Convegno Annuale AIFI 2005 Auditorium Assolombarda. IMPRESE FAMILIARI E PRIVATE EQUITY: la sfida della crescita di Mario Boselli



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Transcript:

Convegno Annuale AIFI 2005 Auditorium Assolombarda Milano 4 Aprile 2005 IMPRESE FAMILIARI E PRIVATE EQUITY: la sfida della crescita di Mario Boselli Prima di affrontare il tema centrale vorrei dare qualche breve cenno sull AIdAF, la sua missione, la sua attività anche per meglio inquadrare le ragioni di interesse per cui sono qui, come Presidente AIdAF, a trattare con voi questo importante argomento. L AIdAF è nata alla fine del 1997 ed ha iniziato la propria attività alcuni mesi dopo affrontando da subito il tema del passaggio generazionale ed il problema dell imposta di successione e donazione che a quell epoca gravava pesantemente sulle imprese e spesso sul loro destino. Grazie ad un lavoro lungo e oneroso ma determinante, siamo riusciti, ben coadiuvati dalla SDA Bocconi e da alcune istituzioni a far ridurre sensibilmente l imposta sin dal gennaio 2001. Successivamente nello stesso anno, il nuovo Governo forse con un po troppa disinvoltura pensò di abolirla del tutto. Fondatori dell AIdAF assieme ad Alberto Falck, che ne è stato il Presidente dall inizio sino alla sua scomparsa, sono stati alcuni imprenditori fra cui Aldo Zegna di Monterubello, Ferruccio Ferragamo, Giulio Fumagalli Romario, Lorenzo Rossi di Montelera, Lorenzo Vallarino Gancia, Maurizio Sella io stesso ed altri. 1

Alberto Falck però è stato la vera anima e il cuore dell AIdAF a cui ha dedicato molto del suo tempo e del suo impegno rivolgendosi soprattutto ai giovani. Oggi Presidente AIdAF sono stato nominato io e cerco di assolvere al meglio questo incarico che ho assunto con molto piacere compatibilmente con tutti gli altri impegni che ho in corso. L AIdAF conta oltre 170 Imprese associate grandi medie e piccole (ma non troppo) il cui fatturato complessivo raggiunge quasi il 9% del PIL italiano. Siamo presenti su tutto il territorio nazionale con una maggiore concentrazione nel Nord-Ovest del Paese. Operiamo per sostenere l immagine positiva delle aziende familiari nei confronti di istituzioni ed opinione pubblica e promuoverne lo sviluppo attraverso incontri, convegni, workshop, scambi di esperienze, seminari di formazione per i giovani membri delle famiglie imprenditoriali. AIdAF assieme ad alcuni imprenditori associati finanzia una cattedra in Bocconi, Cattedra AIdAF- Alberto Falck di strategia delle aziende familiari attraverso cui facciamo studi e ricerche finalizzate a interessare e sensibilizzare le istituzioni ai problemi e alle esigenze specifici delle aziende familiari costituendo al tempo stesso supporto tecnico/scientifico per l introduzione o meno di provvedimenti legislativi. Abbiamo anche un organizzazione estera il GEEF (Groupment Européen des Entreprises Familiales) che riunisce compresa l AIdAF 9 associazioni di altrettanti Paesi Europei (dei 15 ) con un ufficio a Bruxelles per mantenere i contatti con l UE e la Commissione Europea. Ogni nostro Associato fa parte anche del FBN (Family Business Network ) organizzazione che ha sede a Losanna e che riunisce 2

oltre agli imprenditori professionisti, accademici da tutto il mondo che si interessano e si occupano di Aziende Familiari e delle problematiche che le riguardano. Come è noto non c è Paese ad economia evoluta che non abbia un alta percentuale di imprese familiari. Si va da un 72% degli USA al 94% circa dell Italia. E non c è settore imprenditoriale che non sia rappresentato da aziende familiari di successo. La propensione imprenditoriale nel nostro Paese è fortissima: 4.500.000 imprese compongono un tessuto formidabile ma come sappiamo fatto di imprese mediamente piccole (il 98% ha meno di 20 dipendenti). Ne nascono di nuove circa 350.000 ogni anno, il che costituisce un eccezione in Europa. E vero anche però che ne muoiono tante ma sempre con un saldo positivo. Su cento aziende solo il 50% arriva alla seconda generazione e di questo solo il 30% alla terza (il 15% dell iniziale 100) di queste 15 aziende rimaste solo un terzo (5%) si sviluppa compete e cresce. Le nostre imprese sono generalmente sotto capitalizzate e gli imprenditori aprono il capitale con riluttanza per timore di perdere il controllo, o quanto meno di perdere l autonomia gestionale o l indipendenza decisionale. E anche vero che il sistema economico e legislativo/fiscale non ha favorito sino ad oggi l apertura del capitale e che l indebitamento attraverso il sistema bancario, cioè il capitale di debito, ha avuto ed ha tuttora un costo mediamente inferiore a quello del capitale di rischio; infatti le imprese italiane nel loro complesso hanno una elevata dipendenza nei confronti del sistema bancario pari a 3

