La vera immortalità dell uomo è nel ricordo.

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Transcript:

La vera immortalità dell uomo è nel ricordo.

Oggi finalmente si parte per il viaggio della memoria Arrivati a Cracovia la prima tappa è il ghetto, e il primo posto che ci troviamo di fronte, è la piazza degli Eroi: 68 sedie in bronzo tristemente isolate l una dall altra ricordano mille ebrei che abitavano la città prima dell invasione tedesca alla fine del 1939 e che furono brutalmente deportati per la liquidazione.

Nell osservarle si ha come la sensazione di tornare indietro nel tempo, come se davanti a noi avessimo la gente che straziata lascia la propria casa, un po impaurita e un po perplessa, diretta verso un destino funesto e doloroso. Siamo veramente in tanti, alunni e professori di circa quaranta scuole di Roma partiti tutti insieme per vivere e conoscere questi luoghi della memoria di una storia di uomini come noi che hanno subito un ingiusto destino di persecuzione e di morte! Ci spiegano che il ghetto di Cracovia venne costruito ufficialmente il 13 Marzo 1941 e venne istallato nel quartiere di Podgòrze, e non nel quartiere ebraico di Kazimierz, e dunque numerose famiglie ebree residenti nelle abitazioni fuori dal ghetto vennero costrette a spostarsi e poterono portare con se soltanto una valigia a testa.

Ecco allora che tornano alla mente le immagini del celebre film Shinderlist di Steven Spielger, ed in particolare quella che ritrae le famiglie ebree che attraversano il ponte per raggiungere l altra parte della città, dove si trova la loro prigione. Poche persone compresero ciò che in quei giorni la parola ghetto significasse. Era qualcosa di astratto, che stava sulle labbra di tutti.

Prima della creazione del ghetto il quartiere era abitato da tremila persone: con la ghettizzazione in quest area vennero stipati inizialmente quindicimila ebrei a cui venne assegnato un appartamento ogni quattro famiglie, e molti sfortunati furono costretti a vivere per strada. Subito viene da riflettere sulle condizioni in cui si viveva ai limiti dell umanità e dell indecenza, stipati come bestie. Si moriva di fame, di sete, di freddo ma soprattutto a causa delle epidemie che si diffondevano facilmente a causa della totale mancanza di igiene dovuta all assenza di acqua e luce, completamente massacrati dai maltrattamenti e dai lavori forzati. Una testimonianza giuntaci anonima ci dice: La fame nel ghetto era così forte, così terribile che la gente si sdraiava per strada e si lasciava morire lì; i bambini andavano in giro ad elemosinare e ogni giorno uscivi al mattino e vedevi a terra gente morta, coperta di giornali o di qualunque altra cosa, qualsiasi cosa si trovava per coprirli e poi vedevi quella gente tra i morti su piccoli carretti, li portavano al cimitero e li seppellivano nelle fosse comuni. E ogni giorno ne morivano migliaia e migliaia per la fame, perché i tedeschi non davano nulla da mangiare.. non se ne parlava proprio. Non potevi andare da nessuna parte a comprare qualcosa. E tutta questione di fortuna se non ce l hai muori!.

Proseguendo il nostro percorso intravediamo una parte del muro che isolava completamente il ghetto dal resto della città, e ci raccontano che questo venne costruito con le lapidi del cimitero ebraico distrutto, come oscuro presagio del futuro imminente, infatti osservandole anche la loro forma ricorda delle lapidi.

Finestre e porte che erano rivolte verso il lato ariano della città vennero murate. Gli ebrei dovevano in ogni caso vivere confinati lì dentro quindi durante i periodi di crescita della popolazione le case, spesso ormai piene, dovevano essere rialzate, c erano dunque strade strette e case alte ed affollate. Durante le ore buie gli ebrei non potevano per nessuna ragione allontanarsi dal ghetto anche perché le uniche porte d accesso erano chiuse per poi essere riaperte all alba.

Ma il fenomeno della ghettizzazione e della persecuzione, è solo il punto d arrivo di un processo iniziato da tempi molto più lontani, in effetti, la popolazione ebraica da sempre è stata vittima dei soprusi e delle ingiustizie delle nazioni più potenti, che vedevano in questo popolo una minaccia, un limite alla loro grandezza. Infatti ancor prima della creazione dei ghetti vennero compiuti atti di violenza e di umiliazione che miravano ad annientare psicologicamente e fisicamente gli ebrei. Ad esempio, nell Ottobre del 1939 vennero emanate severe norme di comportamento, che obbligavano gli ebrei, a salutare ogni tedesco che incontravano e di spostarsi qualora si trovassero sul suo stesso marciapiede. Ma soprattutto l obbligo di portare una stella di David in modo da essere facilmente identificabili.

