Paolo Morozzo della Rocca La tutela del minore successivamente al suo ingresso in Italia per adozione



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Paolo Morozzo della Rocca La tutela del minore successivamente al suo ingresso in Italia per adozione Ambiguità dei procedimenti giudiziali conclusivi della procedura di adozione internazionale Nel quadro delle procedure di adozione internazionale di cui alla Legge 184/1983 (ampiamente novellata al riguardo dalla Legge 476/1998) il minore straniero entra in Italia al seguito della coppia adottiva, alla quale normalmente sarà già stato dato in adozione (meno frequente, ma possibile, è invece il caso dell affidamento preadottivo, cui potrà seguire la pronuncia in Italia dell adozione) con un provvedimento dell autorità straniera già efficace nell ordinamento giuridico di provenienza. Al momento dell ingresso in Italia il minore, benché adottato, è però ancora un cittadino straniero, provvisto del passaporto del suo paese (oppure di un lasciapassare) e del visto di ingresso per adozione rilasciato dalla nostra autorità consolare dopo avere ricevuto l autorizzazione all ingresso per adozione da parte della Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI). Non è espressamente previsto un termine preciso entro il quale la presenza del minore in Italia debba essere segnalata, dai genitori adottivi, al tribunale per i minorenni territorialmente competente, ma è abbastanza certo che questi ultimi si affretteranno a richiedere al giudice di emettere i provvedimenti perfezionativi dell intera procedura di adozione, sperando che questa si concluderà al più presto. In realtà, che un termine di legge vi sia e che si tratti di un termine immediato rispetto all ingresso in Italia lo si può dedurre - oltre che dall art.35, co.5, che lega la competenza per territorio del giudice alla residenza posseduta dai genitori adottivi al momento dell ingresso del minore 1 - dal principio generale secondo cui quando non è previsto un termine diverso la prestazione va eseguita immediatamente, se ciò sia compatibile con la 1 In tal senso, tra gli altri, Poletti di Teodoro B., L adozione internazionale, in Ferrando G., Il nuovo diritto di famiglia, vol.iii, Filiazione e adozione, Bologna-Roma, 2007, 755; Petrone M., Dell adozione internazionale, in Balestra L., Della famiglia, leggi collegate, vol IV, nel Commentario del codice civile, diretto da Enrico Gabrielli, Torino, 2010

natura della prestazione da eseguire; principio contenuto in materia di obbligazioni civili nell art.1183 cod. civ., ma estensibile anche all adempimento degli obblighi giuridici in generale. La presentazione non immediata al giudice minorile (pur intendendo l aggettivo immediato nella sua ovvia elasticità) costituirà senza dubbio un segnale di allarme nel procedimento di volontaria giurisdizione, configurandosi come un comportamento contrario agli standard legali di diligenza. Si è or ora fatto cenno al giudice minorile competenze per la fase conclusiva della procedura, individuato, per i minori provenienti da un paese aderente al sistema della convenzione de L Aja, in relazione alla residenza posseduta dai genitori adottivi al momento dell ingresso in Italia del minore. Questo giudice sarà il più delle volte, ma non sempre, il medesimo che ha in precedenza valutato l idoneità all adozione della coppia, ma può anche accadere che si tratti di un diverso tribunale, considerando i tempi di svolgimento della procedura (a volte anche di due o tre anni dopo l acquisizione dell idoneità) ed il tasso normale di mobilità delle giovani famiglie sul territorio nazionale. Criticabile e probabilmente frutto di una mera svista è invece la scelta operata dall art.36, co.3 di mantenere la competenza terminale del procedimento adottivo in capo al medesimo giudice dell idoneità nel caso del minore proveniente da un paese non aderente alla convenzione. In teoria, dunque, potrebbe essere eccepita l incompetenza del giudice di residenza dei genitori adottivi ove questi siano nel frattempo emigrati da un comune di una diversa regione italiana dove risiedevano quando hanno ottenuto il decreto di idoneità all adozione internazionale. Molto si è già scritto e detto riguardo all ambiguità dell art.35 della legge 184/1983, ove si dispone che il giudice ordini la trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile. Secondo alcuni in questo modo si sarebbe attribuito al tribunale un compito privo di una potestà valutativa propria e quindi meramente ricognitivo che, non a caso, appartiene normalmente al cancelliere2. In realtà, sotto le false spoglie di una procedura di cancelleria eccezionalmente avocata alla competenza del magistrato si cela un procedimento non privo di un suo contenuto valutativo. Tant è che in questa fase il giudice dovrà valutare, ex art.35: a) la conformità alla convenzione, b) la non contrarietà ai principi del diritto di famiglia e 2 Tra questi: Corvino N. e Scolaro S., Lo straniero in Italia dall ingresso all integrazione, Rimini, 2002, 230 ss.

