di Vincenzo Barba 1. Il testamento e il contesto famigliare



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ISTITUZIONE ESPRESSA DI EREDE SENZA DETERMINAZIONE DI QUOTA, ACCOMPAGNATA DA DIVISIONE FATTA DAL TESTATORE E ASSEGNAZIONE DI QUOTE DI UNA S.N.C. IN ASSENZA DI UNA CLAUSOLA DI CONTINUAZIONE * 1 di Vincenzo Barba SOMMARIO: 1. Il testamento e il contesto famigliare. 2. Istituzione di eredi senza determinazione di quota e istituzioni ex rebus certis. 3. Sulla divisione fatta dal testatore. 4. La disposizione testamentaria relativa alla società Gamma s.n.c. 1. Il testamento e il contesto famigliare Un testamento pubblico, come tanti, recante questo testo «Revoco ogni mia disposizione testamentaria precedente. Nomino miei eredi i miei figli, Tizio, Caia e Mevia. Assegno i miei beni come segue. La mia quota degli appartamenti di Via Agrigento, a Mevia e Caia. I box annessi, sempre a Mevia e Caia. La villa di Via Messina a Mevia e Caia. Il complesso immobiliare di Via Palermo, a Tizio. Le quote della società Alfa S.r.l. a Tizio. Le quote di mia proprietà della società Beta s.r.l. e della società Gamma s.n.c. a Tizio. Ai fini del calcolo delle quote di riserva dichiaro di aver donato a mia figlia Caia la somma di circa seicentomilioni di lire. Il rimanente mio patrimonio va diviso in parti uguali tra gli eredi. Dispongo che i fondi depositati in banca siano utilizzati per riequilibrare le quote ereditarie reintegrandole nel caso in cui le mie disposizioni comportino una lesione delle quote di riserva», è l occasione per ripensare il difficile tema della istituzione ex re certa e della divisione del testatore. La testatrice, brillante contabile, giovanissima, sposa Filano, dal matrimonio con il quale nascono, nell ordine, Tizio, Caia e Mevia. Si dedica con passione e successo all attività e alle imprese di famiglia. Fonda e costituisce le società della famiglia (Beta e Alfa s.r.l.), acquista, nel tempo, i beni che, oggi, rappresentano il patrimonio mobiliare e immobiliare della famiglia, destinandoli, talvolta, al proprio patrimonio personale e, talaltra, al patrimonio di società immobiliare (Gamma s.n.c.) costituita all uopo, dalla stessa donna. Donna autoritaria, forte, decisa, severa, piena di charme, con straordinarie capacità organizzative. Quello che oggi si direbbe un imprenditore di successo. Nelle imprese di famiglia viene coadiuvata, successivamente alla morte del marito, dall unico figlio maschio, Tizio. Il quale, appena ventiquattrenne, ancora iscritto all Università, nella quale conseguirà il diploma di laurea due anni dopo, viene subito messo a parte delle attività di impresa. È il solo dei tre germani, che, con impegno e dedizione, lavora, con successo, nelle imprese di famiglia. Le figlie partecipano poco alle attività di impresa; per lo più, se ne disinteressano. Questo, si badi, non è, né può essere considerato un romanzo affrescato di una famiglia, come tante, ma l indispensabile quadro di riferimento di questa successione a causa di morte. Unico capace di restituire intelligenza al testamento. Il quale, non è soltanto l atto, con il quale il testatore dispone delle proprie sostanze, ma, piuttosto, l atto con il quale quegli regola i proprii interessi post mortem 2. * Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente del Comitato per la valutazione scientifica. 1 Le riflessioni sono frutto di un parere reso a proposito di una scheda testamentaria di tenore analogo a quella riportata nel testo. La genesi spiega l andamento, il carattere e la sobrietà dei riferimenti di dottrina e giurisprudenza del lavoro. 2 La migliore dottrina ammonisce, infatti, sullo stretto e indissolubile legame tra testamento e sentimenti dell uomo, essendo la disposizione testamentaria, nelle sue varie e possibili configurazioni, lo strumento capace di rendere tangibili i sentimenti del de cuius. Così, G. Bonilini, Dei legati, in Comm. Schlesinger, dir. da F. D. Busnelli, Milano 2006, II ed., p. 4 s., par. 1: «Legato, e sentimenti dell uomo»; G. Bonilini, voce Legato, in Dig. Disc. priv. - sez. civ., vol. X, Torino 1993, p. 509. Sulla pluralità dei sentimenti, nel mio Le disposizioni testamentarie, in Le di- 820

Studium Iuris, 7-8/2013 Attualità e saggi Il quadro disegnato lascia intendere l assetto di interessi post mortem, che Sempronia ha inteso di realizzare. Come in un caso di scuola, di sapore moderno, ma non contemporaneo, la testatrice sceglie di lasciare al figlio, imprenditore, capace di occuparsene, i beni della impresa e le imprese di famiglia; mentre alle figlie, poco inclini e nient affatto avvezze all accounting e all amministrazione e gestione delle imprese, i beni storici e importanti della famiglia. La volontà della de cuius è certa, chiara e univoca. Questa considerazione è, vieppiù, rilevante se solo si consideri che, come ho già avuto occasione di sostenere, nell interpretazione del testamento ciò che «muta, rispetto all interpretazione della legge, all interpretazione del contratto e all interpretazione dell atto unilaterale in senso stretto, non è tanto e soltanto la dinamica del difficile rapporto tra testo e contesto, tra dato letterale e funzionale, quanto la prospettiva attraverso la quale si deve svolgere l indagine, in uno con la consapevolezza che quel testo ha, a differenza degli altri, il fragile tratto della definitiva e assoluta irripetibilità» 3. Il che impone, sempre, nella interpretazione del testamento 4, di indagare, con massimo impegno, quale sia stata la intenzione del testatore, mediante un esame globale della scheda testamentaria, mercé il ricorso anche ad indici extra-testuali 5 e avendo in considerazione la mentalità, la cultura, la condizione sociale del testatore, nonché i suoi rapporti pregressi con i soggetti menzionati nella scheda testamentaria 6. Occorre, inoltre, fare solida applicazione del principio di conservazione, perché, inteso il senso e l intelligenza dell assetto post mortem, che il testatore ha voluto imprimere alla propria successione, occorre evitare di sciupare la volontà o di rovinarne l esito nella inefficacia, se altre interpretazioni possibili e plausibili possano (rectius: debbano) trovare spazio 7. In ogni caso, poi, colto l assetto post mortem che il testatore ha inteso conferire alla propria successione, è necessario avere questo quadro sempre presente, affinché, nella interpretazione del testamento, si possa essere, da questo, costantemente, orizzontati. sposizioni testamentarie, diretto da G. Bonilini e coordinato da V. Barba, Torino 2012, p. 6 ho scritto: «Sentimenti non soltanto di affetto, riconoscenza e stima, ma anche di indifferenza, ingratitudine e riprovazione. Nell un caso, quando la disposizione testamentaria sia dettata dal genuino intento di beneficare il destinatario; nel secondo, quando sia esplicitato il disonorante motivo individuale che sorregge la disposizione stessa. Anche la disposizione testamentaria istitutiva, tipica disposizione con funzione devolutoria, acquista la capacità di onorare altre funzioni, divenendo lo strumento, attraverso il quale anche scelte attributive assumono colore soltanto in relazione a ulteriori e diverse funzioni». 