1.1. Licenziamento in genere.



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Licenziamento, intimazione e impugnazione 1. Licenziamento, intimazione e impugnazione. 1.1. Licenziamento in genere. Il termine licenziamento indica, nella prassi, il recesso unilaterale del datore di lavoro dal rapporto che lo lega al prestatore di lavoro subordinato e in tal senso si contrappone al termine dimissioni, utilizzato comunemente per indicare il recesso del lavoratore. Esso appartiene al mondo del lavoro dipendente e, per tradizione, al mondo del lavoro di diritto privato, posto che, sino a non molto tempo fa, nel rapporto di servizio alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni la risoluzione del rapporto per iniziativa datoriale avveniva per motivi disciplinari nelle forme della destituzione dall impiego e di istituti similari. In quanto atto di manifestazione unilaterale di volontà, esso produce effetto nel momento in cui il destinatario riceve la comunicazione (atto unilaterale ricettizio) ed è a questo momento che deve essere riferita la disciplina giuridica nel caso di intervenuto eventuale mutamento durante il periodo di preavviso (Cass. sez. lav., 2 febbraio 1999, n. 874). L atto è soggetto alla disciplina di cui all art. 1134 codice civile e produce il suo effetto nel momento in cui il lavoratore riceve l intimazione da parte del datore di lavoro (Cass. sez. lav., 1 settembre 2006, n. 18911) ma l atto, di per sé, è perfetto con la sola espressione della volontà (Cass. sez. lav., 11 luglio 2006, n. 15678). Più precisamente, per quanto concerne gli effetti, la giurisprudenza ha posto in luce una importante circostanza. Nell ambito della bilateralità del rapporto, la dichiarazione di licenziamento non vale, da sola, a risolvere il rapporto stesso, in quanto a tale scopo occorre tener conto del successivo comportamento delle parti. Il lavoratore può accettare il licenziamento, e dalla sua accettazione prende corpo lo scioglimento del vincolo contrattuale. Tuttavia essendo prevista la facoltà del lavoratore destinatario dell atto di impugnarlo, il licenziamento produce, nel frattempo, soltanto la sospensione del rapporto, nel cui contesto il datore di lavoro rifiuta di ricevere la prestazione. Il negozio costituito dal licenziamento si perfeziona, come accennato, nel momento in cui l altrui manifestazione di volontà perviene a conoscenza del destinatario; ma l effetto tipico sul rapporto è differito, in quanto il rapporto rimane pendente ed è soltanto esposto a una interruzione di fatto (Cass. sez. lav., 14 settembre 2009, n. 19770; idem, 22 marzo 2007, n. 7049). Si nega, anche per questi aspetti, che un licenziamento nullo o illegittimo possa, per se stesso, risolvere automaticamente il rapporto tra datore e prestatore di lavoro; tuttavia, poiché indubbiamente l atto determina una interruzione nel normale svolgimento delle relazioni lavorative, si esclude che il lavoratore possa vantare un diritto alle retribuzioni maturate Definizione Effetti Interruzione della relazione lavorativa 15

IL NUOVO PROCESSO DEL LAVORO medio tempore, che resterebbero prive di causa, in assenza di prestazione, e si afferma che il lavoratore ha invece diritto al risarcimento del danno sopportato per effetto del licenziamento ingiusto o invalido (Cass. sez. lav., 18 maggio 2006, n. 11670; idem, 18 febbraio 2003, n. 2392). La precisazione è particolarmente rilevante nel caso di licenziamento inefficace per difetto della intimazione in forma scritta. Esso non incide sulla continuità del rapporto, perché, per definizione, non produce effetti: ma attribuisce al lavoratore il solo diritto al risarcimento del danno e non anche a ricevere le retribuzioni non percepite. La normativa vigente distingue i licenziamenti individuali dai licenziamenti collettivi, detti anche per riduzione del personale. L. 223/1991 16 1.2. I licenziamenti collettivi. La disciplina dei licenziamenti collettivi (in origine demandata a un accordo interconfederale allegato al D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1019) è contenuta nella legge 23 luglio 1991, n. 223, la quale detta, inoltre, norme in materia di mobilità dei lavoratori. Essa descrive una specifica procedura da espletare per le imprese che, ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale, ritengano di non essere in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative alla riduzione del numero degli occupati. La procedura ha per presupposto aziende con più di 15 dipendenti che intendono effettuare almeno 5 licenziamenti in ciascuna unità produttiva (o in più unità produttive purchè dislocate nell ambito della stessa provincia) nell arco di 120 giorni. Si tratta, in genere, di fasi di riduzione o di trasformazione dell attività imprenditoriale che impediscono di mantenere gli stessi livelli occupazionali. Il termine numerico e quello temporale indicati dalla legge sono molto ristretti ed è sufficiente che un datore di lavoro ecceda in uno di essi perché si