SALVEREMO LE NOSTRE PENSIONI?



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Transcript:

I pensionati e le riforme degli anni '90 SALVEREMO LE NOSTRE PENSIONI? Incontro di formazione dei dirigenti della CISL Pensionati di Brescia Relatore: dr. Mario Clerici - Segretario generale FNP-CISL di Brescia Oltre che al tormentone d'attualità, "l'art. 18", c'è sempre, con puntuale periodicità il tormentone delle pensioni. Alle vecchie sollecitazioni (imprenditori, Banca d'italia, Fondo Monetario Internazionale) si aggiunge a più voci l'unione Europea. In tanti però rassicurano i pensionati, quelli già in pensione che non avranno problemi e nulla devono temere in quanto le riforme dovrebbero toccare l'accesso, i requisiti e il calcolo di quanti andranno in pensione e non di quelli già in essere. E' questa una tesi che tenta di allogare i pensionati e gli anziani in genere, fra le categorie significativamente tutelate, a cui, in tema di pensioni, non è chiesto alcun sacrificio. Noi diciamo di no, che non è vero e alziamo la voce per denunciare che l'attuale sistema pensionistico è servito e serve sicuramente per limitare l'asserito deficit della spesa pensionistica perchè ha toccato le pensioni in corso e se non sarà velocemente rivisto peserà ancora di più sui pensionati presenti e futuri. I pensionati infatti sono stati penalizzati dall'attuale sistema pensionistico che ha prodotto un sostanziale impoverimento delle nostre pensioni indipendentemente dalle variazioni dello stato sociale o dalle pressioni fiscali. Ha ragione Pezzotta quando afferma che il tasso di inflazione programmata al 1,4% è troppo basso e quindi nel DPEF del Governo si deve porre una questione salariale e conseguentemente anche una questione pensionistica. Dieci anni di "politica dei redditi" hanno prodotto significativi risultati che ci devono stimolare per obiettivi di maggiore perequazione e giustizia sociale. Per noi pensionati non c'è un secondo livello di contrattazione; la pensione, una volta erogata non è modificabile rispetto al suo importo iniziale, ma può essere solo modificata nella sua rivalutazione. La pensione non è un capitale incassato una sola volta o una somma vincolata per produrre interessi ma un flusso mensile che si percepisce in anni successivi al collocamento in pensione e durante questi anni la pensione è soggetta ad interventi di rivalutazione nel tempo che modificano il suo importo, tenendo conto si della situazione economica generale, ma anche di solidarietà, di rapporti fra le generazioni, di occupati, ecc. La pensione è quindi una rendita che gode di forme di "indicizzazioni" in tutti i sistemi pensionistici pubblici e privati contemporanei. Le indicizzazioni maggiormente usate possono essere riferite ai prezzi, all'incremento delle retribuzioni, ai rendimenti dei capitali. Nel nostro Paese l'indicizzazione delle pensioni ha avuto una rilevante fase di crescita negli anni '70 e '80 con una serie di rivendicazioni e le affermazioni del movimento sindacale. Con la legge 153 del 1964 è stato di fatto introdotta l'indicizzazione (perequazione) automatica e le pensioni sono cresciute in misura pari all'aumento percentuale dell'indice del costo della vita calcolato dall'istat ai fini della scala mobile delle retribuzioni dei

