Ufficio Studi CODAU. Risposta al quesito



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Transcript:

Ufficio Studi CODAU "Documento redatto con il CONTRIBUTO DEI COMPONENTI dell'ufficio Studi e VALIDATO dal Comitato Scientifico del Codau Quesito sul corretto inquadramento tributario delle cosiddette sperimentazioni cliniche profit nel rapporto fra gli Ospedali e l Università. Quest ultima concorre alla realizzazione della sperimentazione con proprio personale della attuale Facoltà di Medicina convenzionato. Nel caso specifico l Ospedale stipula il contratto con l azienda privata nazionale o multinazionale- dopo che il Comitato Etico congiunto ha avvallato il contenuto della sperimentazione e ha verificato i costi della stessa. Il rapporto successivo fra l Ospedale e l Ateneo deve essere regolato dall imposta sul valore aggiunto? Risposta al quesito La soluzione al quesito proposto richiede l analisi, ai fini IVA, della situazione contrattuale che si viene a realizzare tra case farmaceutiche e Azienda Ospedaliera da un lato e Azienda Ospedaliera e Università dall altro. La problematicità della questione deriva essenzialmente dal fatto che sia l Azienda Ospedaliera sia l Università sono enti di natura non commerciale per i quali si rendono applicabili le disposizioni contenute rispettivamente nell art. 74, co. 2, lett. b) del TUIR n. 917/1986 e nell artt. 4 del DPR n. 633/19732 che a sua volta deve essere combinato con l art. 13 della Direttiva n. 2006/2006/112/CE, che fissa la soggettività passiva degli enti pubblici allorquando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni della concorrenza di una certa importanza. Nel quadro normativo appena ricordato, deve quindi risolversi la questione della commercialità delle operazioni poste in essere dagli enti che vengono qualificati come enti non commerciali al fine di dirimere la questione sull assoggettamento, o meno, ad IVA dell attività posta in essere dall Azienda Ospedaliera nei confronti delle case farmaceutiche e dall Università verso l Azienda Ospedaliera. Sotto questo profilo è subito da evidenziare che il legislatore tributario ha scelto di delimitare la nozione di attività commerciale, ma non di regolare ogni singola operazione che possa qualificarsi come commerciale ovvero non commerciale. A tal proposito gli art. 55 TUIR e 4 del decreto IVA chiariscono che per impresa commerciale si intende l esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell articolo 2195 del codice civile anche se non organizzate in forma d impresa nonché l esercizio di attività organizzate in forma d impresa per le attività che non rientrano nell art. 2195 c.c. Il legislatore ha ritenuto di utilizzare, per la definizione di impresa commerciale, la tecnica del rinvio alle norme civilistiche al fine di integrare le stesse in modo da rendere la nozione di impresa commerciale più ampia rispetto alla nozione di impresa che scaturisce dalle disposizioni codicistiche. 1

Il complesso tessuto letterale delle due disposizioni appena citate (artt. 55 TUIR e 4 DPR n. 633/1972) ha impegnato la dottrina in un faticoso lavoro ricostruttivo (di cui in queste pagine non si può certo dar conto) i cui caratteri salienti, per i fini che qui interessano, possono così riassumersi: a) rilevanza del concetto di attività e modalità del suo svolgimento (per professione abituale ancorché non esclusiva); b) tipo e contenuto del collegamento con l art. 2195 c.c.; c) rilievo dell elemento organizzazione per quelle attività non riconducibili nell alveo dell art. 2195 c.c. In particolare, significato pregnante assumono le situazioni relative al richiamo all art. 2195 per la nozione di commercialità, nonché l ulteriore requisito dell organizzazione per le prestazioni di servizi non riconducibili nel perimetro delimitato dalla norma codicistica appena richiamata. Si delinea, quindi, una netta separazione tra le attività ricomprese nell art. 2195 c.c. (attività industriali dirette alla produzione di beni e servizi; attività di intermediazione nella circolazione di beni; attività di trasporto per