apra la necessità della consultazione sindacale nella quale si sostanzia, in pratica, la procedura di licenziamento collettivo. Esistono, dunque, i licenziamenti individuali, i licenziamenti plurimi e i licenziamenti collettivi: i due ultimi tipi a diretto confine tra loro. La giurisprudenza tende, in proposito, a individuare una differenza sostanziale e di grande rilevanza anche e proprio nel giudizio sulla liceità del licenziamento. Oltre al rispetto del criterio formale costituito dal numero e dal periodo temporale, si afferma, il licenziamento collettivo deve trovare giustificazione e ragione in un effettivo ridimensionamento aziendale determinante la necessità di ridurre il personale; in assenza di questo presupposto, si applica la disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, pure se plurimi (Cass. sez. lav., 17 marzo 1999, n. 2426; idem, 22 gennaio 1995, n. 599; idem, 24 aprile 1990, n. 3427).

Licenziamento, intimazione e impugnazione La procedura ha inizio con una comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali e alle associazioni di categoria; è previsto un esame congiunto della situazione tra le parti, in vista della possibilità di raggiungere un accordo sulle soluzioni da adottare, anche con l eventuale intervento dell Ufficio provinciale del lavoro; all esito, i lavoratori sono collocati in mobilità se non sono stati adottati strumenti diversi. La legge cennata indica i criteri per la scelta dei lavoratori da licenziare, le indennità da corrispondere e il trattamento da riservare ai lavoratori collocati in mobilità e privi di un altra occupazione. Il provvedimento di riforma del mercato del lavoro è intervenuto a modificare i tempi entro i quali l impresa deve comunicare all Ufficio provinciale del lavoro gli avvenuti licenziamenti (sette giorni da essi, e non più contestualmente, come era stabilito precedentemente); ha attenuato le conseguenze delle violazioni formali riguardanti le comunicazioni obbligatorie a carico dell impresa nel corso della procedura (ora sanabili, d intesa con i sindacati mentre anteriormente e secondo l interpretazione giurisprudenziale i licenziamenti dovevano essere ritenuti invalidi: è questo, ad esempio, il caso della lettera di apertura del procedimento che sia lacunosa o incompleta); e ha ridotto le sanzioni per le inosservanze in danno dei lavoratori. In particolare, il provvedimento di riforma ha apprestato tre tipi di tutela riparatoria del lavoratore per altrettante tipologie di licenziamento irregolare, fermo il principio affermato dalla giurisprudenza secondo il quale il licenziamento collettivo non è che un cumulo di licenziamenti individuali, ciascuno dei quali autonomo nella propria vicenda e autonomamente impugnabile: 1) per il licenziamento intimato senza la forma scritta, si applicano le regole di cui ai primi tre commi dell art. 18 della legge n. 300 del 1970&, come contestualmente sostituito: il licenziamento è nullo e il giudice ordina & Art. 18. L. 20 maggio 1970 n. 300. (Reintegrazione nel posto di lavoro). Ferme restando l esperibilità delle procedure previste dall art. 7 della L. 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro. Procedura e criteri Dopo la riforma Attenuazione delle sanzioni Art. 18 Prima della riforma 17

IL NUOVO PROCESSO DEL LAVORO la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, e condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, quantificato in una indennità commisurata all ultima retribuzione globale di fatto, dedotto quanto percepito per l eventuale svolgimento di altra attività lavorativa, non inferiore a cinque mensilità, oltre i contributi previdenziali e assistenziali; il lavoratore può chiedere entro trenta giorni, in vece e luogo della reintegrazione, il versamento di una indennità pecuniaria pari a 15 mensilità dell ultima retribuzione globale di fatto, non assoggettata a contribuzione, la cui richiesta comporta la risoluzione del rapporto; il rapporto è comunque risolto se il lavoratore non riprende il servizio entro trenta giorni dall invito che riceve dal datore di lavoro, salvo che abbia chiesto l indennità. 18 Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui al primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie. Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l inefficacia o l invalidità stabilendo un indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti. La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva. Nell ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all art. 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questo aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. L ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell art. 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile. L ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa. Nell ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all art. 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all importo della retribuzione dovuta al lavoratore.

