VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA (ART. 570 C.P.) E STATO DI INDIGENZA DELL'OBBLIGATO" Cass. 6348/13 commento e testo R.K. P&D.IT Dispone l'art. 570 c.p. che "Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori [c.c. 316], [alla tutela legale] [c.c. 348; c.p. 371, 372] o alla qualità di coniuge [c.c. 143, 147], è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1. malversa o dilapida i beni del figlio minore [c.p. 540] o del pupillo [c.c. 343, 414] o del coniuge; 2. fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti [c.c. 75] di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa. Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un'altra disposizione di legge." I beni giuridici tutelati dal primo e dal secondo comma dell'art. 570 c.p., sono diversi. In particolare, mentre il primo tutela obblighi di natura morale, il secondo
sanziona obblighi di natura prettamente economico patrimoniale. Da ciò la giurisprudenza ricava che non è possibile passare da una fattispecie all'altra, affermando che si ricadrebbe in entrambi i casi nella violazione degli obblighi di assistenza famigliare, anche perché a diversità di condotte corrisponde diversità di sanzioni. La violazione dell'obbligo di assistenza materiale, perpetrata facendo mancare i mezzi di sussistenza, non può, quindi, essere ricondotta al comma primo, alla violazione dell'obbligo di assistenza morale, pena l'inosservanza del principio di correlazione tra accusa e sentenza (Cass. pen., sez. VI, 22 novembre 2011, S.R., n. 45879, in DeJure; Cass. pen., sez. VI, 11 gennaio 2011, U.F., n. 5296, ivi). Per la diversità dei beni giuridici tutelati dalle diverse fattispecie previste dall'art. 570 c.p. si veda anche, più in generale, Cass. pen., sez. un., 20 dicembre 2007, Cass, n. 8413, in Cass. pen., 2008, 2751. L'indirizzo prevalente ricostruisce la fattispecie come una unitaria figura di reato incentrata sull'inadempimento di obblighi di assistenza: ed è proprio con riguardo ai rinnovati contenuti dei doveri di assistenza dopo la riforma del diritto di famiglia che la portata dell'art. 570 c.p viene progressivamente ridimensionata nella prassi applicativa, puntando a sanzionare le sole condotte che, rientranti nel secondo comma dell'articolo, facciano mancare il minimo indispensabile per vivere ai congiunti. Difatti, alle previsioni dell'art. 570, comma 2, c.p., la figura che si presenta come fattispecie principale e più ricorrente è quella della omessa prestazione dei mezzi di sostentamento, mentre l'altra figura della malversazione o dilapidazione dei beni del figlio minore o del coniuge, già sostanzialmente disapplicata, appare di ancor più rara configurabilità nella vigenza dei nuovi principi regolatori del regime patrimoniale dei coniugi, ispirati alla parificazione dei poteri anche nella amministrazione dei beni della famiglia e tali da ridurre i rischi di una cattiva gestione patrimoniale di un coniuge a danno dell'altro o dei figli, a parte l'ipotesi in cui un coniuge possa essere messo in condizione di gestire liberamente il patrimonio dell'altro nel caso di convenzioni matrimoniali o nel caso di conferimento della procura ad amministrare i propri beni all'altro in regime di separazione di beni.
