DISPENSA DEL CORSO DI FORMAZIONE SULLE COMPETENZE INTERCULTURALI a cura di Samuela Foschini. Il percorso formativo, realizzato attraverso attività pratico esperienziali - attività e proposte di conoscenza, di fiducia, di valorizzazione e riflessione ha sempre tenuto conto degli obiettivi previsti dal corso e che sono sintetizzati nelle 3 S DELLA COMUNICAZIONE INTERCULTURALE: 1- SAPERE: conoscenza teorica degli argomenti da trattare ma anche un sapere dell altro (io conosco l altro); 2- SAPER ESSERE: interesse e predisposizione a lavorare su di sé per esercitarsi attraverso comportamenti e saperi (imparare a conoscersi di più grazie all altro.) 3- SAPER FARE: fare con l altro (fare conoscenza attraverso l esperienza dell altro e un fare inteso come pratica dell intercultura). La prima parte della dispensa contiene gli approfondimenti teorici alcuni dei quali sono estratti della tesi di laurea. 1 - degli argomenti affrontati durante il corso di formazione. La seconda parte contiene argomenti ed esperienze di progetti relativi all educazione interculturale nei nidi d infanzia - estratti dalla letteratura presente nella bibliografia. 1 La tesi di laurea in antropologia culturale è scritta da Samuela Foschini.
Le tematiche centrali del discorso interculturale L INTERCULTURA Il termine intercultura nasce in Francia per poi trasferirsi in Germania e in Italia. Esso sta a indicare una situazione di interazione, reciprocità e scambio fra le diverse culture e spesso designa una prospettiva, un obiettivo a cui tendere. Tale prospettiva è quella dell'integrazione, del raggiungimento di un pluralismo politico e culturale in cui il rispetto reciproco e la valorizzazione delle rispettive culture è il fine (Genovese, 2003). Come ha evidenziato Alessandra Guigoni, «sicuramente la pratica interculturale, da quanto si è detto, risulta più difficile, complessa, perché esige che noi, abitanti della metropoli, incontriamo l' altro, ragioniamo con lui, mediamo tra la nostra cultura e la sua, costruendo una sintesi di culture, sovente diversa dalle culture di origine» (Guigoni 2001: 1) 2. Per concludere, potremmo dire che l educazione interculturale è di per sé una prospettiva a cui mirare per creare nella società multiculturale (nel senso di complessa) un rapporto d interazione produttiva e costruttiva tra persone, che può essere realizzata attraverso nuove conoscenze e criticità, tecniche (empatia, linguaggio non verbali e altre metodologie) e approcci teorici. 2 Guigoni A. 2001, L'interculturalismo, per uscire dai ghetti culturali, in Rivista telematica di arte, design e nuovi media, n.2, anno II, Cagliari «http://www.lacritica.net»
LA MULTICULTURALITA Parlare di multiculturalità e di interculturalità, non è la stessa cosa, anche se i due termini sono stati talvolta sovrapposti perché, come ha sottolineato Antonio Genovese (2003: 81), assumono un significato diverso a seconda del paese e del contesto in cui sono utilizzati. Io mi limiterò a parlare di tale termine e del suo utilizzo in Italia e, precisamente, nell'ambito pedagogico, dove esso sta a indicare una situazione di coesistenza di diverse culture «che non hanno trovato gli strumenti per il confronto e la relazione» (ibid). In questo senso, si tratta di un termine neutro che indica una situazione di fatto. Mentre Davide Zoletto(2002), in un suo saggio dal titolo "Gli equivoci del multiculturalismo", sostiene che il multiculturalismo sia un assunto basato su un doppio errore: quello per cui un «individuo sia per così dire completamente o ampiamente sovra determinato da una cultura, e che le nostre società fossero (o che le società in generale possano mai essere) monoculturali prima dell'arrivo dei migranti». A questo punto è meglio affrontare la questione da una prospettiva diversa, partendo da un'idea di multiculturalità - come ha sottolineato Francesca Gobbo (2002) - che non sia riferita solo alle differenze etniche, e possiamo aggiungere culturali e religiose, ma anche alla struttura delle società complesse in cui viviamo - e che comprenda quindi tutte le differenze (di genere, di status sociale, di professione, di età, ecc).
