Metodi Matematici della Fisica II. 2. Spazi di Hilbert e Analisi Funzionale

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Transcript:

Dipartimento di Fisica Teorica Università di Torino Stefano Sciuto Appunti dalle lezioni di Metodi Matematici della Fisica II 2. Spazi di Hilbert e Analisi Funzionale A.A 2001-2002 REVISIONE 2010-2011 REVISIONE 2012-2013 di Ezio Maina

ii

Indice 1 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui 1 1.1 Riassunto del corso di Metodi I................. 1 1.2 Operatori lineari continui..................... 5 1.2.1 Richiami sugli spazi unitari............... 5 1.2.2 L operazione di dualità.................. 8 1.3 Endomorfismi........................... 10 1.3.1 Automorfismi....................... 11 1.4 Operatori di proiezione...................... 11 1.5 Aggiunto di un endomorfismo continuo............. 12 1.5.1 Operatori hermitiani, antihermitiani ed unitari..... 14 1.5.2 Esempi di endomorfismi continui............ 16 1.6 Autovalori e autovettori, in generale............... 18 1.7 Isomorfismo E N C n e spazio di Hilbert separabile H l 2.. 21 1.7.1 Calcolo matriciale..................... 21 1.7.2 Cambiamenti di base (O.N.)............... 22 1.7.3 Isomorfismo H l 2.................... 24 1.8 Autovalori e autovettori per operatori su E N.......... 26 2 Operatori lineari in spazi ad infinite dimensioni 31 2.1 Dominio, continuità e limitatezza di un operatore........ 31 2.2 Aggiunto di un operatore lineare non continuo, in spazio di Hilbert separabile H....................... 34 2.3 Lo spettro degli operatori autoaggiunti nello spazio di Hilbert separabile.............................. 39 2.4 Teoria delle distribuzioni e spazio di Hilbert equipaggiato (Rigged Hilbert Space)......................... 45 2.5 Equazione agli autovalori generalizzata e teorema spettrale... 54 iii

iv INDICE

Capitolo 1 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui 1.1 Riassunto del corso di Metodi I Inquadriamo adesso il contenuto del Cap. 5 del corso di MMF I, in particolare il concetto di spazio di Hilbert separabile nella molto più generale nozione di spazio topologico. È inoltre consigliato rivedere i capitoli 5, 6 e 7 del testo di Geometria I: E. Abbena, A.M. Fino, G.M.Gianella, Algebra Lineare e Geometria Analitica (Volume I) che introducono gli stessi concetti in campo reale. Al centro del nostro interesse sta lo spazio unitario. Definizione 1.1.1. Si dice spazio unitario (o euclideo) uno spazio vettoriale E sui complessi dotato di prodotto scalare che gode delle seguenti proprietà 1 : (a, b) C (a, β 1 b 1 + β 2 b 2 ) = β 1 (a, b 1 ) + β 2 (a, b 2 ) β 1, β 2 C, a, b 1, b 2 E (1.1) (b, a) = (a, b) (1.2) (a, a) > 0 a 0 (1.3) 1 Importante: la notazione da noi usata (e da tutti i fisici) è opposta a quella usata da tutti i matematici, per i quali il prodotto scalare è lineare nel primo fattore ed antilineare nel secondo. 1

2 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui Notare che le 1.1 e 1.2 implicano: (a, 0) = (0, a) = 0 a E (1.4) Definizione 1.1.2. Due vettori a, b E si dicono ortogonali se (a, b) = 0. Prop. 1.1.1. Dalla 1.3 segue che l unico vettore ortogonale a se stesso è il vettore nullo; un vettore ortogonale a tutti i vettori di E (in particolare a se stesso) è quindi nullo; in simboli: (a, b) = 0 b E a = 0 (1.5) Non è difficile dimostrare che dagli assiomi 1.1-1.3 segue: Disuguaglianza di Schwarz (a, b) 2 (a, a) (b, b) (1.6) Ogni spazio unitario è naturalmente uno spazio normato con norma definita da: a = (a, a) > 0 a 0 (1.7) È immediato dimostrare che tale norma soddisfa gli assiomi della: Definizione 1.1.3. Si dice spazio normato uno spazio vettoriale E su C dotato della norma: che gode delle seguenti proprietà: a 0 αa = α a α C, a E (1.8) a = 0 a = 0 (1.9) a + b a + b (1.10) A sua volta ogni spazio normato (e quindi ogni spazio unitario) è naturalmente metrico, con distanza definita da: d (a, b) = a b (1.11)

1.1 Riassunto del corso di Metodi I 3 Definizione 1.1.4. Si dice spazio metrico un insieme E dotato di una distanza che gode delle seguenti proprietà: d (a, b) = d (b, a) 0 d (a, b) = 0 a = b d (a, c) d (a, b) + d (b, c) a, b, c E disuguaglianza triangolare (1.12) (1.13) Infine ogni spazio metrico possiede una topologia naturale con intorni base definiti da: I ε (x 0 ) = {x E / d (x, x 0 ) < ε} x 0 E, ε > 0 che lo rende uno spazio topologico di Hausdorff. Avendo così definito una topologia sugli spazi metrici (quindi su quelli normati, quindi su quelli unitari), abbiamo anche definito il limite di una successione in questi stessi spazi: significa allora: negli spazi metrici e: x = lim x x n (1.14) lim d (x, x n) = 0 (1.15) n lim x x n = 0 n negli spazi normati ed unitari. Dalla definizione di limite negli spazi unitari e dalla disuguaglianza di Schwarz segue immediatamente l importantissima proprietà: P1: Continuità del prodotto scalare. il prodotto scalare è continuo in entrambi i termini, ovvero: se la successione {x n }è convergente vale y E: ( ) lim x n, y n = lim n (x n, y) (1.16) ( ) y, lim x n = lim (y, x n ) (1.17) n n Tutto quanto abbiamo discusso finora vale per qualsiasi spazio unitario, indipendentemente dalla sua dimensione, finita od infinita (e quanto infinita).

4 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui Nel corso di MMF I abbiamo visto che fra gli spazi unitari di dimensione infinita quelli separabili hanno proprietà in qualche modo simili a quelli di dimensione finita, poichè ammettono una base numerabile; questa definizione di separabilità (vedi MMF I, Cap. 6), che è tutto quanto serve per fare i conti, non è che l applicazione ad uno spazio unitario (quindi topologico) della più generale definizione di spazio topologico separabile (vedi Cap. 1). Infatti non è difficile dimostrare che in uno spazio normato E inteso come spazio topologico la separabilità è equivalente alla presenza di una base finita od infinita numerabile {Ψ n } (Cap. 1 S., Def. 19 e Teor. 14), cioè di un insieme finito od infinito numerabile di vettori {Ψ n } tale che la varietà lineare L ({Ψ n }) da esso generata sia densa in E; in particolare C n é separabile (cosí R n ). L ulteriore concetto necessario per caratterizzare completamente lo spazio che più ci interessa, lo spazio di Hilbert separabile, è la completezza (dello spazio, che non ha nulla a che fare con la completezza di un sistema di vettori che formano una base); anche tale concetto, già introdotto nel corso di MMF I (vedi Cap. 6) nel modo più conveniente per l uso, può essere formulato in modo più generale (e in conformità con la letteratura matematica) risalendo agli spazi metrici (e non fino agli spazi topologici come nel caso della separabilità). Infatti in uno spazio metrico ha senso definire le successioni di Cauchy (Cap. 1 S. 2, Def. 13): Definizione 1.1.5. La successione {x n } si dice di Cauchy se ε > 0, n 0 / d (x n, x m ) < ε, n, m > n 0. È facile dimostrare che ogni successione convergente è di Cauchy (Cap. 1, Teor. 3, S.). Non sempre è vero il viceversa: Definizione 1.1.6. Uno spazio metrico in cui ogni successione di Cauchy è convergente si dice completo. Uno spazio normato completo è detto spazio di Banach; uno spazio unitario completo è detto di Hilbert. Non è difficile dimostrare che nel caso particolare di spazi unitari separabili tale definizione di completezza dello spazio è equivalente a quella data nel corso di Metodi 1: Definizione 1.1.7. Uno spazio unitario separabile è completo se {c l C} tale che l c l 2 < n lim c l ϕ l, n dove {ϕ l } è un qualsiasi sistema O.N., l=0 2 Con S indichiamo in tutto questo capitolo la ref. XXX

