dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.



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Avv. Cristina Carolina Marinacci Avv. Carolina Nicolosi OMICIDIO PRETERINTENZIONALE E OMICIDIO VOLONTARIO La normativa di riferimento è l art. 584 c.p. Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni. Secondo quanto disposto dall art. 129 c.p.p. In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza. Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta. L art. 42, secondo comma, c.p. prevede che Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge Secondo quanto disposto dal secondo comma dell art. 43 c.p., il delitto è preterintenzionale, o oltre l intenzione, quando dall azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall agente. Ai sensi dell art. 27 Cost. La responsabilità penale è personale. Dalla lettura delle norme distinguiamo l omicidio volontario da quello preterintenzionale in base all elemento psicologico, nel senso che nell'ipotesi della preterintenzione la volontà dell'agente è diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell'evento morte, mentre nell'omicidio volontario la volontà dell'agente è costituita dall'animus necandi, ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto

o eventuale, il cui accertamento è rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta. La Corte di Cassazione in diverse pronunce ha chiarito che il criterio distintivo tra l omicidio volontario e l omicidio preterintenzionale deve essere individuato nella diversità dell elemento psicologico che, nel secondo reato, consiste nella volontarietà delle percosse e delle lesioni alle quali consegue la morte dell aggredito come evento non voluto neppure nella forma eventuale ed indiretta della previsione e dell accettazione del rischio della morte del soggetto passivo (Cass., Sez. 1, 20 novembre 1995, Flore; Cass., Sez. 1, 25 novembre 1994, P.M. in proc. Piscopo; Cass., Sez. 1, 3 marzo 1994, Mannarino; Cass., Sez. 1, 14 dicembre 1992, Di Grande ed altri). Pertanto l elemento psicologico consiste nell avere voluto l evento minore (percosse o lesioni) e non anche l evento più grave (morte), che, pur non essendo voluto, rappresenta il risultato dello sviluppo causale insito nell azione lesiva dell altrui incolumità personale, conformemente all espressa definizione contenuta nell art. 43, comma primo c.p. secondo cui il delitto è preterintenzionale, o oltre la intenzione, quando dall azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall agente. La recente giurisprudenza della suprema Corte è largamente prevalente nel senso che la struttura dell omicidio preterintenzionale è connotata da una condotta dolosa, avente ad oggetto il compimento di atti diretti a percuotere o a ferire, e da un evento più grave non voluto (ossia la morte del soggetto passivo), legato eziologicamente, in progressione causale, all azione lesiva dell incolumità personale (Cass., Sez. 1, 16 giugno 1998, Gavagnin) mentre nell omicidio volontario la volontà dell agente è costituita dall animus necandi, ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento è rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi, desunti dalle concrete modalità della condotta: il tipo e la micidialità dell arma, la reiterazione e la direzione dei colpi, la distanza tra aggressore e vittima, la parte vitale del corpo presa di mira e quella concretamente attinta (Sez. 1, 21 giugno 2001, sent. n. 25239, Milic, rv. 219433). La condotta si sostanzia nella commissione di atti diretti a percuotere o ledere ed è necessario che esista un rapporto di causa ed effetto tra i predetti atti e l evento morte. Il termine percuotere non è utilizzato solo nel significato di battere, colpire o picchiare, ma anche in un significato più ampio, comprensivo di ogni violenta manomissione dell altrui

