Il processo di attuazione in Italia della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989



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Il processo di attuazione in Italia della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 di Roberta Ruggiero In questo contributo si intende fornire un sintetico bilancio del processo di implementazione compiuto dall Italia della Convenzione del 1989 sui diritti del bambino a vent anni dalla sua ratifica da parte del nostro paese. Tale percorso è qui descritto attraverso i mutamenti più salienti introdotti nella realtà nazionale a seguito dell interazione con il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, con particolare attenzione a quelli occorsi nell ordinamento giuridico nazionale e nell assetto delle politiche sociali a favore dell infanzia e dell adolescenza. Il processo d implementazione della Convenzione, che ha preso avvio con la legge di ratifica 27 maggio 1991, n. 176, ha conosciuto momenti di diversa intensità. Ad esso ha contribuito positivamente una combinazione di più fattori. Tra questi, dobbiamo annoverare anche le Osservazioni conclusive del Comitato sui diritti dell infanzia, a partire da quelle adottate nel novembre del 1995 a seguito del primo Rapporto presentato dal governo italiano nell ottobre del 1994, frutto di un dialogo costruttivo tra il Comitato e il governo italiano. Esse hanno certamente favorito in modo significativo l emersione nel nostro paese di una nuova ricettività politica e amministrativa verso le politiche di cura e di promozione dei bambini già presenti nella società civile. 1 Primo Rapporto nazionale al Comitato ONU sui diritti dell infanzia 1993 Il primo Rapporto del governo fu elaborato dal Comitato interministeriale per i diritti umani presso il ministero degli Esteri nell ambito delle sue varie attività istituzionali. Da questo Rapporto emergeva una certa difficoltà del sistema italiano nel confrontarsi con i principi 158

enunciati nella Convenzione. Si fornivano infatti due tipi d informazioni. In primis, una panoramica della legislazione e delle pratiche in uso in relazione ai principi sanciti nella Convenzione, a sottolineare che tutti i diritti ivi enunciati erano già sufficientemente affrontati dalla legislazione nazionale a protezione dell infanzia e dell adolescenza, e che di conseguenza non necessitavano, dal punto di vista normativo, interventi di particolare rilievo. In secondo luogo, si presentavano le iniziative alle quali sin dalla sua ratifica la Convenzione aveva fatto da fondamento, enfatizzando quanto le disposizioni normative in essa contenute di fatto contribuivano alla promozione di sviluppi rilevanti, con riferimento sia agli standard delle attività, strutture e servizi dedicati all infanzia e all adolescenza, sia all evoluzione del dibattito socio-culturale sui diritti dell infanzia. Questo primo Rapporto si articolava in quaranta diversi paragrafi, ognuno dedicato ai primi quaranta articoli, cosiddetti sostanziali, della Convenzione. In tal modo per ognuno di questi e dei diritti in esso enunciati, il governo descriveva il sistema normativo nazionale, le innovazioni introdotte a seguito della ratifica della Convenzione e le attività programmate e da attuare 1. Le Osservazioni conclusive del Comitato del 1995 sottolineavano a livello macro, con riferimento alle politiche nazionali, una serie di carenze. In particolare: l assenza di un meccanismo nazionale integrato di monitoraggio che in maniera sistematica vigilasse sulla condizione delle generazioni più giovani nel nostro paese; la scarsa divulgazione della Convenzione presso la società civile, nella sua generali e tra i destinatari della Convenzione stessa, ossia i bambini e gli adolescenti tra gli 0 e i 17 anni; l insufficiente partecipazione e coinvolgimento dei cittadini nel dibattito relativo alle questioni concernenti bambini e ragazzi; la mancanza di attività di formazione per coloro che a vario titolo lavorano con bambini/bambine e ragazzi/ragazze; l assenza di un sistema di coordinamento tra i vari organismi di governo con competenze in materia di infanzia e di adolescenza, così come tra il livello centrale e quello regionale e locale; l assenza di una rete onnicomprensiva di raccolta dati e informazioni in forma disaggregata su tutti gli ambiti identificati dalla Convenzione: la disponibilità di dati disaggregati per età essendo una base di partenza imprescindibile per qualunque programmazione di politiche mirate e per la valutazione dell efficacia delle misure legislative e amministrative adottate; le scarse risorse economiche complessivamente destinate alle politiche sociali rivolte all infanzia e all adolescenza; l inadeguata considerazione prestata dalla legislazione e dalle politiche nazionali all attuazione dei principi fondamentali della Convenzione; Commento [I50]: correggere 159

