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Start PMI INSTANT BOOK Novembre 2018 INDICE 1. Fiducia dei consumatori e delle imprese - ISTAT - novembre 2018 2. Fatturato dei servizi - ISTAT - 3 trimestre 2018 3. Congiuntura Flash - Centro Studi Confindustria - novembre 2018 4. Struttura e competitività delle imprese multinazionali - ISTAT - 2016 5. Investimenti in attività immateriali nell area dell euro (estratto Bollettino BCE n. 7) - Banca Centrale Europea - 8/11/2018 6. La digitalizzazione e il suo impatto sull economia: cosa emerge da un indagine presso imprese di grandi dimensioni (estratto Bollettino BCE n. 7) - Banca Centrale Europea - 8/11/2018 7. Spostamenti quotidiani e nuove forme di mobilità - ISTAT - 2017 Il procedimento denominato Project Mirror Intelligence elaborato dal gruppo Tusci@network ha l obiettivo di fornire al navigatore una selezione ragionata di informazioni di natura economico statistica in grado di riflettere la situazione contingente del Sistema Italia. L Instant Book Start PMI ha cadenza mensile. I dati contenuti in questo numero sono aggiornati al 30/11/2018.

1. Fiducia dei consumatori e delle imprese - ISTAT - novembre 2018 A novembre 2018 si stima una flessione dell indice del clima di fiducia dei consumatori da 116,5 a 114,8; l indice composito del clima di fiducia delle imprese diminuisce per il quinto mese consecutivo, passando da 102,5 a 101,1. Tutte le componenti del clima di fiducia dei consumatori sono in calo, seppur con intensità diverse, ad eccezione del clima personale per il quale si rileva un lieve aumento (da 108,7 a 108,9); più in dettaglio, il clima economico passa da 137,2 a 131,7, il clima corrente diminuisce da 112,5 a 111,5 e il clima futuro cala da 121,4 a 118,9. Con riferimento alle imprese, il clima di fiducia peggiora in tutti i settori (nel settore manifatturiero l indice passa da 104,9 a 104,4, nelle costruzioni da 138,9 a 132,5 e nei servizi da 103,6 a 101,8) ad eccezione del commercio al dettaglio dove l indice sale da 101,6 a 102,0. Passando ad analizzare le componenti dei climi di fiducia delle imprese, nel comparto manifatturiero, che registra una flessione più contenuta rispetto al settori dei servizi e a quello delle costruzioni, si rileva un peggioramento delle attese sulla produzione; i giudizi sul livello della domanda e il saldo delle scorte di magazzino rimangono sostanzialmente stabili rispetto allo scorso mese. Nel settore delle costruzioni, si registra un peggioramento sia dei giudizi sugli ordini sia delle aspettative sull occupazione. Per quanto riguarda il settore dei servizi, tutte le componenti sono in calo: si segnala in particolare il deterioramento dei giudizi sull andamento degli affari e la contrazione sia dei giudizi sia delle attese sugli ordini. Nel commercio al dettaglio, l aumento dell indice è dovuto principalmente al miglioramento dei giudizi sulle vendite e ad una marcata contrazione del saldo relativo alle scorte di magazzino. Invece, le aspettative sulle vendite future sono in diminuzione. Il commento Il clima di fiducia delle imprese continua a registrare flessioni: l indice, dopo la crescita registrata nella seconda metà del 2017, entra in una fase di stasi nel primo semestre del 2018 e comincia a diminuire da luglio 2018. Nella manifattura la diminuzione è concentrata soprattutto nel settore dei beni di investimento. Anche il clima di fiducia dei consumatori, pur riflettendo un quadro complessivamente stabile, presenta una dinamica negativa a novembre 2018, determinata soprattutto dal deterioramento sia dei giudizi sia delle aspettative sulla situazione economica dell Italia nonché da un marcato peggioramento delle attese sulla disoccupazione. 1

2. Fatturato dei servizi - ISTAT - 3 trimestre 2018 Nel terzo trimestre 2018 si stima che l indice destagionalizzato del fatturato dei servizi sia stazionario rispetto al trimestre precedente e che l indice generale grezzo cresca in termini tendenziali dell 1,4%, con una variazione media dei primi tre trimestri del 2018 sul corrispondente periodo del 2017 pari a +2,1%. Tra i principali settori di attività economica, l unica variazione congiunturale positiva si riscontra nel trasporto e magazzinaggio (+0,5%). Si registrano invece flessioni nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (-0,6%) e nei servizi di informazione e comunicazione (-0,3%). I settori del commercio all ingrosso, commercio e riparazione di autoveicoli e motocicli, delle attività dei servizi di alloggio e ristorazione e delle agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese riportano variazioni nulle. Gli incrementi tendenziali più consistenti si registrano per il commercio all ingrosso, commercio e riparazione di autoveicoli e motocicli (+2,2%), le attività dei servizi di alloggio e ristorazione (+1,9%) e le agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese (+1,8%). Si registra una flessione tendenziale marcata nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (-3,2%). Il commento Nel terzo trimestre 2018 l indice generale del fatturato dei servizi presenta una variazione congiunturale nulla, interrompendo la fase espansiva iniziata nel terzo trimestre 2014. Rispetto al secondo trimestre del 2018 aumenta solo ed in misura contenuta il fatturato del settore trasporto e magazzinaggio, mentre si rilevano flessioni per le attività professionali, scientifiche e tecniche e per i servizi di informazione e comunicazione. Su base annua, tra i comparti più dinamici si conferma quello relativo alle attività di ricerca, selezione, fornitura di personale (+10,1%), seppure in rallentamento rispetto ai trimestri precedenti. 2