persona fisica. Rientra ad esempio nella casistica anche una violenta spinta esercitata nei confronti della persona: ove consapevole e volontaria rileva la sussistenza del dolo di percosse o lesioni, e di conseguenza, quando ne derivi la morte, dà luogo a responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale. Se nell accertamento dell elemento soggettivo la giurisprudenza appare concorde nel sostenere la riconducibilità del delitto di percosse o di lesioni personali al colpevole a titolo di dolo, due sono gli orientamenti tradizionali che hanno tentato di fornire una soluzione per quanto riguarda l evento ulteriore conseguente alla condotta. Secondo una prima impostazione, l elemento psicologico della fattispecie in commento sarebbe rappresentato dal dolo per il delitto-base, costituito dalle percosse o dalle lesioni, mentre l evento più grave, non voluto dall agente sarebbe a questo attribuito sulla base della sussistenza del mero nesso di causalità collegante il primo delitto e l evento ulteriore. Si tratterebbe, dunque, di un caso di dolo misto a responsabilità oggettiva. Diverse sono le pronunce che, soprattutto in passato, hanno accolto una simile teoria. Come ha, infatti, precisato la Corte di cassazione, Nell'omicidio preterintenzionale l'evento letale viene posto a carico dell'agente sulla base del solo rapporto di causalità materiale, prescindendosi da ogni indagine di volontarietà, di colpa o di prevedibilità dell'evento più grave (Cass., sez. V, 28.10.1982, n. 10134). Per la sussistenza dell'ipotesi criminosa prevista dall'art. 584 c.p. è necessario che la morte, non voluta dal colpevole, sia derivata da atti da lui compiuti, diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582 c.p. L'agente deve, pertanto, avere commesso intenzionalmente contro il soggetto passivo un delitto di percosse o di lesioni, sia pure allo stato di semplice tentativo, dal quale sia derivato l'evento letale non voluto, che viene posto a suo carico per il solo rapporto di causalità materiale, prescindendo da ogni indagine di volontarietà o di colpa o di prevedibilità dell'evento maggiore. Per aversi omicidio preterintenzionale non occorre che la volontà di percuotere o di ledere abbia avuto il suo esito materiale, essendo sufficiente che l'autore dell'aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o a ledere, incluso quindi il tentativo. Ne discende che, per la sussistenza del delitto non è necessario che la serie causale che ha provocato l'evento morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni voluto

dal colpevole, ma basta che esista un rapporto di causa ad effetto tra i predetti atti diretti a percuotere o a ledere e l'evento letale (Cass., sez. I, 4.9.1975, n. 8484). Secondo una diversa impostazione, anch essa accolta da copiosa giurisprudenza, l elemento soggettivo in tema di omicidio preterintenzionale andrebbe individuato nel dolo per il reato di percosse o lesioni e nella colpa per l evento ulteriore non voluto dal soggetto agente. L'elemento differenziale tra omicidio preterintenzionale e omicidio volontario è solo quello psicologico, che, nel primo caso, è costituito da dolo misto a colpa e, nel secondo, da dolo anche eventuale, nel senso che il soggetto agente siasi rappresentato come probabile l'evento morte, accentandone il rischio (Cass., sez. I, 8.11.1983, n. 9294; Cass., sez. V, 5.10.1982, n. 8588; Cass., sez. V, 16.12.1981, n. 10994). L accoglimento dell una o dell altra delle teorie ora esposte non è priva di conseguenze pratiche, in quanto, mentre nel primo caso l agente dovrà rispondere di tutti gli eventi ulteriori rispetto al reato di percosse o di lesioni, per il solo fatto di essere, questi ultimi, in rapporto di causalità materiale con la condotta tenuta, nella seconda ipotesi il colpevole risponderà solo di quegli effetti ulteriori alla condotta che ne rappresentino il risultato prevedibile ed evitabile. In contrasto con tali orientamenti, la Suprema Corte con la sentenza Cassazione penale, sez. V, sentenza 14.04.2006 n 13673 afferma l unicità dell elemento soggettivo dell omicidio preterintenzionale, costituito dal dolo del delitto sussidiario delle percosse o delle lesioni, il quale, proprio a causa dell omogeneità dell evento morte con quello del reato-base, assorbe la prevedibilità dell evento più grave. Precedenti giurisprudenziali che seguono la stessa tendenza: L'elemento psicologico dell'omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo misto a colpa, ma unicamente dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni, a condizione che la morte dell'aggredito sia causalmente conseguente alla condotta dell'agente, il quale dunque risponde per fatto proprio, sia pure in relazione ad un evento diverso da quello effettivamente voluto, che, per esplicita previsione legislativa, aggrava il trattamento sanzionatorio (Cass., sez. V, 6.4.2002, n. 13114).

