Luca Masera Lampedusa: politiche di detenzione e rimpatrio 1. Per comprendere davvero quello che è successo e sta succedendo a Lampedusa, credo sia utile cercare di inserire tale vicenda all interno del quadro più ampio delle politiche repressive in materia di immigrazione messe in atto dal governo italiano: Lampedusa a mio avviso rappresenta il punto estremo di quella progressiva negazione dei diritti fondamentali dei migranti, che si è verificata in Italia negli ultimi dieci anni e che negli ultimi due-tre anni ha visto un ulteriore accelerazione. Dal momento che la mia formazione è giuridica (insegno diritto penale all università di Brescia), cercherò in primo luogo ed in estrema sintesi di fornire un quadro degli strumenti giuridici con cui tale negazione dei diritti è stata concretamente attuata, distinguendo l analisi in due parti: le modalità con cui gli stranieri irregolari vengono privati della libertà personale in attesa del rimpatrio, e le modalità in cui avvengono i rimpatri. Chiarito il quadro normativo generale e le peculiarità che al suo interno presenta il caso Lampedusa, illustrerò le iniziative giudiziarie che l Arci e le altre associazioni che lavorano a Lampedusa stanno mettendo in atto per cercare di porre fine a questa situazione. 2. La disciplina italiana relativa alla privazione della libertà dello straniero presentava sino al mese di agosto di quest anno una peculiarità rispetto agli altri ordinamenti europei: oltre al trattenimento amministrativo dello straniero irregolare in attesa del rimpatrio (presente in tutti gli ordinamenti europei, e che in Italia sino ad agosto aveva una durata massima di sei mesi), la cd. legge Bossi-Fini prevedeva che lo straniero che non eseguisse entro un termine brevissimo l ordine di rimpatrio, fosse punito con la pena della reclusione sino a cinque anni. La condizione di irregolarità, quindi, costituiva di per sé un delitto, che legittimava la detenzione dello straniero in un carcere: sulla base di questo reato, migliaia di stranieri sono stati tenuti in carcere nel nostro Paese senza che avessero commesso alcun delitto, per il solo fatto di essere clandestini. 1
Nella legislazione italiana degli ultimi anni lo straniero irregolare era quindi considerato a tutti gli effetti un criminale, da arrestare e processare immediatamente (arresto obbligatorio e rito direttissimo, come per i reati più gravi come omicidio o rapina) e da mettere in carcere per diversi anni. Il punto più estremo di questa criminalizzazione del clandestino si è avuta nel 2008, quando il legislatore ha introdotto la circostanza aggravante di clandestinità, cioè ha previsto che qualsiasi reato, se commesso da un clandestino, fosse da punire più severamente dello stesso reato commesso da un cittadino italiano o da uno straniero irregolare: una violazione macroscopica del principio di uguaglianza, che è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale del 2010, e che tuttavia testimonia bene il clima politico-culturale che abbiamo vissuto in questi anni in Italia. Le cose sono radicalmente cambiate quest anno, dopo l entrata in vigore della direttiva europea 2008/115 relativa proprio alla disciplina dei rimpatri e dei trattenimenti. Prima i giudici italiani, poi la Corte di giustizia europea (con la nota sentenza El Dridi) hanno stabilito che il diritto comunitario vieta di punire come un criminale, con la pena del carcere, lo straniero clandestino: la Corte europea ha stabilito che uno Stato può decidere di sanzionare penalmente lo straniero irregolare (ed infatti in Italia la mera condizione di irregolarità, prima dell emanazione di un ordine di allontanamento, costituisce una contravvenzione, punita con pena pecuniaria), ma non può prevedere il carcere per uno straniero solo perché non obbedisce all ordine di tornare nel proprio Paese. Sulla base di questa sentenza, centinaia di clandestini sono stati liberati, e diverse migliaia di processi si sono conclusi con l assoluzione dell imputato. Di fronte alla chiara bocciatura del sistema interno da parte della Corte europea, il governo italiano è ben presto intervenuto con un decreto (convertito in legge in agosto), in cui, vista l impossibilità di ricorrere al carcere nei confronti del clandestino, si è deciso di prolungare sino a un anno e mezzo (dai precedenti sei mesi) il periodo in cui lo straniero può essere trattenuto in via amministrativa in attesa del rimpatrio, come del resto previsto nella direttiva comunitaria. La situazione attuale è dunque questa. Per quanto riguarda la privazione di libertà personale, lo straniero irregolare non può essere tenuto in carcere, ma l autorità di polizia (previa convalida entro 48 ore del provvedimento da parte di un giudice di pace) può trattenerlo in un Centro di identificazione ed espulsione per diciotto mesi in attesa di eseguire la decisione di rimpatrio emanata sempre dall autorità di polizia. Quanto poi alle modalità del rimpatrio, la legge prevede che il decreto di allontanamento emanato dall autorità di polizia sia anch esso sottoposto entro 48 ore alla convalida dell autorità giudiziaria, garantendo quindi allo straniero (almeno formalmente) la possibilità di esercitare il diritto di difesa. 2
