che comporta l applicazione dell art. 1117, n. 3. In definitiva, quindi, esiste una situazione oggettiva funzionale dei predetti frontalini, unitamente ai cornicioni, ad ornamento dell intera facciata dello stabile, oltre che ad uso comune. Il balcone e le colonne costituiscono parte integrante dell appartamento privato, cui serve il balcone stesso, e non sono quindi condominiali (Trib. Roma, 26 ottobre 1970, n. 8185, ed ancora, i balconi prospicienti sul cortile comune appartengono in via esclusiva, assieme alla colonna d aria sovrastante a ciascuno di essi, ai proprietari dei singoli appartamenti ai quali accedono in qualità di pertinenze (Cass. 7 luglio 1976, n. 2543, in Mass. Foro. it., 1976, 2543). Solo in determinate situazioni di fatto, determinate dalla peculiare conformazione architettonica del fabbricato, i balconi possono essere considerati alla stessa stregua dei solai, che peraltro appartengono in proprietà (superficiaria) ai proprietari dei due piani l uno all altro sovrastante e le cui spese sono sostenute da ciascuno di essi in ragione della metà (art c.c.). È possibile applicare, mediante l interpretazione estensiva, la disciplina stabilita dalla citata norma di cui all art all ipotesi non contemplata dei balconi soltanto quando esiste la stessa ratio. Orbene, la ratio consiste nella funzione, vale a dire nel fatto che il balcone come il soffitto, la volta ed il solaio funga, contemporaneamente, da sostegno del piano superiore e da copertura del piano inferiore. Questa ratio non sussiste relativamente ai balconi aggettanti i quali, dal punto di vista strutturale, sono del tutto autonomi rispetto agli altri piani, in quanto possono sussistere indipendentemente dall esistenza di altri balconi nel piano sottostante o sovrastante. Non avendo la funzione di copertura del piano sottostante, questo tipo di balcone (aggettante), non soddisfa un utilità comune ai due piani e non svolge neppure una funzione a vantaggio di un condominio diverso dal proprietario del piano: se aggetta sul suolo pubblico o sul terreno comune, infatti, né l uno né l altro appartengono ad uno dei condomini dell edificio, ma fanno capo alla mano pubblica o alla proprietà comune di tutti i partecipanti. Allo stesso tempo, assieme al pavimento ed al soffitto sottostante, nei balconi assume giuridica rilevanza l appartenenza del parapetto e dei relativi ornamenti, i quali vengono a costituire elementi essenziali della facciata. La titolarità del piano di calpestio (pavimento), del soffitto sottostante e del parapetto (e degli altri ornamenti) fa capo a soggetti diversi: rispettivamente, in proprietà superficiaria ai proprietari dei piani sovrastanti e sottostanti ed in condominio a tutti i condomini. 9

10 Avuto riguardo a questi principi e tenendo conto delle differenze originate dalla forma architettonica dell edificio, appare sostanzialmente corretta l affermazione della giurisprudenza, secondo cui i balconi, non avendo una funzione portante, non costituiscono parti comuni anche se sono inseriti nella facciata, in quanto formano parte integrante dell appartamento, cui accedono (Cass. 7 settembre 1996, n. 8159; Cass. 29 ottobre 1992, n ). Salvo che il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte (parapetto) o della parte sottostante della soletta assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l edificio: in questo caso debbono essere considerati di proprietà comune dei condomini (ancora Cass. n. 8159/1996 cit. e Cass. 28 novembre 1992, n ). Del pari coerente è la precisazione che la natura di beni comuni o di beni in proprietà esclusiva del rivestimento della fronte e della soletta dei balconi, in quanto destinati all uso comune, ovvero a pertinenza dell appartamento di proprietà e- sclusiva, va accertata sulla base del criterio della prevalenza della funzione (Cass. 3 agosto 1990, n. 7831; Cass. 21 gennaio 2000, n. 637). Per quanto concerne la trasformazione del balcone in veranda, essa è lecita purché non diminuisca i diritti degli altri condomini (Cass. 13 aprile 1981, n. 2189, App. Napoli, 25 giugno 1998, in Giust. civ., 1998, 1625). I balconi di un edificio condominiale prospicienti sul cortile comune appartengono in via esclusiva, assieme alla colonna d aria, soprastante a ciascuno di essi, ai quali accedono, in qualità di pertinenza. Ne consegue che ciascun condomino ha il diritto di trasformare in veranda il balcone di sua proprietà senza dover richiedere l autorizzazione degli altri compartecipi imposta dal regolamento di condominio soltanto per le innovazioni delle parti comuni dell edificio. Tale trasformazione non comporta danni igienici ed estetici allo stabile (Cass. 7 luglio 1976, n. 2543, in Mass. Giust. civ., 1976, n. 1101). La trasformazione a carattere stabile di un balcone in veranda chiusa può essere idonea ad alterare il decoro architettonico dell edificio comune, e consente al condomino di esercitare l azione di manutenzione per l eliminazione della predetta turbativa. Nella specie il condomino aveva trasformato una terrazza balcone del suo appartamento in veranda chiusa, dalla base del balcone sovrastante con un intelaiatura stabile metallica, con pareti di legno e cristallo e con grillage (Cass. 23 maggio 1972, n. 1587). 7. Anditi Per andito deve intendersi qualunque spazio destinato al passaggio per accedere agli appartamenti ed ai locali comuni. Il pianerottolo se non fa parte della scala comune, rientra nel concetto di andito, che per espressa presunzione di legge deve ritenersi compreso fra le parti comuni dell edificio salvo che il contrario non risulti dal titolo (Trib. Pisa, 24 gennaio 1956, in Nuovo dir., 1956, 455). La destinazione normale dell androne è quella di creare una zona di disimpegno e di 10

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