Per la sussistenza del delitto di omicidio preterintenzionale è sufficiente che esista un rapporto di causa ad effetto tra gli atti diretti (anche nella forma del tentativo o semplicemente di atteggiamento aggressivo o minaccioso) a percuotere o a ledere e la morte, indipendentemente da ogni indagine sulla volontarietà, sulla colpa o sulla prevedibilità dell'evento più grave (Cass., sez. V, 20.4.1988, n. 4793). In senso sostanzialmente analogo si veda Cass., sez. I, 13.12.1986, n. 14063, ai sensi della quale L'omicidio preterintenzionale richiede che l'autore della aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere e che esista un rapporto di causa ad effetto tra i predetti atti e l'evento letale senza la necessità che la serie causale, che ha prodotto la morte, rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni volute dall'agente. E ciò senza prescindere, tuttavia, dall'elemento psicologico che si concreta nella volontà e previsione di un evento meno grave di quello verificatosi in concreto poiché si tratta, pur sempre, di un reato doloso in cui si introduce una componente fortuita che prescinde da ogni indagine di volontarietà, colpa o di prevedibilità dell'evento più grave. Quanto al tentativo, a differenza dell omicidio volontario, essendo caratterizzato dal verificarsi di un evento non voluto, l omicidio preterintenzionale è incompatibile con il tentativo e con la desistenza volontaria che presuppongono invece un evento non voluto, e non verificatosi, per circostanze indipendenti o, nella desistenza, per resipiscenza dell agente.

OMICIDI E TECNICHE DIFENSIVE Fase delle indagini preliminari La difesa di un soggetto indagato per omicidio volontario, colposo o preterintenzionale richiede, proprio per la complessità e delicatezza del caso, un elevato impegno ed uno studio accurato di ogni singolo atto da parte del legale incaricato. Le tecniche difensive devono infatti essere espletate sin dalle prime battute; si pensi al caso in cui il nostro assistito viene sottoposto ad arresto o a fermo. E importante in tal caso decidere sin da subito pur non conoscendo a fondo gli atti di indagini se è opportuno in sede di interrogatorio optare per il silenzio, ovvero, rendere delle dichiarazioni. Tale tipo di scelta è estremamente delicata, in quanto, qualunque affermazione resa in questa fase potrebbe pregiudicare l esito futuro dell intero processo. Salvo casi eccezionali, sarebbe sempre opportuno avvalersi della facoltà di non rispondere, almeno fin quando non si ha la possibilità di analizzare ogni singolo atto di indagine. Difatti, generalmente il primo momento in cui il difensore ha possibilità di estrarre copie del fascicolo, è con l impugnazione dell ordinanza cautelare in occasione dell udienza di riesame. Sulla base di una cognizione piena degli atti, il legale può sempre decidere in un secondo momento di richiedere una audizione del proprio assistito al p.m., ovvero, una volta concluse le indagini, di richiedere l interrogatorio ex art. 415 bis c.p.p. Consulenza tecnica e prova scientifica Nel procedimento penale, ed in particolare nei casi di omicidio, accade sempre più spesso che le parti debbano misurarsi con questioni che richiedono l utilizzo di strumentazione tecnico-scientifica e, il più delle volte, richiedono l ausilio di esperti di determinati settori per poter acquisire dati ed elementi necessari per la prosecuzione delle indagini. Le conoscenze di natura scientifica vengono, nella normalità dei casi, introdotte nel processo con gli strumenti della perizia e della consulenza tecnica. Si pensi, per citare i casi più noti e di più frequente utilizzo nei procedimenti penali, agli accertamenti sul dna, sulle impronte papillari, sulle armi, alle analisi chimichetossicologiche, all autopsia, etc.

S impone, innanzitutto, una distinzione fra i termini perizia e consulenza ; entrambi si riferiscono al medesimo mezzo di prova, consistente in indagini, accertamenti e valutazioni di natura tecnica, che, discrezionalmente, il Giudice, il p. m. e le altre parti del processo penale possono disporre, allorquando ciò appaia loro necessario, in ambiti nei quali come si legge nell art. 220 c.p.p. siano richieste specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. Tuttavia, mentre il perito è nominato dal Giudice (e, dunque, tale nomina si collocherà, nella fase del giudizio, che è successiva a quella delle indagini preliminari), il consulente è nominato dalle parti del processo penale, cioè dal p. m., dall imputato o dalla persona offesa dal reato (parte civile, successivamente all esercizio dell azione penale). In casi di omicidi, generalmente è lo stesso pubblico ministero che nella fase delle indagini dispone una consulenza medico legale con autopsia sul cadavere per poter accertare prima di tutto la causa della morte, l orario del decesso, l arma utilizzata etc. Il difensore, dal canto suo, ha la facoltà di partecipare al conferimento dell incarico suggerendo eventuali quesiti, nonché, nominando un proprio consulente tecnico. Anche questa scelta richiede prontezza ed intuito, poiché determinanti sono le valutazioni inerenti la morte della persona offesa. Non di rado, tuttavia, si verifica che, pur essendo ancora in corso le indagini preliminari, si renda necessario ricorrere alla perizia; ciò avviene nelle forme dell incidente probatorio (disciplinato dagli artt. 392 e seguenti c.p.p.), con nomina, per l appunto, di un perito, da parte del Giudice per le indagini preliminari. Si tratta di una sorta di eccezionale anticipazione dell istruttoria processuale, non essendosi ancora concluse le indagini dirette dal p.m. E, comunque, una ipotesi piuttosto limitata, potendosi verificare soltanto se l accertamento di natura tecnica riguardi persone, cose o luoghi soggetti a modificazione non evitabile si pensi, ad esempio, ad una autopsia -, ovvero se vi sia motivo di ritenere che tale accertamento tecnico, se disposto nel dibattimento, possa determinarne una sospensione superiore a sessanta giorni è il caso, ad esempio, della ricostruzione della dinamica e dell accertamento delle cause di eventi particolarmente complessi. Investigazioni difensive Utili in fase di indagini potrebbero risultare le investigazioni difensive.

