I nostri primi centocinquant anni: dopo una straordinaria corsa verso il benessere, gli italiani si ritrovano divisi alla meta? Dall Unità ad oggi il reddito degli italiani è aumentato di circa tredici volte, più della media dei dodici paesi europei il cui Pil per abitante si è moltiplicato per undici. L Italia è cresciuta mantenendo il passo degli Stati Uniti (13 volte), di Francia e Germania (12 e 11 volte). Si è trattato però di una crescita non uniforme nel tempo e nel territorio, sebbene accompagnata fino agli anni 90 da una riduzione delle disuguaglianze. Da due decenni a questa parte il Pil avanza alla velocità dello 0,6% annuo, un passo assai lento che richiede centoventicinque anni perché il reddito dell italiano medio raddoppi. Se guardiamo alla vulnerabilità economica della popolazione, scopriamo poi che fra il 1985 e il 2001 la popolazione non povera ma soggetta al rischio di cadere in povertà in futuro ha oscillato secondo le stime riportate tra il 35 e il 40%. Emerge dunque una fragilità latente della salute economica delle famiglie italiane. Da almeno 25 anni coesistono da un lato uno «zoccolo duro» di povertà cronica e dall altro una povertà potenziale che coinvolge una fetta importante della popolazione, stimata pari ad almeno 20 milioni di individui. I dati sono contenuti nel volume di Giovanni Vecchi, professore di economia politica presso l Università di Roma Tor Vergata, In ricchezza e in povertà. Il benessere degli italiani dall Unità a oggi, edito da Il Mulino, che raccoglie i risultati di un ampia e documentata ricerca realizzata grazie al sostegno di Abbott, azienda impegnata nel settore salute, e con il contributo di numerosi esperti nazionali e internazionali: economisti, storici, epidemiologi, statistici e demografi. Il volume fornisce una ricostruzione inedita della storia economica italiana post-unitaria, da cui emerge un primo dato importante: il Paese ha saputo crescere senza che mai la generazione dei figli potesse rimpiangere il livello di benessere dei padri. Almeno fino ai tempi più recenti. L Italia che giunge al compimento dei centocinquant anni di storia unitaria appare, infatti, un paese che mostra segni di stanchezza, rallentando, fino quasi a fermare, la sua corsa. Gli italiani percepiscono una crescente insicurezza per il futuro mantenimento dei livelli di benessere raggiunti. Nello stesso tempo, e lo confermano i numeri della ricerca guidata da Giovanni Vecchi, lo sviluppo economico italiano nelle sue diverse dimensioni sembra compromesso dalla mancata integrazione tra il Nord e il Sud che, proprio in questi ultimi anni, si sta traducendo in un solco sempre più profondo che separa le due parti del paese. Stimolante, al riguardo, è la provocazione lanciata dagli autori della ricerca. A che punto sarebbe lo sviluppo dell Italia se il Mezzogiorno, nel percorso post-unitario, fosse cresciuto allo stesso ritmo del Centro-Nord? Avremmo un Pil per abitante superiore del 20% circa all attuale valore e potremmo superare Francia e Germania, raggiungendo il livello del Pil pro capite della Gran Bretagna. Si tratta chiaramente di un esperimento virtuale, uno strumento retorico utilizzato dagli autori per invitare il lettore a riflettere sulla rilevanza nazionale della questione meridionale. Chi ha guadagnato e chi ha perso dunque nel formidabile percorso compiuto dal nostro paese in centocinquant anni? Come si sono distribuiti i progressi nelle condizioni di vita della popolazione? Hanno raggiunto i segmenti più poveri della popolazione? Sono interrogativi che solo in parte trovano risposta nella letteratura specialistica. Gli storici economici si sono concentrati prevalentemente sull andamento del Prodotto Interno Lordo: su questo terreno, lo sviluppo italiano è stato definito la storia di un successo. Si tratta di un giudizio certamente condivisibile quando il metro utilizzato sia quello della crescita aggregata e dell efficienza. Ma nella ricerca In ricchezza e in povertà la storia dei nostri primi centocinquant anni viene ripercorsa attraverso 7