3 V. il mio, Istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, in R. d. civ. 2012, II, p. 53-103, e spec. p. 56. 4 Sull interpretazione del testamento, almeno, P. Rescigno, Interpretazione del testamento, Napoli 1952. Per una sintesi R. Carleo, L interpretazione del testamento, in L interpretazione del contratto nella dottrina italiana, a cura di N. Irti, Padova 2000, p. 539 ss. e Id., L interpretazione del testamento, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, dir. da G. Bonilini, vol. II, La successione testamentaria, Milano 2009, p. 1475 ss. G. Baralis, L interpretazione del testamento, in Successioni e donazioni, a cura di Pietro Rescigno, vol. I, Padova 1994, p. 927 ss.; L. Bigliazzi Geri, La volontà nel testamento e l interpretazione, in Tratt. Rescigno, vol. VI, Successioni, Torino 1997, II ed., p. 77. 5 Tra gli altri, ammettono il ricorso ai criteri extratestuali, A. Burdese, «Institutio ex re certa» e divisione testamentaria (Sulla natura dell atto divisorio), in R. d. civ. 1986, II, p. 466; C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, Milano 1952, II ed., p. 378; P. Rescigno, Interpretazione del testamento, cit.; P. Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante elementi a esso estranei, in G. it. 1956, I, 1, c. 445 ss.; L. Mengoni, L istituzione di erede «ex certa re» secondo l art. 588, comma 2, c.c., in R. trim. d. e proc. civ. 1948, p. 759; L. Mengoni, La divisione testamentaria, Milano 1950, p. 17 s.; F. S. Azzariti-G. Martinez -Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, Padova 1973, VI ed., p. 495 s.; G. F. Basini, Lasciti di beni determinati ed istituzione di erede ex re certa, in Fam., pers. e successioni 2007, p. 245; F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, Milano 1972, p. 100 s.; S. D Andrea, La heredis institutio ex re certa, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, dir. da G. Bonilini, vol. II, La successione testamentaria, cit., p. 226 ss.; R. Carleo, L interpretazione del testamento, cit., p. 1517-1525; G. Perlingieri, La rilevanza del testo nell individuazione dell incapacità naturale di testare, in Rass. d. civ. 2005, p. 273 ss. 6 V., da ultimo, Cass. 20 dicembre 2011, n. 27773, in Notariato 2012, 2, p. 135, nella cui massima si legge: «L interpretazione del testamento, cui in linea di principio sono applicabili le regole d ermeneutica dettate dal codice in tema di contratti, con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura di atto unilaterale non recettizio del negozio mortis causa, è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca, al di là della dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell art. 1362 c.c., va individuata con riferimento ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria sulla base dell esame globale della scheda stessa e non di ciascuna singola disposizione ed, in via sussidiaria, id est ove da testo dell atto non emergano con certezza l effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione, con il ricorso ad elementi estrinseci al testamento, se pur sempre riferibili al testatore, quali la personalità, la mentalità, la cultura, la condizione sociale, l ambiente di vita, i rapporti pregressi con i soggetti menzionati nella scheda, ecc..». Nello stesso senso, citando, soltanto, le più recenti: Cass. 3 dicembre 2010, n. 24637, in Leggi d Italia professionale; Cass. 30 luglio 2004, n. 14548, ivi; Cass. 17 aprile 2001, n. 5604, ivi; Cass. 19 marzo 2001, n. 3940, in Fam. e d. 2001, p. 444; Cass. 18 settembre 1998, n. 9320, in Leggi d Italia professionale. 7 V., almeno, Cass. 17 maggio 1969, n. 1701, in Giust. civ. 1970, p. 1252. 821

Istituzione espressa di erede senza determinazione di quota Studium Iuris, 7-8/2013 2. Istituzione di eredi senza determinazione di quota e istituzioni ex rebus certis La lettura del testamento restituisce, in modo chiaro e univoco, che la testatrice non ebbe intenzione di istituire gli eredi in parti eguali. Viene scelta la via della istituzione di erede, senza determinazione di quota, affidando tale ultimo compito alle assegnazioni di beni determinati, nei quali consiste la seconda parte del testamento. La precisa istituzione di eredi senza determinazione di quota non era necessaria. Essa, però, elimina il problema che, altrimenti, avrebbero posto mere assegnazioni di beni determinati, dacché si sarebbe dovuto stabilire se esse fossero disposizioni testamentarie, che attribuivano al beneficiario la qualità di erede o di legatario, ossia se si fosse in presenza di istituzioni ex rebus certis o di legati. Ricorre heredis institutio ex certa re quando il testatore, in luogo di istituire taluno o più eredi nell universalità dei beni o in quota astratta, sia essa espressa attraverso una frazione aritmetica o attraverso una misura percentuale, provveda assegnando loro uno o più beni determinati. L ammissibilità nel nostro ordinamento della istituzione ex re certa si deve al secondo comma dell art. 588 c.c., mentre al primo è riservata la distinzione tra disposizioni a titolo universale e disposizioni a titolo particolare. Nel suo complesso, l art. 588 c.c. detta, dunque, i criteri per distinguere l una dall altra disposizione 8, ponendo la non concludenza delle espressioni o delle denominazioni usate dal testatore e affermando la rilevanza di un criterio di tipo contenutistico: se la disposizione testamentaria comprenda l universalità o una quota dei beni del testatore, è a titolo universale, altrimenti deve considerarsi a titolo particolare. In questo contesto, si inserisce, appunto, il secondo comma dell art. 588 c.c., il quale precisa che la tecnica logico-linguistica consistente nell indicazione di un bene o un complesso di beni determinato non esclude che il testatore abbia inteso assegnare quel bene o quel complesso di beni come quota del proprio patrimonio 9, ossia che la disposizione possa essere qualificata a titolo universale e non necessariamente a titolo particolare 10, come si potrebbe a prima vista pensare. Dinanzi al lascito di un bene determinato, soprattutto quando la formulazione della disposizione testamentaria non sia univoca, è, dunque, indispensabile, al fine di stabilire se essa attribuisca all onorato la qualità di erede o quella di legatario, l indagine sull intenzione del testatore 11. Testo e contesto diventano rilevanti 12. Nel caso in parola, però, non si pone un vero e proprio problema interpretativo. Che le assegnazioni contenute nella seconda parte del testamento debbano considerarsi istituzioni ex rebus certis, è fuor di dubbio. È la stessa testatrice, infatti, che, scegliendo di istituire eredi