1.2 Operatori lineari continui 5 Uno spazio non completo può sempre essere completato aggiungendo ad esso i limiti delle serie di Cauchy non convergenti ; più precisamente si stabilisce la relazione di equivalenza tra successioni di Cauchy: Definizione 1.1.8. {x n } {y n } se lim n d (x n, y n ) = 0 e si costruisce lo spazio completo come insieme delle successioni di Cauchy quozientato con, utilizzando un opportuna e ovvia definizione della distanza tra due successioni di Cauchy (si veda a questo proposito il Cap. 3, S.). L integrale di Lebesgue si costruisce proprio per completamento degli spazi di funzioni con norma integrale alla Riemann, che infatti non sono completi. 1.2 Operatori lineari continui 1.2.1 Richiami sugli spazi unitari Ricordiamo qualche definizione relativa a spazi vettoriali sui complessi, dando per nota la definizione di spazio vettoriale stesso. Definizione 1.2.1. Uno spazio vettoriale E ha dimensione N se esistono N vettori linearmente indipendenti appartenenti ad E, mentre ogni sistema di N + 1 vettori è linearmente dipendente. Definizione 1.2.2. Uno spazio vettoriale E ha dimensione infinita se per ogni numero naturale N si possono trovare N vettori linearmente indipendenti appartenenti ad E. Definizione 1.2.3. Un sottoinsieme L non vuoto di E si dice sottospazio o varietà lineare se a, b L, α, β C anche αa + βb L. Definizione 1.2.4. Si dice varietà lineare L (F ) generata da un sottoinsieme F E la varietà lineare i cui elementi sono le combinazioni lineari di un numero finito di elementi di F. Definizione 1.2.5. Un applicazione A : E K di uno spazio vettoriale E in uno spazio vettoriale K si dice applicazione lineare o omorfismo se a 1, a 2 E, α 1, α 2 C vale: A (α 1 a 1 + α 2 a 2 ) = α 1 Aa 1 + α 2 Aa 2 (1.18) Ricordiamo che con Aa si indica l immagine dell elemento a E sotto l applicazione A e a E si scrive A : a Aa K.

6 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui Definizione 1.2.6. Un applicazione lineare A : E K che sia biunivoca (biettiva) si dice isomorfismo e gli spazi vettoriali K ed E si dicono isomorfi. È immediato verificare la: Prop. 1.2.1. L insieme degli omomorfismi di E in K, che si indica con Hom (E, K), è esso stesso uno spazio vettoriale, con la seguente definizione di combinazione lineare: A 1, A 2 Hom (E, K), α 1, α 2 C, l omomorfismo B = α 1 A 1 + α 2 A 2 è definito da: Ba = α 1 A 1 a + α 2 A 2 a a E (1.19) In particolare l elemento nullo 0 Hom (E, K) è definito da 0a = 0 K, a E. Definizione 1.2.7. Se negli spazi E e K è definito il concetto di limite (in particolare se E e K sono spazi normati), l omorfismo A Hom (E, K) si dice continuo se per ogni successione convergente {x n }, x n E, anche la successione delle immagini in K è convergente, cioè lim n A (x n ) e vale: ( ) lim A (x n) = A lim x n n n Ricordando che C è esso stesso uno spazio vettoriale su C, ne segue che ha senso parlare di spazio vettoriale Hom (E, C): i suoi elementi si chiamano forme lineare o funzionali lineari. Si può quindi introdurre la seguente: Definizione 1.2.8. I funzionali lineari continui sono quegli elementi f di Hom (E, C) tali che per ogni successione {x n } convergente in E converga anche la successione {f (x n )} e valga: ( ) lim f (x n) = f lim x n n n (1.20) Definizione 1.2.9. Il sottospazio dello spazio vettoriale Hom (E, C) formato dai funzionali lineari continui si dice spazio duale dello spazio normato E e si indica con E. Torniamo a considerare operatori lineari fra due spazi generici E e K che siano spazi normati. È utile introdurre la seguente

1.2 Operatori lineari continui 7 Definizione 1.2.10. per ogni x E vale ovvero se x E, x = 1, si ha Si può definire norma di A: A = L operatore A è limitato se esiste un C > 0 tale che sup x E x 0 Ax C x, Ax C. Ax x = che esiste certamente perchè Ax è limitato. Per ogni x E si può quindi scrivere sup x E x = 1 Ax, (1.21) Ax A x. (1.22) Mostriamo ora che se E e K sono spazi normati, le definizioni 1.2.7 e 1.2.10 sono equivalenti. Teorema 1.2.1. Dimostrazione: ( ): Un operatore lineare è continuo se e solo se è limitato. A è limitato A è continuo. Dalla 1.22 segue Ax Ax n A x x n e quindi: ovvero: ( ): lim x x n = 0 lim Ax Ax n = 0, n n lim x n = x lim Ax n = Ax. n n A è continuo A è limitato. Procediamo per assurdo: se A non è limitato {x n }, x n = 1/ Ax n > n, n = 1, 2,.... Ciò contraddice la continuità di A poichè mentre x n x n = 1 lim n n = 0 Ax n n > 1 lim n Ax n n 0. q.e.d.

8 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui 1.2.2 L operazione di dualità Se E è uno spazio unitario, il prodotto scalare permette di costruire un importante esempio di funzionale lineare continuo; infatti, fissato il primo vettore f E, il prodotto scalare associa ad ogni vettore a E il numero complesso (f, a) e tale applicazione è lineare, grazie alla 1.1, e continua (per la 1.17). In tal modo ogni f E si associa una forma lineare continua f E mediante la definizione: f : a f (a) = (f, a), a E (1.23) Definizione 1.2.11. L applicazione di E in E : f E f E, (1.24) dove f è definito dalla 1.23, si dice operazione di dualità; la forma f si dice duale del vettore f. Prop. 1.2.2. L operazione di dualità è un applicazione antilineare di E in E. Infatti f 1, f 2 E, α 1, α 2 C il vettore g = α 1 f 1 + α 2 f 2 E viene mandato dalla nella forma lineare g E definita mediante la 1.23: g (a) = (g, a) = (α 1 f 1 + α 2 f 2, a) = α 1 (f 1, a) + α 2 (f 2, a) = = α 1f 1 (a) + α 2f 2 (a) dove f 1 e f 2 sono le forme duali dei vettori f 1 e f 2 ; quindi vale: : α 1 f 1 + α 2 f 2 α 1f 1 + α 2f 2 (1.25) Chiediamoci se la corrispondenza 1.24 fra i vettori E e le forme lineari E è biunivoca. Dimostriamo subito la: Prop. 1.2.3. L operazione di dualità è un applicazione iniettiva ovvero, se valgono contemporaneamente: : f 1 f (1.26) : f 2 f (1.27) f 1, f 2 E f E, necessariamente f 1 = f 2. Infatti le 1.26, 1.27 e 1.23 implicano (f 1, a) = (f 2, a) e quindi (f 1 f 2, a) = 0, a E; in particolare (f 1 f 2, f 1 f 2 ) = 0 da cui per la 1.3 segue f 1 = f 2.