3. Congiuntura Flash - Centro Studi Confindustria - novembre 2018 Si assottiglia la crescita in Italia e nell Eurozona, resta forte la dinamica USA. Elevati i rischi. Crescita fragile degli scambi mondiali... I dati di commercio mondiale segnalano debole crescita in agosto (+0,2%), ma il PMI globale ordini esteri è sceso sotto la soglia di espansione in settembre e ottobre. Le tensioni commerciali internazionali restano un freno agli scambi e tengono alta l incertezza. e Italia debole nel 4 trimestre. Dopo la stagnazione del PIL nel 3 trimestre, è attesa crescita debole nel 4. Gli indicatori non mostrano un inversione di tendenza. La produzione industriale recupera appena (+0,1% in ottobre, stima CSC; -0,1% nel 3 trimestre); la fiducia delle imprese peggiora, specie nel manifatturiero, con il calo degli ordini interni; associato all accumulo di scorte, ciò annuncia domanda debole; giudizi più negativi anche nel PMI. Tra le famiglie, invece, la fiducia è quasi stabile. Piatto il canale estero... Nuovo calo dell export italiano in settembre, che annulla il rimbalzo di agosto (-2,2% in volume, dopo +2,4%). Nel 3 trimestre, quindi, le vendite sono rimaste invariate, come nel 2. Ciò risulta da un calo nei mercati extra-ue e un aumento nelle vendite intra-ue. Per fine anno, segnali negativi vengono dagli indicatori qualitativi, con gli ordini esteri del PMI manifatturiero sotto la soglia di 50 in ottobre, per la prima volta in quasi 6 anni. Deboli anche l export tedesco e quello francese. cresce poco la domanda interna... Prosegue, moderata, la crescita degli investimenti. Per il 4 trimestre, gli ordini interni di beni strumentali sono piatti e peggiorano le condizioni operative per le imprese, sebbene l'impatto delle tensioni internazionali, a giudizio delle imprese, sia stato limitato (indagine Banca d'italia). La dinamica dei consumi appare fiacca nel 4 trimestre, come nei mesi estivi: le vendite al dettaglio sono calate a settembre; le immatricolazioni ristagnano, nonostante un rimbalzo in ottobre; gli ordini interni di beni di consumo sono fermi sui livelli estivi; peggiorano le aspettative sui bilanci familiari preludendo a prudenza nella spesa. Inoltre, l occupazione nel 3 trimestre è rimasta piatta, di pari passo con il PIL. La disoccupazione è scesa al 10,0% (da 10,6%), ma per la contrazione della forza lavoro; ciò può riflettere la crescente sfiducia nelle prospettive di trovare un impiego.... e mercati finanziari in attesa. A novembre il rendimento del BTP decennale si è attestato al 3,42% medio, poco sotto il 3,50% di ottobre. Lo spread sul Bund è a 301 punti. Le quotazioni di Borsa hanno recuperato l 1,8% dal minimo di ottobre (+1,4% i titoli bancari). Dopo il downgrade di Moody s, a fine ottobre S&P ha abbassato l outlook a negativo, senza toccare il rating. Il trend negativo dei tassi è correlato al definirsi delle misure di politica economica del Governo: il 3

persistere di un ampia deviazione dalle regole UE su deficit strutturale e debito tiene alto il rischio di una procedura di infrazione. L Eurozona corre meno L espansione dell area euro ha rallentato nei mesi estivi (0,2%). Hanno inciso fattori temporanei, come nuove normative anti-inquinamento che hanno frenato il settore auto, specie in Germania. Per il 4 trimestre si attende un rimbalzo della crescita, poco sotto i ritmi della prima metà del 2018. La domanda interna è ancora solida, ma il contesto esterno meno favorevole e più incerto. e QE al capolinea. Il prossimo mese dovrebbero terminare gli acquisti di titoli BCE, che per anni hanno frenato i tassi. Dal 2019, perciò, potrebbe crescere il costo del credito. In Italia un più difficile accesso ai prestiti per le imprese, a causa della salita del BTP, si è già visto nel 3 trimestre (indagine ISTAT) e il credito continua a crescere poco (+1,9% annuo). Il tasso, per ora, è ai minimi (1,5%). Crescita americana sostenuta... Negli USA, nel 3 trimestre si conferma l attesa di forte espansione del PIL (+3,5% annualizzato). Le elezioni di mid-term hanno assegnato una delle due camere del Congresso ai Democratici, cambiando gli equilibri politici interni: l'attesa degli analisti è di un possibile ammorbidimento delle posizioni sulla politica commerciale e di un grande piano infrastrutturale entro fine legislatura. La FED è attesa alzare i tassi al 2,5% a dicembre (78% la probabilità secondo i mercati). ma frena la Cina... Le sanzioni USA contribuiscono a rallentare l economia cinese, nonostante le politiche di stimolo domestiche. In Brasile la fiducia degli imprenditori risale dopo l elezione del presidente Bolsonaro, ma restano dubbi sulla capacità di realizzare riforme pro-business. L economia russa accelera, trainata da domanda interna ed export, l occupazione sale a ritmi elevati. L India nel 2018 chiuderà a un ritmo sopra l atteso, per il futuro pesano i crescenti deficit pubblico e commerciale. e petrolio in altalena. Il prezzo del Brent è caduto a 70 dollari in novembre, dopo il rialzo a 81 in ottobre, nonostante le preoccupazioni per l estrazione di greggio in Iran. Il rientro favorisce i paesi importatori come l Italia, dove l inflazione è salita all 1,6% in ottobre spinta proprio dall energia (+10,1%). Manovra: quali misure per le imprese? Imprese non finanziarie, banche e assicurazioni sono contributrici nette della manovra: per il 2019 il totale degli interventi previsti toglierà risorse alle aziende per oltre 6 miliardi di euro. Ciò penalizza 4

la competitività e rischia di frenare la crescita, già in evidente rallentamento, rendendo ancor più complesso raggiungere l ambizioso obiettivo di espansione del PIL nel 2019 indicato dal Governo. I principali interventi sulle imprese sono: l abolizione dell Aiuto alla crescita economica (ACE) e dell imposta sul reddito imprenditoriale (IRI), a favore del nuovo regime impositivo IRES, che prevede la riduzione dell aliquota al 15 per cento per la quota di utili reinvestita in beni strumentali e in nuove assunzioni. Il combinato di questi interventi porterà a un aumento della tassazione sulle imprese per 2,2 miliardi nel 2019 e 1,7 miliardi nel 2020. Inoltre, la nuova misura ha obiettivi diversi rispetto a quelle abrogate. L ACE, infatti, era diretta a sostenere la patrimonializzazione delle imprese e stava registrando buoni risultati. La mini- IRES suscita perplessità in quanto, oltre ad agevolare solo le imprese che hanno maggiori margini di profitto, presenta anche numerose criticità operative che rischiano di aumentare l incertezza del già complesso sistema fiscale italiano. Alcune delle misure per Industria 4.0 sono prorogate, ma con importanti limitazioni: le risorse destinate a queste misure sono inferiori rispetto al passato. Non sono oggetto di proroga il super ammortamento e il credito d imposta formazione 4.0, mentre per l iper-ammortamento vengono stanziati circa 1,1 miliardi per il biennio 2020-2021, laddove la manovra dell anno scorso aveva previsto, per il 2019-2020, circa 2,6 miliardi per la proroga di iper e super-ammortamento. In particolare, cambia il valore delle aliquote per l iper-ammortamento e si introduce una differenziazione dell agevolazione inversamente proporzionale al volume degli investimenti effettuati. Si apportano consistenti modifiche in senso peggiorativo alla disciplina del credito d imposta per ricerca e sviluppo, dimezzando l aliquota (dal 50 per cento degli investimenti incrementali rispetto al triennio 2012-2014, al 25 per cento). Resta al 50 per cento per gli investimenti relativi a personale dipendente, a lavoratori autonomi contrattualizzati dall'impresa e a contratti con università ed enti di ricerca. Manca, inoltre, la stabilizzazione del credito d imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno che aveva registrato ottimi risultati, con quasi 6,5 miliardi di investimenti prenotati. Positiva la proroga degli eco-bonus: saranno valide anche per il 2019 le detrazioni fiscali per le famiglie per gli interventi di efficientamento energetico, ristrutturazione edilizia e acquisto di mobili (cruciali per sostenere il settore dell edilizia), oltre a quelle per interventi di sistemazione a verde e per la realizzazione di coperture e giardini pensili. Positiva è anche l introduzione di un voucher, rivolto alle PMI, per l assunzione di temporary manager per l innovazione dei processi tecnologici e organizzativi. Inoltre, è da considerarsi 5