minorile, c) l eventuale prevalenza dell interesse del minore rispetto alla contrarietà ai principi di diritto di famiglia e minorile, d) la sussistenza dei requisiti di legge per adottare, e) il rispetto delle indicazioni per l abbinamento, f) la possibilità della conversione da semplice a legittimante, g) la non contrarietà dell inserimento nella famiglia adottiva all interesse del minore. Quanto ai provvedimenti di adozione pronunciati in ordinamenti giuridici non aderenti alla Convenzione, al giudice spetterà, ai sensi del successivo art.36, dichiararne l efficacia (onerando poi il cancelliere di trasmettere l ordine di trascrizione) a condizione che sussistano le seguenti condizioni: a) il presupposto dello stato di abbandono o almeno del consenso dei genitori biologici all adozione legittimante, b) il decreto di idoneità degli adottanti e il rispetto delle indicazioni in esso contenute, c) l intervento della Commissione e di un ente autorizzato, d) l autorizzazione all ingresso in Italia del minore. Oltre, ovviamente, alla convenienza in concreto dell inserimento nella nuova famiglia. Solo nei più rari casi in cui il provvedimento straniero consista in un affidamento, l adozione verrà pronunciata e non, quindi, dichiarata efficace dal giudice italiano successivamente al concludersi del periodo probatorio di un anno, decorrente dall inserimento del minore nella famiglia. In passato alcuni tribunali si erano mostrati propensi a stabilire, anche per i minori stranieri già dati in adozione dall autorità del loro paese, un periodo di affidamento preadottivo di un anno, applicando all adozione internazionale la medesima regola prevista al riguardo per l adozione nazionale; ma contro questa applicazione in via estensiva dell art.22 della legge 184/1983 si è opportunamente pronunciata la Corte costituzionale3, osservando che la diversa disciplina riservata all adozione internazionale trova adeguata giustificazione nella necessità di favorire il consolidarsi della cooperazione tra gli Stati affinché questi possano operare con ampiezza a tutela degli stessi minori. La Consulta rilevava altresì un fondamentale dato di fatto che differenzia la situazione del minore in adozione internazionale rispetto ai minori già residenti in Italia rendendo ragionevole la diversità di disciplina: lo sradicamento dal paese di residenza, probabilmente irreversibile una volta che il minore sia giunto in Italia per adozione. 3 Ordinanza n.415 del 31 luglio 2002, pubblicata in Riv.dir.int..priv..proc., 4/2002, 1014 ss.

Già figli e (forse) anche italiani, ma non ancora Riguardo alla cittadinanza del minore in adozione va osservato come, probabilmente, al momento del suo ingresso in Italia egli potrebbe avere già perso la sua cittadinanza di origine per effetto del nuovo rapporto di filiazione in quell ordinamento già perfezionatosi, senza però avere già acquisito quella italiana. Il paese di origine è infatti sovrano, al pari del paese di accoglienza, nel regolare tale aspetto della procedura senza vincoli diretti provenienti dal diritto internazionale. In realtà il paese di origine potrebbe prevedere espressamente che l adottato mantenga la cittadinanza4; potrebbe inoltre non prevedere nulla, dovendosi allora dedurre lo staus civitatis del minore dalle norme collegate più in generale agli eventi di filiazione naturale o sociale; oppure potrebbe espressamente prevedere la perdita della cittadinanza per effetto della pronuncia dell adozione internazionale. Di contro, riguardo all Italia, va considerato che, ai sensi dell art. 34, co.3 della legge 184/1983, il minore straniero in adozione internazionale acquisterà la cittadinanza solo per effetto della trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile5. Detta norma sembra fare da eco, aggiungendovi però un ambigua appendice disciplinare, all art.3, co.1 della legge 91/1992, in materia di cittadinanza, dove è più semplicemente affermato che il minore straniero adottato da cittadino italiano acquista la cittadinanza. Come chiarito dalla dottrina, l art.34 della legge 184/1983 (all esito della novella di cui all art.3 della legge 476/1998) non va inteso nel senso di individuare al momento della trascrizione del provvedimento di adozione il costituirsi dell effetto di acquisto della cittadinanza, come pure la lettera della norma sembrerebbe disporre, ma nel più limitato senso di individuare nel momento della trascrizione il termine di quiescenza di effetti già prodotti dall adozione, la quale in effetti sarà già avvenuta, normalmente, con il provvedimento emesso dall autorità straniera, che l ufficiale di stato civile non mancherà di trascrivere per sunto in uno con il provvedimento del giudice italiano che le riconosce efficacia nel nostro ordinamento. 4 È questo, ad esempio, il caso dell Ucraina, in virtù della legge sulla cittadinanza del 18 gennaio 2001 n. 2235-III. 5 Pare interessante ma minoritaria - e comunque non seguita dai pratici - l opinione secondo cui la trascrizione del provvedimento straniero di adozione potrebbe essere richiesta direttamente dagli interessati all ufficiale dello stato civile, anche in mancanza della decisione (di natura meramente dichiarativa, pur se anomala) del giudice. In tal senso: Cafari Panico R., Considerazioni sulla nuova adozione internazionale, in Riv.dir.int,priv.proc., 2001, 910 ss.