1.2 Operatori lineari continui 9 Per poter affermare che l operazione di dualità è biunivoca bisognerebbe ancora dimostrare che essa è suriettiva, cioè che per ogni forma lineare continua f E è possibile trovare (in modo unico per la proprietà 1.2.3) un vettore f E tale che valga la 1.23. Ciò non è vero per uno spazio unitario qualsiasi; tuttavia è facile dimostrare che l operazione di dualità è biunivoca per una larga classe di spazi unitari (gli spazi di Hilbert separabili) che comprende tutti gli spazi di dimensione finita e gli spazi di dimensione infinita più importanti per la fisica. Teorema 1.2.2. ( Fischer Riesz) Per ogni funzionale lineare e continuo f E esiste un unico elemento f E tale che f (a) = (f, a), a E Dimostrazione: Sia {e n, n = 1,... } una base e a un vettore di E, a = i=0 a ie i. Per la continuità di f si ha f (a) = i=0 a if (e i ). Questo suggerisce di scegliere f = i=0 f (e i) e i. Bisogna solamente verificare che f E. Per farlo consideriamo f N = N i=0 f (e i) e i. Si ha f (f N ) = f N 2. Per la limitatezza di f si ha che esiste un reale positivo M tale che f N 2 M f N, N (1.28). Ne segue che f N M, N e quindi per la completezza di E la successione degli f N converge ad un vettore di E. In questo capitolo considereremo sempre, senza più ricordarlo esplicitamente, solo spazi unitari che siano spazi di Hilbert separabili. Una notazione introdotta da Dirac è molto utile per mettere in evidenza il doppio significato che, grazie alla 1.23, assume il prodotto scalare. In tale formalismo, per indicare un vettore a E si scrive a e lo si chiama ket ; la forma lineare a E duale di a si indica con a e si chiama bra. L operazione di dualità 1.24 si indica così: : E E, : a a = a (1.29) non dà luogo ad equivoci chiamare ancora dualità ed indicare con lo stesso simbolo anche l applicazione inversa : E E, : a a = a (1.30) che, nelle nostre ipotesi, è univocamente definita a E. La relazione 1.25 si riscrive allora così: : α 1 f 1 + α 2 f 2 (α 1 f 1 + α 2 f 2 ) = α 1 f 1 + α 2 f 2 (1.31) f 1, f 2 E α 1, α 2 C

10 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui Ponendo α 1 = β 1 e α 2 = β 2 nella 1.31 ed invertendo l operazione di dualità si ottiene l analoga: : β 1 f 1 + β 2 f 2 (β 1 f 1 + β 2 f 2 ) = β 1 f 1 + β 2 f 2 (1.32) β 1, β 2 C Il prodotto scalare (a, b) fra due vettori a, b E che mediante la 1.23 può scriversi come a (b) è rappresentato dal bracket a b C; la proprietà di hermiticità 1.2 che, grazie alla 1.23, può anche scriversi nella forma: a (b) = (b (a)) (1.33) assume nella notazione di Dirac l aspetto più elegante: a b = b a Il bracket a b è naturalmente lineare sia nel b E che nel bra a E (per la 1.34 vedi 1.18; per la 1.35 la Proprietà 1.2.1): a (α 1 b 1 + α 2 b 2 ) = α 1 a b 1 + α 2 a b 2 (1.34) (β 1 a 1 + β 2 a 2 ) b = β 1 a 1 b + β 2 a 2 b (1.35) L antilinearità nel primo fattore del prodotto scalare inteso come ket a, è nascosta nella operazione di dualità 1.31; la 1.35 si può riscrivere, in modo più scomodo, come: (α 1 a 1 + α 2 a 2 ) b = (α 1 a 1 + α 2 a 2 ) b = α 1 a 1 b +α 2 a 2 b (1.36) 1.3 Endomorfismi Gli endomorfismi sono gli omomorfismi di E su se stesso End (E) = Hom (E, E); sono particolarmente importanti gli endomorfismi continui, spesso detti operatori lineari (vedi Cap 4 e Cap. 5 di S.) di cui sono in realtà un caso particolare. End (E) non è solo uno spazio vettoriale, ma anche un algebra associativa con unità con le ovvie definizioni di prodotto di operatori: e di operatore identità: (AB) a = A (B a ), a E (1.37) 1 a = a, a E (1.38) Attenzione: in generale non vale la proprietà commutativa: AB BA

1.4 Operatori di proiezione 11 1.3.1 Automorfismi Gli automorfismi sono endomorfismi biettivi, ovvero: A Aut (E) se A 1 /AA 1 = A 1 A = 1 (1.39) Gli automorfismi formano un gruppo, detto gruppo lineare di E che si indica con GL (E); infatti: 1. A, B Aut (E) AB Aut (E), visto che anche AB ammette inverso, dato da (AB) 1 = B 1 A 1 2. il prodotto è associativo 3. 1 Aut (E) 4. A 1 Aut (E) Se E ha dimensione N finita il gruppo lineare si indica con GL (N, C) (C ricorda che sono automorfismi di uno spazio vettoriale sui complessi) ed è costituito dalle matrici N N a elementi complessi con determinante non nullo. 1.4 Operatori di proiezione Definizione 1.4.1. Si dicono operatori di proiezione i P End (E) /P 2 = P. P1: Un proiettore ammette inverso (è automorfismo) solo nel caso banale P = 1. Dimostrazione: Per ipotesi: P 1 /P P 1 = P 1 P = 1. Quindi essendo P 2 = P, allora P 1 P 2 = 1 P = 1. P2: Il codominio (o immagine) F = {P x, x E} di P è una varietà lineare: ovvio. P3: Se P 2 1 = P 1, P 2 2 = P 2, P 1 P 2 = P 2 P 1 = 0, allora anche P = P 1 + P 2 è operatore di proiezione: verifica immediata. Inoltre, detti F, F 1 e F 2 i codomini di P, P 1 e P 2, vale F = F 1 F 2 3. Dimostrazione: Essendo P x = P 1 x + P 2 x ovviamente si ha F = F 1 + F 2. Inoltre se il vettore k F 1 F 2 allora esistono due vettori x, y tali che k = P 1 x = P 2 y. Essendo P 1 k = P 2 1 x = P 1 x = k si ha P 1 k = P 1 P 2 y = 0 perche P 1 P 2 è l operatore nullo. 3 Richiamo: F = F 1 F 2 (somma diretta) se f F, f 1 F 1, f 2 F 2 /f = f 1 + f 2 e inoltre F 1 F 2 = {0} (dove {0} indica l insieme il cui unico elemento è il vettore nullo); ovvero la scomposizione è unica.