LA DECOSTRUZIONE DELL IDENTITA CULTURALE «Se esiste, in ogni momento, fra gli elementi che costituiscono l identità di ciascuno, una certa gerarchia, essa non è immutabile, cambia con il tempo e modifica in profondità i comportamenti» (A.Maalouf L identità ). Sappiamo, dall'antropologia culturale, che l'identità culturale, così come la cultura, non ha radici biologiche che la condizionano in modo unilaterale e assoluto ma ogni soggetto ha origini culturali e biologiche multiple. L'identità, quindi, è un processo di adattamento che si costruisce nell'incontro con l'altro, continuamente, e in cui si recupera il tradizionale e si inventa il nuovo (Destro, 2001): «l'identità non inerisce all'essenza di un oggetto; dipende dalle nostre decisioni. L'identità è un fatto di decisioni». (Remotti 1996). E potremmo aggiungere anche che è una possibilità. L ESPERIENZA DI LABORATORIO CULTURE BOX Per approfondire il concetto d identità culturale, ognuna delle partecipanti al corso, ha fatto un esperienza pratica di decostruzione della propria identità, giungendo a verificare come essa sia composta da una pluralità di elementi (identità nazionale, religiosa, linguistica, professionale, famigliare, ecc) e come questi elementi non abbiano la stessa importanza, soprattutto non nello stesso momento storico. La possibilità di decentrarsi è stata fondamentale per poter rivisitare le proprie idee, le proprie percezioni e categorie concettuali, e per migliorare la comprensione di se stessi, e di conseguenza degli altri. Il tutto ha portato ad una maggiore consapevolezza rispetto al fatto che le identità culturali e quindi le culture - non sono entità statiche, ben definite e internamente omogenee,
ma al contrario, essendo esse attraversate da relazioni e scambi reciproci continui, sono il prodotto di un continuo processo di costruzione e, come la cultura, sono in perenne evoluzione e trasformazione. Solo partendo da questi presupposti si può parlare di differenze senza rischiare di cristallizzarle, di renderle immutabili e quindi di creare nuovi stereotipi negativi. LA CULTURA Siccome le definizioni di cultura formulate dalle diverse scuole di pensiero sono tantissime (basti pensare che due antropologi ne hanno raccolte oltre 200 definizioni) io ne ho scelta una tra le tante, che trovo idonea per affrontare i discorsi e i progetti della pedagogia interculturale: la cultura intesa come relazione e costruzione sociale, non statica, originaria e essenziale «ma un insieme di processi mutevoli, dinamici, instabili, come l'identità».. L'etnia, allo stesso tempo, «non è il fondamento ma il prodotto di una classificazione» (Fabietti, Malighetti, Matera, 2000: 74). Alla base di un'immagine del mondo frazionato in etnie e culture distinte c'è il rapporto che l'occidente ha impostato, un tempo, con il resto del mondo e che ha indotto gli studiosi a pensare che le culture primitive esprimessero un'essenza identitaria e differenziale, in qualche modo immutabile. L'idea di umanità che si ricava da questo pensiero è che esistano gruppi discontinui tra loro incomunicanti laddove invece esistono solo delle continuità e delle sfumature (Fabietti, 1998: 26; cfr. Amselle 1999). «I richiami alle origini o alla purezza [culturale o etnica] sono in realtà proiezioni all'indietro di aspirazioni quanto mai attuali (richieste di autonomia, interessi locali, ambizioni di certi leader, ecc.)» (Aime, 2004: 40).