favorevole l ampliamento delle risorse destinate alla Nuova Sabatini (48 milioni di euro per il 2019 e 96 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023) e al Piano straordinario per la promozione del Made in Italy e l attrazione degli investimenti (90 milioni di euro per il 2019 e 20 milioni di euro per il 2020). Da valutare gli interventi sulle banche: una parte considerevole delle coperture previste nella manovra viene da misure sulle banche (3,5 miliardi). In particolare, la modifica dell iscrizione delle perdite e delle svalutazioni crediti, l applicazione dei nuovi principi contabili IFRS9 e il differimento della deducibilità delle quote di ammortamento del valore dell avviamento e di altri beni immateriali. Se si considera anche la modifica agli acconti dell imposta sulle assicurazioni, il Governo prevede maggiori entrate per circa 4,3 miliardi. Tali interventi, insieme ai tassi di rendimento sui titoli di Stato in aumento, che si trasformano in un aumento del costo della raccolta bancaria, e al rischio di ulteriori downgrade per l Italia, potrebbero far crescere il costo e ridurre l offerta di credito, con effetti negativi sulla crescita del PIL. 6

4. Struttura e competitività delle imprese multinazionali - ISTAT - 2016 Nel 2016 le multinazionali estere, attive in Italia con 14.616 controllate (+609 unità sul 2015), consolidano il contributo positivo alla crescita del sistema produttivo italiano con un incremento sul 2015 di quasi 10 miliardi del fatturato e di oltre 9 miliardi del valore aggiunto. Anche a seguito di alcune importanti acquisizioni di imprese a controllo nazionale, nel 2016 le multinazionali estere registrano una forte crescita del valore aggiunto (+8,7% rispetto a +4,8% realizzato dal complesso delle imprese residenti in Italia) e della spesa in Ricerca e sviluppo (+11,3%, +9,3% il valore medio per le imprese in Italia). Le multinazionali estere contribuiscono ai principali aggregati economici nazionali dell industria e dei servizi con il 7,9% degli addetti, il 18,3% del fatturato, il 15,1% del valore aggiunto e il 14,4% degli investimenti. Nel 2016 la presenza italiana all estero si concretizza in 22.907 controllate, che impiegano 1,7 milioni di addetti. L acquisizione dall estero di importanti gruppi multinazionali a controllo nazionale contribuisce alla significativa flessione, rispetto al 2015, sia degli addetti (-4,7%) sia del fatturato (-6,4%) realizzato all estero. La riduzione del peso delle multinazionali italiane all estero è particolarmente evidente nell industria in senso stretto dove si registra un notevole calo in termini di addetti (-49 mila rispetto al 2015), di fatturato (-24 miliardi) e di fatturato al netto di beni e servizi (-6 miliardi). Anche il grado di internazionalizzazione attiva è in flessione, in particolare nella fabbricazione di altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (-10 punti percentuali), nella fabbricazione di altri mezzi di trasporto (-6,5 punti) e nella fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (-5,3 punti). Gli Stati Uniti sono il paese con il più elevato numero di imprese italiane controllate dall estero (2.429, con quasi 287 mila addetti) primato in crescita (+3,5% in termini di imprese e +2,8% in termini di addetti) e consolidato sia nell industria sia nei servizi. Sono inoltre il principale paese di localizzazione degli investimenti esteri italiani (quasi 146 mila addetti nell industria e oltre 108 mila nei servizi). Le multinazionali estere contribuiscono per il 27% all export nazionale di merci e per il 46,5% agli acquisti dall estero di merci. Una quota rilevante dei flussi commerciali attivati dalle multinazionali è relativa agli scambi intra-gruppo (45,8% per le esportazioni e 63,8% per le importazioni). La loro dimensione e performance economica rimane superiore a 7