12 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui 1.5 Aggiunto di un endomorfismo continuo In questa sezione si indica con End (E) lo spazio degli endomorfismi continui nello spazio di Hilbert 4 separabile E (a dimensione finita od infinita). Ci occuperemo invece nel capitolo 2 dei più generali operatori lineari (che possono anche non essere continui). Fissato x E, la continuità di A End (E) implica che l applicazione lineare E C definita da: y x (A y ) è un funzionale lineare continuo. Infatti se y = lim y n vale: ( ) ( ) x A lim y n = x lim A y n n = lim x (A y n ) (1.40) n n poichè sia A che il prodotto scalare sono continui. Esiste perciò un w E tale che w y = x (A y ) y E L applicazione E E, che chiamiamo ancora A: A : x w = x A / w y = x (A y ) (1.41) è lineare (vedi 1.1) e continua, per la continuità del prodotto scalare nel primo fattore (vedi 1.16); quindi A, definito dalla 1.41, End (E ). La 1.41 mostra come le parentesi sono superflue; anzichè x (A y ) o ( x A) y si scrive semplicemente x A y 5, intendendo che A agisce a destra o a sinistra a seconda delle convenienze. Introduciamo ora un altro endomorfismo A End (E) mediante la: Definizione 1.5.1. A End (E), l endomorfismo aggiunto o hermitiano coniugato A End (E) è dato da: A : x A x = ( x A) E, x E (1.42) A appena definito è effettivamente un endomorfismo di E, infatti è continuo e lineare: A (α 1 x 1 + α 2 x 2 ) = [(α 1 x + α 2 x 2 ) A] = 4 Ovvero unitario e completo. 5 Così come si scrive ABC anzichè A (BC) o (AB) C se vale l associatività.

1.5 Aggiunto di un endomorfismo continuo 13 = [α 1 x 1 A + α 2 x 2 A] = α 1 A x 1 + α 2 A x 2 Occorre notare come invece l operazione di dualità (, che si legge dagger, letteralmente pugnale, ma che in italiano si dice croce ) è antilineare, sia quando manda E E che, come qui, quando manda: Infatti x E: quindi: : End (E) End (E) (α 1 A 1 + α 2 A 2 ) x = [ x (α 1 A 1 + α 2 A 2 )] = ( ) α1a 1 + α2a 2 x, (α 1 A 1 + α 2 A 2 ) = α 1A 1 + α 2A 2 (1.43) In breve manda bra in ket e viceversa, A End (E) in A End (E) e α C in α. Usando ( A x ) = x A, equivalente alla 1.42, e l identità: a b = b a = si deduce l importantissima proprietà: ( b a ), (1.44) ( (A y A x = x ) ) y = x A y x, y E (1.45) da cui segue: e quindi: y A x = x A y = y A x x, y E (1.46) A = A (1.47) Analogamente da y (AB) x = x AB y = y B A x segue: (AB) = B A (1.48)

14 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui 1.5.1 Operatori hermitiani, antihermitiani ed unitari Sono particolarmente importanti gli endomorfismi continui autoaggiunti, che per brevità chiamiamo operatori hermitiani (anche se per i più generali operatori lineari, non continui, ci saranno altre sottigliezze), per cui H = H. Da: (H 1 + H 2 ) = H 1 + H 2 e (αh) = αh α R (1.49) segue che l insieme degli operatori hermitiani forma uno spazio lineare sui reali. Non si tratta tuttavia di un algebra perchè A = A, B = B (AB) = AB; infatti (AB) = B A = BA che è uguale a AB se e solo se [A, B] = 0. Quindi formano un algebra (sui reali) solo (sotto)insiemi di operatori hermitiani mutuamente commutanti. A End (E) si dice antihermitiano se A = A. Ovviamente anche l insieme degli operatori antihermitiani è uno spazio vettoriale sui reali; inoltre è un algebra di Lie: Definizione 1.5.2. Un algebra di Lie è uno spazio vettoriale V sui reali con una legge di composizione interna V V V, detta prodotto di Lie, [x, y] V, x, y V che soddisfi i tre seguenti assiomi: T1. linearità: [x, αy + βz] = α [x, y] + β [x, y], α, β R x, y, z V T2. antisimmetria: [x, y] = [y, x], x, y, V T3. identità di Jacobi: [x, [y, z]] + [y, [z, x]] + [z, [x, y]] = 0, x, y, z V Nota: il prodotto di Lie non è associativo; tale proprietà è sostituita dall identità di Jacobi. I tre assiomi sopra indicati sono soddisfatti dal commutatore di endomorfismi, in particolare dal commutatore di operatori antihermitiani che è ancora antihermitiano: [A, B] = (AB) (BA) = B A A B = [A, B] (1.50) se A = A, B = B. Nota: il commutatore ha una proprietà aggiuntiva: P4: [A, BC] = [A, B] C + B [A, C] ma questa non ha nulla a che fare con l algebra di Lie (dove di per sè il prodotto ordinario di operatori non è definito): essa ha senso perchè gli endomorfismi formano un algebra.

1.5 Aggiunto di un endomorfismo continuo 15 Per motivi fisici in Meccanica Quantistica si preferiscono usare gli operatori hermitiani piuttosto che gli antihermitiani; spesso si considera dunque un algebra di Lie fatta di operatori hermitiani, con l intesa che il loro commutatore sarà i volte un elemento dell algebra di Lie. Esempio: [L i, L j ] = iε ijk L k, L i = L i, i = 1, 2, 3 Prop. 1.5.1. A = A, H = ia è hermitiano: H = H (vedi 1.43) e viceversa ih con H = H è antihermitiano. È dunque possibile individuare l analogia: Inoltre: op. hermitiani numeri reali op. antihermitiani numeri immaginari puri A End (E) { 1 2 1 2 ( ) A + A ( ) hermitiano A A antihermitiano (1.51) Definizione 1.5.3. U Aut (E) è un operatore unitario se: U = U 1 (1.52) Prop. 1.5.2. Gli operatori unitari formano un gruppo: 1. (U 1 U 2 ) = U 2U 1 = U 1 2 U 1 1 = (U 1 U 2 ) 1 U 1, U 2 unitari 2. 1 = 1 = 1 1 3. U unitario U 1 unitario U 1 = U (U 1 ) = U = (U 1 ) 1 Gli operatori unitari Aut (E N ), dove E N è lo spazio unitario N-dimensionale, formano il gruppo unitario U (N) GL (N, c). Prop. 1.5.3. Esponenziando l algebra di Lie degli operatori antihermitiani si ottiene il gruppo unitario; infatti A / A = A (1.53) U = e A è unitario; infatti U = e A = e A = U 1. Equivalentemente: e ih unitario H = H (1.54)

16 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui Prop. 1.5.4. Gli operatori unitari conservano i prodotti scalari (sono dunque delle isometrie): Posto: a = U a, b = U b a b = a U U b = a b, a, b E, U/U U = 1 (1.55) 1.5.2 Esempi di endomorfismi continui Esempio 1.5.1. A = a b, è un endomorfismo continuo a, b E Infatti: A : x A v = a b v = β a E, v E dove β = b v C, ed è lineare e continuo per le analoghe proprietà del prodotto scalare. Esempio 1.5.2. A = a a, a E è hermitiano. Infatti u, v E: u A v = v A u = v a a u = = u a a v = u A v Esempio 1.5.3. P = e e, e E/ e e = 1 è operatore di proiezione hermitiano. Infatti: P 2 = e e e e = e e = P Il codominio di P ha dimensione 1, qualunque sia E; infatti: P x = e e x = α e, x E, α = e x C Esempio 1.5.4. Sia { e i, i = 1, 2,... N} un sistema O.N. in E non necessariamente completo, cioè: e i e j = δ ij, i, j = 1, 2,... N e siano P i = e i e i (nessuna somma sugli indici ripetuti) i rispettivi proiettori unidimensionali.