LA DIMENSIONE DELL ALTERITA Nonostante il discorso e il progetto interculturale siano riferiti agli immigrati o alle minoranze che si inseriscono nella nostra società, è anche vero che sempre più spesso tali discorsi interpellano «le maggioranze e le culture nazionali o dominanti, la cui riflessione e discussione su se stesse, sui propri orientamenti e valori vorrebbero [...] indubbiamente stimolare» (Gobbo, 2002: 16). Forse, da questo punto di vista, la pedagogia interculturale può davvero essere uno strumento utile a stimolare questa riflessione, se, oltre a porre l'attenzione sull' altro, la sposta anche sul noi. Ma in che modo vogliamo intendere l altro? Se l'altro è inteso nel senso di soggetto da conoscere, perché ha una sua dignità di persona, con i suoi modi, i suoi valori e le sue emozioni, allora gli aspetti che lo caratterizzano possono essere portati su di un piano riconoscibile, e consentire l'instaurarsi di dialoghi, discussioni e riflessioni sugli aspetti che ci appaiono inaccettabili. Il compito dell'intercultura è di evidenziare il modo in cui ognuno è cambiato dopo l'incontro con le diversità. Lo sforzo di comprendere 3 l'altro porta inevitabilmente a interrogare noi stessi e a problematizzare la nostra diversità per giungere a costruire uno sguardo differente verso il mondo e verso i popoli. Queste cause e questi obiettivi molto sintetizzati della pedagogia interculturale fanno sentire sempre più il bisogno di situare i problemi 3 Il significato di comprendere non implica l'accettazione di norme e costumi che non rispettano uomini, donne, bambini e anziani in quanto soggetti di diritti al di là delle appartenenze specifiche. Come ha voluto precisare F. Gobbo in L'educazione al tempo dell'intercultura, 2008, Carocci, Roma, p.13
dell'accoglienza e dell'inserimento in una prospettiva teorica più ampia, che tenga conto non solo delle difficoltà o diversità dei soggetti immigrati ma anche del fatto che «l'organizzazione sociale e la cultura nei paesi di accoglimento (anche scolastiche) non sono abituate a vedersi e ad ascoltarsi come insieme di regole, modi, aspettative culturali» [il corsivo è dell'autrice]. Idem, Ivi, p.13 GLI STEREOTIPI E I PREGIUDIZI Come per i concetti di cultura e di etnia, anche per le categorie di cui parlerò in maniera molto concisa in questo paragrafo, non esiste una definizione univoca, per cui anche in questo caso, ho cercato di sceglierne una che potesse essere esauriente. Nel caso del pregiudizio ho scelto la precisa definizione di Taguieff (1999: 116) il quale lo indica come: 1.Opinione preconcetta, socialmente appresa, condivisa dai membri di un gruppo, e che può essere favorevole o sfavorevole alla categoria presa di mira. 2. Attitudine negativa, sfavorevole, o persino ostile, e carica di affettività nei confronti di individui etichettati sotto una determinata categoria. 3 Credenza rigida che si fonda su un'impropria generalizzazione e su un errore di giudizio, che consiste nell'attribuire tratti stereotipati a diversi gruppi umani (razze, etnie, nazioni, ecc.). Dopo averne dato una definizione occorre anche capire come si forma il pregiudizio, perché, se si vuole operare nella direzione dell'interculturalità, bisogna rivolgersi come abbiamo detto in precedenza «alla nostra capacità di incontrare o avvicinarci all'altro superando stereotipi e pregiudizi» (Genovese, 2003: 195). La nascita del pregiudizio avrebbe una doppia natura: soggettiva e sociale. Secondo l'approccio cognitivo, il pregiudizio avrebbe una natura soggettiva e quindi è l'uomo che lo costruisce attraverso l'organizzazione delle conoscenze, ma in questo modo non si tiene conto della dimensione sociale e cioè della relazione dell'uomo con l'ambiente da cui arrivano le conoscenze, e si manifestano gli effetti di un sapere condiviso. In
conclusione: per un contenimento del peso del pregiudizio occorre tenere presenti sia la sua natura soggettiva che quella sociale (Genovese 2003). Per concludere: il pregiudizio sociale nasce soprattutto dalla paura di una minaccia esterna verso i propri spazi o interessi che porta ad escludere coloro che la rappresentano. Ma può essere anche uno strumento di inclusione, nel momento in cui si vuole entrare a far parte di un gruppo, accettandone acriticamente le idee che quel gruppo condivide. La diffusione del pregiudizio può dipendere dalle condizioni della struttura sociale eterogeneità di quest'ultima o dalle trasformazioni di questa. In che modo si diffonde lo vedremo quando parleremo dello stereotipo perché il pregiudizio è strettamente collegato allo stereotipo tant'é che quest'ultimo «viene interpretato come il nucleo cognitivo del pregiudizio stesso, la base ideologica su cui si fonda e trova la propria verità il contenuto affermato nel pregiudizio» (Genovese, 2003: 20). A questo punto occorre precisare cosa sia lo stereotipo, scegliendo una tra le tante definizioni che si possono trovare. Optando di nuovo per Taguieff (1999: 117-118), ho scelto la definizione più concisa che indica lo stereotipo come: «un'immagine rigida, che fa parte delle rappresentazioni sociali disponibili» anche se il filosofo ne dà una definizione più ampia che riprende dalla psicologia sociale. Si potrebbe aggiungere che queste rappresentazioni sono delle letture semplificate e negative di determinate categorie sociali. Il problema degli stereotipi, come fa notare Genovese (2003: 22) è che «una volta stabilizzati, tendono a riprodursi grazie alle loro caratteristiche di rigidità e immutabilità» e si rafforzano con la legittimazione sociale. Sia lo stereotipo che il pregiudizio si diffondono attraverso la socializzazione e in questo caso «i loro contenuti si trasmettono in maniera forte perché carica emotivamente [ ], ma anche tramite le relazioni saltuarie, di strada e attraverso le tradizioni culturali locali» (Genovese 2003: 33), mentre si amplificano e si rafforzano non intenzionalmente attraverso agenzie come la scuola e i mass-media in genere.