Il lato buono del ghetto, secondo alcuni ebrei era: Il fatto che i tedeschi non vi gironzolavano. Finirono quindi le ruberie e le persecuzioni. L unico desiderio era infatti quello di chiudersi con i propri simili, per evitare che gli assassini entrassero nelle loro case. Ma ci vengono raccontate anche altre storie, che nella tragedia della shoah, rappresentano una speranza e che ci alleggeriscono un po l animo, come esempio a cui guardare, affinchè ciò che è accaduto non si ripeta mai più, in perfetta coerenza con quello che è il senso del nostro viaggio. Sono le storie di Oskar Schindler, che riuscì a salvare la vita di novecento ebrei dando loro lavoro nella sua industria di munizioni, e quella del farmacista Tadeusz Pankiewicz, che rifiutò di lasciare il ghetto per prendersi cura dei più bisognosi. Aiutare un ebreo significava esporsi alla morte.

Ed è commovente anche solo immaginare la straordinaria forza che ebbero questi due uomini, che dedicarono la loro libertà per aiutare il prossimo. E ci colpisce ancora di più sapere che Schindler neanche era ebreo ma tedesco, e ciò nonostante scelse di sacrificare la propria vita per salvare altri uomini dalla brutalità di cui si macchiò la sua nazione. Ma la popolazione ebraica non rimase poi del tutto passiva a quello che stava accadendo, infatti risposero alle restrizioni del ghetto attuando varie forme di resistenza: organizzarono spesso attività cosiddette illegali, come l'introduzione segreta di cibo, medicine, armi o informazioni. Alcuni superarono i muri del ghetto all'insaputa dei Consigli Ebraici e senza la loro approvazione.

Diversi Consigli al completo, e in altri casi solo alcuni dei loro membri, tollerarono o incoraggiarono tali attività illecite, in quanto erano necessarie a mantenere in vita gli abitanti del ghetto. In alcuni ghetti, membri dei movimenti di resistenza ebraici organizzarono diverse insurrezioni armate; la più grande fu quella del ghetto di Varsavia, nella primavera del 1943. Altre violente rivolte ebbero luogo a Vilnius, Bialistock, Cestokowa e in molti altri ghetti più piccoli. Nell agosto 1944, le s.s. e la polizia completarono la costruzione dell ultimo grande ghetto, quello di Lodz. Nonostante i tedeschi in teoria dimostrassero di solito scarsa preoccupazione per i riti religiosi, per la partecipazione ad eventi culturali o a movimenti giovanili all'interno delle mura del ghetto, essi spesso videro una minaccia alla sicurezza in qualunque riunione sociale e agirono senza scrupolo per incarcerare o eliminare sia i capi di tali circoli o che coloro che semplicemente li frequentavano. Inoltre, le autorità germaniche proibirono generalmente anche qualunque forma di istruzione, a tutti i livelli. Veniamo poi a scoprire che il ghetto veniva utilizzato come vero e proprio strumento di propaganda politica, infatti serviva a sottolineare l inferiorità della razza ebrea rispetto a quella ariana. Fa eccezione però il caso di Theresienstadt, a sessanta chilometri da Praga che veniva definito da Hitler il ghetto modello, dove la propaganda era ben differente l intento era infatti quello di dimostrare alla gente che gli ebrei durante la guerra erano dei privilegiati e che potevano addirittura giocare a calcio.

Ma in fin dei conti in qualche modo bisognava pur camuffare il reale progetto del dittatore tedesco e quale mezzo può essere migliore della pubblicità?!...

Vedendo questi luoghi ed ascoltando le spiegazioni, capiamo bene che i ghetti non furono altro che un punto di transito per la suddivisione tra coloro ancora abili al lavoro e coloro che invece, ormai improduttivi, erano destinati ad essere brutalmente uccisi nei campi di concentramento. I ghetti furono dunque, prima della comparsa dei campi, il simbolo dell antisemitismo, la prima barriera che separava gli ebrei dal resto della società. A partire dal 30 Maggio del 1942, infatti, le autorità tedesche iniziarono una serie di sistematiche deportazioni verso il campo di sterminio di Balzec; nei mesi successivi migliaia di ebrei subirono questa stessa sorte. Tra il 13 e il 14 Marzo i nazisti, operarono la liquidazione finale del ghetto tramite le s.s.: circa duemila considerati inabili, soprattutto bambini ed anziani, vennero uccisi nelle strade del ghetto.

