CONTINUITA EDUCATIVA E INTEGRAZIONE NELL ESPERIENZA DI UN PROGETTO I CARE REALIZZATO NELLA REGIONE SARDEGNA: QUALITA DELL ATTIVITA IN CLASSE E COMPORTAMENTO SOCIALE DEGLI ALUNNI CON AUTISMO. Fadda Roberta 1, Rollo Dolores 1, Farci Giuseppe 2, Giuseppina Melis 3, Campus Grazia 4, Stressa Lucia 5 1 Dipartimento di Psicologia, Università di Cagliari 2 2 circolo didattico di Quartu Sant Elena, Cagliari 3 Collaboratrice Dipartimento di Psicologia 4 circolo didattico di Quartu Sant Elena, Cagliari Nel corso dell anno scolastico 2008-09 è stato realizzato nella Regione Sardegna un iniziativa che ha fatto capo al progetto ministeriale I CARE, promossa dalla Direzione Didattica Statale del 2 e del 3 circolo e dalla Scuola Media A. Rosas di Quartu Sant Elena (CA), che ha visto la collaborazione di un equipe del Dipartimento di Psicologia dell Università di Cagliari. Negli anni precedenti, il 2 circolo di Quartu aveva già sperimentato con successo diverse iniziative per l integrazione degli alunni con Disturbo dello Spettro Autistico (Farci, 2005; Farci, 2008), che hanno preparato il terreno alla realizzazione del lavoro che ci accingiamo a descrivere. In linea con le linee guida ministeriali, il progetto ha avuto come finalità generale la promozione dell integrazione scolastica degli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, in un ottica di miglioramento della qualità della vita di questi studenti e delle loro famiglie. Il progetto si è caratterizzato per la particolare attenzione rivolta alla professionalità delle insegnanti, maturata nel corso della loro esperienza sul campo, che è stata considerata la principale risorsa per l intervento. Si è distinto inoltre per l intento di promuovere nella scuola l applicazione di pratiche di ricerca tese a stimolare una proficua integrazione tra teoria e pratica, in un ottica di cooperazione tra Scuola e Università, secondo un modello di interdipendenza positiva. Il progetto ha previsto attività sistematiche di formazione dei docenti e una ricerca-azione, finalizzata a perseguire i seguenti obiettivi per gli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo: ottimizzare gli apprendimenti tramite l applicazione di tecniche cognitivo-comportamentali e l impiego di supporti visivi; valorizzare la risorsa del gruppo classe per lo sviluppo delle abilità adattive e delle competenze sociali; ridurre i comportamenti problema, intesi come modalità disfunzionali di comunicazione, tramite l analisi funzionale del comportamento e un approccio pro-attivo.
Le attività di formazione sono state articolate in quattro incontri, di cui due nel primo semestre dell anno 2008, uno a metà anno scolastico e uno a fine anno. I primi due incontri, realizzati nel mese di Novembre 2008, hanno trattato i seguenti argomenti: i principali modelli teorici esplicativi dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo; il metodo di intervento cognitivo-comportamentale; l analisi funzionale dei comportamenti problema in classe; l uso dei supporti visivi; l insegnamento strutturato per alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo. L incontro di metà anno, svoltosi a fine Gennaio 2009, ha avuto come tema il progetto I CARE, benefici e sfide di un progetto di ricerca-azione nella scuola. L incontro finale di formazione, condotto nella prima settimana di Giugno 2009, ha invece trattato i seguenti temi: il Precision Teaching; lo sviluppo delle abilità sociali tramite le attività in piccolo gruppo per alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo. Hanno partecipato agli incontri di formazione 30 insegnanti curricolari e di sostegno, in servizio presso la scuola dell infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria. Le lezioni hanno previsto la presentazione di numerosi esempi di applicazione dei metodi illustrati e la riflessione sull esperienza dei partecipanti maturata sul campo. Le discussioni hanno dato luogo a confronti vivaci e partecipati, dai quali sono scaturite idee comuni di intervento secondo un processo di continua co-costruzione di significati. La ricerca azione, di cui illustreremo una parte dei risultati in questo lavoro, ha coinvolto 6 alunni con Diagnosi di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, così ripartiti in tre ordini di istruzione: 2 frequentanti la scuola dell infanzia (1M di 4 anni, non verbale; 1F di 6 anni, verbale); 2 frequentanti la scuola primaria (1M di 9 anni, non verbale; 1M di 7 anni, verbale); 2 frequentanti la scuola media inferiore (1M di 13 anni, verbale; 1 M di 15 anni, non verbale). All inizio dell intervento, è stato chiesto a ciascuna insegnante di predisporre una relazione descrittiva dell alunno, che potesse costituire una base-line dei punti di forza e di