GIOTTO : LA CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI PADOVA Non esiste, si può dire, nessuna opera di Giotto che sia accettata concordemente da tutti gli studiosi più autorevoli prima della cappella degli Scrovegni a Padova. Giotto fu chiamato intorno al 1302, probabilmente dai frati minori, per i quali ha eseguito degli affreschi nella loro chiesa, oggi perduti. Subito dopo Enrico degli Scrovegni gli commissiona le pitture nella cappella chiamata dell Arena. Enrico degli Scrovegni era l uomo più ricco di Padova e aveva acquistato il terreno per la cappella nel 1300: suo padre era stato in carcere per usura, Dante lo ha messo tra i dannati. Un antico cronista padovano dice che la cappella venne eretta da Enrico ad espiazione dei peccati del padre, una pratica non rara. Giotto, quindi, dipingeva non solo per gli ordini religiosi, ma anche per i ricchi borghesi del tempo. Più tardi lavorerà per i Bardi ed i Peruzzi, i banchieri più importanti di Firenze. Lo stesso Giotto era ricco, infatti aveva una bella bottega frequentata da molti giovani allievi. La Cappella degli Scrovegni non è molto grande, lunga quasi trenta metri, larga otto e mezzo ed alta tredici al vertice della volta. Le pareti sono affrescate su tre livelli con le storie di Cristo, precedute da quelle della Madonna e di Gioacchino le prime ad essere dipinte, in alto, sulla destra. Si iniziava a dipingere gli affreschi sempre
dall alto per un motivo tecnico molto banale: il colore poteva colare e avrebbe rovinato eventuali affreschi inferiori. Gioacchino era il padre di Maria, cacciato dal tempio di Gerusalemme perché il suo matrimonio con Anna era rimasto sterile. Nella prima scena, proprio quella della Cacciata dal tempio troviamo un tempio reinventato con gli elementi di una chiesa medievale, il ciborio, la transenna, il pulpito. Questa ricostruzione è fatta in modo tale, con un intuizione immediata e straordinaria della prospettiva, che si distanzia immediatamente e di molto da tutte le precedenti rappresentazioni dello spazio. Le figure hanno un naturale collegamento ed integrazione con le architetture, come se architettura e personaggi avessero lo stesso diritto di esistere nella realtà dello spazio. L architettura non è un coplemento illustrativo della scena, ma qualcosa che siste e dentro la quale vivono gli uomini. C è un nuovo modo di concepire la realtà che prima di Giotto non esisteva.
Nella seconda scena: Il ritiro tra i pastori si notino gli alberelli, alcuni stanno dietro e quindi sono più piccoli. Uno è nascosto da una roccia e se ne vede solo la chioma. Quindi il pittore che lo ha dipinto ha immaginato razionalmente uno spazio al di là della roccia e prima dell albero, uno spazio che c è e che non si vede, ma che esiste, è un fatto straordinariamente rivoluzionario nella storia della pittura. Un fatto legato alla nuova mentalità che si stava affermando in quegli anni a Firenze. Una mentalità razionalista, selezionatrice, lucida. Giotto analizza il senso più nobile e più intellettuale: la vista. E la vista che misura, che giudica, che comprende lo spazio, che stabilisce un rapporto di distanza, che costruisce secondo una prospettiva. E la vista di cui si serve la mentalità scientifica per lavorare: non a caso i Greci l avevano collocata al centro dell idea stessa della conoscenza, con la geometria. Gli uomini delle generazioni precedenti a Giotto, o meglio, gli uomini dell epoca precedente all ascesa della borghesia mercantile, erano ancora pienamente medievali, fatti per vivere all aria aperta, nelle campagne a coltivare duramente. Mentre i mercanti fiorentini e i notai e gli uomini pubblici della fine del Duecento con i quali Giotto vive in assonanza, sono nei loro studi a far di conto, a ragionare, a razionalizzare, a scegliere. Tutto questo si riflette nella pittura di Giotto.