La questione è stata esaminata anche dal Ministero dell interno con la circolare del 13 novembre 2000, n. K.28.4, interpretativa dell art.34, legge 184/1983, ove però l estensore, non avendo, a causa delle obiettive ambiguità normative, sufficiente sicurezza riguardo alle competenze dei due ordinamenti statali coinvolti nella procedura di adozione internazionale, ha posto un punto fermo collegandolo però ad un frasario ambiguo. Il punto fermo è costituito dall affermazione secondo cui la trascrizione negli atti di stato civile del decreto di adozione emesso dall autorità giudiziaria non è condizione costitutiva dello status civitatis italiano. Rende solo possibile l efficacia ex tunc del provvedimento divenuto definitivo e dà pubblicità e certezza all atto fondamentale, costitutivo del diritto di cittadinanza del minore straniero adottato Il frasario incerto, o ambiguo, riguarda però l esatta individuazione di questo atto fondamentale, costitutivo del diritto di cittadinanza. Si tratta del provvedimento straniero divenuto definitivo, ma in quale momento questo può dirsi divenuto definitivo? Cosa significa definitivo per il redattore della circolare? A mio parere il provvedimento straniero di adozione è divenuto definitivo alla data in cui l autorità preposta lo ha emesso, senza più prevedere alcun altro passaggio per la sua perfezione. A questo provvedimento il giudice italiano non aggiunge e non toglie nulla, sebbene lo sottoponga al suo controllo (peraltro in forza di disposizioni di legge non del tutto conformi alla Convenzione de L Aja e dunque sottoponibili a censure di incostituzionalità per violazione dell art.117 Cost.). Che la circolare ora in commento abbia inteso riferirsi pur senza esplicitare in modo solare tale pensiero al provvedimento straniero così inteso lo si evince, in particolare, dall affermazione secondo cui la trascrizione del provvedimento di adozione non può avere efficacia costitutiva dell acquisto della cittadinanza italiana, ma va invece considerata come condizione per attribuire efficacia nel nostro ordinamento al provvedimento di adozione. Dunque v è l ammissione inequivocabile che la fonte del diritto di cittadinanza è nel provvedimento straniero e che l ordine di trascrizione, così come la trascrizione stessa, altro non sono che condizioni sospensive del diritto allo status civitatis, destinato a sorgere con efficacia ex tunc quando l evento sospensivo (la trascrizione negli atti di stato civile) si sarà verificato. Se così non fosse prosegue la circolare ci troveremmo di fronte a due diversi status giuridici trascritti sugli atti di stato civile del minore: di affidamento familiare fino al

momento della pronuncia, da parte del Tribunale dei minori, dell ordine di trascrizione e solo successivamente di adozione con la conseguente acquisizione della cittadinanza italiana. Tanto dovrebbe bastare per motivare senza più indugi risposte meno trincerate all interno dei virgolettati richiamanti i passi più oscuri della circolare, con le quali a volte gli esperti si difendono dai quesiti loro posti perpetuando a livello di faq e rubriche varie le nebbie già ampiamente diffuse dalla norma e poi sgombrate - ma evidentemente non del tutto - dalla citata circolare. Purtroppo però, più che il punto fermo, è l ambiguità del frasario ad avere maggiormente attratto gli esperti della materia, suscitando, anche successivamente alla circolare, orientamenti tra loro difformi; sicché, a coloro che giustamente ritengono che la cittadinanza si acquisisca in conseguenza della trascrizione negli atti dello stato civile italiano del provvedimento straniero, ma con decorrenza dal giorno successivo all emanazione di detto provvedimento da parte dell autorità straniera competente6, fanno da controcanto opinioni non condivisili, come quella secondo cui nell'ipotesi di adozione internazionale, il minore adottato assume la cittadinanza italiana dalla data in cui il provvedimento, con il quale il tribunale per i minorenni costituisce o dichiara efficace in Italia il rapporto di adozione, diviene definitivo, e in quanto tale non più impugnabile 7. Al di là delle questioni interpretative sin qui esaminate - ed ormai virtualmente risolte anche per mezzo della citata circolare - va infine osservato come, per lo meno riguardo al tema dell acquisto della cittadinanza per filiazione adottiva, la scelta operata dal legislatore si dimostri incongrua ed avara nei confronti dei minori adottati all estero, perché nel caso in cui, per una qualsiasi ragione, il giudice minorile decida che l adozione non debba più essere pronunciata, dichiarata efficace, oppure semplicemente trascritta il minore si ritroverà in Italia in stato di abbandono nonché, presumibilmente, in una condizione di apolidia; di conseguenza, a meno che prima della maggiore età venga adottato da un altra famiglia, si troverà, da maggiorenne, assoggettato alla rigida disciplina sull immigrazione e 6 In tal senso, ad esempio, Berloco D., Adozioni Rilevanti modifiche introdotte dalla legge 28 marzo 2001, n.149, in ordine alle funzioni dell ufficiale dello stato civile e di anagrafe, in Lo Stato civile italiano 2002, 1, 23 s.; Restuccia S., Minori adottati stranieri: Circolare Dove porta la n. 6?, in lo stato civile italiano, 2005, 7, 501. 7 www.interno.it, Massimario dello stato civile, risposta del 16.1.2007, Titolo: Decorrenza effetti adozione internazionale di minori. Parere però opportunamente contraddetto dal successivo del 7.5.2008

in particolare alle norme sul permesso di soggiorno, correndo il rischio, un giorno, di rimanerne senza. Meglio sarebbe stato allora (in aderenza a quanto stabilito dalla stessa Convenzione de L Aja sulla cooperazione in materia di adozione) considerare tout court l adozione già pronunciata all estero come evento di filiazione giuridica capace di attribuire la cittadinanza per discendenza da genitore italiano al più tardi dal momento della sua accettazione da parte della CAI (la quale avviene con la trasmissione dell autorizzazione all ingresso al seguito dei genitori adottivi), senza ulteriore sospensione di questo suo effetto8. In tal modo, se poi l adozione non andasse a buon fine successivamente all ingresso in Italia, il minore nuovamente trovatosi in stato di abbandono potrebbe almeno vantare lo status di cittadino italiano, magra ma forse non inutile dote per il futuro.9 In alternativa, il legislatore potrebbe anche prevedere, come suggerito da attenta dottrina, una diversa fattispecie di acquisto della cittadinanza per effetto del provvedimento giudiziale col quale venga sancita la sopravvenuta impossibilità dell adozione del minore già presente in Italia e qui ormai soggiornante in condizione (sperabilmente provvisoria) di abbandono in senso giuridico. In tal modo si stempererebbe anche un indubbio profilo di incostituzionalità dell art.34, co.3 l. adoz. per violazione dell art.117 Cost e dell art.2 della Costituzione, in quanto il meccanismo di attribuzione della cittadinanza in esso previsto palesa una volta di più l inadempimento dell Italia all obbligo convenzionale di riconoscere piena ed automatica efficacia al provvedimento straniero di adozione10. Tuttavia, poiché il legislatore non ha ritenuto di scegliere nessuno tra questi più ragionevoli percorsi, a tutt oggi la condizione giuridica del minore che giunge in Italia per adozione è quella di straniero (normalmente extracomunitario); e tale rimane fino alla trascrizione sui registri dello stato civile del provvedimento di adozione, in conseguenza della quale diverrà cittadino con effetti retroattivi sino al giorno successivo al provvedimento (in genere quello emanato dall autorità straniera) che lo ha reso figlio dei coniugi italiani. Le incombenze degli ufficiali di anagrafe e di stato civile 8 In tal senso le riflessioni, ovviamente de iure condendo, di Corvino N. e Scolaro S., Lo straniero in Italia dall ingresso all integrazione, Rimini, 2002, 215 s. 9 In tal senso, giustamente: Corsaro M., L affidamento preadottivo nelle procedure per l adozione internazionale, in Fam. dir., 2002, 1 ss. 10 In tal senso: Poletti di Teodoro B., Cittadinanza e adozione, in Studi Urbinati, 2003/04, n.55, 2, 131 ss.