terra, per acqua e per aria; attività bancarie e assicurative; altre attività ausiliarie alle precedenti) per le quali l elemento organizzazione non rappresenta requisito necessario, rispetto a quelle escluse dai confini delimitati dalla disposizione da ultimo richiamata per le quali, al contrario, l organizzazione diventa requisito imprescindibile per la commercialità dell attività (cosiddetta commercialità per assimilazione). Come osservato da autorevole dottrina, dal rinvio all art. 2195 c.c. che comprendeva in sé tutte le ipotesi innominate di cessioni di beni sia a livello di produzione (art. 2195, c.c, n.1) sia a livello di commercio (n. 2) restavano escluse le prestazioni di servizi non prodotte, nel senso di prestazioni non risultanti dalla combinazione di diversi fattori produttivi ed in particolare dalla combinazione di capitale e lavoro. Il tal modo, tutte le prestazioni di servizi che sono espressione di attività di puro lavoro, sia materiale sia intellettuale, per le quali non poteva parlarsi di produzione in senso tecnico, non potevano venire ricondotte nella definizione di impresa in senso tributario. Il legislatore, quindi, ha avvertito l esigenza di integrare le fattispecie individuate attraverso il rinvio all art. 2195 c.c. con l inserimento delle prestazioni di servizi (e con esclusione delle prestazioni riferibili all esercizio di attività artistiche e professionali) in quanto, ripetesi, tutte le ipotesi di cessioni di servizi erano già ricomprese nel perimetro dei nn. 1 e 2 dell art. 2195 c.c.. Il criterio utilizzato all interno della più ristretta categoria delle prestazioni di servizi non poteva che essere, di conseguenza, quello di ancorare la nozione di commercialità al requisito essenziale dell attività di impresa rappresentato dall organizzazione che, invece, non è richiesta per tutte le attività riconducibili nell art.2195 c.c. in quanto ritenuta comunque presente. Ricostruito in modo estremamente sintetico cosa si intende per impresa ai fini tributari, è da rilevare che la nozione di commercialità è inscindibilmente legata ad essa. Ciò comporta che ogni volta che vi sia esercizio di impresa, l effettuazione delle operazioni sottostanti devono qualificarsi come operazioni aventi natura commerciale. Ad un primo anche se superficiale esame, appare evidente che la predetta nozione mal si concilia con le caratteristiche degli enti non commerciali per i quali l attività principale deve essere (ontologicamente) di natura non commerciale altrimenti, come precisa in particolare l art. 73 del TUIR l ente, anche se non dotato della forma societaria, diventa in ogni modo ente di tipo commerciale. In sostanza, per gli enti di tipo non commerciale, come è nel caso che ci occupa sia con riguardo all Azienda Ospedaliera sia con riguardo all Università, esiste questa dicotomia, che il 2

legislatore comunque apprezza, tra l attività istituzionale che deve ritenersi di natura non commerciale e attività accessoria alla principale che, doverosamente esercitata in forma minoritaria rispetto alla prima, può presentare i connotati della commercialità. Ovviamente, relativamente al requisito della commercialità, si deve avere riguardo non solo al suo contenuto oggettivo, quindi verificando la sua omogeneità rispetto alla nozione delimitata dagli art. 55 del TUIR e soprattutto 4 dell IVA, ma anche, e in particolare, con riferimento al modello di gestione predisposto dall ente. Così, ad esempio, se l art. 55 del TUIR rappresenta senza ombra di dubbio il dato di partenza al fine dell attività qualificatoria del concetto di commercialità ai fini dell imposta sul reddito, in dottrina si è anche evidenziato, da parte di alcuni, la necessità di procedere ad un esame congiunto dei rapporti che a tal fine si incardinano tra gli artt. 55, 143 e 148 del TUIR. Si crea, in questo ambito dell imposizione, un sistema interpretativo strutturato che si presenta anche di maggiore complessità rispetto a quello dell IVA che sembra sintetizzare, in seguito alle varie modifiche apportate dal legislatore all art. 4, quanto contenuto