i proprii figli, Tizio, Caia e Mevia, solleva da qualunque indagine. Si direbbe, anzi, che il valore e la funzione della disposizione testamentaria recante questo testo «Nomino miei eredi i miei figli, Tizio, Caia e Mevia», non sia altro da questo. Ciò precisato, è chiaro, anche in ragione dello strumento tecnico prescelto, per la determinazione delle quote spettanti a ciascuno degli eredi, che la testatrice non intese, affatto, istituire gli eredi in quote uguali. Bensì, in quote diverse e, in particolare, nelle diverse quote che risultano dalle attribuzioni di beni determinati. In tal senso, e prima di verificare il metodo con il quale queste quote debbano essere determinate, soccorrono i seguenti argomenti testuali e sistematici. Nell incipit del testamento si legge: Nomino miei eredi i miei figli, Tizio, Caia e Mevia. La testatrice, ben si guarda dal nominare gli eredi in parti eguali o nell universalità del patrimonio. Ella si limita a istituirli eredi. Siamo, dunque, in presenza di una vera e propria istituzione sine partibus scripti. La quale acquista in straordinaria coerenza se solo si consideri che, subito dopo, provvede a una divisio inter coeheredes. Se la testatrice avesse voluto istituire i propri fi- 8 Sul punto, v. il mio Istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, cit., p. 53-103, spec. paragrafo n. 2 La norma sull interpretazione delle disposizioni testamentarie. 9 G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, in R. d. civ. 1986, I, p. 249; Id., L oggetto della disposizione testamentaria, in P. Rescigno (a cura di), Successioni e donazioni, vol. I, Padova 1994, p. 914, precisa che muta soltanto il linguaggio utilizzato dal testatore, il quale, da aritmetico ed astratto, si fa concreto e immediato. 10 Si sostiene che, nel caso di ambiguità, la disposizione debba essere considerata a titolo particolare. Così, G. Bonilini, Dei legati, in Comm. Schlesinger, dir. da F. D. Busnelli, Milano 2006, II ed., p. 39; G. F. Basini, Lasciti di beni determinati ed istituzione di erede ex re certa, in Fam., pers. e successioni 2007, p. 245. 11 Precisa L. Bigliazzi Geri, Il contenuto del testamento, in Tratt. Rescigno, VI, Successioni, Torino 1997, II ed., p. 145, che il lascito di bene determinato impone sempre di risalire alla volontà del testatore. In senso parzialmente contrario, N. Lipari, Autonomia privata e testamento, Milano 1970, p. 336. 12 In questo senso, C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, Milano 1952, II ed., p. 378. 822

Studium Iuris, 7-8/2013 Attualità e saggi gli eredi in parti eguali, ben avrebbe disposto una istituzione con determinazione specifica di quote, o una istituzione dei figli, nell universalità del patrimonio. È chiaro che alla testatrice non interessava di attribuire agli eredi una quota o altra quota, bensì assegnare ai propri figli i beni, secondo il programma, che Ella ha sempre avuto in mente: al maschio le imprese e alle femmine i beni di famiglia. La circostanza, poi, che manchi una precisa istituzione in parti eguali o in quote eguali o nell universalità dei beni, risulta ancora più significativa, se soltanto si consideri che il testamento, che regola questa successione, non è un olografo, bensì un testamento pubblico. Non si tratta di un testamento, scritto per intero, datato e sottoscritto di mano dal testatore; ovverosia un testamento, nel quale anche il testatore di buona cultura possa incorrere in errori, omissioni, imprecisioni, o gli possa sfuggire quanto sia diverso scrivere istituisco eredi i miei figli, o istituisco eredi i miei figli in parti eguali, o istituisco i miei figli eredi universali. Si tratta di un testamento pubblico. Nel quale, come è noto, il testatore, in presenza di testimoni, dichiara al notaio la sua volontà. La quale è ridotta in iscritto a cura del notaio stesso. Peritus peritorum della tecnica di redazione testamentaria. Dopo aver istituito eredi senza determinazioni di quote e assegnato i beni più importanti e rilevanti del proprio asse ereditario, la testatrice chiude le assegnazioni, esprimendo questa volontà: Il rimanente mio patrimonio va diviso in parti uguali tra gli eredi.. Il valore e l importanza della predetta disposizione testamentaria sta, tutto, nella forma verbale rimanente, la quale serve a includere tutto ciò che non ha avuto altra e diversa sorte, ma anche a escludere ciò che ha avuto una diversa sorte. Ben lungi dal voler istituire eredi in parti eguali i propri tre figli, la testatrice si limita a stabilire che va divisa in parti eguali soltanto la restante parte del patrimonio. Ossia quella minor parte, per valore e importanza, che Ella non ha, già, diversamente diviso. Inoltre, anche avendo mente alla sola struttura del testamento, non credo, affatto, di essere in torto nell affermare che tale disposizione testamentaria, al pari delle altre, con le quali assegna uno o più beni determinati, sia essa stessa una istituzione ex rebus certis. Come sceglie di assegnare la villa di Via Messina a Mevia e Caia, come sceglie di assegnare la società Beta a Tizio, così sceglie di assegnare il restante patrimonio, in parti eguali, a Tizio, Mevia e Caia. Si tratta, quindi, di un ulteriore lascito di beni determinati. Né sarebbe possibile revocare in dubbio questa affermazione, lamentando il carattere non preciso della disposizione. Dacché il criterio del rimanente è, comunque, un criterio che assolve la funzione di determinare, esattamente, i beni, che, con tale disposizione, debbono essere assegnati agli eredi. Si legge nel testamento: Ai fini del calcolo delle quote di riserva dichiaro di aver donato a mia figlia Caia la somma di circa seicentomilioni di lire. La testatrice, consapevole che la quota di eredità assegnata a Caia potrebbe essere inferiore a quella assegnata a Tizio, anche al fine di evitare o contenere il rischio di una lesione della quota di riserva spettante alla figlia, intende ribadire che alla figlia Caia ha fatta una liberalità di circa seicentomilioni di lire. Di essa si dovrà tener conto, ai fini di verificare se vi sia stata una lesione della quota di riserva spettante a Caia. Una disposizione di questo tenore, la quale parrebbe mettere capo, pur esistendo tutti i presupposti di legge per la collazione, a una collazione, impropriamente detta, volontaria, non si spiegherebbe affatto, se, davvero, l intenzione della testatrice fosse stata di istituire gli eredi in parti eguali. Rapportando il valore della donazione in parola alla consistenza complessiva dell asse patrimoniale, non v ha il minimo dubbio che, se la testatrice avesse istituito gli eredi in parti eguali, un problema di lesione non si sarebbe, certamente, posto. Si legge, nel testamento: Dispongo che i fondi depositati in banca siano utilizzati per riequilibrare le quote ereditarie reintegrandole nel caso in cui le mie disposizioni comportino una lesione delle quote di riserva. Si tratta di una disposizione testamentaria di preferenza, la quale determina una modificazione qualitativa della quota di legittima, per il caso in cui dovesse occorrere una riduzione. In caso di necessità di reintegra, la quota di legittima non sarà composta da una frazione di tutti i cespiti ereditari, bensì del bene scelto direttamente dal testatore. Una disposizione di preferenza, non avrebbe senso se la de cuius avesse voluto istituire gli eredi in parti eguali. Assume di senso, soltanto, tenendo a mente che la testatrice aveva piena consapevolezza della divergenza delle quote assegnate a ciascun erede. Aveva consapevolezza che i beni attribuiti alle figlie femmine potevano essere di valore inferiore alla quota di legittima, che la legge loro riserva. Per questa ragione, detta una disposizione di 823