Invece gli ottomila ebrei recuperati ancora abili al lavoro vennero deportati al campo di concentramento di Krakòw-Plaszòw, il resto invece al campo di sterminio di Birkenau

Qui iniziò il viaggio infernale della popolazione ebraica, destinata ad essere vittima dei peggiori massacri l arrivo infatti era la morte! Dopo le parole e le immagini lasciamo spazio ai pensieri Per molti ebrei il passaggio dalle tiepide case alle camere a gas si consumò attraverso un calvario scandito da tappe sempre più dolorose: la spoliazione dei beni, il confinamento nei ghetti, la deportazione, il lavoro forzato, il freddo e la fame, le innumerevoli selezioni che mandavano da una parte i condannati a morte e dall altra i salvati. Pochissimi tornarono, ancor meno ritrovarono vivi i loro cari. I sopravvissuti con le loro testimonianze (scritte, orali e disegnate) e con le loro iniziative fecero e fanno di tutto perché noi possiamo obbedire a quello che un ex deportato definì l undicesimo comandamento: Non dimenticare mai la Shoah. Che cosa significò, da un momento all altro, dover abbandonare tutto: la casa, gli amici, i compagni di scuola, le piccole cose care di tutti i giorni? Che cosa provarono uomini, donne e bambini quando salirono sui treni che, come scrisse Primo Levi, li portarono dall altra parte, dove non avrebbero mantenuto nessun contatto con il mondo che avevano conosciuto fino a quel giorno? Il cuore dello sterminio: Auschwitz.

Tragicamente esemplare fu il campo di Auschwitz-Birkenau, costruito in una zona al centro di molte vie di comunicazione. Auschwitz divenne l ultima destinazione per centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini provenienti da ogni parte dell Europa: le cifre più recenti indicano 1.500.000 le vittime di questa gigantesca macchina dello sterminio. Esso era formato da tre grandi aree: il campo di concentramento, il campo di sterminio, in cui vennero man mano costruiti impianti sempre più grandi e tecnologicamente efficienti, e l area dove erano stati costruiti impianti di produzione di alcune industrie tedesche. All ingresso del campo vi era un grande cancello con la scritta Arbeit macht frei. Qui divisi in file tra uomini e donne, dopo una prima selezione, i prigionieri venivano privati dei loro poveri bagagli, denudati, rasati, riforniti degli indumenti del campo e inviati nelle baracche. Ma la beffa più atroce era quella di far scrivere il nome sulle loro valige, facendo credere loro che gli sarebbero state restituite. Con queste parole Primo Levi, catturato a Milano dalla milizia tedesca ed internato ad Auschwitz nel dicembre del 1943, rievoca il momento dell ingresso nel campo:

Siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c è, e non è possibile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parlavamo non ci ascoltavano: se ci ascoltassero non capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremmo conservarlo, dovremmo trovare in noi la forza di farlo,di far si che dietro al nome,qualcosa di noi, di noi quali eravamo, rimanga. -Se questo è un uomo pag. 36/37

La decisione di sterminare gli ebrei fu presa da Hitler e dai maggiori esponenti del regime nazista. Ma un genocidio si compie concretamente attraverso i gesti quotidiani di migliaia di persone normali. Ci furono coloro che progettarono i campi, costruirono e vendettero ( con enormi profitti) i forni crematori, aprirono i rubinetti delle camere a gas, strapparono i figli alle loro madri, decisero della vita e della morte dei propri simili, selezionando i soggetti abili al lavoro e quelli che dovevano essere uccisi subito. Alcuni erano dei fanatici antisemiti, altri obbedirono ottusamente agli ordini ed altri ancora agirono per paura o per interesse. Tutto ciò traspare dalla testimonianza di Josef Kramer, capitano delle s.s. in servizio al lager di Auschwitz: Ai primi di Agosto del 1943 mi furono mandati ottanta internati da uccidere con il gas. Una notte mi recai sul luogo dove si trovava la camera a gas in un piccolo autocarro, portando con me, questa prima volta quindici donne. Dissi alle donne che dovevano entrare nella camera per essere disinfettate, non dissi però che dovevano essere uccise con il gas. Sospinsi le donne nella camera e, quando la porta venne chiusa esse cominciarono a gridare. Attraverso una feritoia osservai quello che accadeva nella stanza.

Nel procedere a tutte queste cose non provavo sentimenti di nessun genere, dal momento che avevo ricevuto l ordine di uccidere nel modo che vi ho detto. E poi è così che ero stato addestrato. Un altra testimonianza di Wilheln Bogr, ufficiale della gestapo in servizio ad Auschwitz: Conoscevo soltanto una condotta: eseguire gli ordini dei superiori senza riserve. Ed ancora un altra testimonianza di Hans Stark, ufficiale della gestapo in servizio ad Auschwitz: Credevo nel Fuhrer. Volevo servire il mio popolo. Le nostre riflessioni ci lasciano alquanto sgomentati ed è molto difficile lasciare questi posti per tornare alla realtà, riprendendo il pullman che ci riporta all albergo dove la vita riprende il colore sereno della nostra esistenza, ma la loro?...

