L EVOLUZIONE DEGLI STUDI DI MARKETING IN ITALIA



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Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Giuseppe BERTOLI Gabriele TROILO L EVOLUZIONE DEGLI STUDI DI MARKETING IN ITALIA DALLE ORIGINI AGLI ANNI SETTANTA Paper numero10 Dicembre 2000

L EVOLUZIONE DEGLI STUDI DI MARKETING IN ITALIA DALLE ORIGINI AGLI ANNI SETTANTA di Giuseppe BERTOLI ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese nell'università degli Studi di Brescia e Gabriele TROILO ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese nell'università Commerciale Luigi Bocconi di Milano Una prima versione di questo lavoro è stata presentata in occasione del workshop Aidea Giovani L azienda nel tempo, Venezia, Ca Foscari, 12-13 giugno 1997.

Allo stesso modo con cui gli alpinisti conquistano le cime più eccelse della terra costituendo tanti campi base, sempre più avanzati, ognuno dei quali, però, è la continuazione di quelli precedenti che ne costituiscono la premessa, così gli studiosi tendono verso soglie scientifiche sempre più elevate, usufruendo, anch essi, di tutto il materiale preesistente e delle conquiste che altri nel tempo hanno fatto (E. Giannessi, 1969, p. 477)

INDICE pagina 1. Premessa. 7 2. I primordi del marketing 7 3. Le antiche trattazioni 11 4. L'indirizzo descrittivo-negoziale: gli studi di Tecnica mercantile 5. L'indirizzo sistematico-gestionale: gli studi di Tecnica commerciale 19 27 6. I primi studi di marketing negli Stati Uniti d'america. Cenni 35 7. Gli studi tecnico-commerciali in Italia negli anni '30-40: la scuola funzionalista 37 8. Gli studi tecnico-commerciali in Italia negli anni 50-60 39 9. Brevi osservazioni conclusive 69 Bibliografia 71

L evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta 1. Premessa Nella letteratura internazionale non mancano certo ricostruzioni storiche dell evoluzione attraversata dalla dottrina di marketing. Tali lavori riguardano però, pressoché esclusivamente, la realtà statunitense, e i motivi sono agevolmente comprensibili ove si ponga mente al notevole sviluppo che il marketing ha avuto in tale Paese. 1 Manca, a tutt oggi, un inquadramento storiografico della situazione italiana; e se a non pochi è presente, giacché l'hanno vissuta, lo è però in forme talora parziali. In questo lavoro, pertanto, ci proponiamo essenzialmente di delineare un analisi degli studi di marketing sviluppati in Italia a partire dall inizio del secolo fino agli anni Settanta. La scelta di limitare l area d indagine a tale periodo deriva, oltre che da evidenti considerazioni in ordine alla mole di opere da analizzare, dalla convinzione che il periodo tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi del decennio successivo - caratterizzato da rilevanti trasformazioni sociali, politiche, economiche e istituzionali - si rifletta sugli studi oggetto d indagine segnando l avvìo a un periodo di rilevante cambiamento, che necessita di uno specifico approfondimento e quindi di un ulteriore ricerca. 2. I primordi del marketing I primi studi italiani esplicitamente dedicati al marketing appaiono in Italia pur con altra denominazione - solo verso la metà del nostro secolo. Questi scritti, però, pur rappresentando per non pochi aspetti un quid novi arduo da riconnettersi alle categorie analitiche fino ad allora usuali trovano il loro terreno di sviluppo in quel complesso di studi volti ad analizzare le molteplici problematiche connesse agli scambi di mercato 2 da 1 Cfr., per esempio, P.D. Converse, The Beginning of Marketing Thought in the United States, University of Texas, Bureau of Business Research, 1959; R. Bartels, The Development of Marketing Thought. Homewood (Ill.), R.D. Irwin, 1962; J.N. Shet e D.M. Gardner, History of Marketing Thought: An Update, in R. Bush, S. Hunt (eds.), Marketing Theory: Philosophy of Science Perspectives, American Marketing Association, 1982, pp. 52-58; S. Hunt, Marketing Theory: The Philosophy of Marketing Science, Homewood (Ill.), R.D. Irwin, 1983; J.N. Shet, D.M. Gardner, D.E. Garrett, Marketing Theory: Evolution and Evaluation, New York, Wiley & Sons, 1988. 2 Il marketing ha, come presupposto, l esistenza del mercato e quindi l idea dell impresa che ne diviene l artefice all atto stesso in cui il processo produttivo esce dall ambito autossitico dell economia domestica per divenire fatto realizzato per via indiretta, ossia per via di scambio. L impresa scambia per produrre, e nello scambiare per produrre, oltre che un problema d acquisto, ha sempre un problema di vendita da affrontare (U. Caprara, La sistemazione dottrinale della tecnica mercantile e bancaria nelle rievocazioni di un ottuagenario, Finanza Marketing e Produzione, n. 1, 1983, p. 17. Del Caprara si veda, sul 7

Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo tempo presenti nel nostro ordinamento universitario. In effetti, il marketing - sia come disciplina di studio sia, a maggiore ragione, come processo aziendale - ha una storia assai antica. Alcune ricerche sottolineano infatti lo stretto legame intercorrente fra lo sviluppo del capitalismo e quello delle attività di marketing, nel senso che The marketing developed in the modern western world is the concrete manifestation of capitalist ideals. 3 Com è noto, gli storici ritengono che le prime manifestazioni del capitalismo si possano far risalire alla metà del secolo XIII. Esse hanno un fondamento essenzialmente mercantile, poiché la forza d impulso è rappresentata dall attività del mercante-imprenditore, al quale spetta l iniziativa e il rischio della produzione per il mercato. Fin verso la metà del XVIII secolo, comunque, lo sviluppo dell organizzazione industriale - benché costante - procede assai lentamente. Esso assume un ritmo estremamente più veloce a séguito della rivoluzione industriale, con la quale - pur nel continuum temporale - si può dire nasca il capitalismo industriale e, con esso, anche il marketing (inteso quale prassi aziendale). L importanza della rivoluzione industriale ai fini che qui rilevano consiste essenzialmente nel fatto che con essa prende avvìo un processo di sviluppo che dà luogo a una serie di profondi cambiamenti, fra loro strettamente interrelati: nella tecnologia, nei consumi, nel sistema distributivo e nei processi competitivi. Semplificando al massimo un tema assai più complesso, si può affermare che, per quanto riguarda il primo aspetto, il paradigma tecnologico che si afferma con la rivoluzione industriale crea le condizioni per un sostanziale e continuo progresso tecnico-scientifico, il quale - a propria volta - consente una più elevata produttività del lavoro umano e lo sviluppo di sempre nuovi prodotti. L incremento della produzione e dell occupazione, dal canto loro, stimolano, nel tempo, un sensibile aumento dei consumi, a lungo rimasti a livello di semplice sussistenza per gran parte della popolazione. L affermarsi dell industria moderna, poi, modifica sensibilmente i rapporti fra produzione e mercato: mentre in presenza di un economia artigianale - in cui i vari operatori producono e vendono direttamente nelle loro botteghe i propri prodotti - esiste la massima integrazione tra produzione e vendita, in un economia di tipo industriale gli assortimenti e le quantità delle produzioni realizzate sono tali che occorre disporre di un apposita organizzazione per collocare sul tema, anche La genesi dell economia di mercato, Milano, Giuffrè, 1950, rist. 1987, in specie i capp. 1 e 2). 3 Il punto è ben sviluppato da R.A. Fullerton, "Modern Western Marketing as a Historical Phenomenon: Theory and Illustration", in T. Nevett e R.A. Fullerton (eds.), Historical Perspective in Marketing. Essays in Honor of Stanley Hollander, Lexington Books, Lexington (Mass.), 1988, pp. 71-9. Cfr. anche S. Hollander, "The Marketing Concept: a déjà vu", in G. Fisk (ed.), Marketing management Technology as a Social Process, New York, Praeger, 1986. 8

L evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta mercato i manufatti realizzati. Lo sviluppo industriale e la progressiva affermazione della grande impresa, infine, comportano un mutamento delle logiche competitive, aumentando il grado d interdipendenza fra imprese e favorendo - nel tempo l utilizzo di strumenti concorrenziali diversi dal prezzo. 4 In estrema sintesi, è sufficiente ricordare che, a séguito della rivoluzione industriale, la situazione economica dei paesi più avanzati passa - in un volgere di anni più o meno lungo - da situazioni di diffusa scarsità di beni di consumo a situazioni di relativa saturazione o, addirittura, a fenomeni di impossibilità, da parte della domanda, di assorbire - in un numero crescente di settori merceologici - tutti i beni che l aumentata capacità produttiva rende man mano disponibili. In relazione a questa situazione, il rapporto impresa-mercato - tradizionalmente fondato sulla preponderanza del momento produttivo - si trasforma progressivamente: l impresa, infatti, non più in grado di contare sulla spontanea capacità di assorbimento da parte del mercato, procede allo sviluppo di metodi e politiche - il marketing, appunto - atti a potenziare la possibilità d influenzare o, comunque, controllare il mercato. Nelle fasi storiche immediatamente successive alla rivoluzione industriale e fino ai primi anni del nostro secolo, il marketing rimane però a uno stadio alquanto embrionale, che non corrisponde al significato che ormai gli viene correntemente attribuito nella dottrina e nella pratica aziendale. L allargamento dei mercati di consumo conseguente alla rivoluzione industriale si manifesta infatti in un primo tempo in misura superiore rispetto all'aumento della produzione, sicché la quantità di prodotti offerta rimane a lungo insufficiente a soddisfare appieno la domanda. E' evidente che, in queste condizioni, gli operatori economici non possano che indirizzare la loro attenzione e i loro sforzi verso il problema più urgente: l incremento della produzione. Ciò non significa, ovviamente, che le attività di marketing (lato sensu intese) non abbiano alcun rilievo o, addirittura, non esistano; ma semplicemente che esse non sono quelle più critiche. In particolare, l impresa industriale non avverte la necessità di interessarsi direttamente del consumatore: le sue funzioni, i suoi compiti, si esauriscono nel realizzare i prodotti e consegnarli all intermediario, grossista o dettagliante che sia. Esiste, pertanto, una separazione piuttosto netta fra le funzioni produttive (svolte dalle imprese manifatturiere) e quelle d intermediazione 4 I temi qui adombrati sono trattati da una vasta letteratura. Per limitarci agli Autori italiani, si possono consultare: R. Fazzi, La produzione di massa, Firenze, Coppini, 1958; O. Rondini, Elementi di strategia della distribuzione, Milano, Giuffrè, 1963; R. Varaldo, Aspetti della politica di marketing nelle aziende industriali, Pisa, Cursi, 1969; W.G. Scott, "Lo sviluppo teorico del marketing", in L. Guatri e W.G. Scott (a cura di), Manuale di marketing, Milano, Isedi, 1976, 2^ ed., pp. 115-21; S. Podestà, Nuovi sviluppi del marketing, in Aidea, Il marketing dei servizi, Milano, Giuffrè, 1982, pp. 9-10. 9

Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo commerciale (svolte dalle imprese mercantili). Il maggior potere di mercato spetta agli intermediari commerciali (in particolare alle imprese grossiste), i quali - in genere - indicano ai produttori industriali quali beni porre in lavorazione, pre-finanziano i processi produttivi, fronteggiando i rischi commerciali attraverso la predisposizione di assortimenti molto ampi e modificandoli in funzione dell'evoluzione della domanda. In questa situazione, sono i consumatori che vanno alla ricerca dei beni e, quindi, di coloro che li producono o li distribuiscono e non viceversa; fatto - questo - che spiega perché l'impresa non avverta il bisogno di studiare le caratteristiche e le esigenze della domanda, ma finisca con l adeguarsi passivamente alle esigenze del mercato (espresso dagli intermediari), competendo quasi esclusivamente attraverso le politiche del prezzo e dell assortimento. 5 Per quanto in particolare riguarda il nostro Paese, la situazione qui ricordata si riflette sull'impostazione degli studi tecnico-commerciali, i quali concentrano il proprio interesse sull'attività mercantile, sui processi distributivi, disinteressandosi dell'attività svolta dall'impresa industriale vista quale mero fatto ingegneristico. Saranno questi studi, però, a rappresentare il corpo naturale in cui s'inserirà - "in sovrapposizione o ad integrazione" 6 - la moderna teorica del marketing. Anche negli Stati Uniti, del resto, il fatto che, nei vari mercati, esista comunque, agli inizi del secolo, una domanda vivace focalizza l'attenzione soprattutto sulle problematiche di carattere distributivo. Si comprende così perché, nella letteratura americana d'inizio secolo, distribution e marketing abbiano, sostanzialmente, il medesimo significato. Questa interpretazione ha dominato a lungo il pensiero degli studiosi (non solo di quelli statunitensi), cosicché non sono stati pochi coloro che hanno pensato al marketing semplicemente come a un sinonimo dell'attività di vendita, non riuscendo in tal modo a rendersi conto per quali motivi impiegare un termine nuovo per un'attività che, di fatto, esiste da secoli. 7 Basti ricordare, del resto, che, ancora negli anni settanta, la definizione di marketing proposta 5 Cfr. B. Di Bernardo e E. Rullani, Il management e le macchine. Teoria evolutiva dell'impresa industriale, Bologna, il Mulino, 1990, p. 400 e pp. 410-11. 6 Le parole fra virgolette sono di C. Fabrizi, Tecniche e politiche di vendita. Elementi di marketing, Padova, Cedam, 1967, 2^ ed., p. 10. 7 Si veda, ad esempio, il polemico scritto di A. Chianale, "Il marketing italiano", Rivista italiana di ragioneria, nn. 5-6, p.105, il quale così scrive: Scritti su tale materia (n.d.a. il marketing) erano già noti in Italia or fa quasi trent anni, sebbene i nostri studiosi non vi abbiano dato rilievo, assorti com erano, in quell epoca, a nobilitare il prosaico Banco modello rivestendolo di abiti degni di comparire nelle scientifiche assise. Era quindi evidente che dissertare sul vendere, sull arte del vendere o sullo smercio dei prodotti paresse quasi, a cultori che ansimavano verso le vette della scienza, ritombolare verso i bassifondi della mercatura, di quella mercatura sempre tenuta a vile dai popoli latini mai immemori della legge Flaminia che dichiarava plebea la professione del mercante vietandone l esercizio ai patrizi. 10

L evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta dall'american Marketing Association faceva riferimento al complesso di attività che dirigono "the flow of goods and services from producers to consumers and business users". In questi termini, esso non è qualcosa di distinto dalle attività tipiche del commercio, vale a dire dalle funzioni svolte dopo che sia stata effettuata la produzione e che riguardano essenzialmente gli stadi successivi dell'ingrosso e del dettaglio. Nelle prossime pagine tratteggeremo pertanto un breve quadro dell'evoluzione avvenuta negli studi 'tecnico-commercali' italiani, evoluzione che crediamo permetta di meglio comprendere le radici di quegli elementi di originalità che caratterizzano - rispetto per esempio all'impostazione statunitense - gli studi di marketing sviluppati in Italia. 3. Le antiche trattazioni Nel percorso evolutivo delle dottrine economico-aziendali, è possibile individuare un periodo iniziale - che si estende all'incirca dalle origini 8 fin verso la fine del secolo XIX - dominato da trattazioni d'ispirazione empirica, non condotte per scopi di ricerca scientifica e di conoscenza teorica, bensì per fini esclusivamente professionali e precettistici; si tratta, cioè, di opere che descrivono - solitamente per il mezzo di esempi - i procedimenti tecnici espressi dalla 'pratica commerciale'. 9 Tali trattazioni riguardano o l arte di tenere i conti o i precetti giudicati utili per l esercizio pratico dell attività mercantile. Per quanto, in particolare, riguarda questo secondo genere di opere, esse si occupano del commercio, colto negli aspetti degli istituti tipici e delle operazioni caratteristiche. Le origini più lontane di questi lavori si possono far risalire alle raccolte di notizie redatte nel periodo medioevale in merito allo svolgimento dei traffici mercantili. Com'è noto, quei secoli segnano l'inizio di una nuova era di vita, nella quale - a séguito di una serie di fattori, tra 8 A proposito di tali origini, si veda P. Onida, Le discipline economico-aziendali: Oggetto e metodo, Milano, Giuffrè, 1951, 2^ ed., p. 3. 9 Osserva giustamente C. Vallini Fondamenti di governo e di direzione d'impresa. Fasc. I: L'impresa reale e la sua teleologia, Torino, Giappichelli, 1990, p. 16, che "Le prime osservazioni dottrinali specificamente rivolte all'impresa presentavano, tutte, natura tecnica, si trattasse di tecniche della produzione, di tecniche dei negozi o di tecniche di rilevazione contabile". Anche le discipline aziendali - "come la generalità delle scienze" - sono nate dunque sotto forma di arte (G. Dell Amore, "Attuali orientamenti negli studi di tecnica commerciale", Estratto dal Bollettino dell'associazione P. Lanzoni, anno XL, n. 128, Venezia, Tipografia Emiliana, 1939, p. 3), termine che è qui da intendersi nel senso aristotelico di pura attività pratica. Come infatti rilevano G. Panati e G. Golinelli, Tecnica economica industriale e commerciale, Roma, N.I.S., 1988, p. 221: "Tecnica è termine greco, in tutto equivalente all'arte dei latini; termini che significavano entrambi 'arte lavorativa', artificio, destrezza, abilità (grosso modo quello che gli anglosassoni intendono con skills: dunque 'saper e fare bene', utilizzare praticamente un know how..."). 11

Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo cui l'indipendenza dei Comuni italiani, la rivalorizzazione del Mediterraneo, lo sviluppo socio-demografico - anche l'economia surmoltiplica i suoi andamenti: i traffici e i commerci aumentano notevolmente, l'economia monetaria trionfa, il credito si diffonde, vengono alla ribalta la cambiale e gli altri titoli di pagamento, le imprese industriali, bancarie e mercantili si moltiplicano, le fiere attraggono folle di mercanti e di banchieri, le vie di comunicazione sono rese più agevoli e sicure, il commercio internazionale si sviluppa. A séguito di tutto questo rigoglìo economico, si manifesta sempre più la necessità di migliorare ed estendere l'impiego delle scritture contabili; di formulare e diffondere procedimenti e regole per i calcoli, le misurazioni e le valutazioni; di elaborare norme da seguire nell'esercizio dell'attività mercantile e bancaria: da qui lo sviluppo delle registrazioni (si ricordi che il XIII secolo rappresenta l'epoca cui si fanno risalire le origini della Partita Doppia) e l'apparizione dei primi trattati di computisteria e dei primi manuali di pratica commerciale. Per quanto riguarda questi ultimi, l'opera italiana più antica di cui si ha notizia e che tratta diffusamente l'argomento con una certa sistematicità è la Pratica della mercatura, compilata (fra il 1335 e il 1345) dal fiorentino Francesco di Balducci Pegolotti. Al secolo successivo appartengono l'omonima Pratica della mercatura di Giovanni da Uzzano (1442), Della mercatura e del mercante perfetto di Benedetto Cotrugli (scritto nel 1458, ma pubblicato solo nel 1573), El libro de mercantie et usanze dei paesi di Giorgio di Lorenzo Chiarini (1481). Nel complesso, queste opere si possono comprendere - per dirla con V. Alfieri 10 - "nella vasta classe dei libri di regole, di quei libri, un tempo numerosi e apprezzati, che riguardavano specialmente il modo di governarsi nella vita e le arti. Nessuna pretensione scientifica in essi. Norme, massime, precetti; qua e là soltanto qualche fiore rettorico, qualche citazione pedantesca, qualche sentenza morale." Per esempio, l'opera del Cotrugli, indubbiamente la più nota fra quelle sin qui menzionate (tradotta anche in francese nel 1582), tratta sì della compravendita, delle modalità di riscossione e pagamento, dei cambi, delle scritture contabili, ma anche delle "cose proibite" al mercante, della religione, della dignità, dell'abitazione del mercante e perfino dell'abbigliamento e degli ornamenti della di lui moglie! Alcuni storici hanno rilevato un'analogia di intendimenti fra questi lavori e i cosiddetti Portolani, i quali - in quell'epoca assai diffusi - offrivano dettagliate informazioni in ordine alle caratteristiche delle località portuali ove più si concentrava il commercio marittimo e su talune condizioni geografiche che potevano interessare ai fini della navigazione. 10 V. Alfieri, "Le regole, le classificazioni ed i concetti filosofici nelle opere italiane di ragioneria", Rivista italiana di ragioneria, n. 3, 1918, p. 59. Su questo Autore si può vedere il saggio di L. Serra, Benedetto Cotrugli e la sua opera, Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, nn.3-4, 1989, pp. 179 e ss. 12

L evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta Anche i manuali di mercatura, infatti, riassumevano le cognizioni che una lunga pratica commerciale aveva fornito ai loro autori circa le piazze in cui si contrattavano le varie merci, i procedimenti mercantili più diffusi, i pesi e le misure adottati nell'espressione delle quantità negoziate, le monete nelle quali venivano espressi i prezzi, gli oneri fiscali e gli altri costi connessi al trasferimento delle partite di merci nello spazio. L'utilità che questi manuali - veri e propri vade mecum del mercante, li definisce il Melis - recavano alla gestione delle aziende commerciali doveva essere certamente elevata in un'epoca in cui la cultura economica era patrimonio di una cerchia ristrettissima di persone: sembra pertanto fondata l'ipotesi che ciascuna compagnia mercantile di qualche importanza disponesse di un manuale di questo tipo. 11 Dopo quelle del Cotrugli e del Chiarini, per un lunghissimo torno di anni non si segnalano pubblicazioni particolarmente rilevanti, almeno fino al 1638 allorché viene data alle stampe l'opera di Giovanni Domenico Peri, dal titolo: Il negotiante. Si tratta di un'opera vasta, che compendia numerose cognizioni utili per il commerciante: dall'aritmetica alla contabilità, dalle informazioni sul commercio e sulle piazze commerciali a quelle, prevalentemente di carattere giuridico, relative alle operazioni di compravendita, alle forme di pagamento, al credito (prestiti, depositi, conti correnti, cambiali ecc.), alle assicurazioni e persino alla corrispondenza commerciale. Il genere di opere in discorso si moltiplica nei secoli XVI e XVII, in relazione anche all'affermarsi del mercantilismo. Si tratta, com'è noto, di una dottrina economica 'nazionalista', mirante a promuovere, con l'intervento dello Stato, le industrie e il commercio nazionali, sviluppando particolarmente le esportazioni di prodotti finiti e limitando le importazioni alle materie prime indispensabili. 12 La politica mercantilista implica una regolamentazione dell'attività commerciale, che indubbiamente intralcia il 11 L'ipotesi cui si fa riferimento nel testo è avanzata da F. Sapori, "La cultura del mercante medioevale italiano", Studi di storia economica medioevale, Firenze, Sansoni, 1946, 2^ ed. Per un inquadramento del tema, si veda anche il sempre mirabile F. Melis, Aspetti della vita economica medievale, Siena, Monte dei Paschi, 1962. La citazione del Melis si riferisce però a Storia della ragioneria, Bologna, Zuffi, 1950, p. 384. Una ricostruzione storica del processo formativo degli studi tecnico-commerciali si può leggere in P. Rigobon, Studii antichi e moderni intorno alla tecnica dei commerci, Discorso inaugurale dell'a.a. 1910-1902 nella R. Scuola superiore di commercio di Bari, Bari, Tipografia Avellino, 1902. 12 Il commercio scrive Jean Baptiste Colbert è la sorgente delle finanze, e le finanze sono il nerbo della guerra. In queste poche parole si può cogliere l essenza della politica mercantilistica: il fine dello Stato è l accrescimento della propria potenza e il mezzo è la forza militare. Ma le guerre sono costose: da qui il ruolo-chiave della finanza, a sua volta alimentata dalla crescita della ricchezza nazionale ottenuta con l intensificazione della produzione e degli scambi, soprattutto con l estero. Cfr., per es., F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo, vol. II: I giochi dello scambio, Torino, Einaudi, 1981, pp. 549-554 (ove ampi riferimenti bibliografici). 13

Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo libero svolgersi dei traffici e richiede, d'altro canto, in chi si dedica al commercio, una serie di cognizioni giuridiche e fiscali, oltreché tecniche. Da qui un'ulteriore fioritura dei manuali di pratica commerciale, in cui s impartiscono al commerciante nozioni e precetti da seguire affinché la sua attività risulti il più possibile redditizia. Opera di questo genere è quella di Jacques Savary (padre), consigliere commerciale di Colbert, potente ministro della Finanze del Re Sole, pubblicata a Parigi nel 1675 con il titolo Le parfait négotiant ou instruction générale pour ce qui regarde le commerce de toute sorte de merchandises. Tale pubblicazione, tradotta in italiano e in altre lingue, ha dato l'avvìo a una serie di libri ad essa ispirati, i quali possono considerarsi come manuali di arte commerciale. Tra questi, si può ricordare l'opera di A. Nazari, Il mercante, pubblicata a Brescia nel 1685. Come rileva Onida, queste opere, sottoforma di trattazioni più o meno sistematiche o di enciclopedie commerciali, contribuiscono, unitamente agli scritti di aritmetica commerciale e di contabilità, a costituire quel complesso di materie che, nei paesi di lingua tedesca, vengono denominate Handelswissenschaften. Tali opere, specie le enciclopedie, trattano di tutto quanto poteva riguardare il commercio, ivi comprese le nozioni di scienze naturali, di merceologia, di geografia, di storia economica, di politica commerciale e così via. Esse tendono cioè a delineare un sistema di scienze del commercio. L'epoca delle trattazioni sistematiche di questa materia si ritiene sia iniziata in Germania, 13 nella seconda metà del secolo XVIII, con l'opera di Carl Gunter Ludovici (professore all'università di Lipsia): Eroffnete Akademie der Kaufleute oder Vallstandiges kaufmanns-lexikon (1752-56). Si tratta, appunto, di un'enciclopedia, nella quale le scienze riguardanti il commercio sono distinte in "principali" e in "ausiliarie". Costituisce oggetto delle prime la conoscenza delle merci, del commercio, dei suoi istituti, delle sue operazioni, delle piazze commerciali, delle monete, delle misure, della contabilità. Fra le discipline ausiliarie si collocano, invece, la politica commerciale, la storia del commercio ed altre. L'animus della trattazione di Ludovici non differisce, però, da quello di Savary: come nel Parfait négotiant, anche qui non si tratta che di un'ordinata serie di regole e di precetti, un'arte commerciale, appunto. Anche l'autore tedesco, come quello francese, "è lontano dal considerare le cose sotto un aspetto teorico, dal volere ricondurre quanto è empiricamente noto a princìpi generali e a leggi di carattere scientifico". Un intento diverso si rinviene, invece, nell'opera di Johann Michael Leuchs (commerciante ed editore norimberghese), System des Handels, 13 Cfr. P.E. Cassandro, "Disegno storico delle dottrine economico-aziendali tedesche", Rivista italiana di ragioneria, n. 4, 1937, da cui è tratto il giudizio sull'opera del Ludovici, riportato fra virgolette nel testo in chiusura del capoverso. 14

L evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta comparsa in prima edizione nel 1804, opera che prelude - tenuto conto del tempo - alle trattazioni della Betriebswirtschaftslehre. Si trova in essa una trattazione (anche se solo sommariamente teoretica) dei mezzi di scambio, della determinazione del valore, della tecnica del commercio e persino un tentativo di teoria della probabilità dei fenomeni commerciali. Un'altra opera molto diffusa, edita nel 1823, è quella del Sonnleither, Handelswissenschaft, tradotta in italiano nel 1844. Tipicamente rappresentativo di tale genere di opere è, in Italia, il Trattato generale del commercio del Garello, nel quale l'autore indirizza le proprie informazioni "alla gioventù che intraprende la carriera mercantile", pubblicato per la prima volta nel 1844 e la cui ultima edizione risale al 1863. Tutte le pubblicazioni sin qui ricordate s ispirano, dunque, al più schietto empirismo, non fondato su metodiche ricerche scientifiche, benché nelle opere migliori, come in quella del Leuchs, le operazioni commerciali vengano considerate anche sotto il profilo econonomico-aziendale, enunciando qualche norma, sia pure empirica, di gestione. Abbiamo sin qui circoscritto la nostra attenzione alle opere relative alla pratica del commercio ; non è da credere, comunque, che i paralleli e talvolta congiunti contributi relativi all'arte di 'tenere i conti' fossero teoricamente molto più evoluti. Verso la seconda metà del XIX secolo, però, gli studi "economicoamministrativi" sembrano intraprendere con Francesco Villa (1801-1884) - la strada della sistemazione teorica. Nella prefazione della sua opera maggiore - Elementi di amministrazione e contabilità 14 - l'autore afferma infatti esplicitamente che la materia della quale intende trattare non concerne solamente i calcoli relativi alle operazioni aziendali e la tenuta dei registri contabili, ma anche i princìpi teorico-pratici che debbono guidare l'amministrazione delle varie categorie di aziende. Anche se "è difficile sostenere che il Villa abbia avuto un'idea sia pure approssimativa della unità economica della vita aziendale", 15 egli offre una prima, benché sommaria, trattazione dei problemi economici della gestione aziendale. Si pensi che l'autore, prefiggendosi di fornire "cognizioni economico-amministrative", anziché limitarsi ad esporre in dettaglio - secondo l'uso dell'epoca - la casistica delle varie strutture di negoziazione commerciale tratteggia i caratteri della gestione manifatturiera, agricola, commerciale e delinea alcuni criteri gestionali utili ai fini del governo dell'impresa. Si rinvengono cenni in merito ai criteri d'investimento e di organizzazione industriale, sulle politiche di prezzo e di promozione delle vendite e anche qualche 14 Edita a Pavia, da Bizzoni, nel 1850. 15 Le parole sono di E. Giannessi, I precursori in economia aziendale, Milano, Giuffrè, 1980, 4^ ed., p. 26. 15

Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo considerazione sui processi formativi delle scorte, nonché sulle relazioni intercorrenti fra dimensioni aziendali e strutture organizzative. 16 Le linee intraviste dal Villa, da alcuni ritenuto il vero precursore dell'economia aziendale, 17 sono però sostanzialmente ignorate dagli scrittori di 'pratica commerciale' operanti sul finire del secolo XIX. Il loro obiettivo continua ad essere soltanto quello di illustrare le principali nozioni sulle istituzioni commerciali e sulle operazioni mercantili, ricorrendo anche alla simulazione di 'affari reali'. 18 A questo genere di opere corrisponde, nelle da poco istituite Regie Scuole superiori di commercio, 19 un particolare insegnamento denominato Banco modello, termine che traduce letteralmente quello di Musterkontor, usato allora per un analogo insegnamento impartito nelle Handelshochschulen tedesche. Più precisamente e per usare le parole di Piero Rigobon, uno dei più noti docenti: il Banco modello tendeva a "far praticamente conoscere ai 16 R. Fazzi "Formazione storica e prospettive degli studi sui comportamenti imprenditoriali", in AA.VV., Studi di Tecnica Economica Organizzazione e ragioneria. Scritti in memoria del prof. Gaetano Corsani, Pisa, Cursi, 1966, p. 329. 17 Questa è l'opinione di P. Onida, Le discipline economico-aziendali. op. cit., pp. 16-22; 192-3. Grande rilievo all'opera del Villa annette anche R. Fazzi, op. ult. cit.., p. 327-30. Si vedano tuttavia anche le osservazioni, più critiche, di E. Giannessi, op. cit., p. 27. Per un compiuto esame dell'opera del Villa si rinvia allo studio di R. Ferraris Francheschi, Aspetti evolutivi della dottrina economico-aziendale: Francesco Villa, Pisa, Cursi, 1970. 18 Cfr. P. Rigobon, Alcune osservazioni sul Banco Modello nella Scuola Superiore di Commercio di Bari, op. cit., p. 7. 19 Tali Scuole sono le progenitrici della attuali Facoltà di Economia. La prima di tali scuole istituita in Italia fu quella di Venezia (1866), il cui statuto fu modellato sulla base di quello della scuola di Anversa (istituita nel 1853). La scuola veneziana, la cui direzione venne affidata all economista F. Ferrara, si articolava in tre sezioni: quella commerciale, quella magistrale (volta a preparare i docenti per gli istituti tecnici, da pochi anni affiancati ai licei nell ordinamento dell istruzione secondaria), che rimase per molti anni l unica in Italia, e quella consolare (che preparava alla carriera diplomatica). I corsi duravano tre anni. Sulla scia di quella veneziana, altre scuole sorgono successivamente per far fronte alle crescenti necessità della vita economica, tant è che nel 1906 si possono contare, oltre a quella veneta, la Scuola di Genova (1884), di Bari (1873, la cui direzione venne affidata all allora giovanissimo M. Pantaleoni), di Milano (Università L. Bocconi, 1902), di Torino e Roma (1906). Quella di Venezia fu non solo la prima scuola italiana, ma una delle prime nel mondo, precedendo quelle di Lipsia (1898), Colonia (1901), Francoforte sul Meno (1901), Berlino (1906), Vienna (1898), Londra (1893), Birmingham (1900), S. Gallo (1905). Fu però solo con il R.D. 15 luglio 1906 che, in Italia, venne concesso il titolo di dottore ai laureati di tali scuole. Qualche notizia su queste istituzioni si può leggere in T. Antoni, Fabio Besta. Contributo alla conoscenza degli studio aziendali, Pisa, Cursi, 1970, pp. 12-3; L. Dal Pane, Le origini dell Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Bari, in AA.VV., Scritti in onore di G. Dell Amore. Saggi di discipline aziendali e sociali, vol. I, Milano, Giuffrè, 1969, pp. 268-81; E. Resti, Ferdinando Bocconi. Dai grandi magazzini all università, Milano, Egea, 1990, pp. 87-106; da ultimo, più ampiamente, AA.VV., Storia di una libera università, Milano, Egea, 1992, vol. I. 16

L evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta giovani come si iniziano, si svolgono, si liquidano le diverse operazioni di commercio e di banca; come l'una con l'altra si completino e quali siano gli usi che le regolano, e si propone inoltre di esercitarli nella corrispondenza, nei calcoli, nei documenti e nelle registrature che dalle operazioni derivano" 20. E, sulla stessa linea, aggiunge Ferruccio Cevasco: "il Banco Modello comprende una serie di cognizioni, di norme e d'insegnamenti pratici, principalmente d'indole economico-giuridica, la cui ordinata conoscenza è necessaria è necessaria per completare l'educazione commerciale e per l'esercizio del commercio. Dicendo: che l'ordinata conoscenza di quelle norme è necessaria all'esercizio intelligente del commercio, non vuolsi già affermare che tutti i commercianti colti e intelligenti abbiano appreso alla scuola di banco; ma che quelle cognizioni da essi acquisite colla lunga esperienza, formano materia del banco Modello, il quale appunto dalla pratica trae la parte più viva ed efficace". 21 I corsi di Banco Modello non avevano dunque alcuna pretesa scientifica, cercavano solo di riprodurre in aula lo svolgimento delle 20 P. Rigobon, Alcune considerazioni sul Banco Modello nella R. Scuola Superiore di Commercio di Bari, op. cit., p. 5. Si tratta, come nel caso del Cevasco, della relazione presentata al Congresso internazionale per l'insegnamento commerciale tenuto a Venezia nel maggio 1899.. Rigobon (1868-1955) fu titolare della cattedra di Banco Modello prima nella R. Scuola di commercio di Bari e poi in quella di Venezia, ove fu stretto collaboratore del Besta, collaborando con V. Alfieri e C. Ghidiglia all'editio maior de La ragioneria (Milano, Vallardi, 1922, 3 voll.). Tra le sue pubblicazioni, prevalentemente di carattere storico-contabile (cfr., per es., "Alcuni appunti storico-bibliografici intorno alla partita doppia sintetica applicata alle aziende mercantili" nelle Monografie edite in onore di Fabio Besta nel XL anniversario del Suo insegnamento, Roma, Tipografia nazionale di C. Bertero & Co., 1912, pp. 657-82), possiamo ricordare i poco conosciuti: Sul commercio degli oli di tavola e Sul commercio degli zolfi, entrambi editi a Venezia da Draghi nel 1894; Tecnica dei commerci, Padova, La Litotipo, 1920. Qualche notizia sull'autore si può leggere in E. Giannessi, I precusori in economia aziendale, op. cit., pp. 186-91. 21 F. Cevasco, L'insegnamento del Banco Modello. Considerazioni. Genova, Stabilimento Tipografico L.A: Campodonico, 1899, p. 8, il quale così preosegue: Il Banco Modello ha un contenuto proprio; un insieme di principi, desunti dall esperienza e che, ordinati ed insegnati con mira speciale alle pratiche applicazioni, costituiscono una vera arte, che potrebbe anche dirsi l arte degli affari. Esso attinge anche verità e ammaestramenti principalmente alle discipline economico-giuridiche, ma coordina e armonizza il tutto con le esigenze della pratica, dell ambiente, degli usi e delle consuetudini, ed è appunto perché di tali principi insegna gli effetti pratici e la loro valutazione nei calcoli mercantili, che può dirsi con ragione costituire il Banco Modello, una serie ordinata di principi facenti parte a sé, e tendenti a uno scopo determinato: l arte di ben condurre le operazioni commerciali. La medesima impostazione è ribadita dall'autore in Per una definizione del Banco modello, Como, Tipografia editrice Ostinelli, 1906. Sul tema si può consultare anche F. Besta, E. Castelnuovo, Sull ordinamento del Banco Modello, Memoria presentata al Secondo Congresso degli Istituti industriali e commerciali italiani, Torino, Baravalle e Falconieri, 1902. 17

Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo operazioni bancarie e mercantili, con procedure sovente semplicistiche, 22 come confermano le seguenti parole di Nicola Garrone (infra), riferite alla visita da egli stesso compiuta nel 1906 all'istituto superiore di scienze economiche e commerciali 23 di Roma appena istituito: (l) aula di banco occupava un salone (del) palazzo. Nel mezzo di tale salone era stato costruito un tramezzo di legno, con uno sportello. Si erano fatti stampare valanghe di moduli di cambiali, assegni, registri, che gli allievi dovevano esercitarsi a riempire, e, tra l altro si erano stampati dei fac-simile di biglietti di banca (...): un allievo stava nel salone di qua dallo sportello, ed un altro di là, e tutti e due operavano scambiandosi fra loro i biglietti. 24 E agevole dedurre, da tali parole, quale potesse essere il livello scientifico dei corsi di Banco modello impartiti nelle scuole di commercio. L'istituzione di tali scuole segna tuttavia una tappa importante nel processo evolutivo degli studi economico-aziendali, poiché è solo dopo la fondazione delle Handelshochschulen che si può incominciare a parlare di una dottrina che studia l'economia delle aziende. In effetti, sono proprio alcuni studiosi maturati in tali scuole a proporsi di reagire contro l'accennato stato di diffuso empirismo, cercando di dar vita a un corpus di princìpi e di norme idonei a offrire un quadro logico delle molteplici operazioni mercantili e bancarie, considerate nella loro esplicazione concreta, nei loro fondamenti economici e giuridici, nelle loro interrelazioni e nelle loro finalità. Tali studiosi daranno vita all'indirizzo cosiddetto descrittivonegoziale, 25 sul quale ci si soffermerà nel prossimo paragrafo, la cui progressiva affermazione valse ad abolire, nel 1913, il tradizionale insegnamento di Banco modello e a introdurre (su indicazione di Nicola 22 Ciò è evidentemente conseguenza del carattere di arte attribuito alle discipline aziendali (cfr. nota 9). Scriveva, per esempio, K. Von Clausewitz: "come parecchie piante portano frutti solo quando non vengono su troppo alte nel loro fusto, così, nelle arti pratiche, le foglie e i frutti teoretici non devono essere spinti troppo in alto, ma tenuti prossimi all'esperienza che è il loro terreno". La questione pone evidentemente il tema del rapporto fra teoria e pratica, su cui esiste un'ampia letteratura, ma rispetto al quale ci sembra possa ancora rivelarsi proficua la lettura di B. Croce, Azione, successo e giudizio. Note in margine al Vom Kriege del Clausewitz, in Ultimi saggi, Bari, Laterza, 1948, 2^ ed., pp. 266-79, da cui è tratta (p. 272) la citazione dello stratega tedesco. 23 Le Scuole superiori di commercio non si trasformano direttamente in facoltà universitaria, ma in Istituti superiori di scienze economiche e commerciali, i quali preludono al passaggio in questione avvenuto con la riforma universitaria del 1906. Anche gli insegnamenti si adeguano a quelli da maggior tempo impartiti nelle università, assumendo un carattere più teorico e accademico. 24 Le parole qui riprodotte sono tratte da una lettera inviata nel 1957 a Giordano Dell'Amore e citata in P. E. Cassandro, "Ricordo di Nicola Garrone", Discorso tenuto in occasione della celebrazione del centenario della nascita per iniziativa dell'associazione laureati in Economia e Commercio dell'università di Bari, in Rivista bancaria, n. 3, 1977. 25 La denominazione è di R. Fazzi, "Formazione storica e prospettive degli studi sui comportamenti imprenditoriali", op. cit., p. 333. 18

L evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta Garrone) quello di Tecnica commerciale (intesa quale tecnica dei negozi, o - per usare un'espressione della dottrina tedesca - Verkehrslehre), ripartita nelle due branche della Tecnica mercantile e della Tecnica bancaria. 4. L'indirizzo descrittivo-negoziale: gli studi di Tecnica mercantile L indirizzo che ci si accinge a esaminare in questo paragrafo ha operato in Italia nei primi decenni del nostro secolo. In tale periodo, lo studioso di maggiore importanza, per il tema che qui s'indaga, è certamente Fabio Besta (1845-1922), il quale - com'è ben noto - ha offerto un contributo massimo all'avanzamento scientifico degli studi di ragioneria. La dottrina bestana, in realtà, ha permeato di sé - per la propria vis teoretica - non solo gli studi di tale disciplina (della quale il Besta aveva assunto l'insegnamento a Ca Foscari nel dicembre del 1872), ma tutto il pensiero economico-aziendale italiano. Crediamo sia infatti da ascrivere alla profonda - benché all'inizio lenta e contrastata 26 - influenza esercitata dal pensiero dell'autore se gli studi di 'tecnica' condotti in questo periodo, e che si raccolgono nell'indirizzo in esame, non includono nel proprio campo d'indagine l'esame dei fatti di gestione, se non nella loro esteriorità. Tali fatti sono dati per noti o perché non destano interesse nei cultori di tecnica commerciale o, molto più probabilmente, perché essi non vi rinvengono quelle generalizzazioni ritenute necessarie a uno studio 'scientifico'. Cionondimeno, si parla di indirizzo descrittivo-negoziale giacché, anche se tali autori non si discostano, dal punto di vista scientifico, dalle posizioni dei cultori di Banco modello, essi procedono però - nell'alveo teorico della dottrina bestana - a un significativo riordinamento espositivo e didattico degli argomenti trattati. Non condividendo le posizioni idealistiche assunte da molti studiosi del tempo - fra i quali, per quanto qui rileva, anche il Cerboni (1827-1917) 27 26 Intendiamo riferirci alla polemica con il Cerboni e con i suoi discepoli, primo fra tutti Giovanni Rossi (1846-1921), esplosa clamorosamente il 5 ottobre 1879 in occasione del I Congresso dei Ragionieri convocato per il voto contrario all applicazione della logismografia alla contabilità di stato emesso dall Accademia di ragioneria (l attuale AIDEA). Per rendersi conto dell asprezza, oggi inusuale, di tale conflitto, si può vedere, per esempio V. Masi, Il conflitto fra Orazi e Curiazi al Congresso dei Ragionieri del 1879, in Rivista italiana di Ragioneria, nn.12-13, 1923. Un anno dopo tale congresso, certo suggestionato dalle teorie cerboniane, il Besta volle definire l indirizzo della sua Scuola approfittando della Prolusione letta all inizio dell anno accademico 1880-81 a Ca Foscari, nella quale intese precisare l oggetto, i confini, il metodo di studio della ragioneria (cfr. T. Antoni, Fabio Besta, op. cit., p. 73). Si tratta di una prolusione di notevole ampiezza (80 pagine) originariamente edita dalla Tipografia dell Istituto Coletti, Venezia, 1880 e riedita in ristampa anastatica da Cacucci, Bari, 1987. 27 Un'analisi dell'influenza esercitata dall'idealismo, indirizzo filosofico dominante in Italia nei primi decenni dell'ottocento, sul pensiero del Cerboni è compiuta da V. Antonelli, L'evoluzione degli studi funzionali nella dottrina economico-aziendale: alcune 19