quella delle imprese a controllo nazionale, anche se a parità di dimensione economica il differenziale positivo di performance a favore del capitale estero è limitato ad alcuni settori. Le affiliate italiane all estero destinano oltre il 30% del loro fatturato alle vendite su mercati diversi dal paese di localizzazione. Sono in crescita le quote di fatturato esportato verso l Italia nei settori tradizionali del Made in Italy, quali industrie tessili e abbigliamento (49,7%), fabbricazione di articoli in pelle (38,4%) e fabbricazione di mobili e altre industrie manifatturiere (29,3%). La propensione all investimento estero è in aumento solo per i gruppi industriali di grande dimensione: la quota di quelli che dichiarano di volere realizzare nuovi investimenti nel biennio 2017-2018 si incrementa di 3,2 punti percentuali rispetto al biennio precedente. L accesso ai nuovi mercati, l incremento della qualità e lo sviluppo di nuovi prodotti, nonché l accesso a nuove conoscenze e competenze, sono considerati da queste imprese fattori più importanti del costo del lavoro o di altri costi d impresa per realizzare nuove attività all estero. Nel 2016 Italia più attrattiva per le multinazionali estere Nel 2016 in Italia sono attive 14.616 imprese a controllo estero (+4,3% rispetto al 2015) che occupano oltre 1,3 milioni di addetti (+4,5%). Al netto delle attività finanziarie e assicurative, le multinazionali estere hanno un fatturato di oltre 539 miliardi di euro (+1,8% rispetto al 2015) e un valore aggiunto di oltre 113 miliardi di euro (+8,7%); realizzano inoltre più di 13 miliardi di investimenti (+8,3%) e spendono in ricerca e sviluppo quasi 3,6 miliardi. Questo risultato ampiamente positivo per le attività delle multinazionali estere in Italia è dovuto in parte ad importanti acquisizioni dall estero di gruppi multinazionali italiani, che si ripercuote in termini di riduzione sulle attività realizzate all estero dalle multinazionali italiane. Infatti, queste ultime, pur confermando la loro diffusa presenza all'estero (22.907 controllate), registrano una diminuzione in termini di occupazione (-4,7% rispetto al 2015) e di fatturato (-6,4%). La dimensione media delle imprese è elevata sia per le controllate estere in Italia (89,9 addetti) sia per le controllate italiane all estero (75 addetti), soprattutto se confrontata con quella delle imprese residenti in Italia (3,8 addetti), aspetto che emerge sia per l industria sia per i servizi. In crescita il valore aggiunto realizzato in Italia dalle multinazionali estere Nel 2016 la crescita delle multinazionali estere in Italia emerge, sia nella manifattura sia nei servizi, con un notevole incremento di valore aggiunto sul 2015. I settori manifatturieri maggiormente 8

interessati sono la fabbricazione di altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (+20,8% rispetto al 2015), la fabbricazione di prodotti chimici (+9,6%) e la fabbricazione di macchinari ed apparecchiature nca (+6,3%). Nei servizi, gli incrementi maggiori si registrano nel commercio (+8,9%), nei servizi di informazione e comunicazione (+10,1%) e nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (+19,1%). Le multinazionali estere contribuiscono ai principali aggregati economici nazionali dell industria e dei servizi con il 7,9% degli addetti, il 18,3% del fatturato, il 15,1% del valore aggiunto e il 14,4% degli investimenti. Di particolare rilevanza è, inoltre, l apporto del capitale estero alla spesa delle imprese per ricerca e sviluppo (25,5%). Le multinazionali estere contribuiscono anche in misura importante agli scambi di merci con l estero, con quote pari al 27% per le esportazioni e al 46,5% per le importazioni. Consistente calo all estero dei livelli di attività dell industria in senso stretto Nel 2016, le multinazionali italiane, al netto dei servizi finanziari, occupano all estero 1,5 milioni di addetti (-4,3% rispetto al 2015), conseguono un fatturato di quasi 436 miliardi (-5,5%) e un fatturato al netto degli acquisti di beni e servizi di quasi 133 miliardi (+0,3%). Le multinazionali italiane realizzano all estero un fatturato pari al 14,8% di quello complessivamente prodotto dalle imprese residenti in Italia (15,5% nel 2015), quota pari al 18,5% per il fatturato al netto degli acquisti di beni e servizi (19,1% nel 2015). Questa flessione è particolarmente evidente nell industria in senso stretto, dove, per l acquisizione di multinazionali italiane da parte di gruppi esteri e per la cessione di imprese estere, si registra un notevole calo in termini di addetti (-5,2% rispetto al 2015), di fatturato (-7,8%) e di fatturato al netto di beni e servizi (-7,1%). I settori industriali che più hanno risentito di tali eventi sono la fabbricazione di altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi, la fabbricazione di macchinari ed apparecchiature nca, la fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata e i servizi di informazione e comunicazione. Anche nei servizi si è registrata una diminuzione in termini di addetti (-3,9% rispetto al 2015) e di fatturato (-6,9%), con particolare evidenza nei servizi di informazione e comunicazione e nelle attività professionali, scientifiche e tecniche. Le affiliate estere attive nell'industria (8.493 unità), seppur in numero minore rispetto alle 13.236 affiliate attive nei servizi non finanziari, confermano una maggiore rilevanza economica: impiegano quasi un milione di addetti (62,9% del totale) e realizzano circa 298 miliardi di fatturato (68,4% del totale), di cui oltre 91 miliardi al netto degli acquisti di beni e servizi (68,9% del totale). 9

Nel 2016, si rilevano performance positive nella manifattura, dovute ad acquisizioni di multinazionali italiane all estero e alla crescita di unità già esistenti, nelle industrie alimentari, delle bevande e del tabacco (+1,2% in termini di addetti, +3,1% del fatturato e +7% al netto degli acquisti di beni e servizi rispetto al 2015) e nella fabbricazione di prodotti chimici (+1,5% di addetti, +7,5% di fatturato e +10,1% al netto degli acquisti di beni e servizi). Nei servizi invece si riscontrano valori in crescita nell istruzione, sanità e assistenza sociale, attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento, altre attività di servizi (+17,2% di addetti, +71,3% di fatturato e +87% al netto degli acquisti di beni e servizi), nelle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (+26,3% di addetti, +11,3% di fatturato e +10% al netto degli acquisti di beni e servizi) e nel noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (+9% di addetti, +6,3% di fatturato e +18,7% al netto degli acquisti di beni e servizi). Sempre alta la performance delle imprese a controllo estero Il confronto tra la componente del sistema produttivo a controllo nazionale e quella a controllo estero mette in luce differenze sostanziali sia nella struttura dimensionale sia nella performance economica. La dimensione media delle imprese a controllo estero è ampiamente superiore a quella delle imprese a controllo nazionale: 111 addetti contro 5,3 nell industria e 81,4 addetti rispetto ai 3,0 nei servizi. Rilevanti anche le differenze nei livelli di produttività del lavoro sul totale delle imprese (86.200 euro per le imprese a controllo estero contro 38.400 euro delle imprese a controllo nazionale) e nel costo unitario del lavoro (oltre 50 mila euro contro 38 mila). Queste differenze possono essere spiegate dalla maggiore dimensione media delle imprese a controllo estero rispetto a quelle a controllo nazionale. Se si considerano, infatti, le imprese omogenee da un punto di vista dimensionale (con 250 addetti e oltre), il differenziale positivo di performance si riduce notevolmente. In tal caso il valore aggiunto per addetto del sistema delle grandi imprese a controllo estero è pari a 76.500 euro contro 60.600 euro di quelle a controllo nazionale. Per le grandi imprese a controllo estero i livelli di produttività del lavoro sono superiori rispetto a quelli delle grandi imprese a controllo nazionale in alcuni comparti industriali, quali ad esempio: fabbricazione di prodotti chimici, fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche, fabbricazione di macchinari e apparecchiature nca, fabbricazione di apparecchiature elettriche ed apparecchiature per uso domestico non elettriche e nelle industrie tessili. 10