nelle disposizioni che regolano gli enti non commerciali nel tributo sul reddito. Più in dettaglio, il presupposto della qualificazione di un attività svolta da un ente non commerciale, come commerciale, è da rinvenirsi nella economicità del suo svolgimento. Come sottolineato da autorevole dottrina, «è l oggettiva economicità della gestione che, in conclusione, assurge a carattere distintivo dell attività commerciale, di modo che ( ) non si ha attività commerciale: quando l attività svolta, benché riconducibile oggettivamente a quelle indicate nell art. 2195 e svolta continuativamente non sia tuttavia alimentata con il corrispettivo dei beni o dei servizi prodotti; quando i beni e i servizi derivanti dallo svolgimento dell attività non siano destinati al mercato (anche ristretto) e, comunque, l ammontare del corrispettivo fissato non sia determinato in base a regole di mercato». La stessa dottrina ritiene, inoltre, che «il rinvio ricettizio all art. 2195 (che presuppone l art. 2082 c.c.) non esclude, infatti, che l attività debba avere l ulteriore connotato dell economicità ( ) intesa nel senso che, almeno tendenzialmente: a) l attività non sia svolta per conto proprio e quindi positivamente il risultato di essa sia solo il frutto di un impegno continuativo, ma destinato anche al mercato; b) il corrispettivo che se ne ricava sia in grado di remunerare i diversi fattori produttivi impiegati». La delimitazione delle ragioni su cui si fonda la qualificazione dell attività commerciale posta in essere dagli enti non commerciali operata dalla dottrina appena indicata non esime, tuttavia, dal segnalare le differenziate posizioni di pensiero che si sono manifestate all interno di un tale indirizzo dottrinario. Secondo il nucleo originario di pensiero che ha dato l impulso iniziale alla tesi interpretativa accennata, il requisito della economicità della gestione troverebbe il proprio riferimento positivo nel dato normativo di cui all art. 55 del TUIR. Infatti, il rinvio operato dalla disposizione fiscale a quella civilistica recata dall art. 2195, automaticamente rinvierebbe al disposto dell art. 2082 c.c. che nel delimitare la nozione d impresa opera un esplicito riferimento alla economicità dell attività esercitata dal soggetto imprenditore. La conseguenza immediata è che nella valutazione della natura commerciale o meno dell attività costituente l oggetto principale o esclusivo posto in essere dall ente che si qualifica o intende qualificarsi di natura non commerciale, si dovrebbe in via preliminare verificare se la predetta attività, oltre ad essere riconducibile nell ambito di una delle fattispecie individuate per rinvio dall art. 55 del Testo Unico Imposte sui redditi, è prima facie improntata ad un modello di gestione economica come desumibile dall art. 2082 c.c.. 3

Ciò comporta, quindi, che nella valutazione della natura commerciale o meno dell attività posta in essere dall ente non commerciale si deve prioritariamente verificare se la stessa, oltre a manifestarsi contenutisticamente riconducibile a una delle fattispecie elencate nell art. 55 del TUIR e nell 4 del decreto Iva, sia improntata ad un modello di esercizio di tipo economico intendendosi per tale quel modello finalizzato almeno alla autosufficienza finanziaria e che presenti un minimo di organizzazione (secondo quanto richiesto dall art. 143 del TUIR). A tal proposito, deve essere evidenziato che la disposizione IVA non contiene alcun riferimento al requisito di economicità dell attività al fine del suo inquadramento come attività commerciale in quanto non esiste alcuna disposizione anche solo in parte riproduttiva della norma recata dall art. 143 TUIR. Infatti, mentre la norma appena citata esclude dall area della commercialità le prestazioni di servizi non rientranti nell art. 2195 c.c. rese in conformità alle finalità istituzionali dell ente senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che eccedono i costi di diretta imputazione, in ambito del tributo sul valore aggiunto una tale previsione viene assolutamente a mancare. Pertanto, sotto il