Il nodo di sentimenti reciproci che lega Gioacchino e Anna si scioglie Nell Incontro alla Porta Aurea, una delle prove più complete della ricchezza di possibilità espressive da parte di Giotto, che qui rappresenta anche il tenero bacio tra i due protagonisti. Nel terzo riquadro, L annuncio a Sant Anna, troviamo una casa classica con un frontone (Giotto poteva aver visto qualcosa di simile a Roma), rappresentata con una prospettiva quasi esatta. Non è una prospettiva matematica, perché quella arriverà più tardi, con gli studi di Brunelleschi, ma una prospettiva intuita, da uno che guardava la realtà con occhi aperti, non adagiandosi su tipologie e su insegnamenti ricevuti. La luce invece, è sbagliata, perché non c è mai, in Giotto, il senso della fonte unica di luce.
Negli affreschi di Giotto le rocce e gli alberi servono a reggere l equilibrio di ogni gruppo. Però Giotto, grande creatore di spazio architettonico e osservatore di tipi umani, non è interessato al paesaggio come lo intendiamo noi: è tutto concentrato nello spazio e nel dramma umano. Nelle storie della Vergine il tema è diverso: la storia di Gioacchino è una vicenda maschile-pastorale, quella della Vergine è molto più delicata, anche cortese. Per esempio, prendiamo la scela del corteo nuziale. Si osservi la finezza dei profili femminili, le pieghe delle stoffe, il gesto elegantissimo della Vergine nel raccogliere le pieghe con la mano: è un processo di raffinamento che ricorda molto la scultura gotica francese. Le figure sembrano degli avori, che certamente dovevano circolare in discreto numero per l Italia insieme con le miniature: un arte di corte per intenditori. Qui si presenta un altro problema complesso: il rapporto tra Giotto e la grande arte gotica francese, rapporto iconografico ed estetico. Infatti troviamo nei due casi, oltre ad una stretta corrispondenza iconografica, anche una simile tensione drammatica, uno stesso modo di raccontare grave e severo, identiche pause solenni di colloquio muto. La parte più ampia degli affreschi della Cappella degli Scrovegni riguarda la vita di Cristo. La fonte maggiore per la pittura della vita di Cristo è stata le Meditationes Vitae Christi di Giovanni di Caulibus, conosciuto come Bonaventura, francescano di San Gimignano: è un opera in cui la vicenda di Gesù viene narrata nei più minuti particolari. La passione di Cristo, come storia di dolore e di martirio, nel Medio Evo aveva già di per sé un forte richiamo, una risonanza immediata nel popolo. E più una storia è sentita, più è necessario renderla espressiva: una parte del realismo medievale è legata proprio alla drammaticità e alla popolarità della Passione.
Uno degli affreschi più emozionanti di Giotto é la Natività. Osserviamo il profilo della Madonna, forse il più dolce profilo di donna mai dipinto, ma la sensazione che ci dà, l essenza della cosa, è inesprimibile a parole. Le parole, anche i concetti più articolati e profondi, risultano molto spesso delle approssimazioni. Questa natività è una composizione non molto dissimile da quella che è sul pulpito di Nicola Pisano o nella Maestà di Duccio. Che cosa è allora che la distingue, che ne fa tutta un altra cosa? E l intensità umana, il gesto della Mdonna che riceve tra le braccia il bambino con una attenzione, con una concentrazione Questo incrociarsi di sguardi tra la Madonna e il bambino: dolce-triste nella Madonna, maturo e consapevole del Bambino. E come una premonizione di tutto quello che accadrà: c è proprio il senso interno alla storia e alla tragedia di Cristo in questi occhi spalancati, profondi.
Nella Fuga in Egitto, scena celeberrima, l ultima figura a sinista è tagliata a metà, come in un fotogramma: è una scena che si sviluppa in orizontale e primo piano, aperta, con un senso straordinario, un andare su per il leggeto pandio con due coppie di personaggi che parlano tra loro. Nell Entrata di Cristo in Gerusalemme suno decisamente scenografici quei ragazzini straordinari che si sono arrampicati sugli ulivi e ne strappano le foglie, e nello stesso riquadro, la donna che tenta di togliersi l abito facendolo passare per la testa e vi rimane impigliata: un particolare geniale.
