Carlo GALIMBERTI 1. Dipartimento di Psicologia Università Cattolica di Milano



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Cultura della formazione e formazione della cultura in materia di sicurezza sul lavoro. Rilevanza della dimensione comunicativa nella formazione alla sicurezza (I) Carlo GALIMBERTI 1 Dipartimento di Psicologia Università Cattolica di Milano L articolo è stato pubblicato con il titolo La dimensione comunicativa nella formazione alla sicurezza (I) in Igiene & Sicurezza del Lavoro, n.11, 2002, pp.591-600. Premessa La riflessione teorica sul fare formazione ha portato in questi ultimi anni a riconoscere un intreccio strutturale tra formazione e dimensione culturale, intendendo quest ultima sia in senso generale come orizzonte dell esperienza umana, sia in riferimento alla cultura delle organizzazioni all interno delle quali viene posta in essere l azione formativa (Kaneklin, Scaratti, 1998). Tale intreccio presenta una duplice valenza: da un lato conduce a prendere atto dell impossibilità di mettere in atto processi di crescita della conoscenza e di appropriazione adeguata di tale conoscenza da parte dei soggetti che vi partecipano a prescindere dai contesti in cui essi sono posti in essere. E ciò equivale ad affermare che i processi formativi sono contesto-sensibili, come ha dimostrato Weick sottolineando la strutturale valenza conoscitiva rappresentata dalle azioni localmente situate (Weick, 1995). D altro canto, l azione formativa genera cultura, stabilendo continue connessioni tra i processi di pensiero che essa attiva negli individui e nei gruppi e le cornici 1 Carlo Galimberti è professore straordinario di Psicologia sociale e Psicologia delle comunicazioni sociali all Università Cattolica di Milano. Presso la stessa Università è coordinatore delle attività di LICENT (Laboratorio di Interazione Comunicativa e Nuove Tecnologie).

organizzative all interno delle quali i soggetti si muovono. Pur presentandosi sotto le forme di una temporanea sospensione dell azione trasformativa (Carli, Paniccia, 1981), la formazione non cessa mai di configurarsi come un insieme di atti interpretativi delle operazioni che i soggetti realizzano abitualmente partecipando al processo produttivo. In questo senso, come hanno rilevato Kaneklin e Scaratti, non si può parlare di formazione al di fuori del riconoscimento della sua connessione a processi di pensiero e di elaborazione, verso un ipotesi di apprendimento dall esperienza come valorizzazione dei contesti e delle situazioni operative all interno delle quali i soggetti si trovano a costruire il loro rapporto con la realtà e la loro storia professionale e lavorativa (Kaneklin, Scaratti, 1998). Fare formazione, e soprattutto formazione alla sicurezza, significa quindi elaborare cultura a partire e attraverso la cultura esistente, facendo i conti con i contesti organizzativi, i processi di produzione, le norme scritte e non che li governano, i linguaggi, i modi del pensiero e le modalità di percezione e rappresentazione del rischio che caratterizzano le organizzazioni in cui ci si trova ad agire. La produzione di narrazioni e conversazioni sull esperienza lavorativa, con particolare riferimento alle difficoltà a ragionare di sicurezza facendone oggetto di discorso con i colleghi, diviene allora una modalità diretta ed efficace per mettere in contatto i partecipanti alla formazione con il proprio modo di rapportarsi con i rischi che caratterizzano l attività lavorativa in cui sono coinvolti. E questo è un buon inizio in vista dell avvio di processi di pensiero e di complessi di azioni tesi a configurare nuovi scenari organizzativi sempre più sintonici rispetto alla normativa e alle regole del ben lavorare. Con questo lavoro che riprende un precedente intervento pubblicato su i corsi - vorremmo aprire uno spazio di riflessione a proposito della rilevanza dei processi comunicativi nella formazione alla sicurezza, individuando le premesse teorico-metodologiche di un intervento formativo in materia di comunicazione della sicurezza sul lavoro. Si tratta quindi di un lavoro preparatorio a una discussione più attenta alla dimensione operativa che darà luogo a un successivo articolo 2 dedicato alle tecniche di intervento formativo in questo settore con individui, piccoli gruppi ed organizzazioni. 2 Tale articolo avrà come titolo Cultura della formazione e formazione della cultura in materia di sicurezza sul lavoro. 2. Tecniche di intervento con individui, piccoli gruppi e organizzazioni. 2

