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L unificazione dell Italia nel contesto europeo dal 1848 al 1870 1. IL 1848, L ANNO DELLE RIVOLUZIONI. Il 1848 fu un anno di enormi fermenti rivoluzionari in tutta Europa. In Italia diversi avvenimenti avevano stimolato speranze di cambiamento in tutto il territorio. A Roma, ad esempio, il nuovo pontefice Pio IX, non appena eletto (1846), aveva dato prova di una notevole volontà di mutamento: liberazione di numerosi prigionieri politici; diminuzione dei controlli di polizia; concessione di una parziale libertà di stampa. Fu definito un «papa liberale», che avrebbe potuto garantire l avvio della liberazione d Italia. Nei fatti, la questione era molto più complessa. Pio IX, di carattere certamente tollerante e contrario alla repressione delle idee e dei regimi di polizia, non era realmente un liberale, come non poteva essere considerato liberale il granduca di Toscana Leopoldo II che pure aveva realizzato alcune riforme in senso democratico. Solo il re piemontese, Carlo Alberto, che si dichiarava vicino alle posizioni liberali e ostile all Austria, sembrava intenzionato ad impegnarsi per il processo di unificazione italiano. 2. LE COSTITUZIONI. Il cosiddetto 48 italiano ebbe inizio a Palermo: dalla città siciliana partì la rivolta che si estese a tutta l isola e che fu finalizzata alla concessione della Costituzione e all elezione di un Parlamento. L esempio di Palermo fu seguito da Napoli: qui, il re Ferdinando II fu costretto da insistenti sollevazioni di massa a concedere la Costituzione. L iniziativa del re delle Due Sicilie provocò a sua volta una sorta di reazione a catena: furono concesse delle Costituzioni (più o meno liberali) da Leopoldo II di Toscana; da Carlo Alberto (dal suo nome la costituzione piemontese fu detta Statuto Albertino ) dallo stesso papa Pio IX. Erano tutte costituzioni concesse (cosiddette Costituzioni octroyées o ottriate) dai sovrani e non votate dai cittadini, ma, in quella fase storica, costituirono in ogni caso un importante passo verso l evoluzione in senso avanzato dei singoli governi della penisola. 3. LO STATUTO ALBERTINO. La più importante di queste prime Carte costituzionali, lo Statuto Albertino, concesso nel 1848, era diviso in due parti: nella prima parte veniva definiva l autorità della monarchia e della figura del re riaffermando l importanza della religione cattolica, considerata unica religione ufficiale dello Stato; nella seconda parte, era invece previsto un articolato sistema di garanzie, in particolare per quanto riguarda i diritti civili e le libertà già sancite dalle Costituzioni francese, inglese e americana. 4. LE INSURREZIONI DI VENEZIA E MILANO. Il governo austriaco non fece invece alcuna concessione. In questo clima: Venezia insorse, formando un proprio governo guidato dai patrioti Daniele Manin e Niccolò Tommaseo; Milano fu teatro di notevoli manifestazioni di piazza dei cittadini che, guidati da Carlo Cattaneo, per cinque giorni (cosiddette cinque giornate di Milano ), diedero vita a duri combattimenti per le strade del capoluogo lombardo sino a determinare la ritirata degli Austriaci nelle quattro fortezze di Verona, Peschiera, Legnago e Mantova (cosiddetto quadrilatero ). A Milano si formò pertanto un governo provvisorio, come a Parma e a Modena.