1.5 Aggiunto di un endomorfismo continuo 17 Vale: infatti: P i P j = δ ij P i ; e i e i e j e j = δ ij e i e i (1.56) Quindi, ricordando P3 (sezione 1.4 pag. 11): P (FN ) = N e i e i (1.57) i=1 è operatore di proiezione hermitiano sullo spazio N dimensionale F N 6 generato da { e i }. P (FN ) v = N c i e i, i=1 v E dove c i = e i v C sono le componenti di v lungo i vettori e i. P6: Se E E N (dimensione finita N): N e i e i = 1 se e i e j = δ ij, i, j = 1, 2,... N i=1 Dimostrazione: v E N, c i C/ v = N c i e i (1.58) i=1 (in caso contrario E N sarebbe a dimensione maggiore di N); inoltre: e j e i = δ ij e j v = Quindi v E N : N c i e j e i = c j (1.59) i=1 v = ( N N ) e i v e i = e i e i v N e i e i = 1 i=1 i=1 i=1 q.e.d. 6 F N = L ({ e i }) è la varietà lineare generata dal sistema { e i }.

18 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui P7: Se E = H, spazio di Hilbert separabile (a dimensioni) e { e i } è un sistema O.N.C. (costituisce dunque una base O.N.), vale: e i e i = 1, (1.60) i=1 dove il limite sottinteso nella somma della serie va inteso in senso debole, ovvero prima bisogna applicare ad un v H e poi fare il limite in H: ( N ) v = lim e i e i v (1.61) N i=1 Infatti dal corso di MMF I sappiamo che v H si può scrivere: v = c i e i, c i = e i v (1.62) dove il limite: i=1 v = lim N S N, S N = va inteso nel senso della norma: N c i e i H (1.63) lim v S N = 0 (1.64) N Più tardi si userà la: P8: Basta dire i i = 1 e che i ket i sono linearmente indipendenti per dedurre i j = δ ij. Dimostrazione: i=1 i i = 1 j = i i j = j i c (j) i i, c (j) i = i j I c (j) i sono unici per la indipendenza lineare delle i e quindi c (j) i necessariamente. = δ ij 1.6 Autovalori e autovettori, in generale Definizione 1.6.1. In ogni spazio vettoriale E (di dimensione finita od infinita) 7 si dice che x è un autovettore dell endomorfismo A, appartenente 7 Le definizione di autovalore e autovettore ed il resto di questo paragrafo possono essere facilmente estesi ai più generali operatori lineari (non solo per gli endomorfismi continui).

1.6 Autovalori e autovettori, in generale 19 all autovalore λ, se vale: A x = λ x, x 0 (1.65) Inoltre: L λ = { x /A x = λ x } (1.66) è l autospazio di A appartenente a λ; si tratta di una varietà lineare in quanto α 1, α 2 C: A x 1 = λ x 1, A x 2 = λ x 2 A (α 1 x 1 + α 2 x 2 ) = λ (α 1 x 1 + α 2 x 2 ) (1.67) Se dim (L λ ) > 1 si dice che λ è degenere. Prop. 1.6.1. Gli operatori di proiezione P 2 = P hanno solo autovalori 0 e 1. Infatti: P x = λ x, x 0 P x = λp x (λ 1) P x = 0 quindi o λ = 1, oppure P x = 0, quindi λ = 0. L autospazio appartenente a λ = 1 è dato dagli x appartenenti al codominio di P (infatti x = P y P x = x ), mentre l autospazio appartenente a λ = 0 è costituito dal codominio di (1 P ) (infatti x = (1 P ) y P x = 0 che a sua volta implica (1 P ) x = x ). Definizione 1.6.2. In uno spazio di Hilbert separabile (a dimensione finita od infinita) l operatore N si dice normale se NN = N N. Lemma 1.6.1. Sia N x = 0, [ N, N ] = 0. Allora N x = 0. Dimostrazione: 0 = N x 2 = x N N x = x NN x = N x 2 N x = 0 q.e.d. Lemma 1.6.2. Sia [ N, N ] = 0, N x = λ x : allora N x = λ x. Dimostrazione: anche N = N λ1 è normale: infatti N = N λ 1 commuta con N. Ma: N x = λ x N x = 0 e in conseguenza del Lemma 1.6.1 segue:

20 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui e ciò implica infine la tesi: N x = 0 ( N λ 1 ) x = 0 (1.68) q.e.d. Corollario 1.6.1. Gli autovalori degli operatori hermitiani sono reali. Infatti se H = H e H x = λ x, per il Lemma 1.6.2 vale anche H x = λ x da cui segue: 0 = (λ λ ) x, x 0 λ = λ (1.69) Ovviamente gli autovalori di un operatore antihermitiano sono immaginari puri. Corollario 1.6.2. Gli autovalori di un operatore unitario hanno modulo 1. Dimostrazione: U x = λ x, U x = λ x U U x = λu x x = λ 2 x U U = 1 ma x 0, quindi λ 2 = 1. q.e.d. Teorema 1.6.1. Autovettori di operatori normali appartenenti ad autovalori diversi sono ortogonali. Dimostrazione: N x = λ x, N y = µ y λ µ N x = λ x N x = λ x y N x = λ y x N y = µ y x N y = µ x y y N x = µ y x Dalle ultime due relazioni segue: 0 = (λ µ) y x y x = 0 λ µ (1.70) q.e.d.

1.7 Isomorfismo E N C n e spazio di Hilbert separabile H l 2 21 1.7 Isomorfismo E N C n e spazio di Hilbert separabile H l 2 1.7.1 Calcolo matriciale Cominciamo a discutere uno spazio unitario E N di dimensione finita N. In E N esistono certamente N vettori linearmente indipendenti che possono essere resi ortonormali; quindi: { i, i = 1, 2,... N}, i j = δ ij, N i i = 1 (1.71) i=1 Esiste perció l applicazione lineare E N C N definita da: v 1 v 2 v v =., v i = i v C (1.72) e viceversa C N E N con: v N v v = N v i i E N. (1.73) i=1 Si tratta di un isomorfismo fra E N e C n intesi come spazi vettoriali, ma anche come spazi unitari poichè sono conservati i prodotti scalari: w v = w i i v = w i v i = w v (1.74) dovi si è sottointesa N i=1 sugli indici ripetuti, come si farà sempre nel seguito, e inoltre con w si intende la matrice ad una sola riga ed N colonne: w = (w1w 2... wn) con w = w 1 w 2 e w v è il prodotto matriciale di una riga per una colonna. Per ogni endomorfismo A si può associare a. w N (1.75) w = A v (1.76)

22 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui l espressione in componenti w i = i w = i A v = i A j j v = A ij v j, dove: A ij = i A j C (1.77) e quindi, in termini matriciali: w = A v dove: A = Se AB = C, allora: A 11 A 12 A 21. A NN End (Cn ) C ij = i C j = i A l l B j = A il B lj (1.78) e quindi: dove si è usato il prodotto matriciale. Ne segue: 1. A Aut (E N ) (cioè A 1 ) det A 0 A B = C (1.79) 2. ( A ) ij = i A j = j A i = A ji ovvero A = A T (dove A T sta per trasposta di A) 3. H = H H = H T Sono quindi hermitiane le matrici reali simmetriche, le matrici immaginarie pure antisimmetriche e ogni loro combinazione lineare a coefficienti reali. 1.7.2 Cambiamenti di base (O.N.) Se U è un operatore unitario: e i un sistema O.N.C., allora: UU = U U = 1 (1.80) i = U i (1.81)