Rilevanza dei processi comunicativi nella vita dell organizzazione L esperienza professionale, così come la riflessione teorica sul fare formazione (Bruscaglione, 1991; Capranico, Kaneklin, Olivetti Manoukian, 1990; Scaratti, Kaneklin, 1998) documentano l inevitabilità di un confronto continuo del formatore con eventi di carattere comunicativo e materiali di natura discorsiva che si manifestano in forma sia orale, sia scritta. La vita dei gruppi e delle organizzazioni si esprime infatti attraverso testi, narrazioni e conversazioni che, in presa diretta o nella forma di documenti depositati su supporto cartaceo, magnetico o digitale, restituiscono in modo fedele la trama dell interazione sociale. I processi di apprendimento, come tutte le attività cognitive, implicano l uso della lingua (Trognon, 1992); la comunicazione, d altra parte, costituisce la forma elettiva di manifestazione dell interazione sociale (Marc, Picard, 1989). Poiché la formazione è attualemente intesa soprattutto come un processo interattivo e negoziale di costruzione della conoscenza (Scaratti, 1998) possibile unicamente grazie all azione congiunta di tutti i soggetti che vi sono coinvolti, appare evidente il ruolo centrale che in essa viene ad assumere un adeguata gestione della dimensione comunicativa. Le attività formative non possono quindi fare a meno di utilizzare i materiali attraverso i quali si manifesta l interazione comunicativa, primi fra tutti testi e conversazioni, in vista sia della strutturazione del setting di lavoro, sia nella loro qualità di situazioni esperienziali le conversazioni - e di oggetti i testi privilegiati in rapporti ai quali fare avanzare nell apprendimento i destinatari della formazione. In quanto strumenti di lavoro e oggetti di analisi i materiali di natura comunicativa costituiscono quindi oggetti preziosi e pressochè inesauribili per le analisi più disparate e, contemporaneamente, i luoghi/ambiti privilegiati per la messa inatto dei processi di apprendimento (Galimberti, Scaratti, 1998). Quando poi oggetto di apprendimento sono proprio abilità di natura comunicativa e nel caso della formazione alla sicurezza ciò avviene spesso il saper maneggiare materiali di tale natura diviene addirittura obiettivo esplicito della formazione stessa. Valutare correttamente la natura di un testo, analizzare le componenti di un documento, cogliere in modo adeguato i processi di tematizzazione e la gestione dell interazione che caratterizzano una riunione, ad esempio, costituiscono abilità di cui un formatore non può fare a meno nel proprio lavoro, dalla fase di analisi della richiesta, alla progettazione, alla realizzazione fino alla valutazione di un intervento formativo. Analogamente, tutte queste skill devono comparire tra gli obiettivi dei corsi che egli organizza e gestisce, qualunque sia la figura cui essi sono rivolti, dall RSPP all RLS, dal preposto alla sicurezza al semplice operatore di base. Come abbiamo avuto modo di osservare in un altra occasione la realizzazione, la fruizione e l analisi di produzioni di scorsive scritte o oralinrichiedono competenze 3

e abilità specifiche in relazione sia alle dinamiche comunicative in senso stretto, sia al contesto sociale in cui esse hanno luogo. Il possesso di una buona competenza comunicativa e di un adeguato repertorio di metodi e tecniche di analisi assume quindi notevole importanza (Galimberti, Scaratti, 1998). In questo senso la formazione dei formatori alla sicurezza deve diventare un occasione di affinamento di capacità di pensiero, di elaborazione e progettazione, un occasione di sviluppo di competenze comunicative specifiche della professione del formatore e di miglioramento della sua capacità di comprensione delle interazioni e delle culture organizzative. Nel corso di questo lavoro cercheremo di mettere a fuoco innanzitutto le coordinate di un modello di descrizione dei processi comunicativi adeguato alla comprensione dei processi formativi così come li abbiamo intesi fin qui. Sulla scorta di tale modello punteremo poi a una discussione della rilevanza della dimensione comunicativa nella gestione di un percorso formativo su tematiche attinenti alla sicurezza. In particolare vorremmo fare emergere l importanza di un passaggio dall idea che comunicare significhi essenzialmente codificare e decodificare messaggi e informazioni alla posizione secondo cui comunicare è produrre e interpretare segni indiziari o indici strutturati articolando il processo di codifica/decodifica con l esercizio di inferenze fondate nell interazione sociale. Per fare ciò proporremo un approccio pragmatico-inferenziale-aperto dell interazione comunicativa (Galimberti, Scaratti, 1998). Pragmatico perché riguarda le dinamiche di interpretazione e di intercomprensione che hanno luogo tra i soggetti che partecipano a eventi comunicativi (cosa, come si interpreta dell interlocutore; cosa, come si comprende), ma soprattutto perché si deve prestare attenzione alle conseguenze prodotte. Inferenziale perché connesso agli indici e alle regole che rendono possibile il riconoscimento degli effetti che gli enunciati hanno sugli interlocutori, in base al riconoscimento delle reciproche intenzioni comunicative. Aperto poiché si basa sulla impossibilità di prevedere con certezza gli esiti di ogni scambio comunicativo, oltre che il significato di ogni singolo intervento. Prendiamo ora in considerazione il percorso storico attraverso il quale è possibile fare emergere un modello di descrizione dei processi comunicativi adeguato alle esigenze di chi lavora nella formazione. 4