Licenziamento, intimazione e impugnazione 2) Per il licenziamento intimato senza l osservanza delle procedure di cui all art. 4 della legge n. 223 del 1991, si applica la regola di cui al terzo periodo del settimo comma dello stesso art. 18: il rapporto è dichiarato risolto e il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell ultima retribuzione globale di fatto. 3) Per il licenziamento intimato con violazione dei criteri di scelta del lavoratore licenziando si applica la regola di cui al comma quarto del citato art. 18: il licenziamento è annullato e il giudice condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all ultima retribuzione globale di fatto, dedotto quanto percepito per altre attività lavorative nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi alla ricerca di una nuova occupazione, in misura in ogni caso non superiore a dodici mensilità, oltre i contributi previdenziali e assistenziali, maggiorati degli interessi nella misura legale ma senza applicazione di sanzioni; anche in questo caso il lavoratore può chiedere l indennità sostitutiva, che risolve il rapporto, e il rapporto è risolto se il lavoratore non riprende il servizio entro trenta giorni su invito del datore di lavoro (questa disciplina si applica ai datori di lavoro che occupano più di quindici dipendenti, o situazioni assimilate). Impugnazione del licenziamento L impugnazione del licenziamento segue le regole dettate per l impugnazione del licenziamento individuale (art. 6, nuovo testo, della legge 15 luglio 1966, n. 604&): vale a dire, osservanza di un doppio termine di decadenza, l uno entro il quale deve essere comunicata l impugnazione del licenziamento (o collocamento in mobilità) e l altro per il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice del lavoro. Impugnazione del licenziamento & Art. 6. L. 15 luglio 1966, n. 604. Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l intervento dell organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo. A conoscere delle controversie derivanti dall applicazione della presente legge è competente il pretore. 19

IL NUOVO PROCESSO DEL LAVORO Va osservato che sovente la tutela del lavoratore licenziato è stata attuata nella pratica in modo diverso, con l assumere che le inosservanze riscontrate nella procedura di licenziamento collettivo costituiscono un comportamento antisindacale, ai sensi dell art. 28 dello Statuto dei lavoratori. Ciò è avvenuto deducendo in giudizio il mancato coinvolgimento di alcune delle rappresentanze individuate dalla legge come destinatarie della comunicazione di avvio della procedura o per la stessa genericità nell indicazione delle circostanze che motivavano il licenziamento collettivo. Lo strumento così a disposizione dei sindacati si è rivelato particolarmente efficace, in quanto esso consente di ottenere la rimozione degli effetti del comportamento antisindacale, da attuarsi con l ordine di reintegro del lavoratore nel posto di lavoro, il risarcimento del danno e la corresponsione delle retribuzioni omesse. Forma 1.3. L intimazione del licenziamento. Gli artt. 2118 e 2119 & del codice civile non indicano le forme da osservare per manifestare la volontà di recedere dal rapporto di lavoro e per darne comunicazione alla controparte. Una indicazione in proposito fu fornita dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, nota come legge sulla giusta causa, la quale dispose (art. 2) che il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare al dipendente il licenziamento per iscritto. Essa attribuì al dipendente il diritto di chiedere, entro 15 giorni dalla ricezione dell atto, i motivi del licenziamento, se essi non fossero stati specificati nella comunicazione, motivi che entro i successivi 7 giorni dovevano essergli comunicati per iscritto. La regola così posta aveva applicazione entro lo spazio lasciato dalla normativa sui licenziamenti collettivi, posto che questa era sopraggiunta a regolare con modalità diverse le & Art. 2118 c.c. (Recesso dal contratto a tempo indeterminato). Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti [dalle norme corporative], dagli usi o secondo equità. In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l altra parte a un indennità equivalente all importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro. 20 Art. 2119 c.c. (Recesso per giusta causa). Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l indennità indicata nel secondo comma dell articolo precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell azienda.