Questa mattina ci aspetta la visita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Auschwitz-Birkenau comprendeva un immenso territorio con varie sezioni di abitazione nel quale persero la vita oltre un milione e centomila persone, in stragrande maggioranza ebrei, russi, polacchi e zingari.. Le vittime erano condotte alle camere a gas immediatamente dopo la tipica selezione degli inabili al lavoro agli arrivi dei convogli.

Al nostro arrivo scendendo dal pullman ci troviamo davanti l ingresso al campo e l aria sembra soffocante, fredda e grigia, quasi ad avvolgerci in un passato non tanto lontano Dopo pochi passi ci troviamo sulla Bahnrampe, la rampa dove, dal 1944, arrivavano i convogli dei deportati. Lì Sami Modiano e le sorelle Bucci dopo averci rivolto calde e simpatiche parole ci hanno poi raccontato il triste viaggio che li ha portati nel campo. Le sorelle Andra e Tatiana Bucci furono deportate nel campo di sterminio di Auschwitz Birkenau nell'aprile del 1944 all età di 4 e 6 anni, perché di religione ebraica. Vi sono rimaste fino alla liberazione del lager, il 27 gennaio 1945. Sami Modiano fu deportato anch egli all'età di 13 anni, rimasto anche lui fino alla liberazione del lager. Arrivati qui dopo un mese di viaggio, in condizioni disumane...vi devo confessare è un grande dolore parlare di questa faccenda per me, perchè arrivati qui, quando le porte di questi vagoni si sono aperte abbiamo trovato un gruppo di tedeschi preparatissimi, con una barbarie incredibile, e tra noi c'era un panico totale [...] io avevo tredici anni e mezzo in quel momento e cercavo di non perder di vista mio papà, i miei familiari, ognuno di noi faceva la stessa cosa, ma non era possibile...i tedeschi erano preparatissimi, hanno fatto subito il lavoro della divisione [...]" queste le parole di Sami.

Adesso ci circondavano baracche vuote, ma dense del respiro di uomini per i tedeschi non uomini dal grande valore umano e dignità morale certamente per noi monito a che giammai si ripeta il loro destino che è qui ancora avvolto da un silenzio agghiacciante.

I deportati nel campo erano internati in diversi settori, completamente separati tra loro e senza nessuna possibilità di comunicazione tra un campo e l'altro: un campo per uomini, un campoospedale maschile, un campo-quarantena maschile, un campo per donne, un campo-famiglie per zingari. La scelta da parte dei tedeschi di mantenere unite le famiglie rom era legata alla loro tradizione secondo la quale non potevano essere separate, infatti, proprio nel loro campo, si assistette all unico atto di resistenza e ribellione all interno di Birkenau, queste al momento dei rastrellamenti, per proteggere i loro cari, salirono sui tetti delle loro baracche per sfuggire agli ufficiali tedeschi, che spesso avevano il timore di entrarvi per paura di essere aggrediti.

Dopo aver osservato con incredulità il campo intorno, percorrendo la strada che per gli ebrei conduceva alla morte, siamo arrivati presso i resti del Krematorium 2 dove si è svolta la cerimonia per la deposizione di una corona con la squadra d onore dei vigili urbani e il Gonfalone di Roma. Eravamo tutti riuniti mentre Rav Roberto Colombo, Rabbino della Comunità Ebraica di Roma, suonava lo shofar, il corno ebraico.

E' stato un momento di forte emozione che ha portato alla sensazione di sentirci pienamente partecipi del loro dolore. Dopo la cerimonia tutto il gruppo si è incontrato presso la Zentralsauna, la sauna centrale, di fronte ai resti del Kanada 2. La sauna era un luogo adibito alla "disinfestazione" dei deportati che rimanevano nel campo come prigionieri. Il Kanada 2 era destinato allo stoccaggio e al successivo invio in Germania dei beni di proprietà dei deportati. Ci portarono nella sauna, ci spogliarono, ci rivestirono con i loro abiti e ci marchiarono con un numero sull avambraccio." le parole delle sorelle Bucci.

Sami, invece, ha raccontato di quanto fosse stata terribile la doccia nella sauna: i tedeschi si divertivano a cambiare la temperatura dell'acqua ripetutamente e non solo. La commozione ha coinvolto tutti i presenti. I nostri accompagnatori ci hanno poi accompagnati nel campo femminile e ci siamo fermati davanti al Kinderblok, la baracca in cui dormivano i bambini.