Dal modello del codice alla co-costruzione dei processi comunicativi Le ricerche condotte in ambito psicosociale nel corso degli ultimi decenni hanno rivelato la presenza di un intreccio stretto tra comunicazione e interazione (Marc e Picard, 1989). Tale intreccio è dovuto al fatto che, quasi sempre, l'interazione sociale si manifesta assumendo le forme della comunicazione. Certo, è possibile trovare delle situazioni in cui ci sia interazione senza comunicazione apparente. Pensiamo, ad esempio, a due persone che, senza conoscersi, si incrociano su di un sentiero di campagna: ciascuno dei due percepisce il volto dell'altro e tale percezione influirà sul loro comportamento dando vita ad una forma elementare di interazione (Marc e Picard, 1989). Tuttavia, nella maggior parte dei casi le interazioni tra due o più individui si realizzano attraverso una comunicazione e, generalmente, attraverso uno scambio di parole. Ma cosa significa, in questa prospettiva, comunicare? Per chi, come i lettori di questo articolo, si trova spesso impegnato a fare formazione utilizzando una pluralità di strumenti e modalità di comunicazione lavorando su contenuti che hanno a che fare con la sicurezza, si tratta di un interrogativo cruciale. Dalla risposta a questo interrogativo dipendono le metodologie e le tecniche da utilizzare per la costruzione e l animazione del setting formativo: riunioni, gruppi, esercitazioni, conversazioni progettate e gestite secondo un progetto preciso e coerente. Nel corso degli ultimi cinquant anni tale interrogativo ha ricevuto una pluraltà di risposte che ha generato stili formativi differenti, tutt ora correnti e praticati, cui ci si ispira in modo più o meno consapevole, ignorandone spesso i presupposti con la conseguenza di non saperne valutare appieno le caratteristiche e di ignorarne le specificità. La prima parte di questo lavoro sarà appunto dedicata alla discussione degli elementi base che caratterizzano i modelli che sono stati utilizzati per descrivere i processi comunicativi cui ci si riferisce nel lavoro formativo. Obiettivo di questa indagine sarà la messa a punto di un approccio in grado di rispondere alle esigenze di chi lavora con obiettivi formativi all nterno del settore della sicurezza. Il primo passo in questo senso non può che essere una riflessione sui significati attribuiti al concetto stesso di comunicazione. Per alcuni comunicare significa essenzialmente trasferire informazioni o credenze da un soggetto al/ai proprio/i interlocutore/i. Per altri il linguaggio verbale non è solo trasmissione di informazioni, ma soprattutto elaborazione e condivisione di significati all'interno di un contesto dotato di senso. Altri ancora sottolineano la natura psicologica del processo comunicativo: la ricezione di un messaggio non coincide certo con la sua registrazione passiva; al contrario essa è resa possibile dall'adozione di un atteggiamento attivo di ascolto in cui intervengono molteplici fattori - di ordine neuropsicologico, disposizionale, sociale, ecc. - che ne determinano l'interpretazione finale. Attualmente si tende a considerare la comunicazione sempre 5

meno come un processo lineare fondato sull'alternanza delle attività di un'entità emittente e di un'entità ricevente, rappresentandola invece come un evento interattivo in cui gli interlocutori occupano prevalentemente ora l'una, ora l'altra posizione, collaborando alla produzione dei significati nel rispetto di norme e regole sia di natura generale, sia di carattere situazionale. Dalla comunicazione come trasferimento di informazioni da una mente all'altra in conseguenza di un processo di codifica e decodifica realizzato attraverso l'alternanza di due o più soggetti ora attivi, ora passivi si è giunti all idea di comunicazione come relazione sociale, risultato di un'attività congiunta di produzione di significati condotta dagli interlocutori in una prospettiva dialogicoconversazionale. Per capire meglio le ragioni di questo mutamento di prospettiva e del progressivo spostamento di interesse dalla comunicazione alla conversazione che ne deriva, mi sembra opportuno riflettere sulle caratteristiche attribuibili al linguagio verbale orale che qui trattiamo con particolare attenzione data la sua preponderanza almeno in termini quantitativi nelle comunicazioni quotidiane - considerandolo come esempio dei diversi moduli verbale, paraverbale, non-verbale e prossemico che comunque compongono la conversazione e che sempre vanno tenuti presenti quando si costruisce un modello generale dei processi comunicativi. Al linguaggio verbale orale vengono attribuite in genere tre funzioni fondamentali, variamente denominate, ma facilmente riconoscibili all'interno dei modelli formulati nel corso degli ultimi cinquant'anni. La funzione referenziale, su cui tutti concordano, relativa alla capacità del linguaggio di denotare oggetti - i referenti del discorso appunto - e le relazioni che tali oggetti intrattengono tra di loro e con la realtà in generale, definendo così gli stati di cose che costituiscono il mondo dell'esperienza dei parlanti. La funzione espressiva che permette ai soggetti di manifestare i propri stati psicofisici e le modificazioni emotive di fronte agli eventi esterni. Ed infine la funzione di costruzione e alimentazione del legame sociale in base alla quale possiamo dire con Gumperz che parlare è interagire (1982). Sovente la funzione interattiva del linguaggio può anche prevalere sulle altre due, come del resto avviene nelle formule di saluto e nelle espressioni di cortesia. Testimonianza della centralità della dimensione sociale del linguaggio è inoltre data dal riferimento che ogni discorso contiene al sistema di posizioni sociali, appunto, specifico della cultura in cui avviene lo scambio, ossia della definizione delle posizioni sociali tenute dagli interlocutori e delle obbligazioni dell'uno verso l'altro che l'occupare tali posizioni comporta. Kerbrat-Orecchioni (1992a,b) ha ampiamente mostrato come in alcune culture tale funzione prenda il sopravvento sulle altre due e lavori, per così dire, in autonomia. Come ha affermato la stessa Kerbrat-Orecchioni, anche se la funzione referenziale ha costituito a lungo oggetto esclusivo di studio, numerosi sono attualmente gli autori i quali - seguendo l'esempio di quel personaggio del Roi des Aulnes di Michel Tournier per cui «la parola è 6

