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ovvero. Agenda un po insolita per appunti.. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi O. Baroncelli N 19/2016 Napoli 30 Maggio 2016 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. LA TEMPESTIVITA' DELLA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE DEVE ESSERE VALUTATA IN RIFERIMENTO ALLA COMPLESSITA' DEI FATTI ADDEBITATI AL LAVORATORE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 10356 DEL 19 MAGGIO 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 10356 del 19 maggio 2016, ha (ri) statuito che la tempestività della contestazione disciplinare ex art. 7 della L. n 300/70 non può essere stabilita facendo riferimento ad un termine fisso ma deve essere valutata, caso per caso, in correlazione alla complessità dei fatti addebitati al prestatore. Nel caso in disamina, un dipendente di una compagnia di assicurazioni veniva licenziato, all'esito del procedimento disciplinare, per aver favorito la liquidazione di alcuni sinistri in favore di uno specifico avvocato. Il prestatore adiva la Magistratura sostenendo, fra l'altro, la tardività della contestazione disciplinare effettuata a distanza di più di un anno dai fatti oggetto di querelle. Soccombente in entrambi i gradi di merito, il subordinato ricorreva in Cassazione. 1

Orbene gli Ermellini, nel confermare integralmente il deliberato dei gradi di merito, hanno evidenziato che la tempestività della contestazione disciplinare deve essere valutata in correlazione alla complessità dei fatti addebitati. A tal fine è necessario che il datore di lavoro acquisisca piena contezza dell'accaduto prima di procedere, nei confronti del proprio dipendente, ai sensi dello Statuto dei lavoratori. Pertanto, atteso che nel caso de quo il datore di lavoro aveva effettuato la contestazione disciplinare subito dopo aver completato i necessari accertamenti del caso, durati oltre un anno, i Giudici di Piazza Cavour hanno rigettato il ricorso confermando la legittimità del licenziamento disciplinare irrogato. È SPROPORZIONATA L'IRROGAZIONE DELLA MASSIMA SANZIONE DISCIPLINARE AL DIPENDENTE CHE SVOLGA ATTIVITÀ PER CONTO PROPRIO SUL LUOGO DI LAVORO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 8236 DEL 26 APRILE 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 8236 del 26 aprile 2016, ha statuito la illegittimità di un licenziamento per giusta causa comminato ad un lavoratore che, durante l'orario di lavoro, aveva eseguito attività per conto proprio, fuori della postazione di lavoro, utilizzando attrezzature sulle quali non era stato preventivamente addestrato. Nel caso in esame, la Corte d'appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Tolmezzo che aveva respinto il ricorso del lavoratore, aveva disposto la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, accertando il diritto del lavoratore a percepire l'indennità sostitutiva del preavviso. La Corte escludeva che la sanzione espulsiva potesse considerarsi sproporzionata rispetto al comportamento contestato, essendosi trattato, in sostanza, di un episodio di insubordinazione, oltre che di appropriazione indebita del tempo di lavoro retribuito e dei beni aziendali. Non sussisteva, peraltro, la giusta causa posto che il fatto addebitato non poteva ritenersi così grave. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il lavoratore. 2

La Suprema Corte, investita della questione, ha accolto il ricorso e rinviato la causa alla Corte d'appello di Venezia. Gli Ermellini, in particolare, hanno ribadito che, in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso; di conseguenza, l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. Nella specie, hanno concluso gli Ermellini, non si è verificata alcuna condotta che possa qualificarsi come insubordinazione bensì, comportamenti astrattamente lesivi dei doveri fondamentali del lavoratore che non bastano a giustificare il licenziamento, dovendo, comunque e sempre procedersi alla valutazione del "notevole inadempimento". LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO SE IL DIPENDENTE GONFIA I RIMBORSI SPESE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 10069 DEL 17 MAGGIO 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 10069 del 17 maggio 2016, ha statuito che risulta essere legittimo il licenziamento di un dipendente che volontariamente gonfiava gli importi dei rimborsi spese, chiedendo un rimborso spese maggiore rispetto alle somme effettivamente versate. IL FATTO Un dipendente veniva licenziato per aver presentato al proprio datore di lavoro rimborsi spese ingiustificatamente gonfiati, in misura quasi doppia rispetto alle esigenze di lavoro. I Giudici di merito avevano dato ragione al lavoratore ritenendo la misura del licenziamento sproporzionata in ragione della modesta entità del dolo e della non tempestiva contestazione, ed ordinando quindi la reintegra ex art. 18 Stat. Lav. con le relative conseguenze economiche. Da qui, il ricorso per Cassazione da parte dell azienda datrice. Orbene, con la sentenza de qua, i Giudici di legittimità non hanno avallato il ragionamento decisionale della Corte d Appello, ritenendo che il 3