1.7 Isomorfismo E N C n e spazio di Hilbert separabile H l 2 23 è ancora O.N.C. perchè U conserva i prodotti scalari. Viceversa se { i } e { i } sono entrambi O.N.C. l operatore unitario U = N s s (1.82) s=1 soddisfa le 1.80 e 1.81. Qual è la relazione che lega le componenti v i e v i dello stesso vettore v nelle due basi? ovvero: v i = i v = i j j v = i U j j v = U ij v j (1.83) dove: v = U v (1.84) Analogamente, per gli elementi di matrice: ovvero: U ij = i U j = i j (1.85) A lm = l A m = l r r A s s m = = l U r r A s s U m = U lr A rsu sm (1.86) A = U A U (1.87) È evidente che il cambio di base lascia inalterati i prodotti scalari: w A v = w A v = w U U A U U v = w A v (1.88) pur cambiando componenti dei vettori ed elementi di matrice. Una matrice ha però alcuni invarianti sotto cambiamento di base: Ricordiamo la: det A = det ( U A U ) = det A det ( U U ) = det A (1.89) Definizione 1.7.1. Si definisce traccia: T ra = i A ii (1.90) con la proprietà:

24 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui Attenzione, in generale: T r (A B) = A ij B ji = B ji A ij = T r (B A) (1.91) T r (A B C) = T r (B C A) = T r (C A B) T r (B A C) (1.92) det (A B) = det (A) det (B) T r (A B) T r (A) T r (B) Oltre a det (A) è anche invariante T r (A), anzi: T r ( A l) = T r ( U A U U A U... U A U ) = T r ( U A l U ) = T r ( A l U U ) = T r ( A l) (1.93) Si può quindi lecitamente parlare di det A e T ra per ogni A End (E N ) senza bisogno di fissare una base e passare a C n. 1.7.3 Isomorfismo H l 2 L isomorfismo H l 2 si stabilisce analogamente a quello E N C n : poichè H è separabile esiste una base numerabile, quindi: { i, i = 1, 2,...}, i j = δ ij, i i = 1 (1.94) i=1 dove la somma della serie va intesa nel senso che v H 1 v = lim N N i i v (1.95) Si può quindi definire l applicazione lineare H l 2 come: v 1 v v = v 2, v i = i v C. i=1 v i 2 = v v < (1.96) i=1

1.7 Isomorfismo E N C n e spazio di Hilbert separabile H l 2 25 Importante: l 2 = v = v 1 v 2., v i C/ v i 2 < i=1 (1.97) Non tutti i vettori colonna con una infinità numerabile di righe sono elementi dello spazio vettoriale l 2 (spazio di Hilbert delle componenti), ma solo quelli di norma quadra v 2 = i=1 v i 2 <. Viceversa la completezza di H assicura (un altro teorema di Fischer Riesz) che: v l 2 v = v i i H (1.98) i=1 cosicchè è definita anche l applicazione inversa: l 2 H. Poi tutto procede come alla sez. 1.7.1 (pag. 21) purchè gli endomorfismi A che si prendono in considerazione siano continui. Infatti si ha: w i = i w = i A v = i A lim N N j j v (1.99) j=1 Se e solo se A è continuo si può procedere scrivendo: w i = i lim N N j=1 A j j v = lim N N i A j j v (1.100) dove nell ultimo passaggio si è usata la continuità del prodotto scalare e quindi: j=1 w i = A ij v j cioè w = Av (1.101) j=1 dove A è una matrice con un infinità numerabile di righe e colonne. Nello spazio infinito dimensionale non basta invece che A sia un endomorfismo continuo per dare senso a T r (A) o det (A), basta pensare ad A = 2 1 (per cui non sono definiti nè traccia nè determinante); T r e det sono definiti solo per particolari sottoclassi di endomorfismi continui.

26 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui 1.8 Autovalori e autovettori per operatori su E N A x = λ x, x 0 (A λ1) x = 0 (1.102) (A ij λδ ij ) x j = 0, i = 1, 2,... N (1.103) j Quello scritto è un sistema lineare omogeneo di N equazioni nelle N incognite x j ; ha soluzioni non banali ( x 0) se e solo se: det (A λ1) = 0 eq. secolare (o caratteristica) di A (1.104) Tale equazione ha grado N nell incognita λ e ammette n soluzioni fra semplici e multiple: λ 1 λ 2... λ n m 1 m 2... m n (1.105) dove m α è la molteplicità della soluzione λ α, con: n m α = N, 1 n N (1.106) α=1 A ogni autovalore λ α è associato un autospazio: F α = { x E N /A x = λ α x } (1.107) Si può dimostrare che 1 dim F α m α. Esempio 1.8.1. Verificare che: A = ( 1 1 0 1 ha un unico autovalore λ 1 = 1 di molteplicità m 1 = 2; inoltre dim F 1 = 1. Quindi A 1 non possiede due autovettori linearmente indipendenti e non esiste alcuna base in cui A 1 sia diagonale. Teorema 1.8.1. Condizione necessaria e sufficiente affinchè esista una base O.N. formata da autovettori di A è che esso sia normale. Dimostrazione: Condizione necessaria Sia A a i = a i a i, a i a j = δ ij, i, j = 1, 2,... N. Allora AA = A A. )

1.8 Autovalori e autovettori per operatori su E N 27 Infatti dall ipotesi segue: A ij = a i A a j = a j δ ij A ij = A ji = a jδ ij (1.108) Quindi nella base a i sia A che A sono diagonali, quindi commutano. Condizione sufficiente Sia AA = A A. Allora a 1 autovettore normalizzato, A a 1 = a 1 a 1 A a 1 = a 1 a 1 in cui si è utilizzato il Lemma 1.6.2 (pag. 19). Sia E N 1 E N il sottospazio ortogonale a a 1 : E N 1 = { y E N / a 1 y = 0} E N 1 è invariante sia sotto A che sotto A ; infatti: a 1 A y = y A a 1 = ( y a 1 a 1) = 0, y E N 1 (1.109) Idem per a 1 A y = 0; ovvero: A y, A y E N 1, y E N 1 (1.110) La restrizione di A al sottospazio E N 1 è quindi ancora normale; si può costruire certamente un secondo autovettore normalizzato a 2 E N 1, quindi per costruzione: a 1 a 2 = 0 Si costruisce poi E N 2 E N 1 ortogonale ad a 2 (e ovviamente ad a 1 ) e così via. Si costruisce dunque un insieme di N autovettori ortonormali: A a i = a i a i, a i a j = δ ij, i, j = 1, 2,... N (1.111) Notare che A nell esempio 1.8.1 non è normale. Esempio 1.8.2. Verificare che: A 2 = ( 1 1 0 0 ) q.e.d. non è normale e ha due autovettori linearmente indipendenti ma non ortogonali fra loro.