Istituzione espressa di erede senza determinazione di quota Studium Iuris, 7-8/2013 preferenza, con la quale, peraltro, tenta di mettere al riparo e conservare l assetto successorio, che Ella ha disegnato. Vuole evitare che la composizione degli interessi post mortem costruita con il testamento (imprese e beni strumentali dell impresa al figlio maschio e beni di famiglia alle figlie femmine) possa venire disturbata o rovinare in fallimento. Con questa disposizione testamentaria, la testatrice null altro dice che questo: se, per effetto delle assegnazioni disposte, vi dovesse essere la lesione di una quota di legittima e dovesse occorrere la necessità di reintegrare la quota lesa, allora si utilizzino, per questa reintegrazione, i fondi depositati in banca. L utilizzo del verbo riequilibrare, del resto, non esprime il tornare in condizione di parità tra le quote, bensì il tornare in posizione di equilibrio; ossia nell equilibrio scelto dalla testatrice, mediante le istituzioni ex rebus certis. Il tenore letterale stesso della disposizione, non consente di revocare in dubbio che il riequilibrio, non è il generale riequilibrio delle quote, bensì il riequilibrio delle sole quote di riserva. Il che si coglie agevolmente, anche soltanto avendo tratto all analisi logica del periodo. Non sfugge che, tolta la frase principale, dispongo, le altre cinque proposizioni sono subordinate di I, II, III, IV e V grado. Gli è, però, che la subordinata di I grado, proposizione oggettiva, (che i fondi siano utilizzati), la subordinata di II grado, relativa (depositati in banca) e la subordinata, con valore finale, di III grado (per riequilibrare le quote ereditarie) dipendono, di necessità, dalla subordinata di V grado, condizionale, (reintegrandole nel caso in cui le mie disposizioni comportino una lesione delle quote di riserva), il cui contenuto è completato dalla subordinata di IV grado, modale, (reintegrandole). Ciò significa che il contenuto espresso nelle proposizioni subordinate di primo, secondo e terzo grado, si spiega e giustifica soltanto in relazione al contenuto di significato delle proposizioni subordinate di quinto e quarto grado. La prima delle quali, non a caso, è introdotta dal modo gerundio. Il quale esprime la modalità. E la seconda delle quali, dalla formula «nel caso in cui». La quale, come è noto, serve, proprio, per introdurre una proposizione condizionale, ossia una proposizione che indica l ipotesi da cui dipende l avverarsi di ciò che si afferma nella reggente. Essa descrive il modello di fatto, a cui tutta la disposizione testamentaria è funzionale. Anche l analisi logica del periodo suggerisce e impone che soltanto la reintegrazione è la modalità attraverso cui i fondi depositati in banca debbono, preferenzialmente, essere utilizzati. Il riequilibrio è, dunque, delle quote di riserva, le quali, ove dovessero risultare lese, debbono essere riequilibrate (ossia portate alla misura di legge) attraverso la modalità della reintegrazione. Non altro il significato che si possa logicamente attribuire a questa espressione verbale. Da tutto ciò consegue che il testamento istituisce gli eredi senza determinazione di quota, rimettendone la determinazione alle istituzioni ex rebus certis. La funzione dell istituzione ex re certa non è, infatti, tanto di apporzionamento 13, quanto di istituzione. L indicazione di beni determinati o di un complesso di beni, non serve soltanto per assegnare o distribuire i beni, ma, soprattutto, per segnare e misurare la quota 14. La circostanza che l istituzione si realizzi, poi, attraverso l indicazione di un bene determinato o un complesso di beni, non rende l attribuzione di quel bene necessaria 15, così come l assenza dei medesimi non importa l esclusione dell istituito dalla successione e così come l alienazione o la trasformazione della certa res non vale a revocare, totalmente o parzialmente, la disposizione testamentaria 16. Sulla base delle attribuzioni di beni determinati occorre determinare la misura della quota di ciascun coerede. Su tale questione, parrebbe esistere una certa concordia della dottrina, la quale segnala che l istituzione ex re certa consente di definire la misura 13 Discorre, invece, di apporzionamento, L. Mengoni, L istituzione di erede «ex certa re» secondo l art. 588, comma 2, c.c., in R. trim. d. e proc. civ. 1948, p. 742, il quale, però, chiarisce che l indicazione non limita l acquisto a quei beni. 14 Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 249, che l indicazione dei beni determinati non opera il distacco dal resto del patrimonio (delibatio hereditatis), bensì il «titolo di concretamento di una quota». 15 Intendo riferirmi al caso in cui il patrimonio di cui il de cuius dispone sia inferiore a quello esistente nel patrimonio ereditario al momento dell apertura della successione. Sul tema, più ampiamente, nel mio Istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, cit., pp. 53-103, spec. par. n. 15. 16 Così, G. Amadio, L oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 920 s.; V. Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente, Milano 1974, p. 494. In senso contrario, M. Porcari, Alienazione del bene oggetto dell «institutio ex re certa», in G. it. 1993, I, 2, c. 297 ss. e spec. C. 300, il quale non convince. Di recente, con ben altri argomenti, G. Perlingieri, Heredis institutio ex re certa, acquisto di beni non contemplati nel testamento e l art. 686 codice civile, in Studi in onore di Giovanni Gabrielli, anche in Le corti Salernitane 2010, e in R. trim d. proc. civ. 2011, p. 11 ss. 824