sempre carezza o aggressione, mai specchio della verità» - considerano che nelle comunicazioni umane in realtà prevale la relazione. Come insegna alla propria figlia il padre dei Metaloghi di Bateson, la maggior parte delle conversazioni non hanno altro scopo che di «dire alle persone che non si è in collera con loro»; per Flahault la gran parte dei dialoghi può essere ricondotta in termini di struttura profonda ad uno scambio del tipo Ecco cosa sono io per te, ecco cosa sei tu per me ; stessa musica con Watzlavick che cita Martin Buber: «una società può essere detta umana nella misura in cui i suoi membri si confermano gli uni gli altri» aggiungendo che «una parte considerevole delle nostre comunicazioni non hanno altro scopo»; o per Labov e Fanshel, chiosati in questo modo da Richard e Roberge : «Poco importa su cosa gli uomini comunicano, essi comunicano sempre a proposito di se stessi, a proposito l'uno dell'altro e a proposito del contesto immediato della comunicazione» (1992b, pp.13-14). Tutto ciò non vale però unicamente per il linguaggio verbale orale o scritto. Anolli e Ciceri (1992), ad esempio, hanno mostrato con chiarezza l'opportunità dell'adozione di un modello dialogico anche per lo studio dei segni vocali non-verbali, presi in considerazione proprio per il loro valore interattivo. Come ha affermato Lodge il semplice modello linguistico della comunicazione (parlante-messaggio-destinatario) è inadeguato non soltanto al discorso letterario ma a qualsiasi discorso. Questo modello funziona solamente al livello di esempio di libro di testo, di una singola frase isolata; ma nella realtà non ci sono frasi isolate (1992). Come è noto, le prime formalizzazioni dei processi comunicativi furono costruite prendendo a fondamento i fattori tecnici in gioco nella trasmissione di segnali nei sistemi di telecomunicazione. Ben presto, però, si comprese che ogni schema ispirato al funzionamento di sistemi elettromeccanici o elettronici poteva dar conto solo parzialmente della comunicazione umana; i modelli tecnici, infatti, non sono mai riusciti a realizzare un integrazione degli aspetti isomorfi alla comunicazione tra macchine o a quella uomo-macchina con le caratteristiche derivate dalla presenza e dall'azione del linguaggio verbale (Galimberti, Riva, 1997). Tra i modelli tecnici messi a punto in questa prospettiva, il più noto ed universalmente diffuso è indubbiamente quello dovuto a Shannon e Weaver (1949) (fig.1). - fig.1 - Sua caratteristica fondamentale è la presentazione della comunicazione come passaggio di informazioni, come trasferimento di un messaggio in forma di segnale da una sorgente ad un destinatario attraverso la mediazione di un'emittente e di una ricevente, trasferimento che può essere influenzato o disturbato da fenomeni intervenienti connotati come rumori. I modelli tecnici ispirati 7

al funzionamento di processi comunicativi macchina-macchina, presentano indubbiamente il vantaggio di proporre una formalizzazione generale dei processi comunicativi, la cui utilità è stata innegabile nella fase di avvio della riflessione sui processi di comunicazione. In questa caratteristica mi pare vada però cercato anche il loro limite principale - particolarmente evidente nel modello di Shannon e Weaver - sintetizzabile nell'incapacità a rendere conto della specificità del linguaggio verbale, della sua natura linguistica appunto. E ciò è particolarmente evidente in riferimento all'analogia su cui si fonda il modello di Shannon e Weaver. La duplice riduzione della lingua a codice e delle distorsioni a disturbi e difetti dei media attraverso cui si comunica costituisce infatti un limite che a lungo affliggerà le ricerche sulla comunicazione. Che la lingua non sia solo un codice lo si è capito con chiarezza da poco. Per quanto riguarda le distorsioni che occorrono nel corso dei processi comunicativi, va osservato che esse non sono solo di natura fisica, nè unicamente connesse alle caratteristiche dei media utilizzati. Tutto ciò è certamente vero ed ha una sua innegabile importanza. Maggiore rilievo hanno comunque le distorsioni di ordine cognitivo, linguistico e psicosociale - per limitarci alle principali - ben più pertinenti rispetto alla comprensione della dimensione pragmatica della comunicazione. Alla luce di queste considerazioni dobbiamo quindi affermare che il contributo di Shannon e Weaver va relativizzato, riconoscendone il ruolo di stimolo esercitato rispetto alla riflessione sui processi comunicativi e al loro utilizzo nelle pratiche formative, ma anche l'approssimazione e la parzialità che spesso caratterizza l'opera dei pionieri. I modelli psicosociologici apparsi a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta hanno fornito indicazioni preziose per superare i limiti dei modelli tecnici, in particolare proponendo di considerare la comunicazione non solo come relazione linguistica, quanto sopratutto come rapporto psicosociale. Anzieu e Martin, ad esempio, cercano di dare conto delle interpretazioni erronee, delle incomprensioni paradossali, dei controsensi più flagranti, dei conflitti più evidenti presenti nella comunicazione descrivendola non più come un contatto tra una scatola nera emittente ed una scatola nera ricevente, bensì come un rapporto tra un locutore ed un allocutario, o più generalmente tra due o più personalità impegnate in una situazione comune e che discutono tra loro a proposito di significati (Anzieu e Martin, 1971; fig;2). - fig.2 - In questa prospettiva, il processo comunicativo viene ad essere concepito essenzialmente come l'incontro di due o più campi di coscienza che appartengono a soggetti caratterizzati da una precisa identità psicosociale. Ulteriore specificità dei modelli di natura psicosociale è la consapevolezza della natura multicanale e pluricodice della comunicazione. Questa duplice caratterizzazione dei 8

