MILENA AGUS VINCENZO CONSOLO IVAN COTRONEO ANDREA DE CARLO PAOLO DI PAOLO DACIA MARAINI MARIA PACE OTTIERI SANDRA PETRIGNANI PULSATILLA ELISABETTA RASY L ATTESA A cura di Mario Fortunato
2010 Fondazione Campania dei Festival 2010 RCS Libri S.p.A. Via Mecenate 91 20138 Milano ISBN 978-88-452-6579-2 Prima edizione Bompiani maggio 2010
Presentazione I FATTI NOSTRI di Renato Quaglia Quando rimaniamo in attesa sospendiamo il nostro sempre impegnato e concentrato fare. La busta da spedire rimane in mano fino a quando sarà il nostro turno; restiamo in piedi aspettando che un cameriere ci indichi il tavolo assegnato, che arrivi l autobus, che si aprano le tende per entrare in sala, che sia il turno del nostro carrello alla cassa, che al binario arrivi il treno e scenda chi siamo venuti a prendere. Sono minuti che sospendono il tempo impegnato, prevedibili ma non programmabili con attività riempitive: si tratta di un tempo liberato, inoccupato da attività, sospeso. In quel tempo ci fermiamo a guardare ciò che ci circonda, diventiamo spettatori del tempo che altri stanno impegnando, di chi lavora, di chi conversa, di chi attraversa lo spazio intorno a noi. Siamo spettatori del teatro del mondo, intuiamo (per un attimo finalmente non concentrati unicamente sulla no - stra) le vite altrui. Ascoltiamo frasi da conversazioni, intercettiamo dialoghi telefonici tra chi ci è a fianco e qualcun altro che non vediamo, seguiamo 5
il gioco di sguardi tra due persone: se il tempo lo consente, talvolta cerchiamo di supporre il prosieguo di quel dialogo, la storia che sottende quegli sguardi, immaginiamo una drammaturgia di cui quelle casuali intercettazioni ambientali erano uno stralcio. È una drammaturgia dell intuizione, del frammento, dell attimo; di quelle vicende, delle storie che abbiamo afferrato non siamo persone informate sui fatti. Poco dopo è arrivato il nostro turno: la tenda si è aperta e si entra finalmente in sala, il tavolo è stato apparecchiato, iniziamo a posare i prodotti sul nastro trasportatore della cassa, l autobus ha aperto le porte e ricominciamo a essere protagonisti della nostra storia, di cui gli altri ricominciano a essere solo comparse (e forse ci osserva qualcuno che sta aspettando che si liberi un altro tavolo, che arrivi un altro autobus, che finalmente paghiamo la cassiera e facciamo progredire il suo turno). Quanta della vita che abbiamo colto in quel tempo liberato era vita vera? Quante delle frasi che abbiamo ascoltato, non visti, erano vere? Tutti quelli che avevamo osservato (certi di non essere guardati) erano davvero ignari di essere osservati? Davvero c era qualcuno all altro capo del telefono mentre quella donna parlava ad alta voce? Ero spettatore di un teatro metaforico, fatto di vite reali, vissute, che il mio sguardo segreto rubava come io fossi stato invisibile (alla loro veri- 6
tà)? Oppure quelli che credevo di spiare erano attori che rappresentavano intorno a me (per me) vite verosimili ma non vere, e il teatro a cui assistevo era un teatro vero e non metaforico, che non chiedeva applausi ma costruiva intorno a me un mondo di invenzione? Esiste una drammaturgia per lo spettatore di teatro, e può esistere una drammaturgia per lo spettatore nei luoghi d attesa. Sono due scritture differenti, che possono essere esercitate da scrittori di letteratura, di romanzo, di teatro. Quella per il teatro deve di norma rispettare una durata minima (quella massima può essere così lunga da richiedere anche di dipanarsi in puntate giornaliere per molti e molti giorni, come ad esempio al Festival di Napoli la teatronovela di Rafael Spregelburd), quella per i luoghi d attesa deve essere invece davvero breve, perché il tempo dell attesa non è mai troppo lungo. Meglio: il tempo che nel tempo dell attesa possiamo dedicare all osservazione segreta della vita altrui è ridotto e proporzionale alla pazienza che destiniamo al nostro attendere: oltre una certa soglia la nostra attesa si fa insopportabile, lo sguardo inizia a distogliersi dalle persone intorno a noi (dal teatro del mondo) e cerca di incrociare quello di qualcuno o qualcosa che quella attesa possa far finire (il capocameriere, il diret- 7