debolezza. L attuazione in classe è avvenuta ad opera delle insegnanti, supportate dall equipe del Dipartimento di Psicologia dell Università di Cagliari nelle diverse fasi di definizione, applicazione e valutazione. A tal fine sono stati organizzati periodici incontri di supervisione (a cadenza mensile), durante i quali sono stati definiti obiettivi osservabili e misurabili, sono state individuate specifiche modalità di insegnamento strutturato, di raccolta dei dati e di verifica dei risultati. L insegnamento strutturato è stato pensato sulla base dei principi cognitivo-comportamentali (Bijou e Baer, 1978; Neef e Iwata, 1994; Sidman e Stoddard, 1967) e della comunicazione aumentativa (Ganz, Parker, Benson, 2009). L equipe del Dipartimento di Psicologia ha proposto l utilizzo di diverse schede per la raccolta dei dati, in particolare di tipo quantitativo, e ha fornito indicazioni per la valutazione delle abilità sociali e di Teoria della Mente degli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo. Ha inoltre monitorato
l applicazione dell intervento tramite una check-list appositamente ideata, che è stata compilata dalle insegnanti durante alcuni degli incontri di supervisione. Nell applicazione in classe dell intervento, ciascun insegnante è stato affiancato da un tirocinante del Dipartimento di Psicologia o da un laureando del Corso di Laurea in Psicologia della Facoltà di Scienze della Formazione, per due volte alla settimana (2 ore al giorno). Il compito di queste figure è stato quello di coadiuvare l osservazione sistematica dei comportamenti in classe, con particolare attenzione all analisi funzionale dei comportamenti problema nonché alla raccolta dei dati relativi agli apprendimenti. Hanno inoltre applicato il metodo del Target Child (Camaioni, Bascetta, Aureli, 2001) per l osservazione dell attività e del comportamento sociale dell alunno con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo e dei suoi compagni, finalizzato a fornirne una descrizione obiettiva della condizione di integrazione all interno del gruppo classe. Nella descrizione del nostro lavoro, vogliamo in particolare sottolineare i risultati emersi dall applicazione di questo metodo, che consente fotografare la tipologia dell attività svolta in classe e il comportamento sociale, nonché di paragonarlo a quello dei loro compagni. La scelta di applicare questo metodo di osservazione all interno del nostro progetto I CARE ha preso spunto da una ricerca di Luigia Camaioni e collaboratori condotta nella scuola italiana (Camaioni, Bascetta, Aureli, 2001), che aveva evidenziato una consistente e ingiustificata frattura tra il tipo di attività e di comportamento sociale nella scuola dell infanzia e quelli presenti invece nella scuola primaria. Secondo i risultati di questa ricerca, mentre nella scuola dell infanzia tendevano a prevalere le attività espressive, ludiche e motorie e un organizzazione del lavoro in piccoli gruppi o in grande gruppo in interazione, nel passaggio alla scuola primaria questa organizzazione veniva drasticamente sovvertita, senza alcuna giustificazione di né di natura pedagogica né di natura psicologica. Infatti, sin dal primo anno della scuola primaria, le attività si connotavano maggiormente come lezioni tradizionali condotte nel gruppo classe e dirette dall insegnante. Gli autori, attraverso l analisi dei risultati dell applicazione di un curricolo sperimentale, che implementava anche nella scuola primaria i momenti di apprendimento basati sul gioco, sulla creatività e sul movimento, giunsero alla conclusione che, benché i metodi classici di insegnamento potessero offrire sicuramente agli alunni importanti occasioni di impegno intellettuale, il curricolo sperimentale fosse in grado di produrre una sorta di effetto potenziatore, ampliando la gamma di attività in cui il bambino poteva effettivamente impegnarsi ed apprendere. Per quanto riguarda la sfera del comportamento sociale, nella classi della scuola primaria in cui era stato applicato un curricolo tradizionale diminuiva notevolmente la frequenza delle attività in piccolo gruppo, mentre aumentano quelle solitarie e in grande gruppo in parallelo diretto dall insegnante. Di contro, il curricolo sperimentale tendeva a