modelli psicosociologici fa sì che in essi il processo comunicativo venga considerato come sistema globale in cui gli interattanti per la costruzione del senso utilizzano contemporaneamente alle parole intonazioni, gesti, posture, comportamenti, modalità particolari di gestione dello spazio. In proposito, di particolare rilievo sono i lavori di Birdwhistell e di Argyle che, con quelli ben più noti attribuibili alla scuola di Palo Alto (Watzlawick, Beavin e Jackson, 1967), hanno messo a fuoco la distinzione tra le forme digitale e analogica del linguaggio, aprendo la strada alla ricerca su aspetti della comunicazione fino a quel momento trascurati. Se volessimo esprimere in sintesi il contributo di questi modelli dovremmo fare riferimento a quattro acquisizioni fondamentali. Prima di tutto, considerando la comunicazione come un fatto totale essi comportano un effettivo allargamento dell'oggetto di indagine. Il riconoscimento dell'importanza dei registri non verbale, paraverbale e prossemico che vanno ad aggiungersi a quello verbale apre nuove prospettive di comprensione dei fenomeni comunicativi. Sul piano teorico ciò porta a riconoscere il valore comunicativo di ogni comportamento; a livello metodologico-tecnico conduce alla formulazione di nuovi problemi - connessi alla accresciuta complessità dell'oggetto di studio - ma anche a stimolare la riflessione aprendo la ricerca al confronto con altre discipline. Per quanto riguarda la formazione, si pensi a quanto ciò diventa importante anche solo rispetto alla progettazione del setting formativo e alle possibilità di utilizzare materiali comunicativi di natura non strettamente verbale. In secondo luogo, il linguaggio non viene più considerato come un mezzo di trasferimento di informazioni da una mente ad un'altra, bensì come dimensione essenziale della cultura in cui si iscrivono la maggior parte dei valori e delle rappresentazioni sociali su cui si fondano gli scambi e le pratiche collettive (Marc e Picard, 1989). Sempre meno ci si interessa ai meccanismi di trasmissione di informazioni, mentre cresce l'attenzione ai processi di elaborazione e condivisione dei significati. E ciò, in campo formativo assume un rilievo evidente poiché scardina idee e preconcetti assai radicati rispetto alla natura dei processi di apprendimento. La comunicazione viene inoltre ad assumere un ruolo di primaria importanza per la comprensione del processo di fondazione dei legami sociali. L effettivo superamento del modello che riduceva la comunicazione ad una relazione tra emittente e ricevente contribuisce ad accrescere e stabilizzare la sua connotazione di attività sociale: intesa come messa in atto di una determinata forma di rapporto psicosociale (Rimé, 1984, p.420), essa appare determinata dall'incontro delle identità sociali degli interattanti. Il quarto contributo dei modelli psicosociologici consiste, infine, nella precisazione del concetto di contesto, includendo in esso sia il contesto generale, costituito dagli elementi materiali che determinano l'atto di parola sul piano spazio-temporale, sia la scena, il contesto psicologico in cui esso ha luogo. I modelli 9

psicosociologici consentono di dare ordine a questa nozione chiarendo in che senso essa possa designare un insieme di fatti sia di ordine linguistico, sia di carattere sociale. La successione delle prospettive fin qui evocate svela, come abbiamo detto, la progressiva messa a fuoco della dimensione interattiva della comunicazione. Questo processo raggiunge il grado maggiore di esplicitazione con quelli che possiamo definire modelli conversazionali (Galimberti, 1994; Riva, Galimberti, 1997) a ragione della centralità da essi attribuita alla nozione di interlocuzione. Questi approcci costituiscono l'esito di un incontro tra linguistica pragmatica e psicologia sociale che ha visto impegnati ricercatori di cultura francese, quali Charaudeau (1983), Chabrol (1985), Ghiglione (1988), Trognon (1990, 1992), ma a cui potremmo accostare anche autori di area anglosassone come Potter e Wetherell (1987). Si tratta di modelli che - più o meno dichiaratamente - trovano fondamento nel dialogismo di Francis Jacques e nella nozione di interazionismo comunicativo che ne costituisce uno dei concetti cardine. Questo approccio - in cui l'attenzione per la dimensione interattiva e conversazionale dei processi comunicativi è espressa in massimo grado - si caratterizza sostanzialmente per una nuova definizione del concetto di comunicazione (Jacques, 1985, 1986), per l'individuazione della natura contrattuale di alcuni suoi aspetti (Ghiglione, 1988) e per una revisione radicale della nozione di interlocutore (Charaudeau, 1983; Chabrol, 1985). La comunicazione, in quanto «fatto relazionale irriducibile» (Jacques, 1986, p.115), viene ad essere considerata la forma primaria di riconoscimento tra gli uomini e il luogo di fondazione dell'intersoggettività in cui si esprime la reciprocità sottesa ad ogni relazione umana. Il lavoro di cooperazione verbale, che ne costituisce gran parte della fenomenologia, è una vera e propria attività congiunta, tale per cui gli enunciati di un interlocutore si intrecciano con gli enunciati dell'altro. A differenza dei modelli esposti in precedenza, in questa prospettiva si abbandona ogni lettura atomistica del processo comunicativo, comunque caratterizzata da progressive aggregazioni di elementi discreti. Per coloro che si collocano nella vecchia prospettiva - quelli che Jacques chiama teorici dell'interazionismo sommario rappresentato schematicamente in fig.3 - un interazione è un'azione (o reazione) che passa da un essere (S1) all'altro (S2); è un'influenza retroattiva reciproca che ogni soggetto esercita sulle azioni verbali dell'altro, attraverso la mediazione dell'immagine che esse offrono. - fig. 3-10