Le "sorelle", come le chiama sempre Marcello Pezzetti, direttore della Fondazione Museo della Shoah di Roma, hanno raccontato la loro permanenza all'interno della baracca: nonostante la tragica divisione dalla madre, hanno avuto la doppia "fortuna" di essere state scambiate per gemelle ( poichè i gemelli erano internati per poi essere studiati dal dottor Mengele e quindi non immediatamente uccisi) e di aver goduto della simpatia di una kapò della baracca. Insieme a loro c'era anche il cuginetto, le signore dicono "forse perchè era molto bello". Andra e Tatiana Bucci con il loro cugino Sergio.

La kapò, un giorno, avvertendo le bambine che sarebbero arrivati dei soldati a chiedere ai bimbi chi di loro avesse voluto vedere la propria mamma,disse loro di non alzare la mano dopo la proposta. I soldati arrivarono e uno dei pochi bambini che alzò la mano fu il cugino delle sorelle. Da quel giorno non lo videro più, soltanto una volta liberate e diventate grandi scoprirono che il loro cuginetto era stato portato nel laboratorio degli esperimenti di Mengele per poi essere destinato a concludere la sua breve vita nel modo più repellente. Anche Sami, dopo le signore Bucci, ha raccontato il percorso che, da lì, lo ha separato per sempre dalla sorella, tre anni più grande di lui. Sami Modiano, anche lui un ebreo deportato da Rodi nel luglio del 1944, insieme all'intera comunità di 2500 ebrei. Un viaggio, in realtà, iniziato ancor prima di quella data, quando a soli 8 anni, nel mezzo della terza elementare, fu convocato alla cattedra dal maestro che, a voce bassa e sguardo atterrito, comunica che era stato espulso dalla scuola e che la spiegazione gliela avrebbe data il padre... Per Sami, bambino ebreo di 8 anni, la scuola finì allora, alla terza elementare neanche compiuta.

Arriva poi il luglio dei suoi 13 anni e con tutta la comunità viene deportato dall'isola in battello per il trasporto bestiame: 500 persone stipate in un battello, lurido di escrementi di animali. Un odore pestilenziale in uno spazio ristretto e infuocato. Una settimana ci vorrà, ammassati come gli animali, per arrivare in Grecia. Da lì, poi, 3 settimane di viaggio verso la Polonia, al caldo di un agosto torrido, con 5 secchi di acqua in un vagone con 90 persone stipate dentro...3 settimane...3 settimane lunghissime, con una sola pausa a settimana, per gettare fuori i cadaveri e riempire i 5 secchi di acqua. Poi l'arrivo a Birkenau, la separazione uomini/donne, Sami che riesce a rimanere col padre Giacobbe, ma che vede sua sorella Lucia, di appena 3 anni più grande, essere strappata dalle mani di un padre dilaniato dal dolore... Davanti a lui - racconta -un ufficiale tedesco, il cui nome non vuole nominare muovendo l'indice a destra e sinistra, dopo una fugace occhiata al prigioniero, decide va chi fosse da ritenersi abile al lavoro o da destinare al di là", un "là" che Sami scoprirà più tardi essere le camere a gas...

Dei 2500 prigionieri deportati, si salvarono 350 uomini e 250 donne: 1800-1850 prigionieri, in maggior parte bambini, furono immediatamente gassati...amici di giochi, compagni, figli di amici, parenti, vicini di casa...tutti nelle camere a gas. Con un semplice movimento del dito. Lui e il padre vengono collocati al Lager A, ma in baracche separate; Lucia al lager B. <<Eravamo fortunati>> ha raccontato Sami <<Noi almeno eravamo salvi e vicini>>.

Poi...il marchio del numero: <<Mio papà mi teneva sempre per mano, sempre stretto.ci fecero poggiare il braccio sinistro su un tavolo: Giacobbe Modiano numero B7455; Samuel Modiano B7456. Tra Giacobbe e Sami un solo numero di differenza>>. Prosegue il racconto, raccontando le enormi sofferenze, il freddo, l'umidità, i piedi gonfi, un solo pigiama addosso a -15 gradi, e lui, il giovane Sami, che ogni sera va alla baracca del papà, per parlare un po con lui. Fin quando gli dice che vuole rivedere sua sorella e il padre, silente, non lo trattiene. Sami andrà quindi a passeggiare più volte lungo il filo spinato che divideva il Lager A dal Lager B, nella speranza di rivedere Lucia. Al 4 giorno, un incrocio di sguardi, un qualcosa che scorre sotto pelle: allora ecco che mette a fuoco meglio, ma non crede, non ci crede..non può essere...uno scheletro di donna, con la testa rasata e un pigiama a righe alza un braccio in segno di saluto: Lucia, la sua Lucia che <<era una bellissima ragazza dalla chioma nera>> ora era uno scheletro vivente. Sami si commuove...le mani tremano durante il racconto...ricorda che andò dal padre a raccontare che Lucia era viva, ma che era sofferente. <<Da allora mio papà divenne intrattabile, un'altra persona. Gli chiesi se voleva venire con me una sera. Non mi rispose, ma col solo cenno della testa mi fece di no. Non capivo, l'ho giudicato male a mio papà in quel momento...poi ho capito che non voleva vederla ridotta in quello stato, che voleva conservare il ricordo di quando era bella>>.