3. Il quadro generale è, quindi, assai preoccupante quanto a rispetto dei diritti fondamentali del migrante. L elevazione sino a diciotto mesi del termine per la detenzione amministrativa dello straniero viola senza dubbio il principio di proporzionalità delle sanzioni privative della libertà personale, ed anche il controllo giurisdizionale sui provvedimenti dell autorità di polizia (affidato a giudici non professionali, che addirittura tengono udienza nelle questure) garantisce ben poco i diritti di difesa del migrante. In questo contesto già così grave, la situazione di Lampedusa rappresenta un nuovo gradino nella violazione dei diritti fondamentali dello straniero, ponendosi ed è bene sottolinearlo con chiarezza da subito, perché è questa la vera peculiarità del caso Lampedusa del tutto al di fuori del sistema legale, tanto nazionale che sovranazionale. Il centro dove gli stranieri vengono trattenuti dopo lo sbarco (in condizioni di totale privazione della libertà personale, essendo rinchiusi e guardati a vista dalle forze dell ordine e dall esercito) non è un CIE, dove la legge prevede (come abbiamo appena visto) che gli stranieri possano essere trattenuti, ma è un Centro di primo soccorso ed accoglienza, dove in teoria gli stranieri dovrebbero rimanere al massimo 4 giorni, e comunque in strutture dalle quali sia possibile uscire (quindi senza privazione della libertà). Cosa succede in realtà a Lampedusa? Gli stranieri vengono detenuti nel Centro anche per diverse settimane, senza che venga loro notificato alcun atto ufficiale che spieghi le ragioni per cui si trovano privati della libertà, senza avere la possibilità di consultare un avvocato, e senza che alcun giudice possa verificare la legittimità del loro trattenimento. Quando poi l autorità di polizia decide di procedere al rimpatrio, gli stranieri vengono imbarcati con la forza sugli aerei, ricevendo solo in questo momento un provvedimento di respingimento, che non è peraltro neppure sottoposto alla convalida del giudice di pace. 4. La situazione di Lampedusa è dunque del tutto al di fuori della legge. Non vengono rispettate nemmeno le garanzie formali che la legge italiana, per quanto come abbiamo visto assai repressiva, comunque riconosce allo straniero irregolare. La questione decisiva da un punto di vista giuridico è che a Lampedusa gli stranieri vengono privati della propria libertà personale dall autorità di polizia senza alcuna convalida dell autorità giudiziaria: una prassi che è in frontale contrasto in primo luogo con l art. 13 della Costituzione italiana, che prevede che nessuna persona (cittadino o straniero, regolare o irregolare) può essere pri- 3
vato della libertà personale dall autorità di polizia per più di 48 ore senza che sia richiesta la convalida dell autorità giudiziaria. E una regola fondamentale di ogni democrazia, l habeas corpus come garanzia minima di tutela dell individuo dall autorità di polizia. Questa regola non vale per gli stranieri di Lampedusa, che rimangono per settimane rinchiusi sotto sorveglianza della polizia senza poter avere accesso ad un giudice, e vengono allontanati dal nostro Paese (altro provvedimento che, secondo la nostra Corte costituzionale, è coperto dalle garanzie dell art. 13 Cost.) senza ancora che alcun giudice abbia verificato la legittimità del provvedimento di polizia. E importante capire quindi che quello che avviene a Lampedusa non è paragonabile alla situazione normale degli altri Centri di detenzione amministrativa presenti in Italia o in Europa, dove almeno vengono formalmente rispettate le garanzie minime di uno stato di diritto (l intervento di un giudice indipendente quando si priva una persona della propria libertà). Lampedusa, come ha detto qualcuno, è oggi una no man s land in cui la polizia italiana agisce al di fuori di qualsiasi controllo di legalità: sotto gli occhi di tutti (media ed opinione pubblica) viene platealmente negato agli stranieri il diritto alla libertà personale, i principi dello stato di diritto non si applicano a chi sbarca sull isola. 