Proprio perché parliamo di un minore (seppure provvisoriamente) ancora straniero, sino al febbraio 2007 vigeva l obbligo sulla coppia affidataria di richiedere entro otto giorni dall ingresso in Italia il permesso di soggiorno; obbligo poi opportunamente eliminato con una intelligente direttiva ministeriale11. A partire dal febbraio 2007, dunque, il minore straniero giunto in Italia per adozione può ed anzi deve - essere immediatamente iscritto all anagrafe senza l esibizione, ormai divenuta impossibile, del permesso di soggiorno. La posizione anagrafica prenderà ovviamente in considerazione le generalità attribuite al minore dal suo Stato di appartenenza, ma è quasi certo che l autorità straniera abbia già attribuito al minore il cognome dei suoi genitori adottivi, col quale dunque lo si dovrà registrare senza più mutarlo12. In attesa del provvedimento giudiziale contenente l ordine di trascrizione del provvedimento di adozione oppure il riconoscimento dell efficacia giuridica in Italia dell adozione pronunciata dall autorità straniera (ed a maggior ragione se il provvedimento straniero consista solo in un affidamento preadottivo) l iscrizione anagrafica riguarderà un cittadino straniero convivente e non ancora un figlio. Tuttavia, una volta intervenuto il provvedimento giudiziale conclusivo della procedura di adozione internazionale l adottato risulterà semplicemente come figlio. Ma cosa risulterà, invece, nella certificazione storica del nucleo familiare? Secondo un opinione di recente espressa in un quesitario, nella certificazione storica potrebbe risultare il passaggio da convivente a figlio del minore adottato13, ma è bene osservare, al riguardo, che il rilascio a terzi di una qualsiasi certificazione di anagrafe o di stato civile da cui tale passaggio risulti si porrebbe in palese violazione dell art.28, co.3, legge 184/1983, il quale vieta di dare notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie 11 Direttiva congiunta del Ministro dell Interno e del Ministro per le Politiche per la Famiglia, del 21.2.2007. 12 La prassi già consolidatasi sotto la previgente disciplina non ha subìto alcuna modifica a seguito della legge 476/1998. Al riguardo, cfr. ISTAT, Nota (s.d.) (s.n.) 1994, Adozione di bambini stranieri Adempimenti anagrafici e di stato civile, in Casoni G., Quesitario massimario di anagrafe, Minerbio, 2004, 355; Procura della Repubblica di Modena, Nota del 19.3.1986, n.50; Ministero di Grazia e Giustizia, Nota 12.9.1995, n.1/55/f.g./1(87)1185, Adozione di minore straniero con provvedimento dell autorità straniera Indicazione delle generalità in attesa del provvedimento del Tribunale per i minorenni; Ministero dell interno, Massimario dello stato civile, Quesito del 22.1.2.2004, Iscrizione anagrafica minori in affido. 13 Quesito n. 6331, in Lo stato civile italiano, 2010, 5, 25 s.

dalle quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell Autorità giudiziaria. Il divieto di disvelamento dello stato di figlio legittimo per adozione è sanzionato penalmente dall art.73 della medesima legge; ed è di tutta evidenza che certificare la presenza di un minore all interno di una famiglia italiana prima come convivente e poi come figlio significa, di fatto, rivelare l esistenza di un iter adozionale al soggetto che richieda ed eventualmente ottenga la certificazione storica di famiglia14. Di certo v è che, al momento della richiesta di iscrizione, l ufficiale di anagrafe iscriverà comunque il minore con i dati presenti sul suo documento di identità, modificandoli successivamente dopo avere preso atto della modifica dei dati anagrafici sui documenti di identità successivamente validi. Più complesso potrebbe invece rivelarsi il compito dell ufficiale di stato civile al momento della richiesta di trascrizione del provvedimento straniero di adozione proveniente dal tribunale per i minorenni. In passato era stata sostenuta l opinione secondo la quale l ufficiale dello stato civile avrebbe dovuto registrare il minore con le generalità risultanti dall atto di nascita originario. Detta opinione si fondava, essenzialmente su una interpretazione non condivisibile dell art.451 c.c., poiché qualificava come falso il mutamento dei dati anagrafici corrispondenti alla storia meramente biologica dell adottato, senza considerare che tale mutamento, in quanto operato in forza di autorizzazione di legge, pur se difforme dalla realtà, non può però configurarsi come falso alla stregua di una valutazione giuridica 15 Ciò che comunque importa, ai nostri più pratici fini, è che sia l orientamento giudiziario prevalente, sia le direttive del Ministero dell interno sul punto sostengano oggi la prevalenza delle generalità indicate nel provvedimento straniero di adozione su quelle indicate negli atti di stato civile stranieri.16 14 Più in generale, sul tema: Casoni G., Il segreto imposto dall art.28 della legge 4 maggio 1983, n.184 in tema di adozione: perplessità e dubbi circa le procedure anagrafiche a garanzia dell obbligo, in Stato civ., 2004, 52 15 Al riguardo le osservazioni di Sacchetti L., Adozione internazionale, pseudoatti di nascita, trascrizione, ordine del Tribunale per i minorenni, in Stato civ., 2003, 3, 329 ss. 16 Nota del Ministero dell interno del 2.8.2001, prot. n. 00103911-15100/15952. In dottrina vedi la convinta adesione di Berloco D., Adozione internazionale Orientamenti discordanti sulla trascrizione degli atti di nascita, in Lo stato civ. it., 2004, 3, 166 ss. Critico, invece, Tony P., Ancora sul problema delle trascrizioni nell adozione internazionale, in Lo stato civile italiano, 2004, 3, 170 ss.