Studium Iuris, 7-8/2013 Attualità e saggi astratta della quota soltanto a posteriori, in base al rapporto di valore della res certa o delle res certae col tutto. Il vero nodo problematico attiene, però, all esatta determinazione del tutto 17, discutendosi se si debba aver riguardo al tutto esistente al tempo di confezione del testamento, o al tutto esistente al tempo di apertura della successione. Benché la norma, contenuta al secondo comma dell art. 588 c.c., non rechi una indicazione letterale, mi pare, contrariamente a un opinione largamente seguita, che il tutto debba essere valutato al tempo di confezione del testamento 18. Debbono, quindi, comprendersi non soltanto i beni menzionati nel testamento, purché non si tratti di beni legati, ma anche quelli di cui il testatore non abbia disposto, purché si tratti di beni noti al testatore. Il che, in termini concreti, sta a significare che deve aversi riguardo, al netto dei legati, al valore di tutti i beni, comunque esistenti al tempo della apertura della successione, a meno che non venga offerta la prova, da parte di chi ne abbia interesse, ossia da parte dell istituito ex re certa, che l esistenza di taluno di quei beni era, in quel tempo, ignota allo stesso testatore. Nel caso di specie, invece, non si pone il secondo problema che la istituzione ex re certa, comunemente, solleva. Nella generalità dei casi, infatti, ci si domanda, determinata la misura della quota, nella quale l istituito ex re certa è chiamato a succedere, quale debba essere la sorte dei beni residui, ossia dei beni di cui il de cuius non abbia disposto, o perché li abbia deliberatamente omessi, o perché essi non facevano ancóra parte del suo patrimonio, di chiarire quale debba essere la loro sorte 19. È noto che si contendono il campo numerose posizioni di dottrina, che spaziano, coprendo quasi tutti i possibili risultati intermedî, dalla tesi che vuole escludere l istituito ex re certa 20 e assegnare quei beni agli eredi legittimi 21, alla tesi che, invece, pretende di assegnare i beni all istituito ex re certa. Benché io sia fermamente convinto che, determinata la misura astratta della quota spettante all erede, quegli abbia diritto di conseguire, rispetto al complesso dei beni che costituiscono l eredità, diritti per un valore corrispondente alla quota nella quale, direttamente o indirettamente, è istituito 22, nel caso di specie il problema non si pone. Perché, a priori, la testatrice risolve la sorte dei beni residui e rimanenti, ossia dei beni diversi da quelli di cui Ella ha specificamente disposto, con una ulteriore istituzione ex rebus certis, stabilendo che «Il rimanente mio patrimonio va diviso in parti uguali tra gli eredi». Siamo, dunque, in presenza di una istituzione di eredi, mediante istituzioni ex rebus certis, la quale consentirà, soltanto, a posteriori, di stabilire, in base al rapporto tra le assegnazioni fatte a ciascuno e il tutto, la misura della quota in cui ciascuno è chiamato a succedere. Da escludere, dunque, in modo certo, che esista una istituzione in quote eguali. 17 In riferimento alla posizione di Forchielli, ripresa, per certi versi, anche da Burdese, bene osserva G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 87, che la tesi, secondo cui nei casi di istituzioni ex re certa la quantificazione a posteriori delle quote deve fare leva sulla proporzione reciproca di valore tra le diverse assegnazioni, è inaccoglibile nel caso di divisione parziale. 18 Così, chiaramente, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 250; Id., L oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 917 s. e, modificando la precedente opinione, L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 13. 19 V. Cuffaro, Art. 588, in Comm. cod. civ., dir. da E. Gabrielli, Delle successioni, vol. 2, artt. 565-712, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, Torino 2010, p. 182 ss. 20 D. Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino, s. d., ma 1951, III ed., p. 821. 21 Non si può escludere che questa tesi sia legata alla funzione che l institutio ex re certa aveva nel diritto romano, nel quale valeva a istituire il soggetto erede, mercé la formale attribuzione del titolo, ma limitava a essa l acquisto. 22 Movendo dalla premessa, difficilmente revocabile in dubbio, che l istituito ex re certa è erede, al pari dell istituito in quota espressa, credo assai difficile assegnare ai due chiamati discipline disuguali o giungere alla conclusione che le modalità di designazione possano modificare il comune e unitario statuto disciplinare dell erede (F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI, Diritto delle successioni per causa di morte, Milano 1962, IX ed., p. 47. Recentemente, G. Perlingieri, Heredis institutio ex re certa, acquisto di beni non contemplati nel testamento e l art. 686 codice civile, cit., p. 8). Il quale, pro quota, non soltanto contribuisce, salva una diversa ed espressa volontà del testatore, al pagamento dei debiti e pesi ereditarî, ma ha, altresì, diritto al riparto dell attivo (L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 15). Una volta che sia determinata la misura astratta della quota spettante all erede, quegli ha diritto di conseguire, rispetto al complesso dei beni che costituiscono l eredità, diritti per un valore corrispondente alla quota nella quale, direttamente o indirettamente, è istituito. Si discorre, al riguardo, della così detta virtù espansiva. Piena è, dunque, l adesione a G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati nel testamento, in Tratt. dir. delle successioni e delle donazioni, dir. da G. Bonilini, vol. II, La successione testamentaria, Milano 2009, p. 239 ss., il quale preferisce alla formula «forza espansiva» quella più efficace di «virtù espansiva»; Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati nel testamento, in Fam., pers. e successioni 2008, p. 538, par. 8. 825

Istituzione espressa di erede senza determinazione di quota Studium Iuris, 7-8/2013 3. Sulla divisione fatta dal testatore La lettura del testamento non lascia il mimino dubbio che lo strumento tecnico, con il quale esso è costruito, sia quello della istituzione ex re certa e della divisione fatta dal testatore. Come in un caso di scuola, ne ricorrono tutti i presupposti: una istituzione sine partibus scripti e una divisio inter liberos. La disposizione testamentaria Assegno i miei beni come segue, apre, idealmente, una seconda parte del testamento. Di lì in poi, si susseguono disposizioni, tutte, rette da questo proposito di assegnazione. Le quali servono per determinare la quota di ciascuno degli eredi e allo scopo di dividere il patrimonio, tra gli eredi, pel modo che non sorga la comunione ereditaria (la quale, almeno, limitatamente ai beni divisi, è preclusa ed esclusa). La testatrice, che, certamente, conosceva ogni singolo bene del proprio patrimonio e il valore di ciascuno, sceglie di non stabilire, a priori, la quota dell uno o dell altro. Ne affida il compito alle attribuzioni di beni determinati, che sole consentono la perfetta e piena realizzazione degli interessi mortis causa, che Ella ha inteso costruire: lasciare l impresa e i beni strumentali al figlio maschio e i beni di famiglia alle figlie femmine. Le assegnazioni contenute nel testamento nulla hanno a che vedere con disposizioni sulla divisione; sono autentiche disposizioni di divisione. Con