Non esiste un solo modo che possa essere considerato giusto per crescere i bambini, ma tanti modi diversi quante sono le culture e quanti sono i bambini ( Mille modi di crescere, Favaro 2002). L INTERCULTURA AL NIDO Il nido riveste un ruolo cruciale nei percorsi dell'integrazione culturale dei bambini stranieri, perché è durante i primi anni che si costruisce il cammino dell'inclusione, [...] si pongono le basi del reciproco riconoscimento e dell'auto-riconoscimento, si acquisisce la lingua materna, insieme a quella del paese che accoglie [...]; la sfida per i genitori stranieri è dunque quella di consegnare i loro figli a persone che sono all'esterno del <<cerchio caldo>> della famiglia e di fidarsi di loro/affidarsi a loro (Favaro in Nello stesso nido, 2006.) La presenza dei bambini stranieri è una risorsa importante per educare tutti i bambini alla scoperta e al rispetto delle diversità e delle somiglianze perché, è dimostrato da alcuni studi, tutti i bambini percepiscono la diversità fin dai primi mesi di vita - soprattutto quella somatica legata al colore della pelle (Bolognesi, Di culture in culture ). Per i progetti e le iniziative nelle scuole dell infanzia e nel nido, vedere le fotocopie nella seconda parte della dispensa.
GLI SPAZI DELL INTERCULTURA Quando abbiamo approfondito il discorso sull identità culturale è emersa l importanza di non imporre un abito culturale (cfr.aime) ai bambini immigrati, sia che vada nella direzione della cultura d origine, sia di quella del paese d accoglienza. Allo stesso tempo, però è molto a importante che l insegnante si attivi aiutando chi viene da lontano a non rinunciare a una parte della sua identità (Balsamo in Mille modi crescere, 2002). Per realizzare questi obiettivi, si possono creare spazi - gioco in cui ogni bambino porta un oggetto personale e lo fa conoscere ai compagni oppure si può far in modo di coinvolgere i genitori cercando di raccogliere informazioni sulla famiglia, e, o ascoltando le loro difficoltà, sia nei rapporti con la scuola (insegnanti, regole, ecc) sia con i loro bambini. In ultimo, ma non per ultimo, è utile anche organizzare feste o incontri in cui insegnanti e genitori insieme si attivino per raccogliere idee su come migliorare la convivenza.
BIBLIOGRAFIA Aime M. 2004, Eccessi di culture, Torino, Giulio Einaudi s.p.a. Amselle J.L. 1999, Logiche meticce. Antropologia dell'identità in Africa e altrove, Torino, Bollati Boringhieri. Balsamo E.2002, Mille modi di crescere : bambini immigrati e modi di cura, Milano : F. Angeli Bolognesi I. 2006, Di cultura in culture : esperienze e percorsi interculturali nei nidi d'infanzia, Milano,F. Angeli. Destro A. 2001, Complessità dei mondi culturali. Introduzione all'antropologia. Bologna, Pàtron Editore. Fabietti U. 1998, L' Identità etnica, Nuova edizione, Roma, Carocci. Fabietti U., Malighetti R., Matera V. 2000, Dal tribale al globale, parte 1 cap.3, Milano, Bruno Mondadori. Favaro G, Mantovani S, Musatti.T,2006, Nello stesso nido : famiglie e bambini stranieri nei servizi educativ, Milano : F. Angeli. Genovese A. 2003, Per una pedagogia interculturale. Dalla stereotipia dei pregiudizi all' impegno dell' incontro, Bologna, Bononia University Press. Gobbo F. 2002, Pedagogia interculturale. Il progetto educativo nelle società complesse, Roma, Carocci. Zoletto D. "Gli equivoci del multiculturalismo", in G.Leghissa e D.Zoletto (a cura di), «aut aut» n. 312, 2002, pp.8-9, Milano, La nuova Italia. Taguieff P.A. 1999, Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti, Milano, Raffaello Cortina Editore.