Numerose sono le questioni sollevate a proposito della fattispecie disciplinata dall'art. 570, comma 2, n. 2, c.p., consistente nella omessa prestazione dei mezzi di sussistenza a determinate persone della famiglia, che trova fondamento nel principio di solidarietà familiare e la cui previsione fra i soggetti tutelati degli ascendenti, discendenti minori di età ovvero inabili al lavoro e del coniuge non legalmente separato, ossia di soggetti legati da forti vincoli come quello di filiazione o di coniugio, si giustifica con l'indiscusso dovere di farsi carico, indipendentemente dalla permanenza della unità della famiglia, dei bisogni elementari delle persone legate dai rapporti familiari più stretti. Acquisita da tempo l'interpretazione restrittiva del concetto penalistico di mezzi di sussistenza nel senso della sua corrispondenza ad un grado minimo di assistenza economica sufficiente a garantire al familiare bisognoso lo stretto necessario per soddisfare esigenze prioritarie (vitto, alloggio, vestiario, medicinali) Cass., Sez. VI 31 maggio 1989, in Riv.pen,, 1990, 687; Cass., Sez. VI, 16 dicembre 1982, in Mass:Cass.pen., 1983, 208, la giurisprudenza più recente è tornata a ribadire la diversità della nozione di "mezzi di sussistenza" da quelle civilistiche di "mantenimento" e di "alimenti", comprensive, l'una di quanto richiesto per un tenore di vita adeguato alla posizione economico sociale dei coniugi e l'altra di ciò che è soltanto utile o conforme alle condizioni dell'alimentando in proporzione alle sostanze dell'obbligato ; difatti, la realizzazione della fattispecie di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza è configurabile indipendentemente da un provvedimento del giudice civile attributivo di spettanze economiche in sede di separazione o divorzio ( ex multis, Cass. pen., sez. VI, 18 novembre 2008, S.M., n. 6574, in DeJure; Cass. pen., sez. VI, 10 aprile 2001, D.H., n. 27851, ivi; Cass. pen., sez. VI, 21 marzo 1996, Archidiacono, in Cass. Pen., 1997, 1024). Inoltre, dalla affermazione della autonomia del concetto di mezzi di sussistenza ex art. 570 c.p. rispetto a quella di alimenti di cui all'art. 433 c.c., si è ricavata la non automatica integrazione della fattispecie di reato in caso di inosservanza delle statuizioni economiche adottate dal giudice civile in sede di separazione dei coniugi (Cass., Sez. IV, 11 luglio 2001). Viceversa è stata decisa la non esclusione di responsabilità ai sensi dell'art. 570 c.p. in caso di adempimento dell'obbligazione civile ove l'assegno stabilito dal giudice sia divenuto insufficiente (Cass., Sez. V, 20 ottobre 1989).
Quindi, il dovere di non far mancare i mezzi di sussistenza, penalmente sanzionato, dipende dal ricorrere di un effettivo stato di bisogno dell'avente diritto, da accertare in concreto (Cass., 5 febbraio 1998, in Cass. pen., 1999, 888; Cass., sez V, 3 marzo 1981, ivi, 1982, 1333; nel senso, tuttavia, per cui il provvedimento del giudice civile con il quale è stato fissato l'obbligo del versamento di un assegno, possa costituire un punto di partenza per l'accertamento del reato nella misura in cui dimostra lo stato di bisogno dei beneficiari, Cass., Sez. V, 27 giugno 1989, in Cass. pen, 1991, 90). Come detto, agli effetti degli estremi della fattispecie dell'art. 570 c.p. il reo deve aver fatto mancare il minimo necessario per vivere, escludendo la configurabilità del reato nell'ipotesi in cui la condotta sia consistita nella mera diminuzione del lussuoso tenore in precedenza garantito all'avente diritto (Cass., Sez. VI, 8 luglio 2004). Nel caso di autoriduzione dell'assegno di mantenimento, la rilevanza penale come inadempimento dell'obbligo di prestare i mezzi di sussistenza sussiste nei soli limiti in cui l'entità della somma non sia idonea ad assicurare il necessario per vivere ai familiari (Cass. Sez. VI, 17 maggio 2004 n. 32508); inoltre, nel versamento parziale dell'assegno determinato in sede di separazione, in misura comunque sufficiente alle esigenze primarie, non è nemmeno ravvisabile una condotta integrante la fattispecie di cui al comma 1 dell'art. 570 c.p. sotto il profilo della contrarietà all'ordine delle famiglie (Cass., Sez. VI, 14 aprile 1970). Ricordiamo, peraltro, che in relazione ai figli minori, lo stato di bisogno e il conseguente dovere di provvedervi non viene meno ove sia la madre, con i proventi del proprio lavoro, a farsi carico della prestazione dei mezzi di sussistenza, considerato che entrambi i genitori sono obbligati al mantenimento dei figli, o da