l assenza di misure mirate per i bambini appartenenti ai gruppi più vulnerabili e svantaggiati, come bambini con famiglie povere e provenienti da nuclei monoparentali, bambini stranieri e di origini rom, oppure bambini nati fuori dal vincolo del matrimonio. Il Comitato aveva inoltre sottolineato la necessità di sanare una situazione di disparità sociale ed economica presente tra il Nord e il Sud del paese e le conseguenze negative di questo divario sulla condizione dell infanzia e dell adolescenza. Un altra osservazione del Comitato riguardava la presenza di fenomeni di abuso, incluso quello fisico e sessuale, a danno di bambini e della violenza nel contesto familiare. Si sottolineava la poca protezione garantita ai minori vittime di tali violenze nel quadro del diritto penale sostanziale e procedurale, così come l assenza di misure adeguate per il recupero psico-sociale delle vittime. Nella seconda metà degli anni Novanta, anche a seguito delle sollecitazioni espresse dal Comitato sui diritti del fanciullo e da altre autorevoli istanze internazionali 2, ma soprattutto grazie ad una convergenza tra più fattori di ordine politico, culturale e sociale, il governo italiano iniziò ad elaborare interventi a favore dell infanzia e della adolescenza con un approccio integrato. Ciò portò all elaborazione del primo Piano d azione nazionale in materia di infanzia e adolescenza e all adozione di una serie di disposizioni normative, nonché alla predisposizione di meccanismi di monitoraggio tali da favorire la verifica costante sulla realtà delle generazioni più giovani nel nostro paese. Il primo passo che testimonia tale sensibilità è dato dalla creazione, con la legge 451/1997, Istituzione della Commissione parlamentare per l infanzia e dell Osservatorio nazionale per l infanzia, di un apparato di coordinamento e monitoraggio articolato su tre pilastri: il Centro nazionale di documentazione e analisi per l infanzia e l adolescenza, che ha il mandato di monitorare, attraverso la raccolta e l analisi di informazioni quantitative e qualitative, la condizione dell infanzia e dell adolescenza; la Commissione Parlamentare per l infanzia, con compiti d indirizzo e controllo sull attuazione degli impegni internazionali e della legislazione nazionale in materia; l Osservatorio nazionale per l infanzia, con lo specifico compito di predisporre ogni due anni il Piano d azione per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva 3. Sulla scia delle raccomandazioni internazionali, che invitavano gli Stati alla programmazione di interventi settoriali per l infanzia e l adolescenza, nonché a dotarsi di un quadro di riferimento organico 4, nell aprile del 1997 veniva adottato il primo Piano d azione nazionale per l infanzia e l adolescenza. La bozza fu elaborata dall Osservatorio nazionale per l infanzia e l adolescenza. Nel Piano si poneva l accento sulla necessità di evitare la settorializzazione degli interventi a favore di bambini e ragazzi e la necessità di ricondurli tutti a un quadro di riferimento organico, attraverso la predisposizione di un efficace coordinamento tra le istituzioni centrali dello Stato, le regioni, le municipalità e il privato sociale. Il Piano, entrato in vigore nel giugno del 1999, aveva come obiettivo prioritario lo 160

sviluppo nel nostro paese di una cultura dei diritti dell infanzia, e la predisposizione d interventi nell ambito della scuola, della sanità, della famiglia, della giustizia, dell ambiente, del tempo libero, del mondo del lavoro e della cooperazione internazionale. L attuazione degli specifici impegni identificati nel Piano doveva avvenire sia nell ambito legislativo, sia in quello amministrativo, attraverso il coordinamento di organi, servizi e risorse, non solo del livello centrale, ma anche di quello locale, e la partecipazione attiva del privato sociale 5. In particolare si richiedeva alle amministrazioni nazionali, regionali e locali coinvolte di istituire uffici dedicati all infanzia e all adolescenza. Coeva alla legge 451 è la legge 28 agosto 1997, n. 285, Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l infanzia e l adolescenza, che si fa portatrice di un forte rinnovamento e delle politiche nazionali e degli interventi locali a favore delle generazioni più giovani. Si tratta di un prodotto legislativo fortemente ispirato alla Convenzione sui diritti del fanciullo. Ciò emerge soprattutto in due elementi: l affermazione di una nuova idea e di un nuovo approccio verso