un angolatura diversa, ricostruendo la dinamica della distribuzione dei benefici associati alla crescita. L approccio è multidimensionale, presta attenzione tanto agli aspetti non monetari del benessere la salute, l istruzione, la nutrizione, il lavoro minorile quanto a quelli monetari, relativi ai redditi, ai consumi e alla ricchezza delle famiglie, alla disuguaglianza dei redditi, alla povertà assoluta e alla vulnerabilità alla povertà. Non v è dubbio che lo stato unitario abbia vinto le sue battaglie contro la fame e la miseria, l ignoranza e la malattia. L aumento dell aspettativa di vita è la conquista certamente più eclatante: con una aspettativa media di 82 anni l Italia si colloca al quarto posto nelle classifiche internazionali per longevità. I bambini del Regno d Italia, nati nel 1861, avevano una speranza di vita che non superava i 29-30 anni. Nel corso del secolo e mezzo osservato, gli italiani hanno guadagnato mediamente 4 mesi di vita all anno. Nel periodo post-unitario è cambiato anche il quadro nosologico. Nell arco di tempo 1881-2011 si assiste alla scomparsa, pressoché totale, della mortalità per malattie infettive, prima causa di decesso nella seconda metà dell Ottocento, alle quali subentrano alcune malattie croniche (quelle legate al sistema cardiocircolatorio e alle neoplasie), che si accompagnano al processo di invecchiamento della popolazione. Né si può dimenticare che i successi sul fronte della salute pongono anche nuove sfide in termini di sostenibilità economica per le problematiche legate ad una popolazione sempre più anziana. Basti ricordare che la spesa sociale sanitaria rappresenta oggi circa il 40% della spesa totale e pesa sui bilanci regionali per circa il 75%. Il volume In ricchezza e in povertà offre un analisi innovativa che narra la storia degli italiani ponendo l accento sull equità dello sviluppo, superando in tal modo i metodi tradizionali di misurazione del benessere basati esclusivamente sul Pil per abitante. Questa ricostruzione colloca l Italia in una posizione di avanguardia, poiché a oggi nessun paese ha ripercorso la propria storia distributiva dei redditi o dei consumi lungo un orizzonte temporale di un secolo e mezzo. La novità è soprattutto nella fonte documentale: il Database dei Bilanci delle Famiglie Italiane, presentato per la prima volta nel volume, raccoglie oltre 20.000 bilanci di famiglie vissute nel primo secolo di storia unitaria. Il raccordo con le indagini campionarie di Istat e Banca d Italia consente all autore di scrivere la storia distributiva del paese per tutti i suoi 150 anni. Al momento dell unificazione il 44% dei cittadini non disponeva di un reddito sufficiente a fare fronte alle necessità quotidiane. Dall Unità ad oggi la crescita ha contribuito a migliorare soprattutto le condizioni di vita delle classi popolari: la quota del reddito totale che va al quinto più povero della popolazione è cresciuta di 13 volte, quella che va al quinto più ricco di 5 volte. Lo sviluppo economico moderno ha avuto dunque un carattere perequativo, benevolente. Sono molte però le sfumature e le differenze che emergono se si analizza il fenomeno nella sua diversa articolazione temporale e geografica. I dati sulla povertà assoluta che identifica la condizione di povertà di un individuo indipendentemente dalle condizioni di vita degli altri cittadini mettono in luce, nel corso del secolo e mezzo post-unitario, una riduzione significativa e generalizzata. A fine corsa però, nel 2008, i tassi di diffusione della povertà meridionali risultano quadrupli rispetto a quelli settentrionali, mentre erano meno che doppi nel 1861. Con uno sguardo ai livelli, osserviamo che l incidenza della povertà assoluta al Nord è vicina alla soglia di estinzione (2,2%), mentre al Sud coinvolge ancora quasi il 10% dei cittadini. Se da un lato la povertà assoluta a livello nazionale è in flessione, con un valore intorno al 4%, fa riflettere il fatto che la povertà risulti per il 90% cronica. I poveri sono sempre i soliti noti. E non solo. Dalla ricerca emerge un dato allarmante per quanto riguarda la vulnerabilità alla povertà, vale a dire la probabilità di divenire povero in futuro. C è nel Paese una forbice che continua ad allargarsi e che non riguarda esclusivamente le diverse aree dell Italia. Basta guardare all andamento dei redditi negli ultimi venti anni. La crescita muta la sua qualità e il suo impatto. Il reddito disponibile dei «poveri» cresce assai lentamente; il «ceto medio» galleggia, mentre il 20 per cento dei più ricchi cresce a ritmi superiori alla media. Se volgiamo uno sguardo diretto all equità della crescita osserviamo come nei primi centoventi anni di storia unitaria in media a ogni aumento di 1 punto percentuale del Pil si è associata una diminuzione della disuguaglianza pari a 0,15 punti percentuali. Dall inizio degli anni Novanta, si manifesta invece un fenomeno del tutto nuovo: la disuguaglianza dei redditi aumenta, di 0,30 punti percentuali per ogni punto di Pil per abitante. L analisi del Pil pro capite delle singole regioni, frutto di una ricerca coordinata dalla Banca d Italia in collaborazione con l Istat e presentato per la prima volta nel volume, mostra chiaramente il modo in cui la crescita si è diffusa nelle diverse aree del paese. Il quadro che emerge presenta luci e ombre. Nell Italia del 1871 l area più ricca della nazione è il 8