Da multinazionali estere oltre 1/4 dell export e quasi la metà dell import italiano Le multinazionali estere contribuiscono in modo significativo all interscambio commerciale italiano: realizzano infatti il 27% delle esportazioni nazionali di merci e attivano il 46.5% delle importazioni. L incidenza delle multinazionali estere nelle esportazioni nazionali è particolarmente rilevante nella fabbricazione di prodotti farmaceutici (76,4%) e nell estrazione di minerali da cave e miniere (52,8%). Dal lato delle importazioni nazionali le multinazionali estere contribuiscono per l 88,2% nella fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici e per il 69,2% nell'estrazione da cave e miniere. Per le esportazioni di merci, la componente intra-gruppo delle multinazionali estere risulta pari al 45,8%, con quote significative in numerosi settori manifatturieri: industrie alimentari, delle bevande e del tabacco (69,6%), fabbricazione di coke e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio (64,9%), fabbricazione di apparecchiature elettriche ed apparecchiature per uso domestico non elettriche (63,8%), confezione di articoli di abbigliamento e fabbricazione articoli in pelle e simili (62,9.%). Per le importazioni, la componente intra-gruppo degli scambi di merci realizzati dalle multinazionali estere risulta pari al 63,8%. In flessione la presenza all estero delle multinazionali italiane A seguito di eventi di acquisizione dall estero e per importanti operazioni di vendita, il grado di internazionalizzazione attiva delle multinazionali italiane, misurato come incidenza delle attività realizzate all estero rispetto al complesso di quelle svolte in Italia, entrambe misurate in termini di addetti, è in lieve flessione rispetto al 2015: le imprese italiane industriali impiegano all estero un numero di addetti pari al 18,4% di quelli delle imprese residenti in Italia (-1,3 punti percentuali rispetto al 2015); nei servizi l incidenza è del 6,9% (-0,1 punti percentuali). Nel settore industriale si segnala una diminuzione del grado di internazionalizzazione di quasi 16 punti percentuali per il settore dell estrazione di minerali da cave e miniere, di oltre 10 punti percentuali per la fabbricazione di altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi e di 6,5 punti nella fabbricazione di altri mezzi di trasporto. Nei servizi il grado di internazionalizzazione attiva è in calo nei servizi di informazione e comunicazione (-4,2 punti) e nelle attività finanziarie e assicurative (-2,6 punti). La dimensione media delle controllate italiane all estero è piuttosto consistente (75 addetti), soprattutto se confrontata con quella delle imprese residenti in Italia (3,8 addetti), aspetto che 11

emerge sia per l industria (115,1 addetti all estero rispetto a 5,8 in Italia) sia per i servizi (51,4 addetti all estero contro 3,2 in Italia). Le affiliate italiane all'estero destinano il 31,1% del loro fatturato alle vendite su mercati diversi dal paese di localizzazione. Le controllate estere delle multinazionali italiane confermano quote notevoli di fatturato esportato verso l Italia nei settori tradizionali del Made in Italy: industrie tessili e confezione di articoli di abbigliamento, di articoli in pelle e pelliccia (49,7%), fabbricazione di articoli in pelle e simili (38,4%) e fabbricazione di mobili e altre industrie manifatturiere (29,3%). La quota di fatturato destinata al paese estero in cui è realizzata la produzione è rilevante ma in calo, rispetto all'anno precedente, nella fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (72,2%, -5,1 punti percentuali rispetto al 2015) e nella fabbricazione di prodotti farmaceutici (69,6%, +11,6 punti rispetto al 2015). Usa localizzazione più scelta dalle multinazionali italiane I primi dieci paesi di residenza delle multinazionali estere per numero di imprese controllate in Italia assorbono l 84,7% degli addetti e l 80% del fatturato. In particolare, le 2.429 imprese controllate da soggetti residenti negli Stati Uniti impiegano quasi 287 mila addetti, con una quota di valore aggiunto sul totale delle imprese a controllo estero pari al 23,2%. Segue la Germania, con 2.028 imprese che assorbono oltre 177 mila addetti e attivano il 12,4% del valore aggiunto, e la Francia dove le 1.925 imprese impiegano oltre 254 mila addetti e contribuiscono al 16,4% del valore aggiunto delle multinazionali estere presenti in Italia. Le multinazionali estere che operano in Italia sono residenti soprattutto nell Unione europea: sul totale delle imprese a controllo estero coprono una quota del 60,7%, impiegano il 59,3% degli addetti e realizzano il 54,6% del fatturato. Segue il Nord America con il 17,3% delle affiliate estere, il 22,3% degli addetti e il 21,7% del fatturato. Le multinazionali residenti negli Altri paesi europei controllano il 12% delle affiliate estere, impiegano il 10% degli addetti a controllo estero e attivano il 10,7% del fatturato. Le multinazionali asiatiche, seppure presenti in numero inferiore (7,5% delle controllate estere), contribuiscono con il 6,4% degli addetti e l 11,2% del fatturato a controllo estero. La presenza delle multinazionali italiane all estero è diffusa e diversificata (presenti controllate italiane in 175 paesi) tanto nell industria quanto nei servizi. I primi dieci paesi di residenza delle controllate italiane per numero di addetti assorbono il 59,4% delle imprese, il 62% degli addetti e 70,6% del fatturato. Gli Stati Uniti sono il principale paese di localizzazione sia per le attività 12

