C.Cass. sent. n. 4372 del 23/02/2011



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C.Cass. sent. n. 4372 del 23/02/2011 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La Commissione tributaria regionale della Sardegna, con la decisione indicata in epigrafe, confermava la sentenza di primo grado con la quale era stato rigettato il ricorso proposto da T. A. e C.F., i quali avevano contestato l'avviso di accertamento emesso dall'ufficio delle II.DD. di Cagliari, relativo all'anno 1989, sia per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, trattandosi di atto sostitutivo di altro avviso di accertamento già impugnato (ed in relazione al quale era stata dichiarata cessata la materia del contendere), sia per ragioni attinenti al merito della pretesa. 1.1 - Affermava la Commissione tributaria regionale che l'ufficio aveva il potere, esercitando la facoltà di agire in autotutela, di emettere un nuovo atto in sostituzione di quello affetto da nullità. Aderiva poi, nel merito, alle argomentazioni della decisione di primo grado. 1.3 - Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso i contribuenti, deducendo tre motivi. Resiste con controricorso l'agenzia delle Entrate. MOTIVI DELLA DECISIONE 2.1 - Con il primo motivo si deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36 bis, 42 e 43, del D.P.R. n. 287 del 1992, art. 68, e del D.L. n. 564 del 1994, art. 2 quater, convertito nella L. n. 656 del 1994, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Si sostiene che - trattandosi nella specie di avviso di accertamento emesso in sostituzione di altro già impugnato, sarebbe mancato il presupposto, costituito dalla sopraggiunta conoscenza di altri elementi, per integrare o modificare il precedente atto; aggiungendosi che l'ufficio sarebbe comunque decaduto dal termine, anche se avesse agito in via di autotutela, della quale, per altro, difettavano i presupposti. Il motivo è infondato. Ai fini di una corretta qualificazione giuridica della fattispecie, si impone una preliminare verifica del rapporto fra l'atto originario e quello successivamente emesso, da effettuarsi sulla base della loro effettiva connotazione, vale a dire prescindendo dal nomen iuris utilizzato dalla parte, in quanto anche gli atti amministrativi, cui vanno generalmente condotti quelli impositivi, vanno interpretati non solo in base al tenore letterale, ma anche risalendo all'effettiva volontà dell'amministrazione ed al potere concretamente esercitato (Cons. St., 15 ottobre 2003, n. 6316).