lavoratore avesse scientemente pensato di poter approfittare di un benefit a lui non riconosciuto andando così a ledere il rapporto di fiducia con il proprio datore. In particolare, gli Ermellini, in riferimento alla modesta entità del dolo hanno rilevato quanto segue: 1. L ipotesi che il lavoratore avesse chiesto i rimborsi de quibus contando sul fatto che la benevolenza di parte datoriale finisse con il concederglieli a titolo di tacito benefit, non è di per sé né probabile né plausibile, mancando qualsivoglia massima di esperienza che lo sorregga come criterio inferenziale: infatti, non si può affermare che secondo l id quod plerumque accidit i lavoratori dipendenti chiedano rimborsi nella speranza che il datore di lavoro glieli conceda pur sapendoli indebiti; 2. Relativamente all agevole possibilità di scoprire l'illecito e di porvi rimedio recuperando gli esborsi indebiti mediante trattenute sulle retribuzioni di successiva maturazione (anche ciò è stato considerato dalla motivazione della gravata pronuncia), si tratta di rilievo potenzialmente incidente sull'entità del danno, non sull intensità del dolo. Sul fronte della non tempestività della contestazione, i Giudici di Piazza Cavour hanno invece enunciato i seguenti principi di diritto: a) "Il datore di lavoro ha il potere, ma non l'obbligo, di controllare in modo continuo ed assiduo i propri dipendenti contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento: un obbligo siffatto, non previsto da alcuna norma di legge né desumibile dai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del rapporto di lavoro subordinato, che implica che il datore di lavoro normalmente conti sulla correttezza del proprio dipendente, ossia che faccia affidamento sul fatto che egli rispetti i propri doveri anche in assenza di assidui controlli"; b) "La tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell'infrazione ove avesse esercitato assidui controlli sull'operato del proprio dipendente, ma in relazione al momento in cui ne abbia acquisito piena conoscenza. 4

In conclusione, per le motivazioni suddette la causa è stata rimessa davanti al giudice di secondo grado per un nuovo esame. SEQUESTRO DEI BENI SOCIETARI IN VIA PRIORITARIA IN CASO DI VIOLAZIONI PENALI COMMESSE DAL LEGALE RAPPRESENTANTE. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PENALE - SENTENZA N. 20763 DEL 9 MAGGIO 2016 La Corte di Cassazione - Sezione Penale -, sentenza n 20763 del 19 maggio 2016, ha statuito che il sequestro preventivo, per reati tributari ancorché commessi dal rappresentante di una società, deve essere disposto in primis sui beni della società medesima e successivamente, nel caso di impossibilità, su quelli dell amministratore. Con la sentenza de qua, i Giudici di Piazza Cavour hanno accolto in toto le doglianze di un amministratore di una S.R.L, per aver esposto in dichiarazione fatture per operazioni inesistenti, avverso il rigetto dell istanza di riesame del disposto sequestro preventivo per equivalente sui propri beni personali ex artt. 2 e 4 D.Lgs 74/2000. Nel caso di specie, l amministratore ricorrente lamentava, in particolare, come si fosse proceduto direttamente al sequestro preventivo per equivalente sui propri beni personali, mobili ed immobili, senza però dare dimostrazione dell impossibilità di effettuare il sequestro o la confisca in forma specifica sui beni dell amministrata persona giuridica. A tal uopo, gli Ermellini hanno ribadito che, la confisca diretta del profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per le violazioni commesse dal legale rappresentante o da un altro organo nell esclusivo interesse della società, nell ipotesi che il profitto ovvero i beni direttamente riconducibili a tale profitto, siano rimasti nella disponibilità della medesima società. In nuce, la S.C. chiarisce che è da escludersi categoricamente la possibilità di procedere a confisca per equivalente di beni della società per i reati tributari commessi dal legale rappresentante, ad eccezione dell ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo fittizio attraverso cui l amministratore agisce come effettivo titolare. 5

Infatti, il rapporto organico che esiste tra persona fisica e società, non può giustificare l estensione dell ambito di applicazione della confisca per equivalente, in quanto non è prevista, nel nostro ordinamento, una responsabilità penale degli enti, non potendo essere gli stessi mai autori del reato e non potendo essere considerati concorrenti. NEL LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO NON VI E UN OBBLIGO DATORIALE DI INDICARE LE GIORNATE DI ASSENZA DAL LAVORO PER MALATTIA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 10252 DEL 18 MAGGIO 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 10252 del 18 maggio 2016, ha ritenuto illegittimo un licenziamento per superamento del periodo di comporto in cui risultava errato il calcolo dei giorni di assenza. Il fatto. Un datore di lavoro, in allegato alla lettera di licenziamento, trasmetteva un prospetto contenente le giornate di malattia intervenute dal 15 febbraio 2010 al 18 ottobre 2010; invero, durante tale periodo, risultava anche fruito dal lavoratore un periodo di aspettativa non retribuita. Ebbene, prima il Tribunale e poi la Corte di Appello di Milano, ritenevano illegittimo il licenziamento in quanto, in base al principio di immutabilità delle motivazioni, non potevano essere integrate le giornate di malattia non indicate, risultando del tutto irrilevante che alla lavoratrice fosse già noto il superamento del periodo di comporto. Nel caso de quo, gli Ermellini nel rimarcare l importanza della regola di immodificabilità delle ragioni poste a base del licenziamento, quale garanzia giuridica del lavoratore, hanno ricordato che il datore di lavoro non ha l onere di specificare in modo analitico le giornate di assenza, ma quando decide di farlo, presumibilmente per una maggior protezione da possibili verifiche giuridiche, non può ritenersi derogabile il principio di immutabilità delle ragioni legittimanti il recesso. Ad maiora 6

IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo. Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro 7