industriali sia per la produzione di servizi (rispettivamente quasi 146 mila addetti e oltre 108 mila). Per l industria, in termini di addetti impiegati, seguono la Cina (oltre 87 mila addetti) e la Romania (quasi 78 mila) mentre per i servizi seguono il Brasile (quasi 67 mila) e la Germania (oltre 65 mila). L Unione europea a 28 Paesi si conferma la principale area di localizzazione delle multinazionali italiane all estero, con il 54,2% delle imprese, il 40,8% degli addetti e il 49% del fatturato. Per le imprese residenti all'estero nel settore manifatturiero si conferma il costo del lavoro molto elevato negli Stati Uniti (80,2 mila euro), seguono Francia (56,4 mila euro) e Regno Unito (52,9 mila euro). Il costo del lavoro risulta contenuto e sostanzialmente stabile rispetto al 2015 in Tunisia, Serbia e Messico mentre è in crescita in Romania (+0,8 mila euro). La propensione ad investire all estero cresce solo per i grandi gruppi dell industria Il 54,4% (+3,2 punti percentuali rispetto al biennio precedente) dei principali gruppi multinazionali italiani attivi nell industria e il 48,9% (-1,6 punti percentuali) di quelli dei servizi hanno dichiarato di aver realizzato o progettato un nuovo investimento di controllo all estero per il biennio 2017-2018. Più contenuta e in diminuzione rispetto al biennio precedente è la propensione all investimento estero dei gruppi multinazionali di medio-grande dimensione, con quote pari al 26% nell industria e al 27,1% nei servizi (nel 2015 rispettivamente 30,6% e 32,4%). Seguono i gruppi multinazionali di piccola dimensione, per i quali si registra comunque una flessione, con il 12,1% nell industria e il 9,1% nei servizi (nel 2015 le quote erano pari al 13,5% e al 10,1%). L 83,9% dei gruppi multinazionali italiani dell industria dichiara che la motivazione prevalente alla base dei nuovi investimenti all estero nel periodo 2017-2018 è la possibilità di accedere a nuovi mercati. Inoltre, ritiene determinanti altri due fattori: aumento della qualità/sviluppo di nuovi prodotti e accesso a nuove conoscenze o competenze tecniche specializzate. L Ue15 si conferma la principale area di localizzazione dei nuovi investimenti di controllo all estero sia nell industria sia nei servizi: rispettivamente il 27% e il 32,2% delle multinazionali italiane la considerano tra i propri obiettivi di investimento all estero; seguono, per l industria, Stati Uniti e Canada (16,2%), Altri paesi Asiatici, Vicino e Medio-Oriente, Oceania (15,6%). Per i gruppi attivi nei servizi, dopo l area Ue15, sono in vetta alla graduatoria Stati Uniti e Canada (16,2%) e Altri paesi Asiatici, Vicino e Medio-Oriente, Oceania (12,9%). 13

5. Investimenti in attività immateriali nell area dell euro (estratto Bollettino BCE n. 7) - Banca Centrale Europea - 8/11/2018 Gli investimenti in attività immateriali consentono di incrementare la produttività. Le attività immateriali sono attività non monetarie prive di sostanza fisica o finanziaria. Esse includono un ampio ventaglio di attività molto diversificate, tra le quali figurano: capitale umano, prodotti innovativi, marchi, brevetti, software, rapporti con i consumatori, banche dati e sistemi di distribuzione. Alcune di esse permettono alle aziende di conseguire incrementi della produttività e dell efficienza derivanti dalle nuove tecnologie e, come tali, svolgono un ruolo strategico nella creazione di valore da parte dell impresa. Il presente riquadro illustra le caratteristiche delle attività immateriali ed esamina alcune implicazioni connesse all aumento della loro rilevanza. Nell area dell euro l importanza degli investimenti in attività immateriali è aumentata, sia in termini assoluti sia in rapporto alle attività materiali, e diversi sono i fattori che hanno contribuito a tale andamento. Nei paesi dell area dell euro e in altre economie avanzate gli investimenti in beni immateriali sono sensibilmente aumentati negli ultimi decenni. Nel corso degli ultimi 20 anni la crescita dei prodotti di proprietà intellettuale, una categoria di attività immateriali inclusa nei conti economici nazionali, ha superato quella degli investimenti in attività materiali all interno dell area, contribuendo in misura significativa alla crescita annua degli investimenti diversi dalle costruzioni. Il fatto che il tasso di crescita delle attività immateriali sia superiore a quello delle attività materiali è determinato da fattori quali l aumento della concorrenza mondiale, il ridimensionamento del settore dell industria a beneficio di quello dei servizi, l espansione dell economia digitale, il mutare delle specializzazioni produttive internazionali, i nuovi modelli imprenditoriali (ad esempio a fini di ottimizzazione fiscale) e i generali progressi tecnologici La peculiare natura delle attività immateriali rende meno semplice il loro utilizzo come garanzia e ciò può tradursi in un livello subottimale di investimenti in tale tipologia di beni. Le attività immateriali condividono alcune caratteristiche con le attività materiali. Entrambe, ad esempio, risultano costose da acquisire, ma contribuiscono a generare utili futuri e comportano un certo grado di assunzione del rischio. Le attività immateriali, tuttavia, hanno anche numerose caratteristiche che le distinguono dalle attività materiali, come la scalabilità o non rivalità, ossia l indipendenza dei benefici che forniscono ai singoli utenti dal numero complessivo di questi ultimi. 14

Al contempo, alcune attività immateriali hanno scarso valore di mercato e il loro costo di produzione è quasi del tutto irrecuperabile. Ciò le rende difficili da scambiare, specifiche dell impresa nella maggior parte dei casi e associate a rischi particolarmente elevati per le aziende che in esse investono. Tali attività, infine, determinano incrementi della produttività, risultano spesso più efficienti quando combinate ad altre attività (ad esempio, formazione dei lavoratori all utilizzo più proficuo di software e computer) e tendono a generare ricadute positive e benefici su individui diversi rispetto a chi le ha sviluppate (ovvero, sono non esclusive). Le caratteristiche descritte le rendono meno semplici da utilizzare a garanzia e ciò potrebbe quindi significare che sono maggiormente dipendenti dal finanziamento interno (risparmi) che dal capitale fisico. Tali aspetti, nel complesso, potrebbero indurre le imprese a sottoinvestire in tali attività. L analisi basata sui dati micro relativi alle società quotate mostra che le attività immateriali sono in parte responsabili del divario esistente tra gli investimenti delle aziende in beni materiali e la Q di Tobin. Dalla crisi finanziaria gli investimenti in beni immateriali da parte delle imprese dell area dell euro risultano più deboli di quanto ci si aspetterebbe considerando la Q di Tobin. Ciò può indicare scarsi investimenti oppure sopravvalutazioni nei mercati azionari. Due recenti pubblicazioni hanno dimostrato che le attività immateriali sono in grado di spiegare una quota di tale divario negli Stati Uniti. L analisi di regressione condotta per l area dell euro dimostra che includere le attività immateriali non capitalizzate (ossia, non inserite nell attivo dei bilanci) sia negli investimenti sia nella Q di Tobin riduce l entità del divario tra le due grandezze. Aumenta inoltre la sensibilità degli investimenti alla Q di Tobin, sebbene in tutti i casi quest ultima spieghi soltanto un terzo della variazione complessiva degli investimenti. La natura specifica dei beni immateriali rende complessa la misurazione di attività, utili e stock di capitale, così come la distribuzione della produttività tra le imprese. I problemi di misurazione dell attività sorgono dal fatto che tali beni sono generalmente considerati quali consumi intermedi specifici dell azienda, piuttosto che investimenti presenti sul suo bilancio, e in certa misura risultano sottorappresentati nei conti nazionali. Sebbene la percentuale di attività immateriali iscritta nei bilanci annuali delle aziende sia in graduale aumento, soprattutto nel settore dei servizi, l insufficiente rilevazione di tali attività potrebbe implicare la sottostima del prodotto reale. Inoltre, la classificazione dei beni immateriali come spese da detrarre agli utili, al contrario di quanto avviene per le attività, incide sui profitti. 15