terzi non obbligati (Cass. Sez. VI, 14 aprile 2008 n. 27051; Cass., Sez. VI, 14 giugno 1984) Per quanto riguarda l'affermata impossibilità di adempiere, la giurisprudenza ha precisato che le fattispecie omissive implicano la possibilità di adempimento del dovere giuridico di fare, per cui vi è l'esigenza di un accertamento in concreto della capacità economica dell'obbligato a prestare i mezzi di sostentamento )già da Cass., Sez. VI, 16 gennaio 1969, più di recente, Cass. sez VI, 8 luglio 1997), si da ricostruire lo stato di incapacità economica come esimente (Cass., Sez. VI, 23 gennaio 1997, Cass., Sez. VI, 7 maggio 1988). Grava sull'obbligato l'onere della prova o quantomeno un onere di allegazione degli elementi utili al riscontro della sua impossibilità di adempiere (Cass., Sez. VI, 17 maggio 2004), la quale consiste in una una assoluta mancanza di risorse finanziarie per tutto il periodo riguardante l'addebito (Cass., Sez. VI, 25 ottobre 1990), in uno stato di vera e propria indigenza (Cass. Sez. VI, 23 gennaio 1997) non attribuibile neppure a colpa (Cass., Sez. VI, 8 luglio 1997 ) gravando sull'inadempiente eventuali negligenze nella ricerca di una attività lavorativa (Cass., Sez. VI, 18 luglio 2002). Ecco si comprende la decisione recente della S.C. che ha addossato la sanzione ad un uomo che aveva domiciliato la moglie ed i figli minori presso la madre ed era andato al nord in cerca di lavoro, lamentando di essere nullatenente e disoccupato e di non disporre di alcuna risorsa finanziaria. Per la S.C., infatti, già la sola prova che dopo sette mesi di ricerca l'imputato aveva trovato lavoro, ma che il tempo dell'inadempimento si era protratto successivamente, basta per escludere quella assoluta indigenza che fa venir meno il reato. Infatti, una condizione di ristrettezza economica, anche grave, non esime dal provvedere alle esigenze dei figli, anche a costo di sacrificare ulteriormente la propria personale condizione, essendo le necessità dei figli poziori rispetto a quelle del genitore.
L incapacità economica, intesa come impossibilità dell obbligato deve dunque essere assoluta, nel senso di estendersi a tutto il periodo dell inadempimento e di consistere in una persistente, oggettiva situazione di indisponibilità di introiti (Sez. VI, 7 maggio 1998, Giannetti; Id., 5 ottobre 1998, Genova; Id., 21 settembre 2001, Mangatia), e incolpevole (Sez. VI, 25 giugno 1999, Morfeo; Id., 2 aprile 1998, Beniglio). Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 novembre 2012 8 febbraio 2013, n. 6348 Ritenuto in fatto 1. D.C. ricorre per cassazione, tramite il difensore, avverso la sentenza della Corte d appello di Palermo in data 30 1 09, con la quale è stata confermata la sentenza di condanna emessa in primo grado, in data 4 04 07, dal Tribunale di Agrigento, in ordine al delitto di cui all art. 570 cp per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli di età minore e alla coniuge D.M.G., nulla corrispondendo per il loro mantenimento. In Agrigento dal dicembre 2004 al dicembre 2006. 2. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, vizio di motivazione della sentenza impugnata, poiché la Corte d appello ha disatteso erroneamente le prove attestanti le indigenti e incolpevoli condizioni economiche dell imputato, che non gli avevano consentito di provvedere al mantenimento dei familiari, avendo comunque il D. parzialmente adempiuto ai propri obblighi, come documentato dai vaglia postali inviati ai familiari e le cui ricevute sono state acquisite agli atti. E stato infatti dimostrato, nel giudizio di merito, che l imputato era nullatenente e disoccupato e non disponeva di alcuna risorsa finanziaria, come è emerso dalla deposizione resa dal M. e dagli accertamenti espletati presso l Anagrafe Tributaria. Peraltro l imputato si è preoccupato di proteggere la famiglia, portandola presso l abitazione della madre e trasferendosi al nord alla ricerca di un lavoro. 