L ufficiale dello stato civile potrà dunque trovarsi di fronte ad una delle seguenti fattispecie documentali a) un provvedimento straniero di adozione che abbia modificato le generalità del minore, presentato assieme all atto di nascita straniero già ricostituito con le nuove generalità; b) un provvedimento straniero di adozione con le generalità modificate, che gli venga trasmesso assieme sia all atto di nascita originario sia a quello successivamente modificato su indicazione dell autorità straniera che abbia pronunciato l adozione; c) un provvedimento straniero di adozione con le generalità modificate, ma accompagnato solo dall atto di nascita originario e quindi mantenuto difforme rispetto alle nuove indicazioni anagrafiche contenute nel provvedimento di adozione; d) un provvedimento straniero di adozione con le generalità modificate, accompagnato da un certificato di nascita rifatto ma contraddetto dalle indicazioni contenute nel provvedimento di adozione. Posto che, seguendo l orientamento prevalente, un problema di stato civile non si pone nei primi due casi, il terzo potrà invece essere risolto iscrivendo il minore con le generalità indicate nel provvedimento straniero di adozione, procedendo poi alla rettificazione dell atto di nascita originario, in quanto difforme17; ed allo stesso modo ci si dovrà comportare nel caso, pur improbabile, che l atto di nascita ricostituito contenga difformità rispetto ai dati anagrafici attribuiti dall autorità straniera che abbia pronunciato l adozione.18 Potrebbe ovviamente anche aversi il caso di un minore per il quale il giudice minorile abbia prima dato séguito all affidamento preadottivo disposto dall autorità straniera e poi pronunciato l adozione sulla base della positiva conclusione del periodo probatorio. Anche in questo caso, tuttavia, eventuali diversità tra il provvedimento di adozione (in questo caso esclusivamente italiano19) e l atto originario di stato civile vanno trattate dando preferenza ai dati contenuti nel provvedimento di adozione. Adozione e diritto all identità personale Si connette alla disciplina di stato civile un interrogativo ormai tradizionale negli studi in tema di adozione: è accettabile la pratica del cambiamento, oltre che del cognome, 17 Sul punto cfr. le direttive dei giudici minorili riportate in Stato civ. 2003, 1, III, 38 ss.; nonché Morani G., Il nuovo regime dell adozione internazionale (L.31 dicembre 1998, n.476), in Giur. merito, 2002, 574 ss 18 Così Circ. min. int. Dir. Gen. Amm. Civ. Dir. Centr. Autonomie Servizio Enti Locali n.6/2003 del 28.2.2003, in Lo Stato civ., 5/2003, 357 s. 19 Sul punto: Calvigioni R., L adozione internazionale e gli adempimenti dell ufficio di stato civile, in Servizi demografici, 2009, 7-8, 14

anche di altri dati riguardanti l identità del bambino come, in primo luogo, il prenome del bambino dato in adozione, oppure il suo luogo e la sua data di nascita? Al problema può essere data una risposta di principio ed una in termini meramente disciplinari. In linea di principio deve riconoscersi il diritto del minore ad essere chiamato col suo nome e al rispetto della verità sul suo luogo di nascita. Con quel prenome, infatti, egli è stato chiamato sin dal momento della nascita e da quel luogo effettivamente proviene. L adozione, infatti, sebbene generi un nuovo legame di filiazione, non per questo cancella la pregressa vita del bambino ed il suo diritto ad essere se stesso e come tale amato nella sua nuova famiglia. Ciò è parso evidente anche al legislatore minorile che infatti, all art. 28, co.1, della Legge 184/1983, dispone che il minore venga tempestivamente informato della sua condizione di figlio adottivo dai suoi genitori, che dovranno provvedervi nei modi e termini che essi ritengono più opportuni. Per questa ragione non solo non avrebbe senso, aprioristicamente, volergli cambiare il nome, come nemmeno può pretendersi il mutamento dei dati anagrafici riguardanti il luogo e la data di nascita, come ribadito dallo stesso Supremo Collegio nel confermare il rifiuto opposto dal giudice del merito alla richiesta dei genitori adottivi di rettificare l atto di nascita dell adottato mutandone il luogo di nascita da Braila (in Romania) a Messina20. Tuttavia, vi possono essere situazioni nelle quali il nome toccato in sorte non è tra i più facili da portare; e non già a causa del suo suono straniero, ma piuttosto per la rassomiglianza a vocaboli italiani umilianti od offensivi. Il diritto al nome andrebbe allora inteso pur sempre in funzione ed in subordine del benessere del bambino, includendovi anche il diritto ad avere un nome presentabile. Per questa ragione, poiché tutti dubitiamo che un genitore sia libero di battezzare il figlio col nome di un famoso cavallo (ricordate il caso del bambino nato in Campania, a Boscotrecase, che i genitori avevano deciso di chiamare Varenne?) o del terrorista più noto al momento della sua nascita, dovremmo pure dubitare dell opportunità di lasciare nomi importabili sulle gracili spalle di bambini ancora in tenera età. Nemmeno il richiamo al rispetto delle radici culturali ed etniche del minore può valere a giustificare, sul punto, posizioni troppo rigide. La nostra giurisprudenza ha del resto chiarito 20 Cass. 10.3.2004, n.4878, in Famiglia e diritto, 2004, 5, 504 ss.