Per 3, 4 giorni Sami incontra Lucia, ma poi una sera non si presentò più. La sua Lucia... Passarono alcuni giorni ed una sera Giacobbe disse al figlio: <<Domani se non mi trovi non ti preoccupare. Tu sii forte. Vado in ambulatorio>>. La voce di Sami si fa rotta e stentata. <<Sapevo, a 14 anni, cosa voleva dire "vado in ambulatorio": tutti quelli che andavano in ambulatorio finivano nelle camere a gas...no papà, non devi andare! no, no, no!>> <<Non ti preoccupare, mi cureranno, ho solo i piedi gonfi>> << Avevo capito: mio padre aveva capito che non ne saremmo usciti e aveva deciso di farla finita...in poco tempo ho perso le cose più belle che avevo nella vita>>. Sami racconta con fiato spezzato, incredulo, attonito e tante volte ripete << Perché? Perché io? Perché io si e gli altri no?>>. Racconta che per anni queste domande lo hanno tormentato, fin quando non ha cominciato a girare per le scuole, a raccontare la sua storia, fin quando non ha capito che la risposta al perché poteva essere : "perché tu Sami dovevi raccontare. Le lacrime sui volti, in quei momenti, non sono mancate, e hanno fatto da contorno al silenzio che c è stato sino all'uscita da quel posto così grigio.

Fortemente provati e scossi dalle testimonianze travolgenti,continuiamo la nostra giornata al museo di Auschwitz, ultima tappa delle visite previste per questa giornata. Infatti dopo una pausa pranzo che sembra apparentemente distoglierci dai pensieri su questi luoghi ci ritroviamo verso le tre del pomeriggio davanti il tanto noto cancello di Auschwitz. Il campo di concentramento di Auschwitz fu uno dei tre campi principali e svolse un ruolo fondamentale nei progetti di soluzione finale del problema ebraico divenendo rapidamente il più grande ed efficiente centro di sterminio nonché il simbolo universale del lager nazista. Fu fondato il 20 Maggio 1940 convertendo delle vecchie caserme dell'esercito polacco in un campo di concentramento e campo di lavoro. Auschwitz fu reso operativo dal14giugno 1940. Sopra il cancello di ingresso si trovava la cinica scritta Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi). Era il messaggio di benvenuto posto all'ingresso.

La scritta assunse nel tempo un forte significato simbolico, essendo in grado di riassumere in sé tutta la menzogna, la crudeltà e la barbarie dei campi di concentramento nazisti, nei quali i lavori forzati, la condizione di privazione inumana dei prigionieri e soprattutto il destino finale di morte, stridevano con grottesca ironia rispetto all'apparente candore etico del motto.

La nostra guida ci ha raccontato di come iniziavano le giornate dei prigionieri. Ogni mattina dovevano disporsi al centro del campo per rispondere agli appelli che duravano anche tutta la giornata e costringevano i detenuti a restare in piedi per ore esposti al gelo e alle intemperie, durante i quali molti morivano di freddo o uccisi dalle s.s., che sparavano su chiunque non rimanesse in riga. Nel complesso del campo avevano sede anche alcune aziende nelle quali i deportati venivano sfruttati come schiavi. I prigionieri che lasciavano il campo per recarsi al lavoro, o che vi rientravano, erano costretti a sfilare sotto il cancello d'entrata, a volte accompagnati dal suono di marce eseguite da una orchestra di deportati appositamente costituita. Inizialmente gli internati furono intellettuali e membri della resistenza polacca; più tardi vi furono deportati anche prigionieri di guerra sovietici, criminali comuni tedeschi, prigionieri politici ed "elementi asociali" come mendicanti, prostitute, omosessuali ed ebrei.

Rivestiti dell'abbigliamento da campo, i prigionieri venivano poi registrati: veniva compilata una scheda con i dati personali dei detenuti i quali ricevevano, poi, un numero progressivo che, per tutta la durata della detenzione all'interno del campo di concentramento,ne avrebbe sostituito il nome. La registrazione proseguiva poi con tre foto, che ritraevano il detenuto di fronte, di profilo destro e di profilo sinistro. Un numero di matricola, impresso su un pezzo di tela, era anche cucito sul lato sinistro della casacca, all'altezza del torace.