l infanzia e l adolescenza fortemente incentrato sui diritti e l affidamento alla dimensione territoriale della realizzazione in concreto dei diritti riconosciuti a bambini e adolescenti. Nella linea adottata dalla legge 285/1997 la realtà locale costituisce l ambito privilegiato per la realizzazione nella vita quotidiana del bambino e dei suoi diritti. L idea di territorio proposta dalla legge 285/1997 non fa riferimento a una dimensione esclusivamente geografica, ma abbraccia la dimensione delle relazioni interpersonali e della comunità civile in cui si manifestano necessità e disagi, ma anche le risorse per superare le criticità, e in cui si esercitano concretamente i diritti personali e collettivi 6. La legge 285/1997 rappresenta ancor oggi il più consistente sforzo finanziario predisposto in Italia per le politiche sociali e di promozione delle generazioni tra gli 0 e i 17 anni. Con tale legge si istituisce infatti un Fondo nazionale specifico per l infanzia, destinato a sostenere economicamente interventi volti a promuovere i diritti, la qualità della vita e lo sviluppo personale e sociale di bambini e adolescenti. L approccio adottato è non solo reattivo (cioè destinato ad intervenire solo nei momenti di disagio e conclamata necessità), ma pro-attivo, volto a pianificare interventi per sostenere e accompagnare i bambini e gli adolescenti nel loro normale percorso di crescita. Ad esempio, ci si propone di andare a compensare le differenze tra il Nord e il Sud dell Italia attraverso l identificazione di aree di progetto che consentano la prevenzione del disagio attraverso il perseguimento del benessere del fanciullo. Uno strumento efficace, contemplato nella 285/1997 per il perseguimento di questo risultato, è il Piano territoriale, la cui predisposizione e attuazione richiede la compartecipazione di tutti gli attori operanti sul territorio; il territorio diviene, come già si sottolineava, il luogo di una programmazione efficace modellata sulla base dei bisogni e delle risorse che lo caratterizzano 7. Commento [I51]: prima del bambino 161

All adozione della legge 285 e della legge 451 seguì, nel giro di pochi mesi, l adozione della legge 3 agosto del 1998, n. 269, Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù, nonché della legge 31 dicembre 1998, n. 476, Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L Aja il 29.05.93. Modifiche alla legge n. 184/83, in tema di adozione di minori stranieri. Non abbiamo qui lo spazio per poterle presentare nel dettaglio, ma entrambe le leggi, nel loro rispettivo ambito applicativo, sono esempi di una stagione di realizzazioni sul piano legislativo che si è dimostrata particolarmente fruttuosa. Le due leggi da ultimo citate nel tempo hanno subito e continuano a registrare delle novellazioni normative che testimoniano sia della costante attenzione del legislatore, sia della sostanziale bontà dell impostazione normativa a suo tempo adottata. Nel 2000 vede la luce il secondo Piano d azione nazionale per l infanzia e l adolescenza. Si delineano le linee operative del governo verso i suoi cittadini in crescita, attraverso l identificazione di impegni concreti. Il Piano prevede azioni tese a migliorare le condizioni di vita di tutti i bambini e gli adolescenti, a tutelare i minori vittime di abusi e sfruttamento sessuale, a combattere lo sfruttamento dei minori nel lavoro, a favorire la protezione e l integrazione dei bambini stranieri presenti in Italia e l attuazione della legislazione in materia di adozioni internazionali. Inoltre, il Piano per il periodo maggio 2000-giugno 2001 dedica una particolare attenzione ad alcune delle azioni per l applicazione delle leggi approvate negli anni precedenti in materia di politiche per l infanzia 8. Sempre nel 2000 veniva adottata da parte del Parlamento italiano la legge 328, Leggequadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; si tratta anche qui di un passaggio sostanziale nell evoluzione delle politiche sociali nazionali. La legge 328/2000, pur non essendo dedicata precipuamente all infanzia e all adolescenza, dispone comunque che gli interventi rivolti ai minori d età debbano essere diretti sia al sostegno per i minori in situazioni di disagio, sia alla promozione dei diritti dell infanzia e dell adolescenza (art. 22, c. 2, lett. c) e che entrambe le tipologie di intervento debbano riferirsi ai livelli essenziali delle prestazioni sociali erogabili (Liveas), peraltro non ancora definiti. Inoltre, si precisa che gli interventi, di cui all art. 22, c. 2, lett. c, devono essere attuati nel rispetto delle finalità individuate dalla legge 285/1997, e di conseguenza destinati al benessere del bambino e, in sostanza, ispirati alla tutela e promozione dei suoi diritti. Tre appaiono i punti essenziali che ricollegano la legge 328/2000 all impianto della legge 285/1997: la comune attenzione al territorio, con la sua organizzazione in ambiti territoriali per la gestione unitaria dei servizi e con la generalizzazione del Piano di zona quale strumento di programmazione e gestione partecipata dei servizi; il raccordo dei livelli di governance nazionale, regionale e locale in vista di un «sistema locale integrato dei servizi»; l assunzione della normalità come quadro ordinario degli interventi sociali: i 162