- da tempo e saggiamente che la tutela dei tratti identitari e linguistici della minoranza etnica cui appartenga il minore costituisce comunque un valore secondo rispetto alla protezione in concreto del suo superiore interesse e quindi del suo concreto e definitivo benessere.21 Tuttavia gli strumenti a tutela del diritto del bambino ad un nome non ridicolo o non offensivo appartengono ad un momento disciplinare successivo a quelli dell iscrizione all anagrafe e della stessa trascrizione dell adozione nei registri di stato civile, trovando possibile e seguente sbocco nell azione di rettificazione o di modificazione del nome. È invece escluso che i genitori possano iscrivere all anagrafe il minore con un prenome diverso da quello risultante dal documento di identità; così come è escluso che l ufficiale di stato civile possa trascrivere un nome diverso da quello indicato nel provvedimento straniero di adozione, né il giudice minorile avrebbe la competenza per ordinarglielo in uno con l ordine di trascrizione22. Resta da chiedersi come giudicare (sotto un profilo assiologico diverso da quello del diritto positivo) quei genitori adottivi e quegli enti che inducano l autorità straniera, prima che perda la relativa competenza (cioè sino all atto di darlo in adozione), a mutare il prenome del bambino, oltre che il nome di famiglia. Benevolo o critico che sia, il giudizio, a mio avviso, non dovrebbe essere dato in termini astratti ma solo dopo avere svolto una attenta valutazione del caso concreto. I doveri di informazione dell ente e del giudice minorile Il rispetto dell identità anagrafica ha anche sollevato, con riguardo ad alcuni specifici casi, la questione della possibile responsabilità (extracontrattuale oppure per inadempimento) dell ente per il pregiudizio causato al minore stesso e alla sua famiglia adottiva. Non v è dubbio, in linea generale, che l ente possa essere chiamato a rispondere dei danni derivanti sia dalla scarsa diligenza impiegata nello svolgimento del mandato professionale 21 Così Cass. 4.5.1991, n.4936, in Nuova giur.civ.comm., I, 1992, con nota di Hubler C., Trasferimento all estero ed identità etnica. La difficile individuazione dell esclusivo interesse del minore. 22 La contraria opinione è sostenuta da Sacchetti L., op.cit., 330 s., sul presupposto, a mio parere errato, che se la manipolazione dei dati anagrafici originari è fatta in uno con l emissione del provvedimento di adozione l ordinamento di origine non sarebbe più competente sulla materia, ormai devoluta all ordinamento italiano. La tesi di Sacchetti, a mio parere, potrebbe essere sostenuta solo riguardo ad interventi manipolativi realizzati dall autorità straniera successivamente al provvedimento di adozione e prima della decisione di ratifica dell adozione straniera da parte del giudice italiano, ma ciò non accade mai.

sia dalla violazione degli obblighi di buona fede (tra i quali particolarmente significativi sembrano essere gli obblighi di informazione). Le vittime legittimate a chiedere i danni da inadempimento sono, nel caso che ci riguarda, sia la coppia che ha conferito il mandato sia il minore straniero dato in adozione, egli stesso parte del rapporto contrattuale, anche se non è parte formale del contratto. Il mandato a svolgere attività di intermediazione per l adozione del minore straniero è infatti un contratto con effetti protettivi nei confronti del terzo (il minore straniero) al pari, ad esempio, del contratto di assistenza al parto, che pur essendo stipulato tra la clinica e la partoriente coinvolge certamente anche il nascituro tutelandolo da pratiche mediche scarsamente diligenti. Il minore straniero è dunque estraneo all atto (di conferimento del mandato) ma non al rapporto (l esecuzione del mandato) e può dunque esperire, anche autonomamente dai suoi genitori adottivi (ed anche in mancanza di essi, se l adozione non sia poi andata a buon fine), l azione per i danni nei confronti dell ente mediante un curatore speciale. Ebbene, uno dei casi in cui si è posta la questione della responsabilità dell ente riguarda una minore della quale l ente aveva negligentemente assunte come vere informazioni palesemente errate circa la sua età, sicché, al momento dell incontro con i suoi genitori adottivi questi si erano subito resi conto di avere a che fare con una bambina di almeno tre anni più grande rispetto all età certificata. Giunti in Italia con la bambina essi non hanno potuto fare altro che chiedere al giudice civile la rettificazione del dato anagrafico palesemente falso, ottenendo nel frattempo (e per fortuna) un inserimento scolastico non troppo penalizzante. Se è davvero importante che il minore entri nella nuova famiglia con la sua identità ed il suo reale vissuto, per potere poi elaborare entrambi in un clima di accoglienza, è allora altrettanto necessario che i genitori adottivi conoscano esattamente e comprendano a sufficienza il vissuto del figlio ancor prima dell adozione. Si spiega così il disposto dell art.22, co.7 l. adoz., ai sensi del quale il giudice comunica i fatti pregressi più rilevanti agli aspiranti genitori adottivi perché ne facciano racconto al bambino. Vero è che il legislatore è sembrato poi contraddire questa disposizione affermando al successivo art.37 che la Commissione per le adozioni internazionali può comunicare ai genitori adottivi, anche tramite il tribunale, solo informazioni riguardanti la salute dell adottato.