Al numero era associato un contrassegno colorato, che identificava le diverse categorie di detenuto: - un triangolo di colore rosso identificava i prigionieri politici, nei cui confronti era stato spiccato un mandato di arresto per ragioni di pubblica sicurezza; - una stella a sei punte di colore giallo identificava i prigionieri ebrei ; dalla metà del 1944 gli ebrei furono contrassegnati come le altre categorie ma con l'apposizione sopra il distintivo triangolare di un rettangolo di stoffa giallo; - un triangolo verde identificava i prigionieri criminali comuni; - un triangolo di colore nero identificava gli asociali"; - un triangolo di colore viola identificava i Testimoni di Geova; - un triangolo di colore rosa identificava i prigionieri omosessuali; - un triangolo di colore marrone identificava i prigionieri zingari. Qui furono uccise, nella camera a gas o morirono a causa delle impossibili condizioni di lavoro, di esecuzioni, per percosse, torture, malattie, fame, criminali esperimenti medici, circa 70.000 persone. Il 3 Settembre del 1941 venne sperimentato per la prima volta dal vicecomandante del campo Karl Fritzsch, per l'uccisione di 850 prigionieri, il Zyklon B, il gas antiparassitario usato poi su vasta scala per il genocidio ebraico.

Già nella primavera del 1942, i tedeschi incominciarono a sperimentare nuove tecniche per l'eliminazione degli ebrei e di altri oppositori, reali o immaginari. Una tecnica sulla quale inizialmente si contava molto era quella degli "autocarri a gas": mediante una semplice deviazione applicata al tubo di scappamento di un autocarro, il monossido di carbonio veniva convogliato nel cassone posteriore, ermeticamente chiuso, nel quale erano stati stipati dai cinquanta ai sessanta prigionieri. La tecnica degli "autocarri a gas", che era già stata sperimentata in un operazione tra il gennaio 1940 e l'agosto 1941,non parve soddisfare le aspettative dei nazisti, giacché non appariva abbastanza efficiente per la progettata uccisione di diversi milioni di ebrei. Nell'autunno del 1941, ad Auschwitz, venne messa a punto, quasi per caso, una nuova tecnica per lo sterminio sistematico. L'idea, molto semplice, venne al comandante del campo, Rudolf Hoss e venne tecnicamente realizzata dall'ufficiale s.s. Kurt Gerstein: poiché nel campo erano presenti ingenti scorte di un gas a base di acido prussico, denominato Zyklon B, che serviva per disinfestare le baracche e le divise dei prigionieri dai parassiti, si pensò che avrebbe potuto servire anche per l'eliminazione dei prigionieri.

L'uccisione in massa fu sperimentata in ricoveri sotterranei del blocco n. 11 su duecentocinquanta malati dell'ospedale e circa seicento prigionieri di guerra sovietici. Le finestre del rifugio furono ricoperte di terra. Un membro delle s.s., munito di maschera antigas, lanciò nell'interno, attraverso la porta aperta, il contenuto delle casse di Zyklon B, poi la porta fu rinchiusa. L'indomani, nel pomeriggio, l's.s. Palitsch, sempre con la maschera, aprì la porta e constatò che parecchie persone erano ancora vive. Allora fu aggiunto nuovo Zyklon B e la porta fu rinchiusa sino alla sera del giorno dopo. Questa volta tutti prigionieri furono trovati asfissiati.

Nel novembre 1944, di fronte all'avanzata dell Armata rossa, si dà ordine di cessare le esecuzioni nelle camere a gas e di demolirle assieme ai forni crematori, allo scopo di nascondere le prove del genocidio; i nazisti, tuttavia, distrussero solo le camere e i forni di Birkenau, mentre quella di Auschwitz1 fu adibita a rifugio antibomba". Sino a quel momento ad Auschwitz erano stati uccisi oltre 1 milione e centomila esseri umani. In totale furono deportate ad Auschwitz più di 1 milione e 300 000 persone. 900.000 furono uccise subito al loro arrivo e altre 200.000 morirono a causa di malattie, fame o furono uccise poco dopo il loro arrivo.

Il 27 Gennaio 1945 il campo fu liberato dalle truppe sovietiche; furono trovati circa 7.000 prigionieri ancora in vita. Inoltre, furono trovati migliaia di indumenti abbandonati, oggetti vari che possedevano i prigionieri prima di entrare nel campo e 8 tonnellate di capelli umani imballati e pronti per il trasporto ed essere poi usati per farne tappeti e coperte.