In una prospettiva di interazione comunicativa, invece, il circuito si complica, arricchendosi di nuovi elementi. Come risulta dalla fig.4 attorno al circuito che lega i due interlocutori viene a crearsi un sistema - denominato ΣR ed indicato con il tratteggio - d'ordine superiore rispetto alla coppia S1 e S2, tendente a mantenere caratteristiche autonome ed una propria organizzazione. In questa prospettiva, il messaggio per S2 è considerato contemporaneamente anche messaggio per S1: mi dico ciò che ti dico. Le parole pronunciate da ciascuno dei due sono infatti indirizzate sia a sè, sia all'altro, dando luogo, per così dire, ad un fenomeno di doppio ascolto. Significare e comprendere non sono più azioni indipendenti; detto in altri termini non si significa senza comprendere. S1 ha infatti bisogno di conoscere come S2 ha ricevuto il suo messaggio per sapere cosa ne è stato, attraverso una sorta di retro-comprensione. Analogamente, ciascuno riceve - almeno in parte, precisa Jacques - ciò che avrà potuto emettere: ciò che tu comprendi è ciò che io sono riuscito a significare. Altrimenti detto, un messaggio deriva dall'iniziativa congiunta di S1 e S2. La schematizzazione del processo comunicativo rappresentata in fig.4 evidenzia l'esistenza di una spirale comunicativa. In ogni momento dell'evoluzione del sistema ΣR non si ha mai un totale recupero tra ciò che io ho voluto dire e ciò che tu hai compreso. S1 emette un messaggio che è una sorta di perturbazione che S2 dovrà compensare per ristabilire l'equilibrio. Tale compensazione sarà parziale, poichè, a sua volta, S1 dovrà comportarsi allo stesso modo nei confronti dell'emissione di S2. Il sistema superiore ΣR subisce quindi un'evoluzione a seguito delle interazioni tra S1 e S2, conservando un'apertura nei confronti del mondo esterno, che gli fornisce l' informazione di cui si nutre. Ci troviamo quindi di fronte ad un sistema di interazione comunicativa, caratterizzato dalla sottomissione di S1 e S2 al funzionamento auto-organizzato (Jacques, 1988) della diade che viene a costituirsi a seguito del loro accoppiamento relazionale. S1 e S2 si sottomettono quindi al funzionamento di ΣR, che costituisce lo spazio interlocutorio comune, lo spazio logico dell'interlocuzione (Jacques, 1985). Per ridurre lo scarto che li separa, senza uscire dai limiti entro i quali ΣR mantiene la propria parziale chiusura rispetto all'ambiente, i due interlocutori metteranno in atto una strategia discorsiva, vale a dire un insieme di interazioni comunicative coordinate tese appunto a costruire progressivamente il loro contesto. - fig. 4 - Da questa analisi puntuale del processo comunicativo risulta con chiarezza come per Jacques sia l'interlocuzione il concetto primitivo da cui derivano le nozioni di locutore e di allocutario, le cui 11

identità si precisano progressivamente a misura della costruzione e della messa in atto del dispositivo enunciativo (interazione faccia a faccia, attraverso una lettera, via radio ecc.). Detto in altri termini, il soggetto, l' io si rende visibile a se stesso nell'allocuzione al tu ed è nello scambio delle parole che i soggetti si riconoscono in un rapporto di reciprocità. L'interlocuzione assume quindi il ruolo di primum sul piano logico poichè è attraverso di essa che hanno luogo - contemporaneamente - la costruzione delle identità degli interlocutori e della referenza comune ad un universo di discorso condiviso. Referenza al mondo e referenza ai soggetti risultano così legate. L'intero processo comunicativo tende quindi a risolversi nell'interlocuzione, assumendo le caratteristiche di un rapporto di natura psico-sociale che prende forma attraverso un processo interattivo piuttosto che in una pura relazione linguistica. E questa descrizione della situazione comunicativa sembra attagliarsi perfettamente a ciò che accade nel lavoro formativo. L'importanza dell'orientamento della parola al destinatario che caratterizza questo orientamento appare in perfetta sintonia con il pensiero di Bachtin secondo il quale la parola è un atto a due facce. E' determinata ugualmente dal di chi è la parola e per chi è intesa. Come parola, è precisamente il prodotto della relazione reciproca tra il parlante e l'ascoltatore, tra il mittente e il destinatario Una parola è un ponte gettato tra me e l'altro. Se un'estremità del ponte dipende da me, allora l'altra dipende dal mio destinatario. Una parola è un territorio in comune fra il mittente e il destinatario, fra il parlante e il suo interlocutore (Bachtin, 1976). E' l'affermazione di una prospettiva etica oltre che teorica sui fenomeni comunicativi, in cui le due dimensioni sono strettamente intrecciate come riconosce implicitamente lo stesso Jacques laddove sottolinea la necessità di pensare lo scambio di parola non tanto come un gioco di preliminari, quanto piuttosto come un atto di responsabilità intersoggettiva, in cui non si dà produzione di significati - anche a livello puramente referenziale - se non attraverso un movimento di reciprocità regolato dall'interlocuzione (Jacques, 1979). Il riconoscimento della natura contrattuale della comunicazione - intesa sempre come situazione caratterizzata da una posta - ha permesso di evidenziare alcuni aspetti di questo gioco di reciprocità, fornendo gli strumenti per una sua descrizione nei termini di attività congiunta finalizzata alla costruzione di mondi possibili. Come ha detto in estrema sintesi Ghiglione (1986), comunicare è co-costruire una realtà con l'aiuto di sistemi di segni accettando un certo numero di principi che permettono lo scambio ed un certo numero di regole che lo gestiscono. Per quanto riguarda i sistemi di segni - tralasciando il sistema verbale me cui funzioni sono già state discusse in precedenza - il non verbale viene utilizzato all'inizio di una sequenza comunicativa per riconoscere all'altro lo statuto di interlocutore potenziale, nel corso dell'interazione per modificare le posizioni occupate dagli interlocutori e, alla fine dell'interlocuzione, per segnalarne la conclusione. Il 12