servizi devono perseguire il benessere dei cittadini nelle situazioni normali, garantendo i livelli essenziali delle prestazioni, non intervenire in emergenza 9. In seguito all entrata in vigore della legge 328/2000, la legge 285/1997 è diventata parte strutturale degli interventi sociali integrati alla persona. Se ciò può essere salutato positivamente, come prova che la logica innovativa della legge 285/1997 ha trovato rispondenza sulla dimensione generale della legge-quadro, cionondimeno le conseguenze non sono state del tutto felici. Il fatto di aver inglobato nella legge 328/2000 le disposizioni della legge 285/1997 e, in particolare, la circostanza che il Fondo nazionale infanzia creato, ex legge 285, sia confluito nel Fondo nazionale per le politiche sociali 10, ha indotto una flessione negativa nella curva dell attenzione prestata alle politiche sociali specificamente dedicate all infanzia. 2 Secondo Rapporto nazionale al Comitato ONU sui diritti dell infanzia del 2000 Presentato il 21 marzo 2000, il secondo Rapporto periodico italiano sullo stato di attuazione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 era stato predisposto nella sua struttura e nei suoi contenuti dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l infanzia e l adolescenza attraverso un gruppo di esperti in materia sotto il coordinamento di Alfredo Carlo Moro e successivamente inoltrato al CIDU per la formale presentazione al Comitato sui diritti del fanciullo. Nel rapporto si ribadiva che il miglioramento delle condizioni di bambini e degli adolescenti, e dei loro diritti in quanto cittadini, richiedeva la predisposizione non solo di leggi innovative, ma anche di strumenti adeguati d applicazione, di prassi amministrative attente alle esigenze dei soggetti in evoluzione e alle loro caratteristiche, in un ottica di collaborazione tra le risorse istituzionali e del privato sociale e di promozione della partecipazione alla vita comunitaria. Seguendo le indicazioni contenute nelle linee guida di redazione dei rapporti periodici, predisposte dal Comitato sui diritti del fanciullo, questo secondo Rapporto si sviluppava su sette campi di indagine, per ognuno dei quali si forniva una panoramica generale sulla condizione dell infanzia in Italia, individuando le azioni e le politiche adottate e le problematiche ancora aperte, dando ampio risalto alla descrizione di progetti, campagne e ricerche intraprese a livello nazionale, regionale e locale 11. Questo secondo Rapporto è stato esaminato dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell infanzia durante la sua 32ª Sessione il 31 gennaio 2003. Il Comitato ha rilevato la perdurante mancanza di un istituzione indipendente di monitoraggio e della figura di un Garante nazionale dei diritti del bambino 12, nonché, ancora una volta, la scarsità di dati disaggregati per età in tutti gli ambiti affrontati dalla Convenzione. Il Comitato rilevava 163

inoltre carenze nella prassi dell ascolto e della collaborazione dei ragazzi nei processi decisionali e la debolezza di un sistema di coordinazione da parte dell Osservatorio nazionale. Con riferimento a quest ultimo punto, il Comitato evidenziava la necessità di intensificare il coordinamento potenziando due istituzioni, l Osservatorio nazionale e la Conferenza Stato-Regioni, così come già raccomandato nelle Osservazioni conclusive al primo Rapporto nazionale del 1995 13 ; di rinforzare la collaborazione con le ONG nazionali; di promuovere la partecipazione di bambini e ragazzi alle attività dello stesso Osservatorio nazionale 14. Per ciò che concerne l attività di monitoraggio, se ne evidenziava l importanza in relazione all attuazione del Piano d azione nazionale per l infanzia e l adolescenza, in modo da verificare l efficacia e le effettive ricadute del Piano sulla vita quotidiana delle generazioni più giovani 15. Inoltre, pur apprezzando la creazione del Centro nazionale di documentazione e analisi per l infanzia e l adolescenza e il miglioramento della raccolta dati sull età 0-17, si raccomandava, ancora una