La mente nel campo giochi evolutivo SOFIA TAVELLA Psicologa e psicoterapeuta dell infanzia e dell adolescenza Docente di Psicologia c/o Facoltà di Scienze Motorie Università di Urbino Docente di psicologia c/o Facoltà di Medicina e Odontoiatria Sapienza, Università di Roma Vieni a giocare con me, propose il piccolo principe alla volpe, sono così triste. Non posso giocare con te, disse la volpe, non sono addomesticata. Ah! Scusa, fece il piccolo principe. Ma dopo un momento di riflessione soggiunse: Che cosa vuol dire addomesticare?. È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare legami, disse la volpe, tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l uno dell altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo (Dal Piccolo Principe di Saint Exupery) Lo sport è l insieme di gioco + agonismo. L esperienza insita in ogni sport non è solo carica di valori ispirati alla vittoria ad ogni costo e alla scarica di aggressività che si accompagna ad ogni prestazione sportiva, ma anche di valori più spostati sul versante ludico ricreativo, propri di chi fa sport per gioco, ossia per nutrire un proprio piacere personale che qualche volta diventa anche professionale, quando lo sport diventa l espressione di una carriera vera e propria. Lo sport è dunque gioco oltre che agonismo. È nel piacere del gioco che si costruisce la propria autostima che si nutre del giudizio degli altri. Incontrare se stessi e gli altri attraverso il gioco fa parte di quella dimensione relazionale che è fondamentale agli inizi della vita come nella fase evolutiva più adulta. I bambini, come gli adolescenti e come gli adulti hanno bisogno di giocare. Il gioco è un bisogno innato, è un attitudine, una predisposizione innata che ogni essere umano possiede fin dalla nascita e che nel corso della vita può imparare a sviluppare e perfezionare. 1
1. Nel gioco un esperienza di relazione Il gioco (play) a differenza dello sport (game) rappresenta il mondo inconscio del bambino. È una sorta di contenitore emozionale e di spazio condiviso che attiva esperienze di comunicazione e di relazione. Basti pensare al gioco più antico, classico e conosciuto: quello con la palla. Dare una pallina ad un bambino significa invitarlo verso un percorso motorio ricco di significati e di risvolti pedagogici che nessun altro oggetto è in grado di dare. Si tratta di un percorso motorio che fa diventare liberi e creativi e fa scoprire il mondo. I momenti più significativi di questo percorso sono due: la riattualizzazione regressiva di quello che per ognuno di noi è un movimento antico: il sentirsi cullati nel liquido amniotico della pancia della madre; lo sperimentare un piacere fisico, di cui si avvantaggia anche la psiche: il piacere del contatto, dell essere avvolti, abbracciati dal liquido amniotico dell utero materno (utero biologico): abbraccio che precede quello che metaforicamente descrive la relazione di attaccamento che nasce con l accudimento dei bisogni del bambino quando nasce e viene accolto nell utero di coppia madre (l utero sociale). Il lanciare sistematicamente la pallina o altri oggetti è la conquista di uno spazio che al momento il bambino non può ancora raggiungere con il corpo. La traiettoria dell oggetto lanciato è il prolungamento del loro gesto, l ingrandimento del loro spazio di azione. Con la pallina che rimbalza il bambino non solo scopre le direzioni riferite su piani ortogonali del corpo, ma anche le proiezioni dello spazio che partono dal suo io per entrare nella dinamica dell altro. Da tutto il mio corpo, a seconda di come lancio o come palleggio la palla, partono infinite traiettorie: l altro può percepirle, contrastarle, incontrarle e prolungarle con ancora nuove traiettorie da imprimere alla palla con il proprio corpo. È la scoperta del gioco di squadra. 2
Il gioco (play) come uno spazio giochi evolutivo che è luogo del mondo inconscio del bambino, contenitore di emozioni, spazio condiviso, strumento di relazione e di comunicazione; luogo di benessere e strumento di gestione dell aggressività. L adulto è chiamato a fare scelte intelligenti: individuare, orientare e valorizzare il talento sportivo, educare al fair play, rafforzare l autostima; mentalizzare e motivare adottando una politica educativa relazionale che supera il modello impositivo e lo stile di compiacenza e di iperprotezione e trascuratezza, abbracciando la tenerezza rispecchiante, ma soprattutto lo sguardo di ritorno che si esprime nel soddisfare il bisogno di amore e di ammirazione per le imprese che compie. Abbracciare è tenere, contenere e sostenere. Sono queste tre azioni educative che permettono di creare quell ambiente culla di emozioni necessario e funzionale ad una crescita sana. Essere là con la mente e con il cuore, con la passione e con tutto. più alto vola il gabbiano e più vola lontano (da J. Livingston). 2. Conclusione aperta La conclusione principale che mi viene spontaneo sottolineare con una frase è: mai smettere di giocare. Il gioco è l attività più precoce dell essere animale, sia esso un neonato da donna oppure un qualunque cucciolo della natura. Come già si è detto il gioco è il principale ingrediente dello sport anche se l opinione pubblica distingue una sorte di gerarchia tra il gioco e lo sport. Poiché lo sport viene ovviamente dopo, gli si dà più valore, addirittura una dignità comportamentale, una specie di salto di qualità. Molti parlano di sport, lo enfatizzano, lo predicano, lo studiano, lo praticano, ne vivono, lo chiamano fenomeno sociale ; pochi parlano del gioco, in prevalenza psicologi e pedagogisti perché il gioco è sinonimo di puerilità, è la contrapposizione del lavoro, è relegato negli spazi angusti del tempo libero se non proprio nello stile di vita degli inconcludenti. Forse è opportuno rivalorizzare il gioco e restituirgli come forse in questo piccolo spazio dedicatogli in 3
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