formula meno elegante, non sono assegni divisionali semplici, bensì assegni divisionali qualificati. Nel caso di specie, la testatrice non si è limitata a dettare criteri e metodi attraverso i quali la divisione deve compiersi 23, ma separa e divide tra i figli 24. Lo stesso impiego dell espressione verbale assegno, che regge tutte le disposizioni attributive, è un preciso e univoco indice di questa volontà. Or non è poco, infatti, che la migliore dottrina ammonisca sul valore sintomatico di tale formula verbale. Perché la assegnazione implica la immediata e diretta attribuzione; non una mera regola sulla divisione. Tutto ciò senza tralasciare di considerare che la testatrice, non avendo fatta espressa indicazione delle porzioni, per definizione, non potrebbe aver considerato queste assegnazioni norme sulla divisione. Dacché, è noto, le norme sulla divisione presuppongono, di necessità, la determinazione preventiva delle quote. Determinazione preventiva che, nel caso di specie, non soltanto manca, ma è, addirittura, affidata proprio alle assegnazioniattribuzioni divisorie. Mancando una determinazione delle quote, non si possono dare norme sulla divisione. Sul tema, non sarebbe neppure necessario insistere, se soltanto si consideri che la migliore dottrina non dubita che, in un caso del genere, si tratti di divisione fatta dal testatore e che, anche di recente, la giurisprudenza di legittimità si è espressa in questo senso 25. Le disposizioni testamentarie di assegnazione in parola, come accade nei casi di divisio inter liberos sine partibus scripti, assolvono, dunque, una duplice funzione. Servono per determinare la quota in cui ciascuno deve succedere e per dividere tra gli eredi il patrimonio, evitando, ab origine, che si costituisca la comunione ereditaria. Poiché nel caso di specie siamo in presenza di una divisione oggettivamente (la testatrice dispone di tutti i suoi beni) e soggettivamente (assegna beni a tutti gli eredi) totale, si deve escludere, in radice, che il valore dei beni possa non corrispon- 23 Scrive, al riguardo, L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 31, il testatore si limita a modificare la par condicio heredum, attribuendo a uno o più di essi la preferenza nell aggiudicazione di certi beni. Anche G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, in G. it. 1975, IV, p. 108, la quale discorre di preferenza nell aggiudicazione. 24 G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 254; Id., La divisione del testatore, cit., p. 76, definisce la divisione fatta dal testatore come un organico regolamento negoziale «sorretto e qualificato dall unitario scopo distributivo, ed attuato tramite un complesso di assegnazioni funzionalmente collegate e capaci di immediata e reale efficacia dal momento dell apertura della successione». Già L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 81, tra le disposizioni esiste un «nesso di reciproca subordinazione funzionale in vista di una causa unica: la distribuzione (per quote) di una massa patrimoniale». Precisa l a. a p. 69 che la divisione non può mettere capo a legati, ma ad attribuzioni a titolo universale. 25 Almeno, Cass. 14 luglio 2011, n. 15501, in Leggi d Italia Professionale, la cui massima recita: «Quando il testatore provvede alla ripartizione in quote tra gli eredi del suo patrimonio immobiliare, individuando i beni destinati a far parte di ciascuna di esse, non si configura l ipotesi della cosiddetta divisione regolata (art. 733 cod. civ.), che ricorre se il de cuius si limita a dettare norme per la formazione delle porzioni nello scioglimento della comunione ereditaria, in previsione del sorgere di tale status per effetto dell apertura della successione, bensì si verte in tema di cosiddetta divisio inter liberos (art. 734 cod. civ.), ossia di divisione fatta dal testatore attraverso la specificazione dei beni destinati a far parte di ciascuna quota, che, avendo effetto attributivo diretto dei beni al momento dell apertura della successione, impedisce il sorgere della comunione ereditaria ed il conseguente compimento di operazioni divisionali. Ne consegue che l erede escluso dall assegnazione del cespite cui si riferisce la controversia nel corso della quale si è verificato il decesso del dante causa versa in una situazione di carenza di legittimazione passiva per estraneità all oggetto del giudizio». 826

Studium Iuris, 7-8/2013 Attualità e saggi dere alle quote stabilite dal testatore, o che la divisione possa essere rescindibile 26, dal momento che la misura delle quote è data, nel caso di specie, proprio dal rapporto di valore delle certae res indicate e assegnate a ciascuno degli istituiti, rispetto al tutto. Ne deriva, pertanto, che, in un ipotesi come quella di specie, non potendosi mai farsi questione di divisione soggettivamente parziale, possono porsi soltanto problemi legati alla consistenza della massa, allorquando essa sia diversa da quella esistente al tempo della confezione del testamento. Gli è, però, che, nel caso di specie, neppure questo problema ha ragione di porsi. Dacché la massa da dividere è esattamente corrispondente, per valore e consistenza, a quella esistente e nota al momento della confezione del testamento. Come in un caso di scuola, il patrimonio dell ereditanda è identico al tempo della confezione del testamento e al tempo dell apertura della successione. Ne deriva che la istituzione ex re certa riesce perfettamente ad assolvere anche la funzione distributiva. Il caso, dunque, non pone problemi. Si tratta, soltanto, di misurare il valore delle certae res in rapporto al tutto, al fine di individuare la misura delle quote di ciascuno. Nelle quali, stante la corrispondenza tra massa da dividere e massa divisa dal testatore, saranno esattamente compresi i beni assegnati come quota, con ovvia conseguenza che, tra i coeredi, non sorgerà alcuna comunione ereditaria 27. Il caso di specie è riducibile in questa esemplificazione. La testatrice è titolare, al tempo della confezione del testamento e al tempo dell apertura della successione dei beni 1, 2, 3 e 4, (ognuno dei quali vale 20). Il testamento reca tale testo: «Istituisco eredi A, B e C. Lascio ad A il bene 1, a B il bene 2 e a C i beni 3 e 4». Non v ha dubbio che A e B sono eredi per 1/4 ciascuno e che C è erede per 1/2, al pari di come non v ha dubbio che non v è comunione ereditaria, risultando A titolare del bene 1, B del bene 2 e C dei beni 3 e 4. 26 Cfr. G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 258, p. 261 e p. 264. Nell ultima si legge: «la coincidenza strutturale tra apporzionamento e disposizione istituiva esclude l operatività [...] dell art. 735 c.c., così la proporzionalità in re ipsa tra quota e porzione rende inapplicabile il rimedio rescissorio». 