volta 16, di raccogliere e analizzare i dati relativi a gruppi quali bambini con disabilità, rom, appartenenti a famiglie di immigrati, minori stranieri non accompagnati, vittime di violenze e appartenenti a nuclei familiari economicamente e socialmente svantaggiati. Sempre con riferimento ai dati, il Comitato proponeva l utilizzo delle informazioni così raccolte per la pianificazione e conseguente valutazione di politiche e programmi dedicati a bambini e adolescenti 17. Carente restava, a suo avviso, l attuazione del diritto all ascolto previsto dall art. 12 della Convenzione, in particolare nei procedimenti che hanno diretto impatto su bambini e adolescenti, come nei casi di separazione dei genitori, divorzio, adozione, affidamento, o relativamente all istruzione 18. Tra la presentazione del secondo Rapporto nazionale nel 2000 e la conclusione del suo processo di valutazione da parte del Comitato, il Parlamento italiano adottava altri tre provvedimenti legislativi che completavano l impianto inaugurato con le leggi del 1997. Si tratta nel dettaglio della legge 8 marzo 2001, n. 40, Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori; della legge 28 marzo 2001, n. 149, Modifiche alla L. n. 184/1983 (Disciplina dell adozione e dell affidamento dei minori), nonché al titolo VIII del libro del codice civile; della legge 5 aprile 2001, n. 154, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari. A seguire, il 27 giugno del 2003 il governo approva il terzo Piano d azione nazionale 2002-2004. Nonostante si riaffermi la centralità dell interesse superiore dei cittadini più giovani, in questo documento si riscontra una forte enfasi sull indissolubilità del legame familiare e sull importanza del ruolo svolto dalla famiglia. Pertanto maggiore attenzione è riposta nella pianificazione di interventi dedicati al contesto familiare (Diritti del minore e famiglia, Famiglia e servizi, Il sostegno alla genitorialità, Sostenere la genitorialità inadeguata ecc.). Sono prevalenti gli interventi programmati nell ambito della tutela 164

piuttosto che della promozione dei diritti dei bambino, e anche questi ultimi fanno capo al contesto familiare 19. Il Piano individua, sulla base dei risultati ottenuti dall attuazione del precedente Piano, essenzialmente tre traguardi operativi: 1. interventi legislativi; 2. azioni di sistema; 3. linee guida da realizzare sul territorio. Tuttavia con riferimento alle linee guida per gli interventi territoriali, data la sopravvenuta riforma del Titolo V della Costituzione e il riconoscimento alle Regioni di una competenza esclusiva sulla pianificazione delle politiche sociali destinate all infanzia e all adolescenza, vi sono delle perplessità sulla cogenza di tali indicazioni operative, anche in relazione all attuazione del Titolo IV della Costituzione. Analoghe difficoltà accompagneranno anche il Quarto ed ultimo Piano nazionale per l infanzia e l adolescenza, adottato il 21 gennaio 2011 20. Sul piano legislativo, invece, sin dal 2001 e con maggiore intensità a seguito delle Osservazioni del 2003 del Comitato sui diritti dell infanzia, il governo italiano ha posto in essere disposizioni normative che hanno prodotto da una parte la revisione e il riadattamento di disposizioni precedenti, e dall altra contribuito all ampliamento dell apparato normativo vigente a favore dell infanzia e dell adolescenza, in linea con quanto prefigurato nel terzo Piano d azione nazionale 2002-04. Alcuni degli ambiti in cui è possibile notare tale crescente attenzione sono quelli relativi ai minori fuori della famiglia e al processo di de-istituzionalizzazione; al tema dell abuso sessuale, pedopornografia on line e fenomeni correlati; alle questioni dei minori stranieri migranti, della giustizia minorile, nonché al tema della famiglia e delle relazioni intrafamiliari. Inoltre, si ricordano come passaggi importanti di questo percorso le seguenti leggi: la legge 20 marzo 2003, n. 77, Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996; la legge 8 febbraio 2006, n. 54, Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli; il decreto legge 14 aprile 2003, n. 73, Disposizioni urgenti in materia di provvidenze per i nuclei familiari con almeno tre figli minori e per la maternità 21 ; la legge 6 novembre 2003, n. 304, Modifica all articolo 342-bis del cc, in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari 22 ; la legge 9 gennaio 2006, n. 7, Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile 23 ; la legge 18 marzo 2008, n. 48, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e norme di adeguamento dell ordinamento interno 24 ; la legge 11 agosto 2003, n. 228, Misure contro la tratta di persone 25 ; la legge 6 febbraio 2006, n. 38, Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet 26. 165