Avuto anche riguardo al quadro normativo in tema di autotutela (D.P.R. n. 287 del 1992, art. 68; D.L. n. 564, art. 2 quater, convertito in L. n. 656 del 1994), mette conto di richiamare l'orientamento di questa Corte secondo cui il potere di accertamento integrativo ha per presupposto un atto (l'avviso di accertamento originariamente adottato) che continua ad esistere e non viene sostituito dal nuovo avviso di accertamento, il quale, nella ricorrenza del presupposto della conoscenza di nuovi elementi da parte dell'ufficio, integra e modifica l'oggetto ed il contenuto del primitivo atto cooperando all'integrale determinazione progressiva dell'oggetto dell'imposta, conservando ciascun atto la propria autonoma esistenza ed efficacia, con tutte le conseguenze che ne derivano anche in tema di impugnazione. L'atto di autotutela, al contrario, assume ad oggetto un precedente atto di accertamento che è illegittimo, ed al quale si sostituisce con innovazioni che possono investire tutti gli elementi strutturali dell'atto, costituiti dai destinatari, dall'oggetto e dal contenuto e può condurre alla mera eliminazione dal inondo giuridico, del precedente o alla sua eliminazione ed alla sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato (Cass., 22 febbraio 2002, n. 25; V. anche Cass., 7 luglio 2009, n. 15874). 2.2 - La Commissione tributaria regionale ha affermato che "l'ufficio aveva il potere di rinnovare un atto impositivo affetto da nullità esercitando la facoltà di autotutela nell'annullare l'atto invalido e nell'emettere un nuovo atto contenente i requisiti previsti per la sua validità": tale affermazione, tenuto conto dei criteri distintivi sopra enunciati e dei testè richiamati aspetti fattuali, appare corretta, nel senso - essendosi il primo atto ritenuto affetto da nullità "perchè sprovvisto di tutte le aliquote applicate per la determinazione dell'irpef" (come emerge dallo stesso ricorso, a pag. 2) - non si è in presenza di un atto integrativo, bensì dell'esercizio del potere di autotutela da parte dell'amministrazione finanziaria. 2.3 - D'altra parte, ove si accedesse alla tesi della natura integrativa del secondo provvedimento, si perverrebbe al risultato di attribuire efficacia sanante alla motivazione integrativa di un atto già perfezionato (nella specie carente sotto tale profilo e già autonomamente impugnato), privo, per l'appunto, di idonea struttura argomentativa, in netta contrapposizione rispetto al principio secondo cui, come emerge dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, come modificato in attuazione dell'art. 7 dello Statuto del contribuente, non è consentito all'ufficio differire a un momento successivo rispetto all'emanazione dell'atto impositivo l'esplicitazione delle ragioni della pretesa impositiva. 2.4 - La correttezza, in parte qua, della decisione impugnata si rispecchia, simmetricamente, nell'esito del giudizio conseguente all'impugnazione del primo avviso, conclusosi, come affermano gli stessi ricorrenti, con declaratoria della cessazione della materia del contendere. 2.5 - Con specifico riferimento al procedimento contenzioso in materia tributaria, è invero costantemente affermato il principio secondo cui l'annullamento in via di autotutela di un atto,

da parte dell'amministrazione finanziaria, successivamente alla sua impugnazione, determini la sopravvenienza di carenza di interesse, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass., 2 luglio 2008, n. 18054; Cass., 13 gennaio 2006, n. 634; Cass. 4 febbraio 2005, n. 2305). In tal senso, depongono, per altro, sia la lettera che la ratio del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46. Nel regolare la fattispecie della cessazione della materia del contendere nel processo tributario, questa norma, infatti, sancisce perentoriamente ed in via generale che "il giudizio si estingue... nei casi di definizione delle pendenze tributarie e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere" ed appare improntata a chiari intenti deflattivi, anche in considerazione dell'automatico criterio di regolamentazione delle spese processuali, originariamente previsto al comma 3 (con disposizione, poi, dichiarata parzialmente incostituzionale da Corte Cost. n. 274/2005). Mette conto di ribadire, per quanto qui maggiormente rileva, l'assoluta inidoneità della sentenza di cessazione della materia del contendere ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venire meno dell'interesse alla prosecuzione del giudizio (Cass., 25 maggio 2007, n. 12310; Cass., 3 marzo 2006, n. 4714). 2.6 - Passando all'esame dei requisiti inerenti al corretto esercizio del potere di autotutela, deve rimarcarsi che lo stesso presuppone la mancata formazione del giudicato e la mancata scadenza del termine decadenziale fissato per l'accertamento (Cass., 26 marzo 2010, n. 7335; Cass., 22 febbraio 2002, n. 2531). Richiamati, quanto al primo aspetto, i caratteri propri della cessazione della materia del contendere, inidonea al fine della formazione di un giudicato preclusivo, costituendo la stessa, nel caso di specie, un'ovvia conseguenza della caducazione del primo provvedimento, determinata proprio dall'esercizio del potere di autotutela (laddove la stessa declaratoria di nullità del primo provvedimento, eventualmente pronunciata, si considera priva di efficacia sostanziale nei confronti del nuovo provvedimento, immune da vizi: Cass., 14 maggio 2007, n. 10949), occorre soffermarsi sulla questione inerente alla dedotta decadenza dal potere di accertamento. 2.7 - A tal fine va considerato che la relativa deduzione, non sorretta da alcuna esplicazione, non tiene evidentemente conto nè del periodo biennale di proroga dei termini dell'accertamento ai sensi della L. n. 413 del 1991, art. 57, comma 2, nè della circostanza che il periodo entro in quale poteva legittimamente procedersi all'accertamento, secondo la disciplina applicabile ratione temporis, era di cinque anni. Infatti la riduzione di detto termine a quattro anni, disposta dal D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 15, si applica, come dispone il successivo art. 16, alle dichiarazioni presentate a decorrere dal 1 gennaio 1999 (Cass., 20 giugno 2007, n. 14377). Pertanto, trattandosi di dichiarazione dei redditi presentata nell'anno