5. Cosa si è fatto e cosa si sta facendo, per quanto riguarda le iniziative giudiziarie, per contrastare questa prassi? Si stanno percorrendo due diverse strade. La prima concerne il ricorso alla Corte europea dei diritti dell uomo (CEDH). Fra pochi mesi la Grand Chambre della CEDH deciderà un ricorso presentato da diversi cittadini somali e eritrei che nel maggio 2009 erano stati respinti in mare dalle autorità italiane e riportati in Libia (caso Hirsi), occasione in cui la Corte deciderà sulla legittimità dei rimpatri effettuati senza convalida del giudice. L Arci, con altre associazioni, sta poi preparando un nuovo ricorso alla Corte di Strasburgo in relazione ai fatti degli ultimi mesi di Lampedusa, tanto sotto il profilo dell illegalità del trattenimento (art. 5 conv.), che dell illegalità del rimpatrio, effettuato senza garanzie di difesa (art. 13 conv.) ed in forma collettiva (art. 4 prot. 4). Non ho qui lo spazio per discutere nel merito il ricorso, se qualcuno è interessato ne possiamo discutere. La seconda strada, che è stata intrapresa in questi ultimi giorni, consiste invece nel denunciare tali violazioni alla magistratura penale italiana, perché accerti se le condotte tenute dalle forze dell ordine configurino dei delitti. E quanto è stato fatto pochi giorni fa da alcuni cittadini (su iniziativa di Vassallo Paleologo) che hanno denunciato alla Procura di Palermo la situazione dei cittadini stranieri trattenuti da giorni su alcune navi in attesa di rimpatrio, senza nessuna garanzia giuri- 4
sdizionale; con l Arci nei prossimi giorni depositeremo presso la Procura di Agrigento una denuncia per sequestro di persona in relazione ai fatti ai quali abbiamo personalmente assistito a Lampedusa. Credo si tratti di iniziative importanti, sulle quali sarebbe importante riuscire a far convergere un sostegno ampio da parte di tutte le organizzazioni qui presenti. Si tratta di avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. A Lampedusa non si stanno soltanto e genericamente violando i diritti umani, il Governo italiano sta commettendo dei crimini gravissimi (i delitti di violenza privata e di sequestro di persona, puniti con pene che arrivano sino a 8 anni di reclusione) che l autorità giudiziaria ha il dovere di perseguire. Da un punto di vista giuridico è importante sottolinearlo non sto dicendo nulla di eversivo o di radicale. Quando ho parlato della mia esperienza a Lampedusa con un vecchio professore milanese (uno dei penalisti più noti in Italia, e tutt altro che politicamente radicale), è rimasto incredulo di quanto gli raccontavo, e non aveva dubbi sulla rilevanza penale delle condotte tenute dalla polizia a Lampedusa; stessa cosa quando ho parlato della questione con alcuni magistrati penali. Il problema è proprio questo. Quello che sta accadendo a Lampedusa è sotto gli occhi di tutti, ma sino ad oggi anche le forze di opposizione si sono limitate a denunciare politicamente la gestione dell emergenza senza parlare esplicitamente della natura criminale delle condotte del Governo. E su questo che voglio concludere. Quando ci si trova di fronte ad un Governo che priva delle persone della libertà senza alcuna delle garanzie minime di uno stato di diritto, bisogna avere il coraggio di dire come giuristi e come cittadini che questo Governo sta compiendo delle azioni criminali, ed i suoi responsabili devono essere processati da un Tribunale penale. Per quanto si tratti di una richiesta forte o che può sembrare poco realistica, credo sia un opzione necessitata: se siamo ancora in uno stato di diritto, non possiamo rinunciare a pensare che la magistratura penale (che in Italia, per fortuna, è ancora un potere davvero indipendente dal governo) possa perseguire i responsabili di crimini gravissimi, anche se essi sono al vertice delle istituzioni. Perché però questa iniziativa possa avere successo, è necessario un forte movimento di opinione, che costringa i magistrati siciliani competenti per territorio a fare sino in fondo il proprio dovere, pur sapendo che saranno attaccati da una larga parte dell opinione pubblica e dei media. Se siamo in uno stato di diritto, non possiamo tollerare che la libertà dei migranti sia considerata così poco importante da non giustificare alcuna tutela da parte della magistratura: per questo credo sia importante riuscire ad essere chiari (politicamente e giuridicamente) nel denunciare questa gestione criminale del fenomeno migratorio. 5
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