lavoratori dell'industria. Con la legge 160 del 1975 l'indicizzazione è collegata non più ai prezzi, ma è collegata per le pensioni minime all'indice delle retribuzioni contrattuali dell'industria mentre, per le pensioni superiori al minimo l'aumento percentuale era decrescente, con un andamento di appiattimento progressivo. La legge 730 del 1983, fissò l'indicizzazione sia ai prezzi (alle stesse scadenze e con riferimento a stessi indici e periodi validi della scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell'industria; in misura intera sull'importo non eccedente il doppio del trattamento minimo del Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti; al 90% per le fasce di importo comprese fra il doppio ed il triplo del trattamento minimo; sia alle retribuzioni minime contrattuali (alla fine dell'anno). Nel 1986, con la legge 41, gli aumenti derivanti dalla perequazione automatica avvengono con cadenza semestrale al 1 maggio e al 1 novembre di ciascun anno. Con gli inizi degli anni '90 si avvia il processo di riforma delle pensioni per effetto della crisi economica ma anche per i mutamenti demografici in atto. La spesa sociale non è più sostenibile (sanità, assistenza), le entrate dai salari dei lavoratori per la previdenza sono sempre più insufficienti e viene approvato dai vari governi il blocco delle pensioni di anzianità e modificata l'indicizzazione delle pensioni. E' sospesa nel 1992 l'applicazione di ogni disposizione di legge, di regolamento, o di accordi collettivi che preveda aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni previdenziali ed assistenziali, pubbliche e private. Per l'anno 1993, la misura degli aumenti di perequazione automatica delle pensioni al costo della vita è fissata in 1,8 e 1,7 punti percentuali a decorrere, rispettivamente, dal 1 giugno e dal 1 dicembre. Con il decreto legislativo 503/92 si disciplina l'indicizzazione, stabilendo che gli aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni previdenziali ed assistenziali si applicano, con decorrenza dal 1994, sul solo adeguamento al costo vita con cadenza annuale ed effetto dal primo novembre di ogni anno. Con legge 724/1994, il termine stabilito, ai fini della perequazione automatica delle pensioni, è differito al 1 gennaio successivo di ogni anno (nel 1995 non vi è nessun nuovo incremento per indicizzazione.) Pertanto, dal 1992 le pensioni sono indicizzate soltanto ai prezzi e, dal 1995 con un ritardo di un anno (gennaio dell'anno successivo). Non trattasi di una indicizzazione piena, dato che per le disposizioni di allora l'indicizzazione piena era prevista solo per gli importi di pensione fino a due volte il minimo, mentre per gli importi compresi tra due e tre volte il minimo scendeva al 90% dell'indice ISTAT e per le fasce di importo superiori scendeva ulteriormente al 75%. Dal 1 gennaio 1999, è inoltre in vigore l'articolo 34 della legge 448/1998, che regola i criteri e le modalità di determinazione degli aumenti di perequazione automatica per i titolari di più trattamenti pensionistici. Solamente con legge 388 del 2000 è stato adottato un provvedimento di ampliamento dell'indicizzazione, prevedendo una perequazione del 100% del costo della vita per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici fino a tre volte il trattamento minimo; del 90% per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo; del 75 % per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il predetto trattamento minimo. Quindi l'indicizzazione ai prezzi (costo della vita) è totale, a partire dal 2001, solamente per gli importi di pensione fino a tre volte il minimo (precedentemente solo fino a due volte il minimo). Gli importi di pensione superiori hanno una indicizzazione parziale e

decrescente. Inoltre la perequazione avviene solo a gennaio dell'anno successivo, con un ritardo aggravato anche dall'applicazione iniziale in un indice provvisorio, spesso inferiore a quello reale. Per dimostrare l'effetto negativo di questi provvedimenti, utilizziamo la ricerca del prof. Maurizio Benetti di Roma. Sospesa l'indicizzazione alle retribuzioni, le pensioni tra il 1992 e 2000 hanno inoltre una non completa indicizzazione ai prezzi, in misura via via più contenuta all'aumentare dell'importo di pensione. Nella tabella 1 sono riportati i valori lordi (in lire e in euro) di alcuni importi di pensione e delle loro variazioni in base alle aliquote di perequazione effettivamente applicate nel periodo considerato per i diversi importi. I valori mensili lordi considerati a gennaio 1992, vanno da 284 euro (550,000 lire), importo di poco superiore al minimo, fino ad un valore di 2.065 euro (4 milioni di lire). Gli stessi importi, rivalutati come detto, erano pari, alla fine del 2001, rispettivamente a 395 euro (767.000 lire) e 2.644 euro (5.120.000 lire). Le variazioni percentuali cumulate annualmente sono quindi raffrontabili nella tabella 2 con le variazioni degli indici dei prezzi e nella tabella 3 con la perdita percentuale del potere d'acquisto (inflazione ) Si va da una perdita contenuta, meno 1% per le pensioni più basse, a perdite crescenti fino a meno 9,2% per le pensioni più elevate tra quelle prese in esame. Trattasi di diminuzioni significative che non hanno alcuna ragione in un sistema pensionistico poichè evidenziano una mancata copertura rispetto al costo della vita. L'indice utilizzato per l'elaborazione della tabella di confronto è il costo della vita. Si dice anche che detto indice potrebbe non essere consono all'ambito dei pensionati e degli anziani in generale in quanto la tipologia dei beni acquistati e utilizzata dai pensionati è diversa dalla "famiglia tipo" indagata dall'istat. Questo però è il sistema utilizzato per le rilevazioni periodiche ma un diverso paniere dei beni non è detto, che produca risultati diversi. Andrebbero invece considerato che la perequazione annua è successiva all'inflazione e che quindi annualmente si ha una perdita dovuta al ritardato adeguamento, mentre altri interventi quali le tariffe e l'introduzione in quegli anni di pesanti tickets sanitari, hanno modificato nel tempo il reddito effettivo dei pensionati. Dobbiamo inoltre considerare che un reddito, e la sua variazione, non sono valutabili solamente in confronto con il costo della vita ma anche rispetto agli altri redditi (un reddito non è alto o basso di per sè ma in relazione ad altri valori considerati in base ai sistemi che si vogliono assumere per la comparazione e la stima). La situazione complessiva dei pensionati va allora considerata sulla percentuale di PIL (ricchezza nazionale) percepita in rapporto alla loro entità. Se i pensionati aumentano rapidamente di numero (come è successo nell'ultimo decennio) e diminuisce la loro "quota" di PIL, significa che si riduce la loro ricchezza complessiva. Quindi una riduzione della spesa pensionistica riferita al PIL con un veloce aumento della popolazione anziana significa diminuire nel complesso le pensioni erogate (diminuendo le pensioni medie) o in alternativa si potrebbe ridurre il numero dei pensionati. Se valutiamo la posizione singola dei pensionati e delle sue variazioni, una pensione minore rispetto a quella del reddito medio e/o delle retribuzioni medie, comporta un "impoverimento relativo" del pensionato rispetto agli altri soggetti della comunità.