Licenziamento, intimazione e impugnazione situazioni in cui sono effettuati cinque licenziamenti nell arco di 120 giorni. Fuori da questo caso, l inosservanza della forma scritta per il licenziamento individuale determina l inefficacia del licenziamento. La giurisprudenza aveva chiarito che la forma scritta è richiesta ad substantiam, con la conseguente irrilevanza di una intimazione espressa in forma diversa e la stessa conoscenza che altrimenti il lavoratore ne abbia avuto (Cass. sez. lav., 18 maggio 2006, n. 11670). Non sussiste per il datore di lavoro un onere di adoperare formule sacramentali e la forma di comunicazione è libera (Cass. sez. lav., 13 agosto 2007, n. 17652). È stata ritenuta efficace la comunicazione trasmessa dal rappresentante, munito del relativo potere mediante procura scritta, mentre si è negata efficacia alla successiva ratifica del rappresentato (Cass. sez. lav., 20 giugno 2000, n. 8412). Su questo assetto di diritto positivo il provvedimento di riforma del mercato del lavoro è intervenuto con due innovazioni. L una, di applicazione generale, impone al datore di lavoro di specificare sin dalla comunicazione del licenziamento i motivi che lo hanno determinato (così rendendo superata la norma che attribuisce al prestatore il diritto di chiedere la motivazione, posto che il difetto di indicazione dei motivi cagiona già, da sé, l inefficacia dell atto). L altra disposizione introduce una procedura di conciliazione per il solo particolare caso di licenziamento intimato da una impresa rivestita del requisito numerico per la cosiddetta tutela reale (più di 15 dipendenti in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo; più di cinque dipendenti se l imprenditore è agricolo; e altre situazioni equiparate) e motivato da ragioni inerenti all attività produttiva, all organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (giustificato motivo oggettivo, detto nella prassi licenziamento economico). L esperimento del tentativo di conciliazione deve precedere il licenziamento vero e proprio ed è finalizzato a reperire soluzioni alternative che salvaguardino il posto di lavoro e le esigenze dell impresa. L intenzione del datore di lavoro di procedere al licenziamento individuale, per il motivo e nelle condizioni di cui sopra, deve essere comunicata alla Direzione territoriale del lavoro e trasmessa per conoscenza al lavoratore. La comunicazione deve altresì contenere l indicazione delle eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore licenziato: circostanza, questa, che ha destato perplessità nel mondo imprenditoriale, che si è sentito per questo aspetto trasformato in una sorta di ufficio di collocamento. Il termine eventuale consente, tuttavia, di non addentrarsi in un impegno che può apparire non consono alla situazione di chi, per motivi di andamento produttivo, elimina un posto di lavoro presso di sé. Dopo la riforma 21

IL NUOVO PROCESSO DEL LAVORO Convocazione avanti la commissione provinciale di conciliazione Effetti del recesso 22 Nei successivi sette giorni, datore di lavoro e prestatore di lavoro sono convocati dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione, eventualmente assistiti da rappresentanti delle rispettive organizzazioni o da avvocati o da consulenti del lavoro. L invito si considera validamente effettuato quando è recapitato al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro ovvero è consegnato al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta. La norma che così dispone risponde allo scopo di impedire che l invito venga recapitato su quel luogo di lavoro dal quale il lavoratore può essere stato estromesso in forza della comunicazione dell intenzione di licenziamento o dal quale il medesimo può essersi allontanato ritenendo nel frattempo non più compatibile la