Nel Bacio di Giuda leggiamo uno dei momenti di massima maturità espressiva dell arte di Giotto. Al centro dell affresco Giuda bacia Cristo, avvolgendolo in un abbraccio che fa delle due figure un unico, solidissimo blocco. Attorno ai protagonisti, drammaticamente immobili, gli occhi negli occhi, si agita la folla tumultuosa delle guardie che vogliono procedere all'arre to del Maestro e quella degli Apostoli che tentano generosamente di opporvisi. La profondità spaziale è suggerita dall agitarsi delle lance, torce e bastoni. Significativo appare il personaggio incappucciato di spalle, rappresentato nell atto di trattenere per il mantello Pietro che, in un impeto di rabbia, ferisce a un orecchio uno degli sbirri. La presenza di figure velate, incappucciate o viste da dietro è ormai quasi una costante della pittura giottesca e contribuisce ad accrescerne il senso di realismo. La posizione frontale, infatti, tipica di tutti i dipinti di scuola gotica e bizantina, presuppone che le scene siano composte appositamente per essere guardate, quasi come se si fosse su di un palcoscenico teatrale. In Giotto, al contrario i personaggi appaiono sempre intenti all azione ed incuranti degli eventuali spettatori, tanto che possono permettersi non solo di non guardarli, ma anche di voltare loro le spalle. I personaggi visti di spalle, infatti, sono un espediente per coinvolgere lo spettatore nell azione, dal momento che rappresentano quelli che ci stanno davanti, proiettandoci in tal modo direttamente all interno della narrazione pittorica.
Il Compianto sul Cristo morto, uno degli affreschi più famosi del ciclo padovano, è anche uno dei più intensi e drammatici. I personaggi non sono posti in modo da offrirsi frontalmente allo sguardo dello spettatore ma, piuttosto, vengono colti nel momento culminante del loro intimo dramma. L attenzione di tutti va al solenne Cristo morto, abbracciato con amorevole disperazione da una Maria alla quale il pianto ha contratto i lineamenti in una sorta di smorfia. San Giovanni, il più amato dei discepoli, allarga le braccia, straziato dal dolore, mentre una delle pie donne velate sorregge con affettuosa tenerezza il corpo di Gesù. Anche gli angeli del cielo, unica concessione al simbolismo medioevale, piangono e si disperano con partecipazione umana. La loro astrattezza, del resto, viene completamente annullata dalla vivacità degli scorci prospettici attraverso i quali sono rappresentati.
La grande parete della controfacciata è occupata dal Giudizio Universale. Impostato intorno alla figura di Cristo, attorniato da compatte schiere di angeli, che divide i beati e i dannati, i quali precipitano fra le orrende pene infernali. Il palmo della mano destra di Cristo e rivolto verso l alto ad indicare la salvezza dell anima e il palmo della mano sinistra è rivolto verso il basso ad indicare la dannazione. La scena è affollata, vivace, di Giotto l invenzione e l impostazione generale ma molti particolari sembrano essere stati affidati agli allievi. Sulla stessa parete appare il ritratto del committente, Enrico Scrovegni, inginocchiato ai piedi della croce della passione di Cristo che dedica il modellino della cappella alla Madonna affiancata da San Giovanni Evangelista e da Sant Orsola.
Le Allegorie delle Virtù e dei Vizi avrebbero dovuto essere dei momenti minori del ciclo degli Scrovegni. L Ira, una donna che si strappa le vesti con estrema forza.
La Carità, il vaso che regge in mano, riempito di melagrane, con le spighe, una castagna con il riccio, una pesca, le nocciole. E forse la prima natura morta dell arte dopo quelle romane. C è il ricordo dei mosaici antichi e c è, come sempre in Giotto, l osservazione quotidiana, immediata. Nell Ingiustizia si noti come sia realistico il nudo di donna, con i seni e la pancia gonfia.