riferimento al sistema paraverbale è importante invece perchè permette di cogliere le modulazioni delle intenzioni e delle emozioni manifestate, al di là della propria volontà, dagli interlocutori. Coerentemente con quanto acquisito dopo l'affermazione dei modelli psicosociologici, anche Ghiglione è convinto che i tre sistemi di segni siano in continua interazione tra loro nel lavoro di co-produzione del senso e di co-costruzione del processo interlocutorio messo in atto dagli interlocutori: affermazione assai interessante per la gestione di quelle situazioni in cui, come nella formazione alla sicurezza, si è sempre alla ricerca di soluzioni comunicative che permettano di evitare noia e ripetitività e che soprattutto sfruttino al massimo anche nella loro interazione - tutti i moduli comunicativi. Alla luce di queste considerazioni, possiamo quindi ben dire che nella gestione di un percorso formativo su temi legati alla sicurezza - massimamente nel caso della formazione formatori appare determinante un adeguata gestione della dimensione comunicativa che viene ad assumere un ruolo sostanziale il cui valore va ben al di là di quello strumentale solitamente riconosciutole. E ciò attraversa tutto il lavoro formativo, toccandone le varie fasi, dall analisi della richiesta si pensi, ad esempio alle attività finalizzate all individuazione del bisogno e alla formulazione del problema attraverso il coinvolgimento diretto della committenza all analisi delle risorse umane, organizzative e formative possedute così come di quelle ritenute necessarie all implementazione dell attività formativa; dalla progettazione dell intervento (modulata in base al tipo di committenza interna, esterna o mista a seconda della posizione del formatore) che deve portare alla individuazione delllo scopo generale e degli obiettivi specifici del progetto (informare, addestrare, educare, ecc.), dei destinatari, degli strumenti, evitando accuratamente la sovrapposizione con altri progetti, alla programmazione/realizzazione dell intervento stesso; dalla predisposizione di un adeguato congegno valutativo dell esperienza formativa alla considerazione della sua efficacia attraverso opportuni rilevamenti e osservazioni del comportamento sul campo da parte deipartecipanti nel periodo successivo alla formazione. Per un adeguata considerazione di tutte queste attività rimandiamo agli altri articoli contenuti in questo numero della rivista, tematicamente dedicati alla loro analisi. Qui ci limitiamo a ribadire che l importanza strategica della dimensione comunicativa per la gestione delle attività di formazione formatori nel campo della sicurezza richiede che accanto al tradizionale obiettivo di sensibilizzare i partecipanti alle problematiche connesse alla comprensione e alla gestione dei processi di apprendimento in situazione di gruppo (aula) e sul campo (osservazione dei comportamenti a rischio) si debba prevedere un lavoro specifico in vista della preparazione dei partecipanti all analisi delle dinamiche comunicative delle organizzazioni. E ciò in vista di una duplice finalità: 13

- attrezzarli ad una corretta gestione dei rapporti con la committenza - sia essa esterna, nel caso di consulenti che non appartengono all organizzazione che richiede la formazione, sia interna, quando il formatore è un membro dell organizzazione in questione per realizzare una buona analisi della domanda e una conseguente adeguata progettazione formativa; - dare loro gli strumenti per costruire e gestire il setting formativo complessivo e le singole situazioni di incontro con i destinatari della formazione alla sicurezza in modo adeguato da un lato rispetto alla specificità del contesto organizzativo, dall altro rispetto agli obietttivi concordati. Coerentemente a questo impianto generale, il lavoro con i partecipanti non dovrebbe omettere di inserire nel proprio sistema di obiettivi: - la messa a fuoco della specificità dei processi di apprendimento di comportamenti di evitamento del rischio nelle situazioni lavorative in aula e fuori dall aula (sul campo). - l accrescimento nei partecipanti delle capacità di utilizzare metodi e tecniche formative adeguate al lavoro con singoli e gruppi in aula e fuori dall aula, con particolare riferimento alle modalità di presentazione dei contenuti (lezione frontale, lezione partecipativa, discussione in piccolo gruppo, ecc.), alla realizzazione e analisi di esercitazioni, all uso critico di strumenti e supporti audiovisivi. E ciò tenendo sempre d occhio lo sviluppo della capacità di lettura degli aspetti comunicativorelazionali che caratterizzano il lavoro formativo in un contesto aziendale. Qualunque sia il formato prescelto giornata di lavoro, seminario in più fasi, ciclo formativo, ecc. l attività formativa proposta non potrà non prevedere il ricorso a metodologie di tipo attivo, mettendo in gioco materiali prodotti diretamente dai partecipanti, oltre che forniti dal formatore. Conclusioni La considerazione dei passaggi individuati dai modelli tecnici a quelli conversazionali ci ha condotto a mettere a tema le profonde modificazioni del modo di intendere il rapporto tra comunicazione ed interazione sociale intercorse nella ricerca e nella pratica formativa negli ultimi due decenni. Da processo attivabile e silenziabile a piacimento, basato sull'alternanza tra azione e reazione, costituito da una serie di atti compiuti 14