sua presenza nell azienda. Il tentativo deve comunque concludersi entro i 20 giorni dalla trasmissione della convocazione, decorsi i quali, il datore di lavoro può comunicare formalmente il licenziamento al destinatario. Questo termine è sospeso, come è sospesa la procedura, per un periodo massimo di 15 giorni, nel caso di impedimento documentato del lavoratore a presentarsi all incontro per il tentativo di accordo. Gli effetti del recesso si producono sin dalla prima comunicazione di intenti e ciò per evitare che, ove essi decorressero dal momento successivo di formalizzazione del licenziamento, come era stabilito nell originario disegno di legge, nel frattempo il lavoratore possa porre in essere stratagemmi, quali una apparente malattia, per differire l operatività dell atto a suo danno. Si fa, però, salvo l eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva; ed altresì sono fatti salvi gli effetti sospensivi disposti dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità, di cui al D.L.vo 26 marzo 2001, n. 151. Gli effetti del licenziamento rimangono, inoltre, sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio sul lavoro. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato. La rilevanza delle modifiche apportate con la riforma, soprattutto per questa tipologia di licenziamento, si coglie ove si consideri che anteriormente era il prestatore di lavoro a dover chiedere il tentativo di conciliazione, dopo aver ricevuto la comunicazione del licenziamento, mentre, attualmente, è lo stesso licenziamento a essere condizionato dall esperimento del tentativo di conciliazione avviato d ufficio sulla base della comunicazione di intenti del datore di lavoro; e ove si rifletta sulle sanzioni apprestate nel caso di inosservanza del requisito motivazionale o della procedura di conciliazione disposta per la tipologia di licenziamento in esame. Il solo difetto di questi adempimenti comporta la condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa, tra un minimo

Licenziamento, intimazione e impugnazione di sei e un massimo di dodici mensilità dell ultima retribuzione globale di fatto. Il rapporto è dichiarato risolto, dal giudice, in quanto la violazione formale o procedurale non è stata considerata sufficiente a incidere sugli effetti della manifestazione di volontà di risolvere il rapporto: a condizione, però, che le condizioni per il licenziamento oggettivo siano riconosciute sussistenti. L insussistenza delle ragioni giustificatrici del recesso datoriale fanno scattare le tutele del lavoratore licenziato previste in genere e a seconda dei casi, per il licenziamento nullo o annullabile. In ogni caso, del comportamento tenuto dalle parti nel corso della procedura conciliativa il giudice deve tener conto ai fini della determinazione dell ammontare dell indennità e della ripartizione delle spese della controversia. Nella sua valutazione il giudice può prendere in considerazione anche quanto risulta dal verbale redatto in sede di commissione di conciliazione e della proposta conciliativa avanzata nella stessa sede e non accettata. 1.4. Le modalità di impugnazione del licenziamento. Il lavoratore che non intenda accettare il licenziamento intimatogli deve formalmente impugnarlo. Egli, ovviamente, è libero di determinarsi nella scelta e per la giurisprudenza l interesse alla prosecuzione del rapporto rientra nell area della piena disponibilità, potendo costituire oggetto di rinunce o transazioni (Cass. sez. lav., 3 ottobre 2000, n. 13134). Le modalità dell impugnazione erano state stabilite dalla legge 15 luglio 1966, n. 604 (art. 6), che aveva integrato per più aspetti la sintetica disciplina dettata dall art. 2119 del codice civile. L impugnazione deve consistere in un atto scritto da comunicarsi entro un termine di decadenza fissato