Il problema non risolto era tuttavia quello di eliminare definitivamente la presenza dell esercito austriaco da tutto il Lombardo-Veneto. Non possedendo un esercito proprio, Milano e Venezia potevano limitarsi alla raccolta di volontari per poi aggregarli ad un esercito professionale già esistente. L unico sovrano in grado di gestire un esercito preparato era Carlo Alberto. 5. LA PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA. Nonostante infatti l insurrezione di Milano avesse colto il Piemonte di sorpresa e l esercito piemontese non fosse pronto alla guerra, Carlo Alberto proclamò comunque la dichiarazione di guerra all Austria. L esercito piemontese varcò il confine posto sul Ticino, adottando il tricolore come bandiera nazionale, al posto della bandiera del regno di Sardegna e sulla scorta dell entusiasmo popolare, altri sovrani si videro costretti a inviare proprie truppe in sostegno a quelle piemontesi. Le tappe successive del conflitto furono, sinteticamente, le seguenti: gli Austriaci vennero battuti a Goito, dopo che i volontari toscani, in gran parte studenti universitari di Pisa e Siena, avevano opposto intensa resistenza a Curtatone e Montanara; i Governi provvisori di Milano, Venezia, Modena e Parma si risolsero allora per l unione col Piemonte. Tale gesto provocò tuttavia immediatamente i sospetti degli altri sovrani italiani; temendo infatti un eccessivo rafforzamento del regno di Carlo Alberto, la Toscana e il Regno delle Due Sicilie ritirarono le loro truppe; il Papa fece lo stesso, temendo che la cattolica Austria si volgesse contro la Chiesa di Roma. Questi elementi impedirono all esercito piemontese di sfruttare la vittoria ottenuta. L offensiva si fermò davanti alle fortezze del quadrilatero, mentre altre truppe austriache giungevano da Vienna. Riorganizzato l esercito, il maresciallo Radetzky sferrò la controffensiva. Carlo Alberto, sconfitto a Custoza, fu costretto a firmare un armistizio e a ritirarsi in Piemonte. 6. LA SCONFITTA DEFINITIVA. L anno seguente (1849) Carlo Alberto riprese la guerra, ma di nuovo l esercito piemontese apparve impreparato (sconfitta di Novara). Il sovrano rinunciò pertanto al trono a favore del figlio, Vittorio Emanuele II. Questi firmò un vantaggioso trattato di pace con gli Austriaci, mantenendo, oltre ad alcune riforme, anche l importante Statuto albertino. La prima guerra d indipendenza si chiudeva dunque con una serie di fallimenti: si dimostrò l impraticabilità dell ideale moderato neo-guelfo (l ipotesi, prefigurata da Gioberti, di una confederazione di Stati italiani guidata dal pontefice); emerse la grave debolezza di un Piemonte isolato; fu chiaro che il processo di indipendenza italiana doveva trovare il sostegno di altre potenze europee. Diversi politici italiani cominciarono dunque a convincersi della necessità di un programma politico finalizzato al raggiungimento dell indipendenza e dell unità attraverso la monarchia liberalcostituzionale di Vittorio Emanuele II. 7. LA CADUTA DELLE REPUBBLICHE ROMANA E VENEZIANA. Nel frattempo, a Roma si era costituita una repubblica: del governo faceva parte Giuseppe Mazzini e difenderla era accorso anche Giuseppe Garibaldi. Insieme a loro, ricordiamo il genovese Goffredo Mameli, il lombardo Luciano Manara e molti altri. Contro di loro si mosse Luigi Napoleone, che inviò una spedizione a Roma, in aiuto di Pio IX, sia per attrarre le simpatie dei cattolici francesi sia per contrastare il predominio austriaco in Italia. Dopo una iniziale resistenza, la città assediata da truppe numerose e militarmente ben equipaggiate cadde il 30 giugno 1849.

Garibaldi fuggì con duemila volontari e la moglie Anita (che morì nella pineta di Ravenna) fu braccato e infine fatto arrestare ed esiliare dal governo piemontese, al fine di tranquillizzare l Austria e le grandi potenze. Anche a Venezia si era instaurato un governo repubblicano, costretto tuttavia ben presto alla resa dai bombardamenti, dal colera e dalle ristrettezze economiche (i responsabili della rivolta, Daniele Manin, Niccolò Tommaseo e il generale napoletano Guglielmo Pepe vennero condannati all esilio). La vittoria dell Austria in Italia fu quindi netta e profonda. 