in un vuoto pneumatico intersoggettivo, la comunicazione è ora considerata il risultato di una complessa attività congiunta, un evento generatore di uno spazio dialogico inserito in un tessuto relazionale. Già alla fine degli anni Cinquanta, Birdwhistell alludeva ad una prospettiva simile affermando che un individuo non comunica: prende parte a una comunicazione di cui diventa un elemento In altri termini, egli non è l'autore della comunicazione, ma vi partecipa. La comunicazione in quanto sistema non deve quindi essere concepita sul modello elementare dell'azione e reazione, per quanto complessa sia la sua formulazione. In quanto sistema, va considerata a livello transazionale (1959, p.104). La comunicazione non è quindi solo - o tanto - un trasferimento di informazioni, quanto invece la messa in atto di una relazione psicosociale, di un processo di costruzione congiunta di zone della realtà da parte degli interlocutori. E ciò anche quando avviene all interno di un contenitore particolare quale può essere un ambiente virtuale che, come abbiamo rilevato, ne comporta la rarefazione delle caratteristiche strutturali e di processo. Inoltre, la doppia natura di processo basato sulle attività di codifica-decodifica e di ostensione-inferenza rende la comunicazione assai incerta, a differenza di quanto garantito dal modello di Shannon e Weaver per i quali l'unica fonte di corruzione del messaggio era rappresentata dal rumore derivato dalla scarsa qualità del canale di trasmissione. Come abbiamo visto, invece, tale processo è esposto ad elevati livelli di incertezza il cui contenimento è affidato alla conversazione, congegno deputato alla conferma delle inferenze operate dagli interlocutori e alla risoluzione dell'indecidibilità dei loro messaggi. Questa è la funzione della conversazione nel dinamismo della comunicazione: se, come ha detto Kerbrat-Orecchioni, parlare è scambiare, ed è cambiare scambiando (1990), la conversazione rappresenta sia il teatro, il luogo materiale e simbolico di tale scambio, sia l'insieme delle condizioni di controllo che ne rendono possibile l'accadere assicurandole una probabilità di successo sufficiente a farne lo strumento di comunicazione privilegiato dall'evoluzione della specie umana. Non più emittenti o riceventi, non solo locutori-allocutori, i soggetti implicati nei processi di comunicazione sono da considerare co-enunciatori, vale a dire interlocutori impegnati in un'azione comunicativa congiunta di cui sono corresponsabili. La caratterizzazione della comunicazione in termini di processo psico-sociale trova una simmetria sorprendente in quanto si è andato precisando in questi ultimi anni a proposito della sicurezza. Come è stato evidenzaito anche in sede di ricerca, la sicurezza non può infatti più essere considerata unicamente come una proprietà dei sistemi tecnici, una proprietà quindi oggettivabile in artefatti e tecnologie. Tantomeno essa può essere considerata come il risultato dell applicazione di norme e regolamenti. Tecnologie adeguate e rispetto delle normative sono premesse da cui non si può prescindere per la gestione in sicurezza dei processi di lavorativi, ma da sole non bastano a garantire il risultato, come l esperienza stessa dimostra. La sicurezza è anche sapere-in-azione, conoscenza oggettivata e codificata in saperi disciplinari e pratiche professionali, di cui sono depositari i lavoratori stessi. Diciamo depositari e non 15

semplici portatori poichè tale sapere-in-azione è continuamente passibile di revisione, elaborazione, trasformazione in rapporto con l evoluzione delle tecnologie, con il processo di assimilazione delle norme, con la modificazione degli assetti organizzativi e istituzionali delle realtà produttive in cui sono inseriti, con la maturazione di una cultua professionale specifica del gruppo di appartenenza. Possiamo quindi affermare che la sicurezza costituisca una forma di expertise organizzativa costruita a partire dal sapere in azione prodotto da gruppi professionali o - per dirla in termini che mostrano appieno il parallelismo, se non addirittura l isomorfismo con la struttura dei processi comunicativi - il risultato della conversazione fra le prospettive sostenute dai tali gruppi professionali, il risultato quindi di processi di negoziazione che hanno come posta in gioco sia la crescita e l affermazione di una cultura professionale della sicurezza, sia, ovviamente, la sicurezza del singolo operatore. Sarà compito di un prossimo intervento che, come abbiamo detto insede di premessa, verrà ospitato in questa rubrica (è corretta questa dizione??), presentare una prospettiva formativa che dia operatività e concretezza al programma teorico-metodologico illustrato in questo lavoro. Obiettivo di tale articolo sarà quindi mostrare attraverso l esposizione e la discussione di alcuni possibili percorsi formativi relativi alle tematiche della formazione alla comunicazione della sicurezza come sia possibile accrescere il ruolo partecipativo dei lavoratori e far maturare nelle organizzazioni una adeguata cultura della sicurezza in modo da cogliere al meglio le opportunità connesse all adempimento degli obblighi di legge. 16

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Fig. 1. Il processo di trasmissione dell'informazione secondo Shannon e Weaver Fonte M essaggio Em ittente codifica Ricevente decodifica M essaggio Destinatario Rum ore 19

Fig. 2. Il modello di Anzieu e Martin F E E D B A C K Campo della coscienza LOCUTORE Campo della coscienza ALLOCUTORE Mezzi di trasmissione Risposta (indiretta, attraverso un'azione) Risposta (diretta, con gli stessi mezzi) Atteggiamento intenzionale Stato di ricettività Atteggiamento intenzionale Perdite Perdite COMUNICAZIONE STIMOLO Perdite Selezione dell'informazione 20

Fig. 3. Interazionismo sommario 21

Fig. 4. Interazionismo comunicativo 22