Nonostante la consistente attività legislativa rivolta ai minori d età, sembra venir meno in questa fase una cornice operativa comune in cui attività legislative, politiche pubbliche e azioni sociali destinate all infanzia e all adolescenza trovino un punto d incontro e di sintesi strategica. Ciò si manifesta in maniera particolarmente evidente all indomani della recente adozione del Piano d azione per il biennio 2010-11 27. Infatti, quest ultimo si concentra essenzialmente su quattro direttrici operative: consolidare la rete integrata dei servizi e il contrasto all esclusione sociale; rafforzare la tutela dei diritti; favorire la partecipazione e la costruzione di un patto intergenerazionale; promuovere l integrazione delle persone immigrate. Punto di partenza dei contenuti del Piano è stata una proposta, in seguito fortemente rivisitata, elaborata dall Osservatorio nazionale e da questo approvata nel mese di luglio 2010. La proposta individuava azioni e obiettivi d intervento specifici, identificati attraverso il lavoro di sette gruppi di esperti dedicati ciascuno ad una delle sette aree prioritarie d intervento fissate a suo tempo dall Osservatorio stesso: diritto alla partecipazione e a un ambiente a misura di bambino; patto intergenerazionale; contrasto alla povertà; i minori verso una società interculturale; i minori rom, sinti e camminanti; il sistema delle tutele e delle garanzie dei diritti; la rete di servizi integrati. Ognuno dei singoli gruppi ha lavorato con l obiettivo non solo di produrre documenti programmatici d indirizzo, ma anche di identificare azioni specifiche d intervento, indicando gli strumenti attuativi utilizzabili e gli indicatori di valutazione e monitoraggio necessari in relazione al contesto operativo, alle risorse disponibili, al processo e ai risultati. Nella sua versione finale il nuovo Piano d azione non rispecchia appieno la proposta formulata dall Osservatorio nazionale; in esso infatti vi è nuovamente la predominanza di un approccio di natura reattiva, cioè teso alla risoluzione dei problemi emersi piuttosto che alla prevenzione del disagio e al perseguimento del benessere. In altre parole più che di promozione e agency a favore dell infanzia, si parla nuovamente di protezione e cura del minore vittima, ovvero in condizione di disagio conclamato. Si ricorda, inoltre, che il capitolo primo della proposta del Piano d azione elaborata dall Osservatorio nazionale, dedicato alla partecipazione dei ragazzi ai processi decisionali nei contesti di loro interesse, è stato completamente eliminato. Il tutto, ancora una volta, in una prospettiva sempre più famiglio-centrica e sempre meno puero-centrica. Diverse sono le critiche mosse a questo Piano d azione su più fronti; non ci è dato di analizzarle qui nel dettaglio, ma ve ne sono alcune tra quelle avanzate dalla Conferenza delle Regioni riportate con chiarezza nell Indagine conoscitiva su aspetti dell attuazione delle politiche a favore dell infanzia e adolescenza, realizzata dalla Commissione parlamentare per l infanzia e l adolescenza (iniziata il 5 ottobre 2010, attraverso un ciclo di 166

audizioni, e conclusasi il 28 ottobre 2010 28 ), che risultano di particolare interesse, in quanto ci sollecitano con vigore a fare una valutazione su quello che è il nuovo assetto costituzionale vigente nel nostro paese a seguito della citata riforma del Titolo V della Costituzione 29. La Conferenza delle Regioni sottolinea, infatti, che non essendo ancora fissati i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali e Socio-educative (Liveas), il Piano non è rispettoso delle competenze attribuite ai diversi livelli di Governo dall attuale quadro costituzionale e dalle recenti norme in materia di federalismo fiscale 30 ; pertanto l attuazione dello stesso dovrà essere ampiamente condivisa con le Regioni cui spettano indirizzi e programmi per il territorio di afferenza 31. Inoltre, come emerge chiaramente dalle varie audizioni svolte dalla Commissione, la mancata definizione dei livelli essenziali d assistenza e cura per l infanzia all interno delle politiche sociali, attraverso l accordo con la Conferenza unificata e in attuazione delle previsioni normative in materia di federalismo 32, fa sì che il Piano nazionale per l infanzia 2010-11 sia per lo più destinato a restare sulla carta. A ciò si aggiunge che la mancata previsione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e socio-educative, in combinazione con il processo di decentramento delle competenze dallo Stato alle regioni per quanto riguarda le politiche