2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la mancata concessione della sospensione condizionale della pena poichè la condanna inflitta, unitamente alle due precedenti condanne già sospese, non oltrepassa i limiti previsti dalla legge per tale beneficio ed è inoltre formulabile nei confronti del D., che ha finalmente un lavoro a tempo indeterminato ed è quindi in grado di provvedere alle necessità della famiglia, un giudizio prognostico positivo.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Il primo motivo di ricorso esula dal numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell iter logico giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre a propria valutazione a quella Compiuta dai giudici di merito in ordine all affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. un. 13 12 95 Clarke, rv 203428). Nel caso di specie, la Corte d appello ha evidenziato come sia incontroverso che l imputato da dicembre 2004 epoca in cui si allontanò dal domicilio familiare per trovare lavoro non abbia corrisposto alcunché per il mantenimento dei figli minori fino al 23 12 2005, quando inviò alla moglie un vaglia di appena duecento euro astenendosi da altri contributi finanziari sino al 2 12 2006, allorchè corrispose euro 1.200 e successivamente euro 400. A fronte di tali risultanze, non solo non è emersa una condizione di assoluta indisponibilità di risorse finanziarie ma anzi lo stesso D. ha dichiarato di svolgere attività lavorativa dal giugno 2005. Dalle cadenze motivazionali della sentenza d appello è dunque enucleabile una attenta analisi della regiudicanda, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alla conferma della sentenza di prime cure attraverso un itinerario logico giuridico in nessun modo censurabile sotto il profilo della correttezza logica e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Esula d altronde dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente, più adeguata valutazione delle risultanze processuali (Cass, Sez. un., 30 4 1997, Dessimone, rv. 207941). Dedurre vizio di motivazione della sentenza
significa infatti dimostrare che essa è manifestamente carente di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione fattuale (Sez. un 19 6 96, Di Francesco, rv. 205621), come prospettato dal ricorrente, nel caso in disamina. 4. In linea di diritto è comunque da ribadire, sulla scorta di un consolidato orientamento giurisprudenziale, che una condizione di ristrettezza economica, anche grave, non esime dal provvedere alle esigenze dei figli, anche a costo di sacrificare ulteriormente la propria personale condizione, essendo le necessità dei figli poziori rispetto a quelle del genitore. L incapacità economica, intesa come impossibilità dell obbligato deve dunque essere assoluta, nel senso di estendersi a tutto il periodo dell inadempimento e di consistere in una persistente, oggettiva situazione di indisponibilità di introiti (Sez. VI, 7 maggio 1998, Giannetti; Id., 5 ottobre 1998, Genova; Id., 21 settembre 2001, Mangatia), e incolpevole (Sez. VI, 25 giugno 1999, Morfeo; Id., 2 aprile 1998, Beniglio). Situazione che non ricorre nel caso in disamina, secondo quanto puntualizzato dal giudice di merito, che ha sottolineato come, quantomeno dal giugno 2005, il D., come poc anzi abbiamo visto, svolgesse attività lavorativa. 5. Anche le determinazioni del giudice di merito in ordine alla concessione della sospensione condizionale della pena sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione esente da vizi logico giuridici. Nel caso di specie, la motivatone del giudice d appello è senz altro da ritenersi adeguata, avendo la Corte territoriale fatto riferimento alle due condanne già subite dall imputato. 6. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, a norma dell art 606 co. 3 cpp, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di E. 1000,00 in favore della cassa delle ammende.