27 V. il mio, Istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, cit., p. 98 s. Le assegnazioni fatte dalla testatrice incarnano una vera e propria divisione fatta dal testatore. La quale, nel caso di specie, in cui la consistenza del patrimonio è esattamente corrispondente al tempo di confezione del testamento e al tempo di apertura delle successioni, consentono di essere facilmente attuate, realizzando una piena e semplice divisione dei beni tra gli eredi. I quali saranno in comunione ordinaria soltanto limitatamente a quei beni che risultino assegnati a più d uno di loro. 4. La disposizione testamentaria relativa alla società Gamma s.n.c. Sebbene dalla lettura dell atto costitutivo-statuto della società Gamma s.n.c. non sia possibile rinvenire una clausola di continuazione, non per questo è possibile affermare la nullità della disposizione testamentaria in parola. Militano in questa direzione numerosi argomenti. In primo luogo, deve considerarsi che l esistenza di una clausola di continuazione, la quale consente efficacia alla disposizione testamentaria di trasferimento delle quote di una società di persone, rileva non già al momento in cui viene confezionato il testamento, bensì in quello di apertura della successione. La circostanza che una tale clausola non sia inserita nello statuto al momento in cui il testamento viene confezionato, non consente di escludere, però, che la clausola possa essere inserita in un momento successivo ed esistere al momento dell apertura della successione. Ben potrebbe darsi, dunque, che il testatore intenda far testamento e assegnare la propria quota a un soggetto, piuttosto che a un altro, riservandosi in un tempo successivo di modificare lo statuto della società e di prevedere una clausola di continuazione. Sotto un diverso profilo, poi, la nullità della predetta disposizione testamentaria sarebbe difficile da cogliere anche avendo riguardo alle possibili cause della nullità. Dacché, nel caso di specie, nessuna di esse ricorre. Non una nullità virtuale. Dal momento che non esiste una norma imperativa il cui contenuto sia contrario alla disposizione testamentaria. Tale, infatti, non può essere la norma di cui all art. 2284 cod. civ. La quale, all esatto contrario, ha un carattere meramente dispositivo, alla guisa che consente alle parti di dare una regola diversa. Non una nullità testuale. Dal momento che 827

Istituzione espressa di erede senza determinazione di quota Studium Iuris, 7-8/2013 non esiste alcuna norma che commini specificamente la nullità di questa disposizione testamentaria. Non una nullità strutturale. Dal momento che la disposizione testamentaria, da un punto di vista formale, è certamente conforme alle prescrizioni di forma e alle formalità chieste per la sua validità. Ne deriva, dunque, che non esistono i margini per poter declinare la nullità della disposizione testamentaria. La quale, in assenza di una clausola di continuazione inserita nell atto costitutivo o nello statuto della società, è e deve essere considerata, soltanto, inefficace; ovverosia, inidonea a produrre il suo effetto. Essa, però, non può essere priva di qualunque valore. Come è noto, la materia della interpretazione del testamento, di là dell esistenza di singole norme di interpretazione e sull interpretazione proprie del diritto ereditario, è, principalmente, retta dalle norme sulla interpretazione del contratto. Tra tutte, però, è stato autorevolmente insegnato, deve assumere una rilevanza particolare la norma che pone il criterio di conservazione. Considerando, infatti, che il testamento, a differenza del testo di qualunque altro negozio giuridico inter vivos, ha il «fragile tratto della definitiva e assoluta irripetibilità», il criterio della conservazione deve acquistare una rilevanza preponderante. Prima, dunque, di poter affermare che una disposizione testamentaria non abbia effetto (ossia sia inefficace), è necessario verificare, sperimentando tutte le possibili soluzioni ermeneutiche possibili e plausibili, se essa non possa essere intesa in altro senso, nel quale possa avere qualche effetto. La Suprema Corte di Cassazione ha insegnato, e continua a insegnare 28, che «nella ricerca della volontà del testatore il favor testamenti, cioè il principio di conservazione, fa sì che qualora un testamento o una clausola testamentaria ammetta due interpretazioni, delle quali l una importerebbe la sua nullità totale o parziale, debba essere preferita quella interpretazione che evita tale nullità e consente alla volontà testamentaria di avere pratica e concreta attuazione». Prima, dunque, di affermare la totale inefficacia della predetta disposizione testamentaria, deve verificarsi, anche avuto riguardo all assetto di interessi post mortem, che la testatrice ha inteso imprimere alla propria successione, se non sia possibile attribuire alla disposizione un altro senso. Ebbene, proprio questo tentativo, mi pare che debba condurre verso una soluzione diversa dalla inefficacia. Non credo sia revocabile in dubbio che la testatrice, con la predetta disposizione testamentaria, abbia inteso beneficare, esclusivamente, il figlio Tizio attribuendogli anche le quote di Gamma s.n.c. Si potrebbe, infatti, pensare che la testatrice avrebbe sperato di modificare lo statuto sociale, o, ancora, che Ella sperava e si attendeva che, alla sua morte, l altra socia di Gamma, all 1% (socia di minoranza), la Signora Caia, avrebbe scelto, a norma dell art. 2284 c.c., di continuare la società con l erede, Tizio, al quale la testatrice aveva lasciato il 99% delle quote (ossia la maggioranza piena delle quote). Ciò precisato, è noto che, nel caso di successione mortis causa relativa a quote di società di persone, in difetto della volontà degli altri soci di continuare la società con gli eredi (difetto di volontà che è esistito nel caso di specie), in difetto di una clausola di continuazione contenuta nell atto costitutivo (difetto dato nel caso di specie), l erede ha diritto alla liquidazione della quota. Ebbene, se considero questi rilievi, in uno con la chiara, unica e precisa volontà della testatrice, allora ne viene che, proprio l applicazione del principio di conservazione, ossia l applicazione delle norme fondamentali sull interpretazione del testamento, suggerisce e quasi impone, non già di considerare questa disposizione testamentaria inefficace, bensì di considerare questa disposizio- 28 Così, Cass. 17 maggio 1969, n. 1701, in Giust. civ. 1970, p. 1252. Nello stesso senso, senza tratto di novità o aggiunte di rilievo, Cass. 21 gennaio 1985, n. 207, in R. Notar. 1985, p. 487, la cui massima stabilisce: «Per la individuazione della volontà del testatore, che prevale sulle espressioni usate, vanno utilizzate le regole ermeneutiche dettate dal codice, con gli adattamenti imposti dalla natura di negozio unilaterale non recettizio del testamento, e anche i mezzi sussidiari di interpretazione per fugare i dubbi nelle dichiarazioni formulate in modo impreciso, al fine di ricercare con il necessario approfondimento l effettiva volontà del disponente, senza escludere il principio della conservazione sancito dall art. 1367 c.c., che fornisce un utile criterio per riconoscere fra i diversi effetti ipotizzabili quello meglio rispondente alla funzione, sempre nel rispetto della volontà manifestata dal testatore»; Cass. 18 settembre 1998, n. 9320, in F. it. 1998, c. 1, la cui massima recita: «In tema di interpretazione del testamento, l interprete è tenuto a valorizzare tutti gli elementi di carattere testuale ed extratestuale che valgono comunque a chiarire quale sia stata la effettiva volontà del testatore, con possibilità di attribuire alle parole della scheda testamentaria un significato diverso da quello letterale, assicurando, per quanto è possibile, la conservazione dei relativi effetti e privilegiando, quindi, nei casi dubbi, a salvaguardia del favor testamenti l interpretazione che conduca ad un siffatto risultato»; anche Cass. 21 febbraio 2007, n. 4022, in Fam., pers. e successioni 2007, 6, p. 550. 828