circa il 50/60% delle risorse contro, tanto per fare un esempio, il 30% di Francia e Germania ed il 13% di UK. In alternativa le imprese hanno fatto ricorso ove possibile all autofinanziamento, piuttosto che aprirsi ad investitori esterni, limitando così molto spesso il proprio sviluppo. Detto ciò si comprende come il tema di oggi sia un tema caldo, importante soprattutto in vista della necessità imprescindibile di crescere e di svilupparsi facendo ricerca, innovazione, dovendo internazionalizzarsi per poter competere e affrontare un contesto ampio e difficile le cui sfide impongono di dotarsi di risorse economiche ingenti, superiori alle possibilità di autofinanziamento delle imprese. Servono competenze nuove, supporti professionali rilevanti e in particolare ampie e approfondite capacità professionali. Anche la nostra Borsa, malgrado gli sforzi e le iniziative, è rimasta asfittica e l attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio non è riuscita sinora a decollare. Oggi sicuramente il P.E. costituisce una opportunità per le imprese soprattutto con l avvento di Basilea 2 di cui ormai si sentono gli effetti, ma ho l impressione che non decolli e comunque non si sviluppi quanto dovrebbe o potrebbe Naturalmente esistono cause che attengono alla specifica cultura dei nostri imprenditori i quali si identificano con la propria impresa, la pensano e la vivono come una propria creatura e la conducono come se dovesse durare per sempre sotto il loro controllo e nella loro gestione. Temono qualsiasi ingerenza in azienda ed in particolare paventano che l ingresso di un P.E. nella gestione possa comportare una maggior lentezza decisionale ed una minor libertà di manovra,oltre 4

naturalmente alla introduzione di adempimenti che considerano pesanti e costosi. Gli imprenditori hanno una visione di lungo termine e sono fortemente radicati sul territorio dove hanno intessuto una valida ed estesa rete di relazioni e sviluppato conoscenze agli occhi delle quali vogliono mantenere la propria immagine di imprenditori pieni e non dimezzati. I presupposti che impediscono psicologicamente all imprenditore di accedere al P.E. sono però anche altri, per cui i P.E. vengono visti con sospetto e diffidenza. Normalmente l investitore chiede di avere delle posizioni nell ambito del C.d.A., cosa che è sicuramente utile dal punto di vista del possibile supporto professionale, ma sono interpretate dall imprenditore come una intromissione, un indebito controllo e vissute come una perdita di autonomia e di capacità decisionale anche a causa delle formalità e degli adempimenti a cui si sentono costretti. Per quanto si affermi che il P.E. abbia un comportamento paziente molto spesso la visione di lungo termine dell imprenditore in una impresa familiare contrasta con l esigenza di un partner finanziario che, pur dando un significativo apporto nel caso di nuovi piani di sviluppo, acquisizioni, passaggi generazionali, alla fine ha l esigenza di rientrare dall investimento entro un determinato tempo e con un margine congruo. La creazione di valore che viene data come effetto dell apporto di un P.E. o comunque dall apertura del capitale, è considerato un elemento importante ma non sempre è il primo obiettivo dell imprenditore che privilegia altri aspetti come il controllo, l autonomia gestionale, lo sbocco per i familiari, tutti fattori che ritiene possano essere compromessi dalla presenza di un investitore esterno il cui fine ultimo è di tipo speculativo. 5

Perplessità e resistenze creano anche alcune clausole come quella che prevede che il P.E., quando arriva il momento in cui è stato programmato che debba uscire, oltre a cedere la propria quota, possa anche costringere l imprenditore a cedere la sua. Cosa comprensibile oggettivamente ma difficile da digerire per l imprenditore. Mentre quindi ritengo che il P.E. sia uno strumento utile e necessario alle medie imprese familiari che vogliono svilupparsi, allo stesso tempo debbo rilevare che importarlo nel nostro Paese con le stesse caratteristiche e modalità con cui viene adottato in un sistema profondamente diverso come quello anglosassone, ne ha limitato e compromesso fortemente l applicazione forse anche per il futuro. Proprio per la funzione che questo strumento può svolgere nei confronti delle imprese familiari e per il loro sviluppo auspico che siano adottate, come mi pare che stia almeno in parte avvenendo, delle iniziative che consentano una maggiore adeguatezza alla realtà italiana e al modo di vedere degli imprenditori nostrani. Il tema dello sviluppo va poi collegato alla situazione che il Paese sta vivendo: oggi in molti casi parlare di sviluppo è assai problematico e ci sono aziende che non solo non si sviluppano ma hanno problemi a tenere le posizioni e che possono, dopo aver superato un periodo di adeguamento alla nuova realtà di mercato, riprendere la strada del successo. Varrebbe la pena di considerare anche interventi in questa area, in queste situazioni delicate che, alla fine, potrebbero risultare ancor più interessanti sia sotto il profilo della redditività dell investimento che su quello etico/sociale. 6

Allo stesso tempo mi auguro, e qui credo di non sbagliare nell affermarlo, che si stia verificando che gli imprenditori guardino con maggiore attenzione e crescente interesse a questo strumento e lo avvicinino senza le riserve che hanno caratterizzato la prima fase dell introduzione dei P.E. Il problema dello sviluppo dei P.E. dipende in primo luogo io credo dagli stessi operatori di P.E. che devono a mio avviso: Realizzare interventi di successo aiutando la crescita profittevole delle imprese. Rendere note e visibili le operazioni compiute. Parlare il linguaggio dell imprenditore. Orientarsi anche alle imprese medie e medio-piccole e non solo alle grandi Adottare soluzioni di uscita favorevoli all imprenditore e all impresa Ragionare in sintonia con la visione dell imprenditore su tempi lunghi o medio lunghi. Offrire un supporto di competenze adeguate al progetto di crescita Questa non è certamente una elencazione esaustiva ma credo che i P.E. potranno avere successo quanto più si adegueranno al contesto e alla realtà del nostro Paese e quanto più riusciranno a cogliere il modo di pensare degli imprenditori considerando che ciascuna impresa familiare ha le proprie specificità che la rendono diversa da tutte le altre e la rendono un unicum da interpretare e da capire. AIdAF Milano, 4 aprile 2004 7

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