mantenere un tipo di organizzazione sociale tipico della scuola materna, caratterizzato da attività in piccolo gruppo. Confrontando i due curricoli, è emerso che gli scambi linguistici prodotti dagli alunni erano maggiormente sviluppati laddove venivano favoriti gli scambi sociali e le occasioni di comunicazione tra pari. Se, come è stato rilevato dalla ricerca di Luigia Camaioni e collaboratori, il curricolo tradizionale tende a modificare drasticamente l organizzazione didattica e sociale adottata nel passaggio dalla scuola dell infanzia alla scuola primaria e ad inibire gli scambi sociali e linguistici via via che si avanza nei diversi livelli di istruzione, ci siamo chiesti in quale misura questa situazione viene vissuta anche dagli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, il cui principale deficit riguarda proprio la sfera sociale e comunicativa. A tal fine abbiamo valutato la qualità dell interazione sociale e dell attività svolta in classe dagli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo coinvolti nella nostra ricerca-azione, grazie all applicazione del metodo del Target Child, che ne ha consentito un osservazione controllata e una valutazione comparativa con i compagni di classe. Breve descrizione dello strumento di osservazione Target Child. Il Target Child è un metodo di osservazione diaristica controllata che consente di descrivere l attività e il comportamento sociale di un bambino bersaglio nel contesto classe. L osservazione ha una durata di 20 minuti, con unità di osservazione di 1 minuto. L osservatore registra, su apposite schede, i comportamenti e il linguaggio degli alunni, indicando anche i partner con cui essi compiono l azione. Tali comportamenti vengono successivamente codificati secondo tre dimensioni molari: l attività, il linguaggio e il comportamento sociale. A loro volta, le attività si distinguono in espressivoludico-motorie, logico-matematico-linguistiche e attività extra-curricolari (o di disimpegno, in cui il bambino non è impegnato in alcuna attività curricolare). Per quanto riguarda la dimensione del comportamento sociale, è possibile definire se il bambino si impegna in attività solitarie, in interazione diadica, in piccolo gruppo e in grande gruppo. Inoltre, è possibile rilevare se il comportamento avviene in interazione con gli altri o in parallelo e se l attività si svolge in presenza o in assenza dell insegnante. Il riferimento alle unità di tempo consente di quantificare la durata delle diverse attività e quanto a lungo un bambino si impegna in un determinato comportamento sociale. Risultati. Dall analisi dei risultati relativi al tempo dedicato dai bambini alle attività scolastiche nei diversi gradi di istruzione, abbiamo rilevato che nella scuola dell infanzia i bambini, sia con sviluppo tipico (ST) che
con autismo (AUT) si dedicano in egual misura ad attività espressivo-ludico-motorie (38% ST; 40% AUT) e logico-matematico-linguistiche (37% ST; 38% AUT). Relativamente al comportamento sociale, nella scuola dell infanzia gli alunni con sviluppo tipico hanno modo di sperimentare diverse modalità di interazione, come si evidenzia dalla distribuzione omogenea del tempo trascorso nelle diverse modalità relazionali: il 24% del tempo è dedicato ad attività solitarie, il 20% in interazioni di coppia, il 10% in piccolo gruppo e una percentuale minore in interazioni con il grande gruppo. Gli alunni con autismo hanno un comportamento sociale del tutto analogo, con la differenza che trascorrono più tempo in solitario (35% AUT; 24% ST) e in interazione diadica con l insegnante (20% AUT, 3% ST). Nella scuola primaria, coerentemente con le nostre aspettative, aumenta il tempo dedicato ad attività di tipo logico-matematico-linguistico per tutti gli alunni, arrivando al 62% per i bambini con sviluppo tipico e al 55% per quelli con autismo, mentre diminuiscono nettamente le attività di tipo espressivo-ludico-motorie per entrambi (15% ST e 10% AUT). Dal punto di vista sociale, invece, si rileva una disomogeneità importante tra le interazioni sociali degli alunni con sviluppo tipico e quelle dei bambini con autismo. Innanzitutto, c è un aumento del tempo dell alunno autistico nell interazione con l insegnante, ben il 57% con atteggiamento passivo e il 22% con atteggiamento attivo. Il 12% del tempo è dedicato ad attività solitarie. Diversa è la situazione dei bambini con sviluppo tipico, per i quali si rileva, principalmente, un aumento delle attività in grande gruppo condotte dall insegnante (30%). Quindi, mentre per i bambini con sviluppo tipico le interazioni sociali si estendono al gruppo, quelle del bambino con autismo diventano sempre più ristrette (di tipo diadico con l insegnante). Nella scuola secondaria di primo grado si assiste, invece, ad un aumento per gli alunni con autismo del tempo dedicato ad attività di tipo espressivo-ludico-motorie (68%) mentre per gli alunni con sviluppo tipico si assiste ad una diminuzione dell impegno nelle attività curricolari e ad un aumento in attività extracurricolari (52%). Se si considera il comportamento sociale, aumentano per gli alunni con autismo le attività solitarie (35%), è sempre piuttosto presente l interazione diadica con l insegnante (33%) ed aumenta quella con il piccolo gruppo con il supporto dell insegnante (20%). I ragazzi con sviluppo tipico hanno, invece, maggiori interazioni diadiche con un loro compagno (27%). Conclusione. I risultati del nostro lavoro costituiscono un interessante ritratto della condizione di integrazione e della qualità della continuità educativa degli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo. La scuola dell infanzia sembrerebbe costituire, forse per l organizzazione della giornata e