8. IL PIEMONTE E CAVOUR. In un clima di vittoria generalizzata delle forze reazionarie in Europa, emerse la figura e la personalità di uno dei più abili uomini politici del tempo, già ministro nel regno di Vittorio Emanuele II: Camillo Benso conte di Cavour. Esponente di spicco del pensiero liberale e liberista, forte sostenitore della distinzione politica tra Stato e Chiesa ( libera Chiesa in libero Stato ), presto nominato presidente del Consiglio dei ministri (1852), Cavour procedette alla realizzazione del suo progetto di indipendenza italiana. In particolare, Cavour: riteneva che soltanto il Piemonte potesse essere in grado di realizzare l unificazione nazionale, in quanto non sottomesso all Austria (come invece erano i Borboni di Napoli, il granduca di Toscana, i duchi di Modena e di Parma); e che solo il Piemonte potesse avere la forza di garantire alle monarchie europee che l Italia non avrebbe abbracciato pericolose derive democratiche e radicali. 10. LA GUERRA DI CRIMEA. Per realizzare la complessa strategia di unificazione, Cavour aveva necessità di essere riconosciuto politicamente dalle grandi potenze europee. L occasione fu trovata nella guerra di Crimea (scatenatasi a seguito della dichiarazione di guerra della Russia alla Turchia), cui Cavour decise (assieme a Francia e Inghilterra) di partecipare in aiuto della Turchia. Le conseguenze delle guerra furono durissime sul piano delle perdite umane, ma decisive sul piano politico: Vittorio Emanuele II fu acclamato come alleato a Londra e a Parigi e nel successivo congresso per la pace (Parigi, 1856) a Cavour fu concesso di esporre la grave questione dell indipendenza italiana. 11. I FALLIMENTI DEI MAZZINIANI. Nel frattempo si verificarono vari tentativi insurrezionalisti dei mazziniani, tutti con esito tragico. Anche in conseguenza di ciò, diversi esponenti repubblicani (tra cui lo stesso Garibaldi) si convinsero progressivamente che l unica speranza di unità nazionale fosse legata alla monarchia del Piemonte. Nel 1858 un drammatico episodio rischiò di smantellare la complessa azione diplomatica intrapresa da Cavour: un repubblicano, Felice Orsini, attentò infatti alla vita di Napoleone III. Cavour riuscì a volgere il gesto dell Orsini a vantaggio della causa italiana, facendo leva sul timore di un incipiente pericolo estremista in Italia. Dopo lunghe trattative diplomatiche tra Napoleone III e Cavour, si giunse all accordo segreto di Plombières, con cui: Cavour ottenne l impegno di un immediato intervento militare francese in caso di aggressione austriaca al Piemonte; Napoleone III ottenne la promessa della cessione di Nizza e della Savoia alla Francia; Cavour si impegnò con l imperatore a dividere il territorio italiano in quattro Stati: Nord, Centro, Sud e Stato Pontificio. 12. LA SECONDA GUERRA D INDIPENDENZA. Il problema era a questo punto provocare la guerra con l Austria. Nei primi mesi del 1859 il Piemonte radunò le sue truppe sul Ticino. Ai soldati regolari si affiancarono migliaia di volontari giunti da tutta Italia (di nuovo Garibaldi ebbe il comando di un corpo di volontari). Il governo austriaco inviò un ultimatum a Torino (richiesta di disarmo immediato dell esercito). Al rifiuto del re, l esercito austriaco varcò il Ticino. I piemontesi si

ritirarono lentamente, riunendosi ai Francesi, comandati dallo stesso Napoleone III. Ecco in sintesi le tappe del nuovo conflitto: il primo scontro avvenne nei pressi di Magenta (i Francesi sconfiggono gli Austriaci): Napoleone III e Vittorio Emanuele II entrano trionfalmente a Milano. Garibaldi conquista Varese, Como, Bergamo e Brescia; contestualmente i Francesi sconfiggono di nuovo gli Austriaci a Solferino, mentre l esercito piemontese otteneva una vittoria a San Martino. Si trattò di azioni militari che determinarono immediate conseguenze in tutta Italia: Firenze, Modena, Parma, Bologna formarono nuovi governi e chiesero l unione con il regno di Sardegna. In questo clima, Napoleone III temette che la situazione potesse sfuggirgli di mano, ritenendo che Cavour non si sarebbe limitato al governo dell Italia settentrionale. Così 1 11 luglio 1859 firmò un armistizio a Villafranca con lo stesso imperatore Francesco Giuseppe, senza consultare gli alleati piemontesi. L accordo prevedeva: la cessione della Lombardia al regno di Sardegna; il Veneto sotto il governo austriaco. Mentre Vittorio Emanuele II accettò, Cavour, per protesta, si dimise. Richiamato tuttavia quasi subito a capo del governo (1860), Cavour riprese l iniziativa diplomatica con Napoleone III, cui offrì nuovamente Nizza e la Savoia (non concesse a seguito del tradimento rappresentato dal trattato di Villafranca) in cambio di libertà politica nella gestione dei rapporti con Toscana, Emilia- Romagna, Parma e Modena. Da questo punto in poi, fu affidata all istituto del plebiscito popolare la possibilità o meno di consentire l annessione dei vari Stati al Regno di Sardegna. L Italia centrale approvò in blocco. 