Nord-Ovest che, in termini di Pil per abitante, ha un vantaggio di circa il 25% su quella più povera, il Sud (circa 2.000 euro annui per persona al Nord-Ovest e 1.600 euro al Sud). Ma non è questo il dato che colpisce (non scopriamo oggi la questione meridionale). L elemento sorprendente è lo spettacolare processo di divergenza che si osserva nel lungo periodo: le regioni del Nord-Ovest (Piemonte, Liguria e Lombardia) partono da condizioni iniziali di leggero vantaggio, ma crescono lungo una traiettoria che le rende un «mondo a parte» all indomani della seconda guerra mondiale. Nel 1951 i cittadini delle regioni nord-occidentali avranno un Pil maggiore del 50% della media italiana. In maniera simmetrica, ma in direzione opposta, vanno le regioni del Mezzogiorno, le quali perdono terreno rispetto al resto del paese, e giungono al secondo dopoguerra con un Pil per abitante che è meno della metà di quello delle regioni centrosettentrionali. Per battere la vulnerabilità economica che interessa fasce sempre più ampie della popolazione occorre investire nell istruzione. I dati riportati nel volume attestano inequivocabilmente i ritardi del nostro paese in questo campo: secondo statistiche OCSE, gli adulti italiani hanno in media un percorso formativo di appena dieci anni di studi. L Italia si colloca davanti a Messico, Portogallo e Turchia, ma alle spalle di tutti gli altri 26 paesi dell Ocse, dietro quindi a tutti i paesi più sviluppati. Solo il 20% della popolazione tra 25 e 34 anni è laureata, ben al di sotto della media europea pari al 35%. I nostri vicini di casa, Spagna e Francia, presentano rispetto a noi una percentuale di laureati doppia (39 e 41 per cento, rispettivamente). Altrettanto scoraggianti sono i dati sulla qualità dell insegnamento: secondo le valutazioni che emergono dai dati Pisa (Programme for International Student Assessment) la preparazione dei nostri quindicenni in lettura, matematica e scienze si colloca al di sotto della media Ocse. Come sottolinea Giovanni Vecchi nell introduzione del volume Garantire ai figli il livello di benessere conosciuto dai padri è un operazione possibile solo se ci si pone, collettivamente, l obiettivo di spezzare alcune delle continuità che hanno segnato questi ultimi centocinquant anni di storia italiana. Solo se si scriverà a chiare lettere sulle nostre scuole e sulle nostre università che un capitale umano non adeguatamente e opportunamente istruito è un capitale umano quasi inservibile. Reddito - Il Pil delle regioni Appendice statistica Disuguaglianza La grande divergenza: Pil e regioni, 1871-2009 Il grafico mostra l evoluzione del Pil per abitante (misurato lungo l asse verticale, con Italia = 100) per ciascuna ripartizione geografica. La distanza fra il Pil medio di ciascuna macroarea aumenta nel tempo (salvo la parentesi degli anni 1951-1971). Un secolo e mezzo all insegna della divergenza Il grafico mostra l andamento dell indice di Gini (asse verticale) nel tempo (asse orizzontale). Valori elevati dell indice indicano «alta» disuguaglianza, valori bassi «bassa» disuguaglianza. 9
La disuguaglianza dei redditi nelle regioni, 1986-2008 Le mappe riportano l indice di Gini (che assume valori compresi fra 0, perfetta uguaglianza, e 100, massima disuguaglianza) calcolato sulla distribuzione dei redditi pro capite, per gli anni 1986 e 2008. Il colore chiaro indica bassa disuguaglianza, il colore scuro alta disuguaglianza. Vulnerabilità Povertà La percentuale di persone povere in Italia, 1861-2011 Il grafico mostra l andamento dell incidenza della povertà (asse verticale), nel tempo (asse orizzontale). Povertà cronica e rischio di povertà, Italia 1985-2001 La figura mostra l evoluzione nel tempo della percentuale di popolazione italiana classificata come povera (linea nera tratteggiata), cronicamente povera (linea arancione) e temporaneamente povera (linea punteggiata). La figura segnala anche la percentuale di popolazione a rischio di povertà in ciascun anno (35-40 per cento, linea rossa). 10
Vulnerabilità La vulnerabilità è diretta a Sud La figura mostra l andamento nel tempo della percentuale della popolazione italiana non povera ma vulnerabile, cioè a rischio di povertà. Salute La vita media in Italia a confronto con il resto del mondo Il grafico pone a confronto le traiettorie della speranza di vita alla nascita (asse verticale) dell Italia (linea rossa) con quella di altri paesi. Il processo di convergenza secolare, interrotto solo nel periodo fra le due guerre, accelera vistosamente nel secondo dopoguerra. Di cosa si moriva e si muore oggi in Italia, 1881-2001. Il grafico mostra l evoluzione delle principali cause di morte nel corso del periodo 1881-2001. I valori riportati sono smussati (medie mobili a 10 periodi). 11