1990, il potere di autotutela, mediante atto notificato in data 9 settembre 1997, risulta esercitato - tenuto conto della menzionata sospensione L. n. 413 del 1991, ex art. 57, - nel rispetto del termine di decadenza previsto per l'accertamento dalla normativa di riferimento. 3. Il secondo motivo, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 34, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, è fondato. Nella decisione impugnata, richiamandosi e confermandosi quanto al riguardo affermato dai giudici di primo grado in merito alla ripresa concernente il reddito di un fabbricato, si giudica "corretta la salutazione dell'ufficio sulla base dell'effettiva categoria catastale e non su quella indicata dai ricorrenti". Appare evidente l'inadeguatezza di tale assunto rispetto alla doglianza dei contribuenti (per altro enunciata nella stessa decisione impugnata), imperniata sull'applicazione, rispetto ai redditi dell'anno 1989, di una rendita catastale "entrata in vigore" nell'anno 1992. In proposito, pur dovendosi tener conto dei limiti di efficacia della previsione contenuta nella L. n. 342 del 2000, art. 74, atteso che nel caso si verte in ipotesi di imposta dovuta per anni precedenti al primo gennaio 2000, avrebbe dovuto comunque verificarsi, prescindendo dalla data di notificazione della rendita catastale, comunque intervenuta - secondo quanto affermato dagli stessi ricorrenti - prima dell'emissione dell'avviso di accertamento, il momento iniziale della sua applicabilità, da riferirsi all'epoca della variazione materiale che ha portato alla modifica (Cass., 18 aprile 2007, n. 9203). Sotto tale profilo sussiste il denunciato vizio motivazionale, essendo evidente l'insufficienza del richiamo alle risultanze catastali, senza una disamina, sotto il profilo diacronico, della loro applicabilità. 4 - Con il terzo motivo si denuncia insufficiente motivazione su più punti decisivi della controversia; nonchè violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, rimarcandosi come la Commissione tributaria regionale, a fronte delle censure contenute nell'atto di appello (per il vero non specificamente richiamate), si sia limitata a ritenere "la sentenza di primo grado precisa ed esauriente nelle specifiche motivazioni ai vari punti". Il motivo non appare condivisibile, nella misura in cui i ricorrenti - i quali non propongono specifiche censure rispetto alle statuizioni per come adottate, o, meglio, confermate, dai giudici del merito - non tengono conto dell'esposizione contenuta nella prima parte della decisione impugnata, nella quale vengono richiamati gli aspetti salienti, anche sotto il profilo motivazionale, della sentenza di primo grado. Si ritiene invero che il giudice d'appello, riproducendo o richiamando gli elementi essenziali della motivazione della sentenza impugnata, mostri, non soltanto di averla fatta propria, ma anche di averla posta in correlazione con le censure contro di essa proposte, adempiendo in tal

modo al suo obbligo istituzionale di revisione e consentendo il controllo logico e giuridico della decisione adottata, il percorso argomentativo desumibile attraverso l'integrazione della parte motiva delle due sentenze (Cass., 16 febbraio 2007, n. 3636; Cass., 2 febbraio 2006, n. 2268). 5 - In conclusione, vanno rigettato il primo e il terzo motivo di ricorso e la decisione impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sardegna, che provvederà anche in merito alle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il primo e il terzo motivo ed accoglie il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale della Sardegna.