profilo IVA, il requisito della economicità è irrilevante, essendo sufficiente la sola presenza di una organizzazione minimale. Infatti, secondo l orientamento consolidato della corte di vertice (Cass. 29 agosto 1997, n. 8193, richiamata nelle Ris. n. 204/E e n. 273 del 2002, in banca dati Fisconline) affinché possa ricorrere la figura dell imprenditore commerciale «non è necessario (...) che la funzione organizzativa dell'imprenditore costituisca un apparato strumentale fisicamente percepibile, poiché quest'ultimo può ridursi al solo impiego di mezzi finanziari, sicché la qualifica di imprenditore va attribuita anche a chi utilizzi e coordini un proprio capitale per fini produttivi». Chiarito, in estrema sintesi, il profilo della commercialità delle prestazioni poste in essere dagli enti non commerciali, resta da verificare se l attività di sperimentazione realizzata dalle aziende ospedaliere quali enti non commerciali sia riconducibile nella sfera della commercialità IVA. Sotto quest ultimo aspetto l attività di sperimentazione del farmaco fuoriesce dalla nozione di attività sanitaria in senso tecnico ai fini tributari e, per ulteriore conseguenza, dalla decommercializzazione operata dall art. 74, co. 2, lett. b) del TUIR con la conseguenza di doverla qualificare come accessoria a quella istituzionale. Ne discende che l attività di sperimentazione, che non rientra nella previsione dell art. 2195 c.c., può essere considerata commerciale ai fini Iva solo se esistono corrispettivi e una organizzazione in forma d impresa (anche se minima). Dovendosi poi ulteriormente prescindere ai fini IVA, come sopra indicato, da qualsiasi riferimento all economicità delle operazioni poste in essere ai sensi dell art. 143 del TUIR, non vi è dubbio che l attività di sperimentazione del farmaco richieda una organizzazione di mezzi e personale il che comporta l assoggettamento ad IVA dei compensi percepiti dall Azienda Ospedaliera a fronte dell attività posta in essere.. Tale interpretazione è confermata, in linea generale, anche dalla Ris. n. 86/E/2002 nella quale una Azienda sanitaria locale si è rivolta all amministrazione finanziaria per ottenere risposta a proposito della rilevanza territoriale di una prestazione di ricerca sperimentale svolta a favore di una casa farmaceutica svizzera. In questo caso, già nel quesito si dava sostanzialmente come assodato che tale prestazione, non potendo venire ricompresa tra quelle sanitarie, doveva essere considerata operazione di natura commerciale e quindi tassata. Il problema era solo verificare se doveva venire assoggetta al tributo in Italia ovvero 4

venire esclusa per mancanza del requisito territoriale, ma nessun dubbio sussisteva circa la natura commerciale e quindi la sua rilevanza ai fini del tributo IVA. Diverso, invece, è il caso del parere espresso dal comitato etico. A tal proposito si deve evidenziare che l Amministrazione finanziaria è già intervenuta per chiarire quale sia il regime tributario applicabile ai compensi corrisposti a seguito dei pareri rilasciati dal predetto comitato. Con interpretazione rigorosa e condivisibile, l Agenzia delle Entrate ha precisato quanto segue: «Dalla ricostruzione normativa sopra effettuata si evince in sostanza che: a) l attività del comitato etico diretta alla formulazione di pareri si inserisce nell ambito di un iter procedimentale, disciplinato da una normativa di rilievo pubblicistico, al cui svolgimento è subordinata la possibilità di porre in essere la sperimentazione clinica di medicinali; b) la formulazione del parere da parte del Comitato Etico risponde, per espressa disposizione di legge, a finalità eminentemente pubblicistiche di tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti coinvolti nella sperimentazione clinica e di pubblica garanzia di tale tutela; c) il parere del Comitato Etico ha carattere obbligatorio per l avvio della sperimentazione, in quanto nessuna sperimentazione clinica può essere iniziata in mancanza del previo parere favorevole espresso dal Comitato Etico; il parere negativo è vincolante e impedisce l