28 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui P1: Rappresentazione spettrale di un operatore normale A. Nella base O.N. { a i } (della 1.111) vale: quindi A = a i A ij a j = A ij = a i A a j = a j δ ij (1.112) N a i a i a i = i=1 N a i P i (1.113) dove P i = a i a i, Pi 2 = P i. Occorre notare che non è affatto escluso che si possa avere a i = a j per i j. Se ciò succede, cioè se qualche autovalore a i è degenere, può essere utile affiancare alla rappresentazione spettrale di cui in P1 un altra, in cui si somma solo sugli autovalori diversi a α (con a α a β, α β) e si a (i) raggruppano tutti gli autovettori O.N. /A α = a α α : A = a (i) α a (i) i=1 n a α P α, n N (1.114) α=1 dove n = N solo se non c è degenerazione. P α è il proiettore sull autospazio E α (dim (E α ) 1, vale l uguaglianza solo se a α non è degenere) appartenente all autovalore a α (notare che qui dim E α = m α, vedi eq. 1.106). P α = dim(e α) i=1 a (i) α a (i) α, Le relazioni di O.N.C. degli autovettori n dim (E α ) = N (1.115) α=1 a (i) α si leggono quindi: a (i) (j) α a β = δ αβ δ ij, n m α a (i) α a (i) = 1 (1.116) α=1 i=1 α Lo spazio di partenza E N è quindi scomposto: e vale: n E N = E α, E α = { x E N /A x = a α x } (1.117) α=1 n A = a α P α (1.118) α=1

1.8 Autovalori e autovettori per operatori su E N 29 La 1.118 si dice rappresentazione spettrale di A e contiene tutta l informazione sullo spettro, cioè sugli autovalori a α e sui corrispondenti autospazi: E α = ImP α (ovviamente qui Im sta per immagine, o codominio). Teorema 1.8.2. Condizione necessaria e sufficiente affinchè due operatori normali A e B siano diagonalizzabili nella stessa base O.N. (cioè che ammettano un sistema completo di autovettori in comune) è che essi commutino. Dimostrazione: Condizione necessaria Se A e B sono entrambi diagonali certamente commutano. Condizione sufficiente Sia AB = BA. Scritto A nella sua rappresentazione spettrale 1.114, si vede subito che ogni autospazio E α di A è invariante sotto B; infatti: AB v α = BA v α = a α B v α B v α E α dove v α E α. Per il Lemma 1.6.1 (pag. 19) il sottospazio E α è anche autospazio di A ; poichè [A, B] = 0 [ A, B ] = 0, E α è anche invariante sotto B. Si può quindi diagonalizzare la restrizione di B in E α (che è normale) trovando autovettori di B, che lo sono anche di A. B a α, b (i) α = b (i) α a α, b (i) α Gli N autovettori contemporanei di A e B,, i = 1, 2... mα aα, b (i) α, α = 1, 2,... n, i = 1, 2,... mα, n m α = N α=1 formano un sistema O.N.C. in E N. q.e.d.

30 Spazi di Hilbert, funzionali lineari ed endomorfismi continui

Capitolo 2 Operatori lineari in spazi ad infinite dimensioni 2.1 Dominio, continuità e limitatezza di un operatore. Parecchi dei teoremi sugli operatori lineari negli spazi a dimensione finita possono essere estesi agli spazi di dimensione infinita; è necessario usare però una certa cautela poichè, in generale, essi valgono solo se si pongono opportune restrizioni sulle classi di operatori che si considerano. Una prima complicazione nasce dal fatto che negli spazi ad infinite dimensioni in generale non è conveniente definire gli operatori lineari come omomorfismi fra due spazi E e K, associando ad ogni elemento di E un elemento di K. Basti pensare allo spazio L (2) d (a, b); l operatore lineare derivata,, non dx si può applicare a tutte le funzioni che rappresentano vettori di L (2) (a, b), ma solo a quelle derivabili con derivata quadrato integrabile. È quindi utile adottare la seguente Definizione 2.1.1. Dati due spazi vettoriali E e K si dice operatore lineare di E in K l applicazione lineare D A K, dove D A è una varietà lineare contenuta in E, detta dominio dell operatore A. È importante osservare che D A E deve essere una varietà lineare, e non un sottoinsieme qualsiasi di E, per garantire che x, y D A, α, β C, abbia senso la proprietà che definisce la linearità dell applicazione. A(αx + βy) = αax + βay, (2.1) 31

32 Operatori lineari in spazi ad infinite dimensioni Ciò mostra come il concetto di dominio sia superfluo negli spazi di dimensione finita; infatti se E ha dimensione finita N, qualsiasi varietà lineare D A E è ancora uno spazio vettoriale E di dimensione finita M N; l operatore A è allora un omomorfismo fra lo spazio E e lo spazio K. Se invece E è uno spazio vettoriale ad infinite dimensioni, la varietà lineare D A E può essere uno spazio di natura diversa da E; abbastanza spesso succede, come nell esempio d, che D dx A sia uno spazio normato non completo e che E sia il suo completamento, che valga cioè [D A ] = E. Vedremo tuttavia che anche negli spazi ad infinite dimensioni esiste una sottoclasse di operatori per i quali è superfluo introdurre il concetto di dominio. Se E e K sono spazi lineari topologici (in particolare spazi normati) si può pensare al limite di una successione e chiedersi se si può scambiare l operatore con il segno di limite; gli operatori per cui ciò è lecito si chiamano operatori lineari continui. Definizione 2.1.2. L operatore lineare A è continuo se per ogni successione convergente {x n }, x n D A, con x = lim n x n D A, vale Ax = lim n Ax n (2.2) ovvero A lim n x n = lim n Ax n. (2.3) È immediato verificare che ogni operatore lineare fra spazi a numero finito di dimensioni è continuo; fissate infatti arbitrariamente una base in E ed una base in K, le componenti di y = Ax (x E, y K) sono funzioni lineari, quindi continue, delle componenti di x. La derivata fornisce esempio di operatore non continuo in L 2 ( π, π): la successione 1 sin nx converge a zero in norma quadratica, mentre la successione delle derivate cos nx non converge affatto 1 1 n (le funzioni π cos nx formano un sistema ortonormale). In modo analogo la definizione di operatore limitato fra spazi normati E e K diventa la seguente Definizione 2.1.3. per ogni x D A vale L operatore A è limitato se esiste un C > 0 tale che Ax C x, 1 La successione cos nx converge a zero solo debolmente, ovvero nel senso delle distribuzioni.

2.1 Dominio, continuità e limitatezza di un operatore. 33 ovvero se x D A, x = 1, si ha La norma di A diventa: Ax C. A = sup x D A x 0 Ax x = sup x D A x = 1 Ax, (2.4) che esiste certamente perchè Ax è limitato. Per ogni x D A si può quindi scrivere Ax A x. (2.5) Pur avendo ammesso che l operatore A sia definito soltanto su una varietà lineare contenuta in E, le definizioni 2.1.2 e 2.1.3 rimangono equivalenti. Vale anche il seguente Teorema 2.1.1. Un operatore lineare limitato A, che mandi lo spazio normato E nello spazio di Banach K, definito su un dominio D A E può essere esteso per continuità in modo unico alla chiusura [D A ]. Dimostrazione: x [D A ], {x n }, x n D A /x = lim n x n. {Ax n } è di Cauchy in K; infatti Ax n Ax m A x n x m ; quindi, per la completezza di K, y = lim n Ax n K. Mostriamo che il limite y non dipende dalla successione scelta a rappresentare x; infatti se x = lim n x n, x n D A, la 2.5 implica Ax n Ax n A x n x n n 0; quindi lim n (Ax n Ax n ) = 0. L effetto di A su x [D A ] può quindi essere definito in modo univoco da: Ax = y. È immediato verificare che questa estensione di A ne conserva la linearità e la norma.