in sessanta giorni. Questo termine è un termine di decadenza dall esercizio del diritto di opporsi al licenziamento e, come tale, è stato ritenuto insuscettibile di interruzione o di sospensione (Cass. sez. lav., 9 marzo 2007, n. 5545). Esso decorre dal momento in cui la manifestazione di volontà del datore di lavoro recedente giunge a conoscenza del lavoratore e non già dalla data di effettiva cessazione del rapporto, perché questa è differita e non si produce immediatamente con la dichiarazione di licenziamento (Cass. sez. lav., 22 marzo 2007, n. 7049). La decadenza non è rilevabile d ufficio ma deve costituire oggetto di eccezione di parte (Cass. sez. lav., 23 settembre 2011, n. 19405). Nessun particolare requisito è stato fissato per l atto, diverso da quello costituito dalla forma scritta; ed è dichiarato sufficiente un qualsiasi scritto, anche extragiudiziale, che sia idoneo al suo scopo di rendere Termini Forma 23

IL NUOVO PROCESSO DEL LAVORO nota la volontà del lavoratore di opporsi al licenziamento. Atto che può essere redatto di persona o comunque pervenire al datore di lavoro anche attraverso l intervento di una organizzazione sindacale. La giurisprudenza ha chiarito che l impugnazione consiste in un negozio giuridico unilaterale ricettizio e che, come tale, esso deve giungere all indirizzo del datore di lavoro nel termine di decadenza fissato per l impugnazione (ad es., Cass. sez. lav., 15 maggio 2006, n. 11116). È sufficiente, si è affermato, che l atto di contestazione sia pervenuto nel termine di legge in un luogo che, per collegamento ordinario o normale frequenza o preventiva indicazione, appartenga alla sfera di dominio o di controllo del datore di lavoro (Cass. sez. lav., 2 agosto 2007, n. 17014, che ritenne validamente impugnato il licenziamento dal lavoratore che aveva inviato l atto di impugnazione nel luogo in cui aveva prestato la sua attività e ove aveva ufficio il direttore centrale del personale, sebbene tale luogo non coincidesse con la sede legale della società e il direttore centrale non avesse potere di rappresentanza della società). L impugnazione può essere proposta da un procuratore munito del mandato occorrente alla rappresentanza sostanziale, la cui mancanza è comunque suscettibile di ratifica ex post ad opera dell interessato (Cass. sez. lav., 20 giugno 2000, n. 8412). Impugnazione tramite raccomandata a/r Impugnazione a mezzo telegramma 24 Nel caso di impugnazione tramite lettera raccomandata, per la giurisprudenza l impugnazione deve intendersi perfezionata quando la spedizione avviene entro il termine di sessanta giorni, in applicazione del principio, affermato anche dalla Corte costituzionale, secondo cui l effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato a un servizio, idoneo, sottratto alla sua ingerenza (Cass. sezioni unite, 14 aprile 2010, n. 8830). Ne segue che la decadenza è impedita dalla consegna dell atto all ufficiale giudiziario o all agente postale entro il detto termine, non avendo rilevanza che il destinatario ne abbia conoscenza successivamente al decorso del termine stesso (Cass. sez. lav., 4 settembre 2008, n. 22287). Nel caso di impugnazione a mezzo di telegramma, il problema che è sorto ha riguardato la prova della effettiva provenienza dell atto dal prestatore di lavoro, spettando a lui dimostrare di avere consegnato l originale all ufficio postale (Cass. sez. lav., 6 ottobre 2008, n. 24660, che ha ritenuto idonee anche le semplici presunzioni). Nella pratica, l applicazione di queste succinte disposizioni diveniva complicata in quanto sul computo e sulla decorrenza del termine di decadenza interferiva l obbligatorietà del tentativo di conciliazione, prevista dall allora art. 410 codice di procedura civile, e da esperirsi nel corso del detto termine decadenziale.