13. LA SPEDIZIONE DEI MILLE. Mentre il 2 aprile 1860 apriva a Torino il nuovo Parlamento, con la presenza dei rappresentanti dell Italia centrale, in Sicilia scoppiavano rivolte. Ne approfittò Garibaldi, convinto dell utilità di una spedizione militare in Sicilia cui anche Vittorio Emanuele II era segretamente favorevole. Cavour inizialmente diffidente nei confronti dei democratici garibaldini e timoroso circa le possibili reazioni di Francia e l Inghilterra, alla fine accettò il progetto. Nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, l esercito garibaldino (i cosiddetti Mille, quasi tutti volontari) si imbarcarono presso lo scoglio di Quarto (Genova), da cui giunsero nel porto di Marsala, dove sbarcarono. Pochi giorni dopo, Garibaldi sconfisse le truppe borboniche a Calatafimi, occupando Palermo e successivamente Reggio. Il 7 settembre 1860 Garibaldi giunse trionfalmente a Napoli. Cavour decise in quel momento di assumere il controllo e il comando delle operazioni, per diverse ragioni: temeva la proclamazione da parte di Garibaldi di una repubblica nel Mezzogiorno; intendeva cogliere l occasione per annettere anche le Marche e l Umbria (ancora sotto il governo pontificio); intendeva evitare che Garibaldi attaccasse Roma, al fine di evitare un possibile intervento militare dei Francesi a sostegno del pontefice. Alla Francia Cavour fece credere d essere costretto all intervento armato per evitare i pericoli di una rivoluzione democratica. In realtà riuscì abilmente a far penetrare le truppe nello Stato Pontificio: l esercito piemontese, evitando Roma, si impadronì delle Marche e dell Umbria. 14. GARIBALDI CONSEGNA AL RE IL MEZZOGIORNO. Nel frattempo, il 26 settembre 1860, Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrarono a Teano (Caserta). Qui Garibaldi accolse il sovrano come re d Italia, affidandogli tutti i territori liberati. Altri plebisciti (in Sicilia e nel regno di

Napoli) decretarono il sì l annessione all Italia. L impresa di Garibaldi fu riconosciuta come straordinaria in tutta Europa. 15. LA SCOMPARSA DI CAVOUR. Il primo atto del nuovo parlamento italiano (17 marzo 1861) fu la proclamazione del regno d Italia, con capitale fissata a Torino. Al completamento dell unità del Paese mancavano soltanto Roma e il Veneto. Vittorio Emanuele II assunse per sé e i suoi discendenti il titolo di «re d Italia, per grazia di Dio e volontà della nazione». Poco dopo moriva Camillo Cavour: fu una gravissima perdita, che privò l Italia di uno straordinario uomo politico proprio nel momento in cui appariva necessario dare avvio all organizzazione del nuovo Stato unitario. 16. ROMA CAPITALE. Ottenuto successivamente anche il Veneto (al termine della cosiddetta terza guerra di indipendenza ) permaneva insoluta la questione romana, cioè l ipotesi di concludere l unificazione decretando facendo di Roma la capitale del regno d Italia. I maggiori ostacoli del progetto di Roma capitale d Italia venivano dalla Francia: i cattolici, tradizionalmente, chiedevano a Napoleone III di difendere lo Stato Pontificio. Per evitare scontri con la Francia, il capo del governo, Urbano Rattazzi ordinò persino l arresto di Garibaldi che da tempo intendeva liberare Roma (siamo nel 1867). Tuttavia Garibaldi, riuscito a fuggire, penetrò successivamente con un esercito di circa duemila volontari nel Lazio, venendo sconfitto a Mentana dalle truppe francesi accorse in difesa del Papa. Solo nel 1870, nel momento in cui Napoleone III, sconfitto dai Prussiani, perse il potere, il governo italiano si sentì libero di agire: il 20 settembre 1870 il corpo dei bersaglieri cannoneggiò le mura di Roma (cosiddetta Breccia di Porta Pia ) e fece il suo ingresso in città. Si trattò di una azione essenzialmente dimostrativa, senza eccessive violenze. Terminava in questo modo, dopo circa dodici secoli, il potere temporale dei papi. Roma fu pertanto ordinata capitale del regno d Italia. Nel maggio 1871 il Parlamento regolò la questione romana secondo i principi già prefigurati da Cavour. Con la cosiddetta legge delle Guarentigie (cioè della garanzie ), il governo concesse al pontefice: il territorio della Città del Vaticano; la piena libertà per la Chiesa cattolica nell esercizio dell apostolato, della propaganda di fede e nella gestione della propria organizzazione in tutto lo Stato italiano; una somma annuale di denaro finalizzata al mantenimento della Città del Vaticano. Il pontefice, ritenendosi «prigioniero in Vaticano», non accettò le risoluzioni del governo italiano: procedette pertanto alla scomunica del re, dei ministri e dei parlamentari, vietando contestualmente ai cattolici italiani di partecipare alla vita politica della nazione.