Per quanto concerne la misurazione dello stock di capitale, mentre le stime relative ai tassi di deprezzamento sono associate a notevole incertezza, l aumento della quota di attività immateriali comporta presumibilmente maggiori tassi di deprezzamento complessivo. Di conseguenza, aumenta la quantità di investimenti necessari a compensare il consumo di capitale e a mantenere lo stock di capitale su un livello costante. È possibile, al contempo, che lo stock di capitale permanga sottostimato a causa dell insufficiente incorporazione degli investimenti immateriali nei conti nazionali (cfr. anche la sezione sul capitale nell articolo sulla crescita potenziale nel periodo successivo alla crisi in questo numero del Bollettino). Ciò risulta particolarmente importante quando il contributo offerto dal capitale all output potenziale dell area dell euro aumenta rispetto a quello fornito dal lavoro in un contesto di crescenti limitazioni alla forza lavoro. Un rallentamento della crescita dei servizi di capitale immateriale potrebbe manifestarsi, inoltre, nei dati come un rallentamento della crescita della produttività totale dei fattori. Con riferimento alla dispersione della produttività, le aziende aventi considerevoli attività immateriali sembrano incrementare in misura sostanziale i propri investimenti, contribuendo ad ampliare il divario tra le imprese leader e quelle che evidenziano ritardi. L adozione di politiche specifiche in alcune aree, ad esempio assetti proprietari, regime fiscale, diritti di proprietà, concorrenza e regolamentazione dei prodotti, contribuirebbe all ulteriore promozione degli investimenti in attività immateriali e consentirebbe il rafforzamento della crescita potenziale. 16

6. La digitalizzazione e il suo impatto sull economia: cosa emerge da un indagine presso imprese di grandi dimensioni (estratto Bollettino BCE n. 7) - Banca Centrale Europea - 8/11/2018 Il presente riquadro sintetizza i risultati di un indagine ad hoc condotta dalla BCE tra le imprese leader dell area dell euro sull impatto della digitalizzazione sull economia. La digitalizzazione può essere considerata come uno shock di tecnologia/offerta che colpisce i principali aggregati economici, per il tramite degli effetti su concorrenza, produttività e occupazione, oltre che attraverso effetti di interazione con le istituzioni e l amministrazione. Le tecnologie digitali stanno inoltre modificando il modo in cui le imprese svolgono la propria attività e interagiscono con clienti e fornitori. Pertanto, comprendere la trasformazione digitale e i canali attraverso cui essa influenza l economia rappresenta un fattore di crescente rilevanza per la gestione della politica monetaria. L obiettivo principale dell indagine è osservare il modo in cui, nella percezione delle imprese, la trasformazione digitale sta influenzando gli aggregati macroeconomici. Il questionario chiede informazioni sull utilizzo di tecnologie digitali da parte delle imprese e sui principali ostacoli all adozione di tali tecnologie. Si chiedono quindi informazioni in merito ai vari canali attraverso i quali, secondo le imprese, la trasformazione digitale agisce su vendite, prezzi, produttività e occupazione, oltre alla direzione e all entità complessiva di tale impatto attese per i successivi tre anni. Sono state ricevute risposte da 74 imprese non finanziarie leader, divise equamente fra produttori di beni e fornitori di servizi. Generalmente si tratta di aziende molto grandi, che rappresentano circa il 3,7 per cento della produzione e l 1,7 per cento dell occupazione totali dell area dell euro. L adozione di tecnologie digitali presso tali imprese è molto elevata e quelle maggiormente impiegate sono i big data e il cloud computing. L utilizzo di big data e cloud computing è diffuso in tutti i settori, così come l uso del commercio elettronico, che è fondamentale nel segmento business-to-consumer. Nel settore manifatturiero e in quello energetico l intelligenza artificiale, l internet of things, la robotica e la stampa 3D mostrano un simile livello di diffusione e gli intervistati tendono a riferire che l impatto maggiore si verifica quando queste tecnologie vengono tra loro integrate. Gli ostacoli principali all adozione delle tecnologie digitali sono la difficoltà di adeguamento dell organizzazione dell impresa e la necessità di assumere e trattenere personale con elevate qualifiche TIC. 17

Regolamentazione e normativa non sono generalmente considerate un forte ostacolo, sebbene alcune imprese abbiano sottolineato che il quadro normativo dovrebbe evolversi. Nel complesso, la vasta maggioranza degli intervistati ritiene che la digitalizzazione abbia un impatto positivo sulle vendite della propria impresa. Più della metà si aspetta che l adozione di tecnologie digitali produca un lieve aumento delle vendite nei prossimi tre anni, mentre circa un terzo si aspetta un aumento significativo. Tale visione positiva può in parte riflettere la dimensione e la forza relative delle imprese intervistate, in quanto l alto grado di adozione di tecnologie digitali è considerato in alcuni casi il fattore fondamentale per la conquista di quote di mercato. Il canale principale attraverso cui la digitalizzazione sostiene la crescita delle vendite è il migliore accesso ai clienti. In particolare, gli intervistati hanno sottolineato il ruolo svolto dalle tecnologie digitali nel fornire accesso ai dati della clientela, elemento che aiuta le imprese a comprenderne i bisogni (la cosiddetta customer intimacy ) e a offrire servizi nuovi o migliori e soluzioni su misura con livelli di qualità più elevati. Ciò, a sua volta, sostiene i miglioramenti della qualità dei prodotti esistenti, che va ad aggiungersi ai miglioramenti strettamente derivanti dalla tecnologia. Un più semplice accesso ai mercati è altresì annoverato come fattore importante. Gli intervistati inoltre riconoscono che la digitalizzazione accresce la flessibilità di cui dispongono nella scelta dei prezzi. Circa la metà dei partecipanti afferma che l adozione di tecnologie digitali ha aumentato la capacità della loro impresa di adattare i propri prezzi in rapporto a quelli dei concorrenti, nel corso del tempo e su vari mercati. In particolare, le imprese intervistate hanno sottolineato la possibilità di sfruttare meglio i picchi di domanda e dunque catturare il valore di beni e servizi forniti alla clientela. Al tempo stesso, la digitalizzazione rende possibile gestire e ottimizzare molto meglio le forniture e liberarsi di sprechi e frizioni lungo la catena del valore. Mentre molte imprese, soprattutto manifatturiere, hanno tendenzialmente visto nella digitalizzazione una riduzione dei costi e un aumento dei margini, gli esercizi commerciali hanno assistito con maggiore probabilità a una crescita dei costi degli input e a una riduzione dei margini. L impatto della digitalizzazione sui prezzi non è chiaro, si osservano pressioni al ribasso soprattutto nel segmento dei servizi ai consumatori. Agli intervistati sono state poste domande in merito all impatto previsto sui prezzi in ragione dell adozione di tecnologie digitali da parte a) della loro impresa ( impatto diretto ) e b) di altri agenti, quali fornitori, concorrenti e clienti ( impatto indiretto ). In entrambi i casi, la quota di 18