inizio della sperimentazione; d) la tariffa è imposta normativamente ed è stabilita in misura fissa a prescindere dalle caratteristiche del singolo protocollo di sperimentazione sottoposto al parere del Comitato; e) il parere è soggetto unilateralmente a revoca da parte del Comitato in presenza di determinate situazioni, tra cui il verificarsi di reazioni o eventi avversi o l aumento del rischio connesso alla sperimentazione in corso. Dagli elementi sopra evidenziati emerge che la formulazione di pareri da parte del Comitato Etico si inserisce obbligatoriamente nella procedura disciplinata dalla legge ai fini della sperimentazione clinica di medicinali ed è regolata nei diversi profili, compreso l onere economico a carico del promotore, dalla specifica normativa che disciplina la materia. La formulazione di detti pareri, intesa a tutelare interessi di rilevanza sociale e pubblicistica alla cui protezione sono, infatti, finalizzate le disposizioni volte a garantire l indipendenza e la trasparenza della attività dei comitati stessi si configura, quindi, quale esercizio di una funzione di rilievo essenzialmente pubblicistico che non assume i connotati tipici dell attività privatistico- imprenditoriale. Pertanto, le tariffe pagate in relazione al rilascio di detti pareri non costituiscono corrispettivi di prestazioni di servizi, ma oneri, stabiliti da disposizioni normative a carico dei soggetti promotori delle sperimentazioni, nell ambito della procedura pubblicistica per il rilascio del parere da parte del Comitato Etico. Da quanto sopra esposto consegue l esclusione dal campo di applicazione dell IVA delle tariffe in argomento versate dai promotori dalla sperimentazione in relazione al rilascio dei pareri da parte del Comitato Etico.» (Ris. 31 marzo 2008, n. 117/E, in banca dati Fisconline) Più complesso appare, ad un primo rapido esame, il secondo aspetto del quesito relativo al trattamento tributario cui deve venire assoggettato il corrispettivo versato dall Azienda Ospedaliera all Università. 5

In questo caso si ha la configurazione di una prestazione di servizi che viene resa dall Università, per il tramite di alcuni suoi docenti e ricercatori, all azienda ospedaliera. Il problema principale è dunque quello di verificare se tale attività possa essere inquadrata come attività istituzionale legalmente decommercializzata (art. 74, co. 2 TUIR) ovvero debba configurarsi quale attività accessoria a quella istituzionale e, di conseguenza, configurarsi come attività di natura commerciale per effetto della presenza dei medesimi elementi che sono stati esaminati nel caso dell Azienda ospedaliera (corrispettività dell operazione, presenza di organizzazione minimale). Ora non vi è dubbio che anche in questo caso si fuoriesce dall attività istituzionale decommercializzata sia dall art. 74 co. 2 TUIR che dall art. 4 del DPR n. 633/1972 con la conseguenza che, in base a quanto sopra riferito, anche questa seconda operazione deve essere tassata. Depongono a favore di tale interpretazione: a) la presenza di un corrispettivo specifico versato dall Azienda ospedaliera all Università per l effettuazione di una prestazione di natura sperimentale; b) quand anche il personale utilizzi esclusivamente beni e strumentazioni di proprietà dell Azienda Ospedaliera, l Università (che già possiede una propria organizzazione anche se utilizzata principalmente per i fini istituzionali) appronta comunque per il solo servizio offerto all azienda ospedaliera una parte di quella organizzazione finalizzata alla gestione del personale che viene prestato all Azienda ospedaliera per la sperimentazione sui farmaci. Ad abundantiam si cita anche la Risoluzione n. 28 del 10-03- 2000 che prevede l'assoggettabilità ad IVA di operazioni tra Enti in regime di convenzione; se, infatti, il rapporto che si instaura - anche fra enti non commerciali - "sottintende" un sinallagma, l'attività è sicuramente di tipo "commerciale" Nella fattispecie si trattava di un Ministero che svolgeva operazioni in regime di convenzione con la conseguente assoggettabilità ad IVA. 6