34 Operatori lineari in spazi ad infinite dimensioni q.e.d. Questo teorema mostra che, come per gli spazi a numero finito di dimensioni, anche nel caso degli spazi di Banach (ed in particolare di quelli di Hilbert) è supefluo introdurre il concetto di dominio, qualora ci si limiti a operatori lineari limitati; infatti in tal caso il dominio è (o può essere reso grazie al teorema 2.1.1) un sottospazio chiuso dello spazio di Banach E, quindi ancora uno spazio di Banach E E; quindi tanto vale limitarsi a studiare gli omomorfismi fra spazi di Banach E K e supporre che l operatore sia definito su tutto E. Naturalmente lo stesso discorso non vale per gli operatori non limitati ed è proprio in questo caso che è essenziale introdurre il concetto di dominio. Esercizio 1: Verificare che d non è limitato in dx L2 ( π, π), applicandolo alla successione cos nx. Esercizio 2: Verificare che l operatore lineare posizione X, definito da X : f g, dove g(x) = xf(x), è limitato in L 2 (a, b) con a, b finiti [ x = max ( a, b )]; se l intervallo è infinito, X non è limitato e il suo dominio non può essere tutto L 2 (a, b). 2.2 Aggiunto di un operatore lineare non continuo, in spazio di Hilbert separabile H Supponiamo che il dominio D A dell operatore lineare A : D A H sia denso in H ([D A ] = H),ma non coincida con H; ciò succede se A non è continuo. ( vedi teorema 2.1.1). Per definire l aggiunto di A si procede come in 4.5 ma ci vuole più cautela. Fissato un generico bra u H non è detto che l applicazione D A C : v u (A v ) (2.6) che è certo lineare e ben definita v D A, sia continua, come dovrebbe essere 2 per poter definire un bra (funzionale lineare continuo, vedi la definizione data nel capitolo 4) w tale che valesse: w v = u (A v ), v D A (2.7) Definizione 2.2.1. L insieme D(A ) (che è una varietà lineare) dei ket 2 Ricordare la continuità del prodotto scalare.

2.2 Aggiunto di un operatore lineare non continuo, in spazio di Hilbert separabile H 35 u per cui l applicazione 2.6 è un funzionale lineare continuo (che chiamiamo w ) si dice dominio dell operatore aggiunto A : D(A ) = { u H/ w H / w v = u (A v ), v D A } (2.8) Per ogni u D A si può allora scrivere u A = w, ovvero A u = w (2.9) che definisce l aggiunto A di A ; inoltre poichè w v si può scrivere sia come u (A v ) che come ( u A) v si possono lasciar cadere le parentesi e scrivere semplicemente u A v ; da w v = v w e dalla 2.9 segue infine u A v = v A u, v D A, u D A (2.10) Definizione 2.2.2. L operatore A si dice autoaggiunto se D A inoltre A = A. P 1: Proprietà: La 2.10 implica che A autoaggiunto = D A e u A v = v A u, u, v D A (2.11) Notare che u (A v ) = v (A u ), u, v D A, (2.12) che è la definizione di operatore simmetrico o hermitiano, non basta di per sè dire che A è autoaggiunto; se A non è continuo bisogna verificare esplicitamente che valga D A = D A. Quando in fisica si dice hermitiano, si intende quasi sempre autoaggiunto! Le proprietà di ortogonalità degli autovettori appartenenti ad autovalori diversi dipendono solo da 2.11, quindi valgono per gli operatori simmetrici; è per avere la completezza (in senso generalizzato) dello spettro che ci vuole proprio la autoaggiuntezza, che è qualcosa in più della semplice hermiticità. 3 Esempio 2.2.1. L operatore posizione X in L 2 (R): X : f g = X f, f D X (2.13) 3 Per Dirac, che sapeva il fatto suo, la definizione di osservabile dinamica contiene esplicitamente la richiesta di completezza dello spettro; usando terminologia matematicamente rigorosa, oggi diciamo che le osservabili fisiche sono gli operatori autoaggiunti, che sono quella sottoclasse (propria) degli operatori hermitiani che ha spettro completo (vedi paragrafo 2.5).

36 Operatori lineari in spazi ad infinite dimensioni dove g(x) L 2 (R) (con tutta la classe delle funzioni ad essa quasi ovunque uguali) rappresenta il ket g ed è data da g(x) = xf(x). (2.14) Affinchè g(x) L 2 (R), non basta f(x) L 2 (R). Dobbiamo quindi definire: Per esempio f(x) = 1 1+x 2 u X f = D X = {f(x) L 2 (R)/xf(x) L 2 (R)}. (2.15) + L 2 (R), ma non appartiene a D X. Da dx u (x)xf(x) = + w (x)f(x) dx con w(x) = xu(x) segue subito che, affinchè w(x) L 2 (R), D X = D X e X = X. Quindi X è autoaggiunto. Esempio 2.2.2. L operatore derivata D in L 2 (R) D : f g = D f, f D D (2.16) dove g(x) = d f(x) (2.17) dx Per definire il dominio D D notiamo anzitutto che f(x) deve essere derivabile (in senso ordinario) in tutto R e che f (x) L 2 (R). Da u D f = segue che per poterlo scrivere come w f = + + u (x)f (x)dx (2.18) w (x)f(x)dx (2.19) bisogna effettuare un integrazione per parti; ma per poterlo fare nell ambito dell integrazione alla Lebesgue ci vuole un po di cautela. Infatti il teorema fondamentale del calcolo integrale vale anche per l integrale di Lebesgue: d dx x a f(y)dy = q.o. f(x), f L(a, b), x [a, b] (2.20) ma non è detto che la funzione sia uguale all integrale della sua derivata. Definizione 2.2.3. f(x) L(a, b) si dice assolutamente continua se f (x) esiste quasi ovunque in (a, b) e vale

2.2 Aggiunto di un operatore lineare non continuo, in spazio di Hilbert separabile H 37 x a d f(y)dy = f(x) f(a), x [a, b] (2.21) dy La 2.20 implica che ogni primitiva di una funzione L(a, b) è assolutamente continua. Un ovvio controesempio alla 2.21 è una funzione con discontinuità di prima specie in (a, b) (la derivata esiste q.o. ma non vale la 2.21); è facile mostrare che f C 1 vale la 2.21, ma f(x) è assolutamente continua anche se la sua derivata prima ha delle discontinuità di prima specie in (a, b); quindi per la classe delle funzioni assolutamente continue (che indichiamo con C, anche se non esiste una notazione standard) vale C 0 C C 1. Come esempio di funzione continua ma non assolutamente continua si consideri f(x) = { x sin 1 x, x 0 0, x = 0 ; (2.22) si vede subito che f (x) non è integrabile in un intervallo che comprenda l origine, quindi non vale la 2.21 per a < 0, x 0. Si può dimostrare che somma e prodotto di f e g C appartengono ancora a C. La 2.21 è evidentemente l ingrediente essenziale per l integrazione per parti. La prima sottigliezza nel definire il dominio di D è allora che f(x) deve essere assolutamente continua, quindi { D D = f(x) L 2 (R), f C, } f (x) L 2 (R) (2.23) A questo punto siamo a cavallo perchè se e solo se anche u D D si può scrivere: u D f = u (x)f(x) + + u (x) f(x)dx = + u (x) f(x)dx = w f (2.24) dove il termine finito scompare perchè u, v D D u(x), f(x) 0 per x ± e w(x) = du (2.25) dx Quindi D D = D D, D = D (2.26)