Ma l interprete, certamente non nuovo alla lettura di norme tra loro contraddittorie, deve considerare come lo stesso art.37, co.2, faccia rinvio, confermandone la vigenza, all art.22 e dovrà comunque considerare che l art.31 co.3, lett. c) e d) fa obbligo all ente di dare informazioni sia sulla salute sia sulla storia familiare del minore ai genitori adottivi23. Non è dunque in alcun modo accettabile, nemmeno dal punto di vista dell esegesi normativa, la prassi ancora di recente criticamente segnalata vigente in alcuni tribunali minorili di tenere i genitori adottivi all oscuro sulla pregressa storia del minore, per non rendere identificabili i familiari biologici e non spaventare quelli adottivi, ma con effetti ovviamente peggiori del male che si vorrebbe evitare24. Il rispetto delle radici culturali del minore: una tutela a geometria (molto) variabile Un cenno, almeno, deve essere dedicato al tema del rispetto delle radici culturali del minore. Si suol dire, infatti, che il bambino non nasce dal ventre della madre ma da quello dei suoi antenati25. Per quanto l affermazione possa contenere elementi di indubbia verità, occorre tuttavia fare attenzione a non perdere di vista l esigenza di realizzare un ragionevole equilibrio tra il rispetto delle radici culturali del minore (che non è affatto obbligato ad assomigliare ai propri antenati) e le nuove condizioni di vita che egli si trova a dover affrontare. A tal fine non aiuta molto la lettura dell art.29, lett. c) della Convenzione sui diritti del fanciullo, ove si dice che Gli Stati parti convengono che l'educazione del fanciullo deve avere come finalità quella di sviluppare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del paese nel quale vive, del paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua. Più sintetica, ma davvero generica, è l indicazione contenuta all art.1, co.5, Legge Adoz., ove si afferma semplicemente che il minore ha diritto al rispetto della sua identità culturale. Ma il tenore astratto di queste disposizioni va, per così dire, impastato con le dinamiche del meticciato familiare e sociale conseguente alle procedure di adozione internazionale, 23 Sul punto le esatte osservazioni di Petrone M., op.cit., 217 s. 24 Tale prassi è segnalata criticamente da Chistolini M., L adozione dei bambini grandi, in Minorigiustizia, 2009, 1, 148 25 Così, ad esempio, Romano F., Contributo al dibattito sulla carta dei diritti del bambino adottato, in Minorigiustizia, 2009, 1, 100 ss.

tenendo presente, come già si è ricordato, che la tutela dei tratti identitari del minore costituisce comunque un valore secondo rispetto alla protezione in concreto del suo superiore interesse e quindi del suo benessere.26 Andrebbe inoltre considerato, seppure in un ottica di ragionevole bilanciamento, il diritto di libertà dei genitori nell educazione dei figli, all interno della quale un particolare rilievo assume il tema della educazione religiosa, che mal sopporta ingerenze e limiti dall esterno, specie se motivate dal rispetto delle radici culturali di un minore adottato in tenerissima età. D altra parte, il rispetto per le radici culturali dell adottato, oltre a coincidere col rispetto dello stesso adottato come persona, può ben costituire il modello di relazione su cui consolidare la capacità di misurarsi con le molteplici diversità che compongono la società in cui vive, a partire dalla propria. Il sostegno nel post adozione: diritto od obbligo? La Convenzione de l Aja, all art.9, lett.c), richiede agli Stati parti di predisporre l organizzazione di servizi di consulenza per il tempio del post-adozione, ma non impone l obbligo per i privati di utilizzarli. Coerentemente, anche la nostra legge, agli artt. 34, c.2 e 31, lett. m), non prevede l obbligo per gli adottanti di consentire alle attività di sostegno od assistenza dei servizi territoriali per l infanzia, lasciando però loro la facoltà di richiederle27. Il sostegno alla famiglia adottiva, una volta esaurita la procedura di adozione internazionale, si configura dunque come un diritto soggettivo di ciascuno dei componenti della famiglia, obbligando comunque l ente locale a predisporre e garantire le relative prestazioni almeno durante il primo anno di soggiorno dell adottato in Italia. Il tema non è però privo di vischiosità disciplinari e necessita pertanto di qualche ulteriore precisazione, anche perché, se è vero che i genitori adottivi potrebbero scegliere, almeno a termini di legge, di non avvalersi di alcun sostegno dei servizi territoriali, pure è vero che questi ultimi esercitano in ogni caso (e dunque a prescindere dal consenso o meno degli adottanti) anche una funzione di vigilanza nell interesse del minore28. 26 Cfr. Cass. 4.5.1991, n.4936, cit. 27 Moro A.C., Una grande sfida: la legge sull adozione internazionale, in Adozioni internazionali. L attuazione della nuova disciplina, in Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed analisi per l infanzia e l adolescenza, n.16, Firenze, 2000,39 28 Luzzatto L., La prospettiva clinica nella valutazione psicologica dell opportunità di adottare e nel sostegno al processo adottivo, in Minorigiustizia, 2009, 1, 182