Ai sensi dell art. 327 bis c.p.p., il difensore fin dal momento dell incarico professionale ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito.. Tale attività potrebbe essere necessaria per l individuazione di elementi di prova a favore del proprio assistito, per la raccolta di informazioni, ovvero per l assunzione di dichiarazioni di persone informate sui fatti. Gli atti costituenti attività investigativa confluenti nel fascicolo del difensore, potranno poi essere presentati al p.m. perché ne tenga conto ai fini delle sue determinazioni, al giudice per le indagini preliminari ovvero al giudice dell udienza preliminare. Scelta del rito Giudizio immediato Il P.M., in caso di evidenza della prova, può ritenere di dover saltare l udienza preliminare e di pervenire direttamente al giudizio, richiedendo al G.I.P. l emissione del decreto di citazione a giudizio immediato. In tal caso il difensore ha l obbligo, previa verifica dei requisiti formali e procedurali, di decidere nel breve termine di 15 giorni se affrontare il dibattimento, ovvero accedere ai riti alternativi. Salvo il caso dell omicidio colposo e preterintenzionale, per i quali è possibile richiedere una applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., generalmente la scelta di fronte alla quale si ritrova il difensore è, tra il rito abbreviato ed il dibattimento. Il rito abbreviato Il rito abbreviato, come si evince chiaramente dal disposto dell art. 438 c.p.p., è un rito speciale che può essere richiesto dall imputato entro la formulazione delle conclusioni nell udienza preliminare e che è caratterizzato dall assenza della fase dibattimentale: il processo si chiude nell ambito dell udienza preliminare. L udienza preliminare, dunque, da udienza di rito, quale si presenta normalmente, diviene una vera e propria udienza di merito, ove si deciderà sulla condanna o sull assoluzione dell imputato. Si tratta di un rito premiale, poiché l imputato rinuncia al dibattimento ed alle connesse garanzie, accettando di essere giudicato sulla base degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del p.m.; tuttavia, in cambio di ciò, la pena applicata in caso di condanna è ridotta.