per il tipo di attività che vengono svolte, contesto ideale per l integrazione. Infatti, i profili degli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo non si discostano dai loro compagni né per quanto riguarda il tipo di attività svolta né per quanto riguarda il comportamento sociale. Nel passaggio alla scuola primaria, invece, tutti gli alunni devono fronteggiare un cambiamento importante, che consiste nella drastica e significativa riduzione delle attività espressive e ludiche a favore di un aumento delle attività tradizionali di tipo matematico e linguistico. Se sul piano didattico sembrerebbe che i bambini autistici siano abbastanza integrati nella loro classe, in quanto svolgono attività analoghe ai loro compagni, sul piano sociale una tale organizzazione delle attività riduce le opportunità di scambio e di interazione, facendo aumentare la necessità di tutoring individuale da parte dell insegnante. Questa condizione sociale si mantiene e si rafforza sino alla scuola media, dove la presenza dell insegnante si fa ancora più presente, sia nelle attività in solitario che come tutor nelle attività in gruppo. E come se il processo di integrazione presentasse, in questa particolare fase dell istruzione, un importante elemento di criticità per gli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo: inseriti in un gruppo classe che in generale si disimpegna nei confronti degli apprendimenti curricolari, per dedicare la maggior parte del tempo ai rapporti tra coetanei, gli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo occupano il loro tempo in attività espressive di tipo solitario o tutt al più in interazione con l insegnante. Sembrerebbe che, all aumentare della scolarizzazione, il prolungarsi del tempo impiegato nel grande gruppo in parallelo sotto la guida dell insegnante non favorisca lo sviluppo delle abilità sociocomunicative negli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, portandoli a livelli di ritiro e di isolamento ancora maggiori rispetto a quelli sperimentati nei livelli precedenti di istruzione. Con tutti i loro limiti, questi risultati vogliono costituire uno stimolo a ripensare il processo di integrazione secondo un ottica di continuità educativa, che sappia potenziare attraverso interventi mirati non solo gli apprendimenti ma soprattutto le abilità sociali e comunicative degli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo. In conclusione vorremo sottolineare come il progetto I CARE abbia costituito un apprezzabile occasione di incontro tra Scuola e Università, caratterizzato da un idea di cocostruzione del percorso educativo tramite un continuo confronto tra insegnanti ed esperti. Vorremo inoltre evidenziare il notevole impegno dedicato dalle insegnanti che hanno partecipato alla ricercaazione, non solo nel gestire il monitoraggio in classe ma soprattutto nel partecipare agli incontri di supervisione, durante i quali hanno generosamente messo in gioco la loro professionalità nell affrontare le complesse problematiche insite nell insegnamento rivolto agli alunni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo.
BIBLIOGRAFIA Bijou, S. W., Baer, D. M. (1978). Behavior analysis of child development. Englewood Cliffs, NJ: Prentice- Hall. Camaioni, L., Bascetta, L, Aureli, T. (2001). L osservazione del bambino nel contesto educativo. Bologna, Il Mulino. Farci, G. (2005). Per un educazione speciale dell alunno con disturbi pervasivi dello sviluppo. Autismo e disturbi dello sviluppo, vol. 3, n 1, pp. 9-22. Farci, G. (2008). Integrazione ed educazione a scuola di alunni con disturbi dello spettro autistico. Autismo e disturbi dello sviluppo, vol. 6, n 1, pp. 107-118. Ganz, J.B., Parker, R., Benson, J. (2009). Impact of the Picture Exchange Communication System: Effects on Communication and Collateral Effects on Maladaptive Behaviors. Augmentative and Alternative Communication, vol. 25 (4), pp. 250-261. Necf, N. A., & Iwata, B. A., (1994). Current research on functional analysis methodologies: An introduction. Journal of Applied Behavior Analysis, 27, 211-214. Sidman, M., Stoddard, L.T. (1967). The effectiveness of fading in programming a simultaneous form discrimination for retarded children. Journal of the Experimental Analysis of Behavior, vol. 10, pp. 3-15.