Più significativo è certamente l'impoverimento dei pensionati se si limita la perequazione delle pensioni, ai soli prezzi. Nella tabella 2, oltre alla variazione percentuale delle pensioni, è riportata anche la variazione percentuale cumulata delle retribuzioni medie nell'industria in senso stretto, nei servizi e nell'economia nel suo complesso, mentre nella tabella 3 è riportata la perdita percentuale delle pensioni rispetto alla variazione delle retribuzioni. Il minore incremento è significativo anche per le pensioni più basse e lo è ancora di più per quelle più elevate. tabelle 2 e 3 Nel periodo 1991-2001 si è quindi determinato un sistematico e progressivo impoverimento delle pensioni rispetto alle retribuzioni medie (più o meno elevato in base alla pensione considerata e alla retribuzione riferita). Questo impoverimento è sicuramente collegato all'aumento della ricchezza nazionale e quindi anche delle retribuzioni. Poichè nei sistemi economici moderni la crescita delle retribuzioni è sicuramente auspicabile per la produttività e i consumi, l' impoverimento dei pensionati è più elevato quanto più accentuata è la crescita della ricchezza nazionale. Se la perequazione delle pensioni non è riferita ad una media che rispecchia l'andamento del reddito nazionale, si mortifica qualsiasi forma di partecipazione dei pensionati a intervenire nell'incremento della ricchezza nazionale. Il lavoratore possiede strumenti, contrattuali o di mercato, per partecipare a questo aumento di ricchezza, mentre il pensionato è legato solo a decisioni politiche. In futuro l'effetto negativo sarà ancora più grave quando il sistema contributivo, sull'intero arco di vita lavorativa, produrrà i suoi effetti con diminuzione delle pensioni a livello di mera sussistenza. Già all'inizio le pensioni saranno mediamente più basse di importo delle attuali, con un rapporto tra pensione e ultima retribuzione, variabile tra il 40% e il 60% in base all'età di pensionamento, alla tipologia di carriera, al settore di appartenenza. Sulle future prossime pensioni il processo di impoverimento relativo potrebbe essere drammatico. La tabella 4 è tratta dal rapporto sullo stato sociale 2001 dell'inpdap e indaga il "tasso di sostituzione", cioè il rapporto fra la pensione media e la retribuzione media, al momento del pensionamento e per gli anni successivi. L'ipotesi presa in esame attiene a tre rendite pensionistiche pari rispettivamente al 40%, 50% e 60% dell'ultima retribuzione, rappresentando così, diverse figure di lavoratori dipendenti e autonomi. tabella 4 Le pensioni crescono negli anni allineate all'inflazione, 1% all'anno ( cioè senza una integrale indicizzazione ai prezzi); mentre le retribuzioni crescono del 2% annuo in termini pratici. Il differente incremento comporta una progressiva diminuzione del rapporto tra le pensioni e la retribuzione media, differenza maggiore quanto più sono gli anni di fruizione della pensione. Una pensione inizialmente pari al 40%, dopo 10 anni, vede il suo rapporto con la retribuzione media calare al 33,5%; dopo 15 anni scendere al 30,3%; dopo 20 anni passare al 27,5%. La pensione inizialmente pari al 60%, cala rispettivamente al 50,2% dopo 10 anni, al 46,4% dopo 15 anni e al 41,2% dopo 20 anni.