Licenziamento, intimazione e impugnazione Sempre in applicazione del citato art. 6 della legge sulla giusta causa, la giurisprudenza aveva altresì affermato che la mancata impugnazione del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro ma preclude al lavoratore soltanto la possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento ai sensi dell art. 18 della L. n. 300 del 1970, sì che il lavoratore è legittimato a esperire l ordinaria azione risarcitoria in base ai principi generali che la disciplinano, sempre che ne sussistano i relativi presupposti (Cass. sez. lav., 12 ottobre 2006, n. 21833; idem, 10 gennaio 2007, n. 245). La norma dettata dall art. 6 della legge sulla giusta causa è poi stata modificata dalla legge di stabilità 4 novembre 2010, n. 183, con efficacia dal 31 dicembre 2011. Questo provvedimento ha fatta salva la regola per la quale l impugnazione è proposta entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione, a pena di decadenza, con un qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, purché idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore e anche attraverso l intervento dell organizzazione sindacale. Esso ha inserito nel dettato dell art. 6 della citata legge n. 604 del 1966 una disposizione per la quale l impugnazione così proposta è inefficace se non seguita entro il successivo termine di 270 giorni (poi divenuti 180) dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Ove la conciliazione o l arbitrato siano rifiutati o non sia raggiunto l accordo necessario al relativo espletamento effettivo, il termine è ridotto a 60 giorni. L introduzione del termine per la proposizione dell azione in giudizio risponde allo scopo di delimitare nel tempo la situazione di incertezza possibile relativamente all accettazione, o no, del licenziamento da parte del dipendente. Infatti, nel regime normativo precedente si affermava che, una volta osservato il termine di decadenza di sessanta giorni, la successiva azione del lavoratore licenziato poteva essere esercitata entro il termine di prescrizione di cinque anni di cui all art. 1442 codice civile, decorrente dalla comunicazione del recesso (Cass. sez. lav., 1 dicembre 2010, n. 24366; idem, 1 dicembre 2008, n. 28514; idem, 13 dicembre 2005, n. 27428; idem, 24 febbraio 2003, n. 2787). Lo stesso provvedimento di modifica, sopra citato, ha soppresso l allora obbligatorio tentativo di conciliazione, costruito come condizione di procedibilità dell azione in giudizio. Attualmente, dunque, l azione in giudizio di impugnazione del licenziamento è proponibile e procedibile alla sola condizione che sia osservato il doppio termine di decadenza. In caso di inosservanza, il lavoratore che si ritenga ingiustamente licenziato può esercitare l azione per risarcimento del danno entro il termine di prescrizione. Termine di proposizione del giudizio 25

IL NUOVO PROCESSO DEL LAVORO Doppio termine di decadenza e rapporto di lavoro a tempo determinato Risoluzione per anzianità lavorativa Procedure conseguenti alla dichiarazione di impugnazione 26 Il così detto doppio termine di impugnazione è stato esteso dalla legge n. 183 del 2010 (art. 32) ai licenziamenti che presuppongono la nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 del D.L.vo 6 settembre 2001, n. 368 (rispettivamente: termine apposto per ragioni diverse da quelle tecniche, organizzative o sostitutive nell impresa; regime speciale per il trasporto aereo e i servizi aeroportuali; violazione della normativa sulla proroga del rapporto). Secondo l opinione comunemente accettata, la dichiarazione del datore di lavoro di servirsi del termine apposto al contratto per sciogliere il rapporto di lavoro non configura un vero e proprio licenziamento; e l azione del lavoratore rivolta a far constare l illegittima apposizione del termine è considerata quale azione di parziale nullità del contratto e non già come una impugnazione del licenziamento. Ne segue che l avvenuta estensione del doppio termine di impugnazione ai casi di contestazione della nullità del termine deve essere reputata di stretta interpretazione; e non estensibile, a sua volta, alle fattispecie di contestazione del termine nei casi di cui agli artt. 3 e 5 del medesimo D.L.vo n. 368 del 2001. A diversa conclusione deve pervenirsi nel caso di licenziamento effettivo, vale