La scelta legislativa, forse discutibile, non è stata però positivamente apprezzata né dalla nostra autorità centrale (la Commissione per le Adozioni Internazionali) né dalla prevalente dottrina, espressiva però, almeno in questo caso, di un pensiero davvero diffuso tra gli operatori del settore. Si spiega così l introduzione, a livello regolamentare, di una posizione di obbligo contrattuale imposta d autorità agli enti (e dunque, indirettamente, anche alle coppie adottive) mediante la tecnica normativa della clausola imposta. L art.15, co.3 della delibera del 2008 della C.A.I. dispone infatti che l ente si impegna ad ottenere il consenso della coppia al post adozione, impegnandosi altresì ad informare tempestivamente i servizi territoriali se constaterà problemi di relazione all interno della famiglia adottiva. Introdotta (seppure con un procedimento normativo di dubbia legittimità) l obbligazione a contrarre avente ad oggetto l assistenza nel tempo del post adozione, i successivi interventi regolamentari si sono preoccupati di ribadirne e qualificarne l effettività con una serie di disposizioni tutte centrate sull onere per l ente di dimostrare la propria capacità di intervento nel post adozione29. Nel complessivo disegno normativo figurano così due diversi erogatori di attività di sostegno durante il post adozione: l ente ed il servizio pubblico territoriale, la cui capacità di collaborazione istituzionale è evidentemente essenziale, ma purtroppo non sempre riscontrata. È stata infatti lamentata, da un attento osservatore, la frequente mancanza di flussi informativi tra gli enti e i servizi, i quali talvolta non verrebbero informati né dell abbinamento ormai avvenuto tra gli aspiranti adottanti ed il minore, né della successiva autorizzazione all ingresso, né dell effettivo ingresso, né di eventuali successivi problemi30. 29 Si veda, in particolare, la Delibera n.13/2008/sg della CAI, Allegato A, l art.8 (L ente deve disporre di strutture organizzative e operative adeguate in ordine al post adozione); l art.9 (1. L ente accetta incarichi nella regione dove ha sede nella quale è in grado di svolgere post adozione; 2. Può accettare incarichi da coppie residenti nella macroarea dettagliando le modalità in cui garantirà anche il post adozione; 6. Le comunità religiose possono essere autorizzate ad incarichi di coppie nelle regioni dove hanno sedi periferiche presso le quali è possibile svolgere attività di post adozione); l art.10, co.4 (l ente può utilizzare le sedi dell ente con cui ha stipulato un intesa se è in grado di svolgervi attività di post adozione); l art. 13 (nella domanda di autorizzazione ad operare in un paese l ente presenta un progetto in cui dà conto delle modalità di svolgimento del post adozione); l art.15 co.1 e 2 (il progetto di autorizzazione ad operare deve prevedere anche la descrizione delle modalità del post adozione richiesto dal paese di origine del minore da svolgersi anche secondo le intese di cui art.39 bis l. adoz.). 30 Pazé P., La fine del tempo dell attesa e l abbinamento coppia-bambino; dieci questioni discusse, in Istituto degli Innocenti, La qualità dell attesa nell adozione internazionale, Firenze 2010, 359

Una percezione problematica che evidentemente non esclude la possibilità di modelli di collaborazione già soddisfacenti in alcuni o molti contesti, come testimoniato, ad esempio, da Luzzatto, che riferisce la prassi capitolina di stipula di contratti di servizio con le coppie adottive della durata ultralegale di due/tre anni dopo l arrivo del minore, d intesa con gli enti autorizzati31. A prescindere dal giudizio in fatto sulla qualità della collaborazione tra enti e servizi, va comunque osservato che questa è comunque imposta da diversi riferimenti normativi, tra i quali in primo luogo, l art.31 della legge sull adozione, ove è disposto che la decisione di affidamento (o adozione) dell autorità straniera vada comunicata dall ente al tribunale, ai servizi territoriali, nonché alla Commissione (lett. g); nonché l obbligo dell ente di assicurare la sua collaborazione, sin dall ingresso del minore in Italia, nel sostegno alla famiglia adottiva. L obbligo di collaborazione tra enti e servizi diviene essenziale soprattutto nei casi in cui la duplicità funzionale assegnata dall art.34 della legge sull adozione all attività dei servizi territoriali (sostegno, ma anche controllo) si esprime riguardo a situazioni di più evidente fragilità familiare. Anche gli enti sono chiamati ad esercitare questa seconda funzione di controllo a protezione del minore adottato, come risulta, con chiarezza, dalle norme regolamentari, tra cui l art.14, co.1, D.P.R. 8 giugno 2007, n.108 ove si dispone che l ente autorizzato segnali alla Procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni e alla Commissione eventuali situazioni familiari, successive all'adozione, che potrebbero comportare pregiudizio per il minore, informandone i servizi territorialmente competenti 32. Il tema dell assistenza è infine connesso alla necessità, talvolta, di inviare relazioni supplementari anche nel post adozione all autorità straniera. Questa attività non rientra però tra i compiti stabiliti dalla legge a carico dei servizi territoriali e ciò spiega l auspicio di alcuni a che le regioni prevedano normativamente l obbligo di relazionare (sempre su richiesta) a carico dei propri servizi sociali. 31 Luzzatto L., op. cit., 184 32 La disposizone costituisce sviluppo ed aggiornamento dell art.11, comma 1, lett. h) del precedente regolamento della Commissione, D.P.R. 1 dicembre 1999, n. 492, secondo cui gli enti autorizzati dovevano segnalare al Tribunale per i minorenni e alla Commissione per le adozioni internazionali le situazioni familiari che potessero comportare pregiudizio per il minore anche se successive all adozione.