sociali in materia d infanzia, innesca un ulteriore preoccupazione: quella concernente la fruizione dei propri diritti e l accesso alle opportunità di vita da parte delle generazioni più giovani, a condizione di parità sull intero territorio nazionale. Una condizione di parità potrebbe essere garantita infatti proprio attraverso la definizione dei livelli essenziali (Liveas) e in particolare degli standard minimi dei servizi destinati a bambini e adolescenti; solo contestualmente alla determinazione di tali standard si potrebbe infatti stabilire la dotazione di fondi adeguati per l attuazione dello stesso Piano nazionale infanzia. Diviene quindi cruciale definire i livelli essenziali delle prestazioni di cui all art. 117 della Costituzione, comma 2, lettera m, anche nel settore dell assistenza sociale, e predisporne il finanziamento adeguato alla loro attuazione. Proprio sulla questione finanziaria poggia la seconda grossa critica, che potremo definire strutturale, rivolta dalle regioni, e non solo, a questo nuovo Piano d azione. Contrariamente a quanto accaduto in passato, le azioni identificate nel Piano non sono infatti sostenute da alcuna sicura linea di finanziamento. Mentre il secondo Piano d azione relativo agli anni 2000-02 poggiava su risorse dedicate, e il terzo, per gli anni 2002-04, nonostante non facesse riferimento a un finanziamento specifico, poteva comunque attingere al Fondo sociale indistinto che nel 2005 ammontava ad un miliardo di euro, questo nuovo Piano di fatto non può contare su alcun finanziamento adeguato, in quanto il Fondo nazionale per le politiche sociali, dentro cui è confluito al 70% il Fondo nazionale per l infanzia e 167

l adolescenza, è attualmente sceso a 75 milioni di euro e sarà rifinanziato di 200 milioni solo a partire dal 2011 33. Ad ogni modo per completezza si ricorda che l Italia ha presentato il suo terzo-quarto Rapporto consolidato al Comitato ONU per i diritti dell infanzia il 22 gennaio 2009 34. A breve inizierà l iter d analisi e valutazione di questo Rapporto da parte del Comitato e il governo italiano sarà invitato a discuterlo in un udienza pubblica in occasione della sua 58ª sessione prevista dal 19 settembre al 7 ottobre 2011. Sicuramente il Comitato tra i veri aspetti si soffermerà in maniera critico-costruttiva anche sul nuovo assetto organizzativo costituzionale e sulle sue ripercussioni sulla gestione delle politiche sociali destinate all infanzia e all adolescenza. Note 1. Cfr. Initial Reports of States Parties Due, in 1993, Italy, CRC/C/8/Add.18, 20 February 1995. 2. Si ricorda che già nel 1990, in occasione del summit mondiale per l infanzia di New York, furono adottati la Dichiarazione mondiale sulla sopravvivenza, tutela e sviluppo dell infanzia, e un Piano d azione mondiale per l infanzia. 3. Osservatorio nazionale per l infanzia e l adolescenza, Centro nazionale di documentazione e analisi per l infanzia e l adolescenza, Diritti Attuati. Secondo Rapporto alle Nazioni Unite sui diritti dell infanzia e dell adolescenza in Italia, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministro degli Affari Esteri, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2000. 4. Ibid. 5.Ivi, pp. 10-1; S. Ricci, Politiche integrate per l infanzia e l adolescenza, in G. Vicarelli (a cura di), Il malessere del welfare, Liguori, Napoli 2005, p. 143. Per la versione integrale del Piano cfr. il sito del Centro nazionale di documentazione e analisi per l infanzia e l adolescenza: www.minori.it. 6. P. M. Mittica, Una cornice giuridica per partecipare: la legge 285/97, in C. Baraldi (a cura di), I diritti dei bambini e degli adolescenti. Una ricerca sui progetti legati alle legge 285, Donzelli, Roma 2001, pp. 37-9. 7. Ricci, Politiche integrate per l infanzia e l adolescenza, cit., pp. 140-3; E. Ranci Origosa, La riforma dei servizi e lo sviluppo delle politiche per l infanzia e l adolescenza, in Quaderni del Centro nazionale di documentazione e analisi per l infanzia e l adolescenza, Tras-formazioni in corso. La formazione nazionale interregionale fra la legge 285/97 e la legge 451/97, vol. XX, Istituto degli Innocenti, Firenze 2002, pp. 232-9. 8. Ricci, Politiche integrate per l infanzia e l adolescenza, cit., p. 144; Osservatorio nazionale per l infanzia e l adolescenza, Centro nazionale di documentazione e analisi per l infanzia e l adolescenza, Diritti in crescita. Terzo-Quarto Rapporto alle Nazioni Unite sulla condizione dell infanzia e dell adolescenza in Italia, Istituto degli Innocenti, Firenze 2009, p. 9. Commento [u52]: Roma? 168