Ci sono due tipologie di richiesta che l imputato può effettuare: richiesta pura e semplice, o richiesta condizionata all integrazione probatoria, ai sensi dell art. 438 comma 5: L imputato, ferma restando l utilizzabilità ai fini della prova degli atti indicati nell art. 442 comma 1 bis, può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione. Il giudice dispone il giudizio abbreviato se l integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili. Si tratta di una valutazione astratta molto pericolosa; il parametro di ammissione delle prove è diverso da quello generale del 190 comma 1 in materia probatoria, ove non c è nessun riferimento alla necessità, ma si parla solo di prove che non siano vietate dalla legge, ma che siano rilevanti e non manifestamente superflue, aspetti questi che vanno considerati, senza dubbio, anche nell ambito del rito abbreviato. In buona sostanza, ex art. 190 comma 1 c.p.p., l accettazione della prova è collegata, quale principio generale, alla sua attinenza e pertinenza rispetto all accusa, non già all effetto che essa potrà avere in relazione alla sentenza che si emetterà. Al contrario, la scelta di finalizzare l ammissione dell integrazione probatoria alla decisione del giudizio abbreviato appare una condizione del tutto illegittima, perché importa a carico del giudice una preventiva ed incidentale penetrazione del merito delle risultanze processuali. Se il giudice accoglie la richiesta di abbreviato, si terrà tale giudizio con tutte le prove che sono state indicate dall imputato, per il caso di richiesta condizionata, e fermo restando che il p.m. può richiedere l ammissione di prova contraria e che, qualora il giudice ritenga di non poter decidere, può assumere, ex comma 5 dell art. 441, ulteriori prove d ufficio, circostanza questa che rappresenta un altra novità introdotta dalla legge Carotti: Quando il giudice ritiene di non poter decidere allo stato degli atti assume, anche d ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione. Resta salva in tale caso l applicabilità dell art. 423. Il giudice, dunque, è dotato di poteri istruttori d ufficio, cioè può assumere l iniziativa in materia probatoria. Quindi, in caso di richiesta pura e semplice l imputato non sarà tranquillo, nonostante abbia presentato la richiesta di abbreviato in quanto le indagini gli erano favorevoli poiché il giudice potrebbe implementare il materiale probatorio, sostenendo di non poter decidere allo stato degli atti. E di certo, se lo farà, sarà solo per assumere prove a carico, in quanto, se fosse convinto dello scarso peso delle prove d accusa, dovrebbe limitarsi ad applicare la regola di giudizio in dubio pro reo.

La scelta del rito abbreviato potrebbe farsi nell ipotesi in cui le prove a carico del nostro assistito sono così tante ed evidenti che di fronte ad una condanna certa, sarebbe opportuno ottenere quantomeno lo sconto di pena di 1/3. Il rito ordinario Ma potrebbe verificarsi anche il caso in cui le indagini sono lacunose, le dichiarazioni rese dai sommari informatori contraddittorie, gli esami scientifici imprecisi e l alibi fornito dall imputato abbastanza credibile. In tale ipotesi, con il dibattimento si rischierebbe di dirimere quei dubbi che con l abbreviato indurrebbe il giudice ad emettere una sentenza assolutoria ai sensi dell art. 530 capoverso. Il dibattimento, invece, risulta essere una scelta obbligata quando i dubbi scaturenti dalle indagini potrebbero risolversi positivamente in favore dell imputato. Naturalmente, questa fase processuale, nell ipotesi di omicidio volontario, è preceduta dall udienza preliminare, sempreché non si proceda con il giudizio immediato. Questa, è la fase processuale volta a verificare, nel contradditorio tra le parti e sulla base delle indagini svolte, la fondatezza dell accusa formulata dal Pubblico Ministero. Presupposto per la instaurazione dell udienza preliminare è la richiesta di rinvio a giudizio del P.M., o l iniziativa del GIP (che respinge la richiesta di archiviazione del P.M e gli impone di formulare la imputazione). L udienza si svolge in Camera di Consiglio con la partecipazione necessaria del P.M. e del difensore dell imputato. Il giudice in primo luogo deve procedere agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, ordinando la rinnovazione di avvisi, citazioni, comunicazioni e notificazioni di cui dichiara la nullità. Conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, il giudice dichiara aperta la discussione, che inizia con la illustrazione da parte del P.M. dei risultati delle indagini preliminari e delle prove che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. Dichiarata chiusa la discussione, il giudice può emettere sentenza di non luogo a procedere, o pronunciare il decreto che dispone il giudizio. Nell ipotesi in cui l imputato non venga prosciolto in questa fase, si procede con il rito ordinario che, in caso di omicidio volontario, troverà il suo svolgimento, dinanzi alla Corte di assise. Il dibattimento include lo stadio preparatorio degli atti e delle verifiche preliminari, la soluzione delle questioni pregiudiziali e incidentali la formulazione delle richieste istruttorie

e l'espletamento dell'istruttoria per l'accertamento dei fatti concernenti la responsabilità penale dell'imputato con riferimento all'addebito contestato. E' possibile la modifica in dibattimento dell'imputazione in relazione a circostanze che emergano nel corso dell'istruzione. Esaurita l'istruttoria, si celebra l'udienza di discussione nella quale l'imputato ha, a pena di nullità, la possibilità di parlare per ultimo. Con la chiusura del dibattimento si apre la fase decisoria. La fase decisoria consiste nell adozione del provvedimento finale; in caso di condanna per omicidio volontario, la pena comminata è l'ergastolo, vale a dire, la massima pena prevista nel nostro ordinamento giuridico penale per un delitto.