partecipanti che si aspettano un impatto minimo o assente, o sono incerti, è stata relativamente alta (circa il 50 per cento). Nel complesso, i produttori di beni tendono a considerare l adozione delle tecnologie digitali come l elemento che ha permesso loro di aumentare i prezzi. Di contro, i fornitori di servizi, soprattutto gli esercizi commerciali, sono più inclini a considerare l adozione di tecnologie digitali da parte di altri come un elemento che esercita una pressione al ribasso sui propri prezzi di vendita. Gli intervistati riconoscono che la digitalizzazione aumenta la produttività, grazie alla facilità di condivisione delle conoscenze e alla maggiore efficienza dei processi produttivi. Pressoché tutti i partecipanti considerano la maggiore facilità di condivisione delle conoscenze, soprattutto all interno dell impresa, come un canale importante attraverso cui la digitalizzazione aumenta la produttività, e circa la metà considera questo aspetto molto importante. Quasi altrettanto importante è il ruolo svolto dalla digitalizzazione nel rendere i processi produttivi più efficienti attraverso l automazione. Molti partecipanti sottolineano che l aumento della quantità di dati e informazioni che raccolgono, sia all interno che all esterno dell organizzazione, si rivela molto utile a soddisfare le richieste dei propri clienti. L effetto complessivo sulla produttività è percepito come estremamente positivo, con il settore dei servizi, in particolare il segmento business-to-business, che generalmente riferisce un effetto più accentuato. Nel complesso, i partecipanti ritengono che la digitalizzazione abbia un modesto impatto negativo sull occupazione, mentre sottolineano l importanza della riqualificazione e dell aggiornamento professionale. Circa un terzo degli intervistati si aspetta che la digitalizzazione riduca l occupazione nella propria impresa nell arco dei successivi tre anni, mentre circa un quinto prevede un aumento dell occupazione. Si ritiene che la digitalizzazione sostituisca gli impieghi con un livello di qualifica basso e medio, ma non quelli altamente qualificati. In particolare, si rileva che la digitalizzazione aumenta il rapporto tra lavoratori altamente e scarsamente qualificati, ponendo l accento su riqualificazione e riassegnazione dei lavoratori a nuovi compiti che prevedono l uso di tecnologie digitali. 19

7. Spostamenti quotidiani e nuove forme di mobilità - ISTAT - 2017 Nel 2017 si stima che circa 30 milioni di persone si spostino ogni giorno per raggiungere il luogo di studio o di lavoro: oltre un terzo della popolazione (il 35,5%) si sposta per motivi di lavoro, il 18,5% per motivi di studio. Il pendolarismo riguarda oltre la metà della popolazione residente nelle regioni del Nord e nei grandi comuni; percentuali più basse si registrano nel Mezzogiorno e nei comuni di piccole dimensioni. Negli ultimi dieci anni sono diminuiti gli spostamenti di durata inferiore ai 15 minuti (dal 49,1% del 2007 al 45,9% del 2017) e sono aumentati quelli diretti fuori comune (dal 41,6% al 44,3%), soprattutto per motivi di lavoro. Il 51,6% degli occupati si sposta al di fuori del proprio comune e circa uno su tre impiega meno di 15 minuti per raggiungere la destinazione. Si muove solo nell ambito del proprio comune il 68,6% degli studenti e il 60,0% ha tempi di percorrenza inferiori ai 15 minuti. L 81,6% delle persone usa almeno un mezzo di trasporto per recarsi a scuola o a lavoro, soprattutto l automobile, utilizzata dal 69,2% degli occupati come conducenti e dal 37,0% degli studenti come passeggeri. Tra gli occupati il 73,7% usa esclusivamente mezzi privati per i propri spostamenti il 7,0% soltanto mezzi pubblici e il 4,1% mezzi sia pubblici sia privati. Tra gli studenti, il 38,3% usa unicamente mezzi privati, il 26,6% mezzi pubblici e il 6,1% entrambi. Si spostano a piedi il 12,0% degli occupati e il 27,9% degli studenti. Quasi una persona si cinque (19,1%) sceglie una forma attiva per gli spostamenti: va a piedi il 17,4% e in bici l 1,7%. È in leggero aumento la quota di coloro che si spostano a piedi - dal 16,2% del 2007 al 17,4% del 2017 mentre è sostanzialmente stabile l uso del mezzo privato. Le donne occupate scelgono modalità di mobilità più sostenibili: vanno più spesso a lavoro a piedi (14,8%), in bici (2,0%) o con il trasporto pubblico (9,6%). I giovani e i più istruiti si spostano di più con i mezzi pubblici o in bici. L uso delle mezzo privato per andare al lavoro è invece prevalentemente appannaggio degli uomini tra i 25 e i 44 anni e con livelli medi di istruzione. Tra gli studenti, l utilizzo del mezzo varia in funzione della distribuzione sul territorio delle scuole di diverso ordine e grado e degli atenei. Tra i 15 e i 24 anni prevale la scelta dei mezzi pubblici mentre il 35,3% di studenti di 25 anni e più usa esclusivamente il mezzo privato. 20