9. Ricci, Politiche integrate per l infanzia e l adolescenza, cit., p. 145. Per completezza di informazioni si ricorda che sempre nel 2000 fu adottata la legge 8 marzo 2000, n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città e la legge 25 maggio 2000, n. 148, Ratifica ed esecuzione della Convenzione n. 182 relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e all azione immediata per la loro eliminazione, nonché della raccomandazione n. 190. 10. Si ricorda che la legge 285/1997, Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l infanzia e l adolescenza, ha istituito il Fondo nazionale per l infanzia e l adolescenza che successivamente all entrata in vigore dalla legge 328/2000, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, è stato inglobato al 70% in un unico Fondo nazionale per le politiche sociali, senza alcun vincolo di spesa. Il 30% del restante Fondo era invece attribuito alle 15 città riservatarie, designate tra quelle che presentano maggiori e/o più problematiche per l infanzia e l adolescenza, e proprio a favore di queste dal 2008 è stato ricostituito il Fondo nazionale per l infanzia e l adolescenza ripartito tra 15 città riservatarie separandolo dal Fondo nazionale per le politiche sociali. 11. Osservatorio nazionale per l infanzia e l adolescenza, Centro nazionale di documentazione e analisi per l infanzia e l adolescenza, Diritti attuati, cit. 12. CRC/C/SR.862, par. 14-15. 13. CRC/C/15/Add.41. 14. CRC/C/SR.862, par. 11. 15. CRC/C/SR.862, par. 13. 16. CRC/C/15/Add.41, par. 14. 17. CRC/C/SR.862, 16-17. 18. CRC/C/SR.862, 25. 19. Per degli esempi, cfr. Ricci, Politiche integrate per l infanzia e l adolescenza, cit., p. 150. 20. Con riferimento alla riforma dell ordinamento costituzionale italiano, la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e suoi successivi provvedimenti attuativi, ha modificato l art. 117, dedicato al riparto di competenze e funzioni tra lo Stato e le regioni/province autonome. A tal proposito, si sottolinea la presenza di materie di rilevante interesse per l infanzia e l adolescenza assegnate alla competenza esclusiva delle regioni, tra le quali figura la materia dei servizi sociali dedicati ai minorenni, mentre altre, come la tutela della salute, l educazione, l istruzione, sono ricondotte agli ambiti di competenza concorrente tra Stato e regioni. Per ulteriori elementi cfr. Osservatorio nazionale per l infanzia e l adolescenza, Centro nazionale di documentazione e analisi per l infanzia e l adolescenza, Diritti in crescita, cit., pp. 1-2. 21. Pubblicata in GU, 16 aprile 2003, n. 89 e convertito in legge, con modificazioni, dall art. 1, legge 10 giugno 2003, n. 133. 22. Pubblicata in GU 12, novembre 2003, n. 263. 23. Pubblicata in GU, 18 gennaio 2006, n. 14. 24. Pubblicata in GU, 4 aprile 2008, n. 80, S.O. 25. Pubblicata in GU, 23 agosto 2003, n. 195. Commento [I53]: par.? Commento [I54]: idem 169

26. Pubblicata in GU, 5 febbraio 2006, n. 38. 27. Piano biennale nazionale di azioni e interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva (datato dicembre 2010, adottato con D.P.R. 21 gennaio 2011 e pubblicato in GU, 9 maggio 2011, n. 106). 28. Cfr. Resoconto della Commissione parlamentare per l infanzia e l adolescenza dell 8 febbraio 2011 relativo all esame e all approvazione dell Indagine conoscitiva su aspetti dell attuazione delle politiche a favore dell infanzia e dell adolescenza: http://www.camera.it/453?bollet=_dati/leg16/lavori/bollet/201102/0208/html/36. 29. Cfr. legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1. 30. Cfr. legge 14 settembre 2009, n. 142. 31. Cfr. Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, 10/106/CR06/C8, Audizione presso la Commissione parlamentare per l infanzia e l adolescenza in merito al III Piano biennale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva. 32. Cfr. legge 5 maggio 2009, n. 42 e successivi decreti. 33. Cfr. Commissione parlamentare per l infanzia e l adolescenza http://www.camera.it/453?bollet=_dati/leg16/lavori/bollet/201102/0208/html/36. 34. CRC/C/ITA/3-4, 5 July 2010. Il Rapporto è, inoltre, disponibile in italiano nel sito del Centro nazionale di documentazione e analisi per l infanzia e l adolescenza: www.minori.it. Cfr. Osservatorio nazionale per l infanzia e l adolescenza, Centro nazionale di documentazione e analisi per l infanzia e l adolescenza, Diritti in crescita. Terzo-Quarto Rapporto all ONU su infanzia e adolescenza in Italia, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche della famiglia, Ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali, Direzione generale per l inclusione e i diritti sociali, e la responsabilità sociale delle imprese (CSR), Ministero degli Affari esteri, Comitato interministeriale per i diritti umani, 2009. 170