Studium Iuris, 7-8/2013 Attualità e saggi ne efficace, come se, con essa, la testatrice avesse inteso lasciare al solo figlio Tizio, il diritto alla liquidazione della propria quota. Questa, almeno a me, sembra la soluzione più coerente con la intenzione della testatrice e l unica in grado di intendere la disposizione in modo che essa possa avere un qualche effetto. In aggiunta a questo argomento, deve osservarsi che, diversamente opinando, si giungerebbe a un risultato, davvero paradossale. Qualora si ipotizzasse che la disposizione testamentaria, con la quale il de cuius, in assenza di una clausola di continuazione, attribuisse la titolarità delle quote a taluno, fosse totalmente inefficace e non valesse, neppure, ad attribuire a quel determinato e preciso erede, individuato nella disposizione testamentaria, il diritto alla liquidazione della quota, si violerebbe non soltanto la intenzione del testatore, ma si finirebbe, soprattutto, con il rimettere l efficacia della disposizione medesima all arbitrio, mero, di un terzo. Infatti, qualora gli altri soci della società, proprio a mente dell art. 2284 c.c., pur in assenza di una clausola di continuazione, decidessero di voler continuare la società con l erede, in sostanza attribuirebbero efficacia piena alla disposizione testamentaria, consentendo che l erede, specificamente individuato dal testatore, possa succedere nelle quote assegnategli con la disposizione testamentaria. Diversamente, ove gli altri soci, come è accaduto nel caso di specie, rifiutassero di continuare la società con l erede, la disposizione testamentaria sarebbe totalmente inefficace. Perché se, da un lato, è vero, che gli altri soci avrebbero l obbligo di liquidare la quota, è anche vero che, posta la inefficacia totale della disposizione testamentaria, il diritto alla liquidazione spetterebbe non già al solo soggetto, scelto e designato dal de cuius con la disposizione testamentaria, bensì a tutti gli eredi. Ciò significa che il diritto alla liquidazione non spetterebbe a colui che il testatore ha indicato, ma agli eredi, complessivamente intesi, e in proporzione alle quote nelle quali ciascuno è chiamato a succedere. Tale problema non si pone, come è ovvio, nel caso in cui il designato a succedere nelle quote societarie sia l unico erede del de cuius, mentre si pone, con la forza dell evidenza, nel caso, come quello di specie, in cui non sia l unico erede. In definitiva, a escludere che la disposizione testamentaria in parola, ove inefficace per difetto di una clausola di continuazione, non debba intendersi nel senso che, con essa, il testatore abbia inteso attribuire al designato, e soltanto a quegli, il diritto alla liquidazione della quota, renderebbe irrazionale ogni interpretazione del testamento e, soprattutto, la medesima esposta al mero arbitrio degli altri soci della società. Il che rovina il risultato ermeneutico in una sorta di paradosso logico, nel quale la efficacia della disposizione testamentaria finisce con il dipendere, non più dalla volontà dell ereditando, bensì dalla volontà di terzi. I soci, a seconda che decidano di continuare la società con l erede, o di liquidare la quota agli eredi, finirebbero, con tale loro arbitraria e libera decisione, per attribuire piena efficacia (nel senso di continuare la società con l erede designato, che succederebbe nella titolarità delle quote) o negare ogni valore (perché il diritto alla liquidazione non spetterebbe al solo designato, bensì a tutti gli eredi) alla disposizione medesima. Non mi pare, dunque, che si possa dare alla disposizione testamentaria in parola altro senso che quello prospettato: essa, ove sia incapace di attribuire al designato la titolarità delle quote, deve attribuire al designato, e soltanto a quello, il diritto alla liquidazione della quota. Nell ipotesi, la quale a me poco convince, in cui non si dovesse, comunque e nonostante questi rilievi, reputare efficace la disposizione testamentaria in parola, un ulteriore osservazione deve essere svolta. Il diritto alla liquidazione delle quote della de cuius non potrebbe essere ripartito tra gli eredi in parti eguali, assumendo che ciascuno abbia diritto a 1/3 della liquidazione. A ciò osta la struttura e la logica del testamento. Il quale, ben lungi dall istituire i tre figli in quote eguali, istituisce eredi i tre figli in quote diverse e, in particolare, nella misura che risulta dalle assegnazioni dei beni fatte a ciascuno. Ne deriva, di necessità, che il diritto alla liquidazione alla quota della società Gamma spetterà ai tre eredi non già in parti eguali, bensì nella misura e nella quota in cui ciascuno dei figli è chiamato a succedere, ex art. 588, comma 2, c.c. Sotto un diverso profilo, poi, non sarebbe plausibile affermare o sostenere che la inefficacia della disposizione testamentaria determini che il diritto alla liquidazione della quota debba essere diviso in parti eguali, perché si espande, rispetto a tale diritto, l efficacia della disposizione testamentaria, che si occupa dei beni residui («Il rimanente mio patrimonio va diviso in parti uguali tra gli eredi»). Tale disposizione, infatti, avendo tratto ai beni residui, non può, per definizione, aver tratto alla 829

Istituzione espressa di erede senza determinazione di quota Studium Iuris, 7-8/2013 liquidazione della quota della società. Perché, rispetto alla società, seppure con una disposizione testamentaria inefficace, la testatrice ha specificamente disposto. La disposizione testamentaria, dunque, non è inefficace, ma deve considerarsi come disposizione testamentaria con la quale la testatrice attribuisce al figlio Tizio il diritto alla liquidazione della quota sociale, che fu della de cuius. In alternativa e subordine, il diritto alla liquidazione della quota spetta agli eredi in misura proporzionale alla quota che a ciascuno è stata assegnata e attribuita. 830