Calcolando una aspettativa di vita di 25 anni dopo il pensionamento, il rapporto tra la pensione e la retribuzione media scenderebbe ulteriormente al 24,9% e al 37,3%. La riduzione è poi maggiore per le pensioni con importi a tre volte il trattamento minimo e che hanno una indicizzazione non totale ai prezzi. Non apportando modifiche il sistema di indicizzazione, produrrà quindi un progressivo impoverimento relativo dei pensionati, escludendoli dalla ridistribuzione della ricchezza nazionale aggiuntiva. Si ritornerà, inoltre, alle cosiddette pensioni di annata, cioè a pensioni di diverso importo pur in presenza di uguali carriere retributive ed età di pensionamento, poichè il pensionato godrà negli anni della sola indicizzazione ai prezzi, mentre il lavoratore rimasto in attività potrà, negli anni di lavoro successivi, crescere la retribuzione anche in base alla produttività e godrà quindi di una pensione in termini assoluti più elevata. Ignorare questo problema è difficile, ne basta appellarsi a pensioni complementari od integrative che saranno costose e agiranno su un periodo medio lungo, ne è ipotizzabile un ritorno al passato con la doppia indicizzazione (prezzi e salari). Gli aggiustamenti per ora proposti al Sindacato relativi alla diversità del sistema di calcolo della pensione e al procrastinare l'età del pensionamento, sono senz'altro da verificare ma scarsamente incideranno sulla tutela del reddito dei pensionati. Per chi è già in pensione si potrebbe invece introdurre una maggiore indicizzazione con l'aumento dell'età mentre per i pensionati non ancora nella quarta età, si dovrebbe abolire ogni divieto di cumulo tra pensioni e reddito da lavoro o autonomi o dipendenti. Nella società del benessere, dove purtroppo crescono l'instabilità e l'insicurezza, ma aumentano anche le soggettività e le capacità di autonomia delle persone, il diritto di cittadinanza si gioca su due poli: l'accesso reale alle opportunità e la garanzia del reddito. Non è quindi sufficiente il costante impegno del Sindacato per combattere l'aumento scorretto dei prezzi, necessita riprendere con vigore l'iniziativa per adeguare le pensioni alle reali condizioni di vita. SPIEGAZIONI MINIME I Modelli dei sistemi pensionistici Rispetto al calcolo della pensione : sistema retributivo (basato sul salario percepito) sistema contributivo (basato sui contributi versati) pro rata o misto (riferito ai periodi lavorativi nei diversi sistemi) Rispetto al finanziamenti della spesa: sistema a ripartizione (chi lavora versa i contributi per pagare le pensioni; solidarietà generazionale) sistema a capitalizzazione (risorse accumulate dai lavoratori stessi durante l'attività per pagarsi poi le pensioni) A cosa serve il sistema pensionistico?

natura previdenziale (assicurare a ciascun lavoratore il mantenimento del medesimo tenore di vita anche dopo il pensionamento; con l'invecchiamento si perde la capacità di procurarsi reddito) natura assistenziale (assicurare all'anziano un reddito minimo di sussistenza indipendentemente dai contributi versati) natura assicurativa (operando risparmio che come una qualsiasi forma che garantisce sugli eventi - la vecchiaia) Perchè l'intervento statale (ogni individuo è libero di determinare il suo futuro - cicale o formiche) Lo Stato impone di accumulare e di risparmiare per la vecchiaia (lo Stato evita quindi di intervenire dopo) Il salario percepito dai lavoratori e risparmiato volontariamente non è sufficiente per la vecchiaia (periodi di disoccupazione o malattia hanno depauperato i risparmi) (interviene quindi l'azione di assistenza pubblica)