tore di sala, il tabellone degli orari che conferma orari o annuncia ritardi ). Si è trattato di pochi minuti, talvolta così pochi da non consentire di ascoltare un dialogo intero ma solo suoi frammenti. Dipende dal luogo, dalle persone, dall ora. È imprevedibile la durata di quella brevità. Ma rimane brevità. Con Mario Fortunato abbiamo voluto lavorare sui luoghi d attesa della città (che è Napoli, dove il tempo pare non fermarsi mai per chi la abita, dove non è l attesa ma il rumore a segnare il caotico scorrere del tempo). È stato Fortunato a chiedere ad autori che appartengono a scritture, generazioni e stili differenti, di scrivere sceneggiature teatrali da rappresentare per spettatori in luoghi d attesa. Scrivere dialoghi teatrali che non sarebbero diventati teatro da recitare sul palcoscenico, ma sarebbero dovuti diventare (o essere capaci di ispirare) scene di vita verosimilmente vissuta per strada, in un supermercato, in fila a un ristorante, alle poste o all imbarco degli aliscafi per le isole. Con Ilaria Ceci abbiamo cercato delle compagnie teatrali espressione delle nuove creatività napoletane: artisti giovani, che sperimentano idee di teatro non convenzionali, che accettano di cercare il teatro anche dove non sia previsto che l attore si dichiari allo spettatore. I testi scritti dagli autori per il Festival che 8
questo volume raccoglie sono diventati le trame di un progetto sulla città, sulle molte nature della teatralità, sul vero e il falso della vita a cui assistiamo, sulla durata del tempo e del raccontare (come dell ascoltare), sulla percezione del mondo di un cittadino, quando diventa spettatore di quanto gli accade intorno. I luoghi che abbiamo scelto sono diventati i palcoscenici urbani di questo teatro dell attesa. Le compagnie e gli artisti coinvolti hanno studiato le possibilità di ogni testo di essere interpretato e ascoltato in quei luoghi e nel tempo che l attesa consente; hanno fatto sopralluoghi in uffici, piazze, fermate d autobus, supermercati; hanno cercato di capire i ritmi e i modi dell attenzione che il pubblico è disposto a spendere nell attesa. Insieme con loro abbiamo discusso quale fosse il limite oltrepassato il quale chi attendeva avrebbe compreso di trovarsi di fronte a degli attori e a una finzione; il limite entro il quale chi attendeva sarebbe stato invitato invece a costruire una propria, originale drammaturgia di invenzione, su quello che aveva ascoltato o a cui aveva assistito. I testi sono diventati oggetto e pretesto per rappresentare in pochi minuti, in un luogo d attesa, un idea e una situazione (quella immaginata e scritta dagli autori) che interferisce con la vita reale e la percezione che ne abbiamo. 9
I manifesti e le locandine del progetto non annunciano l ora in cui quelle situazioni accadono (sarebbe come annunciare l inizio di uno spettacolo a cui assistere e se ne smarrirebbe il senso); si annunciano i luoghi e le giornate in cui durante il Festival accadono delle azioni al limite tra finzione e realtà. Le azioni non succedono per tutto il giorno, ma solo per pochi minuti, replicate a intervalli, durante la giornata, talvolta al mattino, talvolta il pomeriggio o la sera. Si potrà quindi cercare di assistervi: ci potrà essere chi viene alle Poste centrali di Napoli e si siede in una sala d attesa a guardare intorno a sé, cercando gli attori e la scena. Li si potrà anche individuare, gli attori, e osservarne i dialoghi da complice, come chi sappia già e osserva gli altri che, in attesa, paiono invece non sapere. Ma non sarà così ovvio. Può darsi invece che quello spettatore stia guardando una scena che non è teatrale, non fa parte del programma, è interpretata (vissuta) da cittadini che non sono attori, che non conoscono o partecipano a questo progetto: sono solo due donne che dialogano e raccontano la loro vita, che ricordano un antico amante, che dichiarano un tema che non è stato scritto da un autore italiano, ma dalle coincidenze della vita reale. In una città come Napoli, dove la vita privata spesso diventa pubblica per i toni, la gestualità, i modi in cui viene espressa, sarà più difficile che 10
altrove riconoscere e distinguere la verità (involontariamente teatralizzata) dal racconto teatrale. Non sempre i testi che gli autori hanno scritto, saranno i testi detti in questi pochi minuti di attesa. Troppo breve è il tempo a disposizione, troppo lungo il tempo e l attenzione necessari ad ascoltare casualmente testi che la pagina vuole complessi nella scrittura. Per diventare drammaturgie utili a questo progetto per i luoghi (e la disponibilità di ascolto) dell attesa, quei testi sono diventati nell interpretazione degli artisti e delle compagnie, immagini, azioni e suggestioni che lasciano all osservatore lo spazio per completarne e ricomporne il senso (la drammaturgia). Era del resto una delle premesse del progetto: i testi sarebbero stati tradotti per queste scene non teatrali, per questi contesti così particolari. La radice etimologica di tradurre e tradire è la stessa: il latino trado, tradere portare altrove. I testi sono stati portati altrove: dalla pagina scritta al progetto di teatralità non convenzionale, ai luoghi e ai tempi dell attesa. Questo volume raccoglie la loro forma originale e completa, che non sarà ritrovata nelle azioni e nelle scene degli artisti che interferiranno con la vita reale e quotidiana di persone e luoghi pubblici della città. Questo volume è testimonianza di una 11