a dire, di recesso datoriale prima della scadenza del termine e indipendentemente da esso. L art. 32, comma secondo, della legge citata, infatti, dispone che l articolo 6, come contestualmente modificato, si applica a tutti i casi di invalidità del licenziamento: e non distingue tra lavoro a tempo indeterminato e lavoro a tempo determinato. La riforma del mercato del lavoro ha lasciato immutata questa disciplina, salvo per la riduzione del termine di 270 giorni a 180 giorni. Un caso particolare si è presentato in relazione a contratti di lavoro nei quali è prevista la risoluzione del rapporto al raggiungimento di una determinata anzianità lavorativa (così per il rapporto di lavoro privatizzato dei dipendenti postali). In queste fattispecie, si è affermato, non è configurabile un vero e proprio licenziamento, in quanto il datore di lavoro che comunica lo scioglimento del rapporto al dipendente si limita ad adeguare il proprio comportamento alla ritenuta avvenuta estinzione automatica al verificarsi dell evento considerato. Ove il lavoratore ritenga la nullità della clausola e intenda impugnarla, deve soltanto offrire la propria disponibilità alla prestazione, per mettere in mora il datore di lavoro (Cass. sez. lav., 30 aprile 2010, n. 10527) e agire in giudizio senza onere di osservanza delle forme e dei tempi di impugnazione di cui all art. 6 della legge n. 604 del 1966 (Cass. sez. lav., 21 maggio 2007, n. 11741; idem, 5 agosto 2004, n. 15130). L espressione impugnazione del licenziamento non è tecnicamente pertinente, se per impugnazione si intende la richiesta a una autorità sovraordinata si rivedere un provvedimento contrario ai propri interessi ed emanato quale espressione di un potere genericamente impositivo. Con l atto

Licenziamento, intimazione e impugnazione del prestatore di lavoro, in realtà, egli manifesta formalmente la volontà di non accettare l atto altrui, rivolto a determinare la risoluzione del rapporto. L impugnazione vera e propria è soltanto eventuale e avviene quando il lavoratore dissenziente non sceglie le procedure alternative di composizione del conflitto che si apre con la controparte recedente e si risolve ad agire in giudizio. Tre sono, sul punto, le strade percorribili: il tentativo di conciliazione; l arbitrato; il ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro. Il tentativo di conciliazione era stato previsto (con il D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80) come obbligatorio in quanto condizione di procedibilità dell azione giudiziaria e trovava disciplina negli artt. 410 e seguenti del codice di procedura civile, profondamente e più volte modificati in seguito (da ultimo, con la legge 4 novembre 2010, n. 183). Il codice di rito civile disciplina attualmente una procedura standard, facoltativa, dinanzi alle commissioni di conciliazione istituite presso le Direzioni provinciali del lavoro, le quali possono essere incaricate di decidere in via arbitrale; e affida, poi, alla contrattazione collettiva la determinazione delle sedi e delle modalità con le quali effettuare le tentate conciliazioni. In particolare, l art. 412 quater c.p.c. consente alle parti di proporre la controversia dinanzi a collegi di conciliazione e arbitrato irrituale dalla medesima disposizione descritti e disciplinati nella composizione e nel funzionamento. L arbitrato rituale è consentito dall art. 806 c.p.c. & soltanto nei limiti in cui lo prevedano la legge o i contratti e accordi collettivi di lavoro. Sul punto è intervenuto l art. 31 della legge 4 novembre 2010, n. 183, al cui testo si rimanda. 1.5. Licenziamento e pubblico impiego. Il D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, ha attuato la così detta privatizzazione (o contrattualizzazione ) del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Dispone l art. 2, secondo comma, che: I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel decreto stesso, che vengono contestualmente definite quali disposizioni a carattere imperativo. Il terzo comma della medesima norma demanda alla contrattazione collettiva la Tentativo di conciliazione Privatizzazione del pubblico impiego & Art. 806 c.p.c. (Controversie arbitrabili). Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge. Le controversie di cui all articolo 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro. 27