Dopo il processo di uccisione all interno della camere a gas, c era il problema di come smaltire i corpi senza vita degli internati. Infatti in un primo momento i cadaveri venivano gettati in delle fosse comuni,ma questa soluzione presentava diversi inconvenienti, come ad esempio dimostra la testimonianza del dottor Gerstein,che dopo aver assistito ad una esecuzione disse: dopo l esecuzione i corpi vennero gettati nelle fosse comuni,scavate nei pressi delle camere a gas. Ma dopo qualche giorno i corpi si gonfiavano ed il terreno si sollevava,a causa dei gas che si formavano nei cadaveri. Per risolvere questo problema,che rallentava notevolmente la macchina da morte messa in moto dalla Germania nazista,vennero utilizzati i forni crematori. Prima di passare ai forni crematori, i cadaveri venivano però ispezionati da alcune squadre speciali di detenuti i sonderkommander, generalmente formate da ebrei,i quali dotati di una maschera a gas, entravano nella camere, trascinavano fuori i cadaveri, alla ricerca di qualche protesi dentaria d oro o per tagliare i capelli di qualcuno a cui magari erano ricresciuti. Il passaggio successivo era il forno crematorio,dove i cadaveri venivano bruciati in modo tale da essere eliminati del tutto.

Nel complesso di Auschwitz esistevano ben 7 impianti per l uccisione dei prigionieri, e quello che abbiamo visitato noi, è stato proprio il primo krematorium mai realizzato che fu attiva tra il 42 e il 43.

E quando questi forni erano in funzione era impossibile non accorgersene, si sentiva in fatti un odore fortissimo, nauseabondo e l aria era come velata da una polvere grigia, come se ci fosse un enorme nuvola a circondare i campi. Quando siamo entrati, trattenere le emozioni è stato impossibile L idea che su quello stesso pavimento, dove noi camminavamo, c erano dei cadaveri era agghiacciante e struggente. In quel luogo finiva la vita, ma forse allo stresso tempo la sofferenza, di intere generazioni di uomini.

Quello che abbiamo visitato è l unica camera a gas rimasta integra al tentativo operato dai tedeschi di cancellare ogni traccia delle barbarie compiute, e sebbene sia un luogo infernale, simbolo di un progetto folle,di dolore e di odio, è un bene che sia ancora lì Infatti solo così tutti potranno sapere che cosa è stata la shoah, perché come disse il generale Eisenhower: Arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo. Infatti uno dei primi ordini fu quello di fotografare tutto, i corpi senza vita ammassati, quelli scheletrici dei sopravvissuti, i capelli, le scarpe sebbene potesse risultare una gesto macabro ed insensibile.

Forse è questa l immagine che più ci ha colpito immortala il corpo deformato di queste donne ormai solo pelle e ossa, con gli occhi persi nel vuoto, il loro sguardo assente rende al meglio l idea di quell annientamento psicologico e fisico a cui mirava la politica antisemita nazista.

Dunque l unico modo per risarcire,almeno parzialmente, le vittime dell anti-semitismo è ricordarle, e non permettere mai a nessuno di infangare la loro memoria ed il loro dolore.

Alla fine di questo viaggio ci sentiamo dunque investiti di una grande responsabilità,sentiamo fortemente il dovere di ricordate per sempre quello che abbiamo visto, ma soprattutto quello che Sami e le sorelle Bucci ci hanno raccontato, perché un giorno quando loro non ci saranno chi dovrà fare in modo che vengano sempre ricordati siamo noi, ma soprattutto ci opporremo sempre, con determinazione, ad ogni forma di razzismo.. per fare in modo che mai nessun altro uomo si vittima dell odio altrui!

LA STORIA CI HA INSEGNATO QUALCOSA? PROVIAMO A RIFLETTERCI

DAL QUOTIDIANO REPUBBLICA : 19 MARZO 2012 FRANCIA: Tolosa, spari fuori ad una scuola ebraica quattro uccisi, tre sono bambini. Agguato all'apertura dell'istituto. A perdere la vita un professore con i suoi due figli di 3 e 6 anni. Uccisa anche una bimba di 8 anni. Tutte le vittime erano franco-israeliane. Emerge una pista neonazista.

La Francia, sconvolta per un attentato a Tolosa, una città che sembra divenuta il bersaglio di un serial killer razzista: un uomo ha sparato davanti alla scuola ebraica. A perdere la vita, poco prima di entrare in classe, quattro persone: un docente di 30 anni e tre bambini di tre, sei e otto anni. L'uomo era un rabbino residente a Gerusalemme, Yonatan Sandler, ucciso insieme ai suoi due figli, Arieh e Gabriel. La quarta vittima, una bimba di otto anni, è la figlia del direttore della scuola. Tutte e quattro le vittime saranno sepolte in Israele. Diverse le persone ferite, di cui due in gravi condizioni. Erano le 8.30 del mattino quando l'attentatore è arrivato davanti al collegio privato Ozar Hatora, la principale scuola ebraica della città. Ha agito all'orario di apertura, nel momento della giornata in cui l'area è piena di ragazzi, non lontano dalla fermata dello scuolabus. Prima ha "sparato contro tutto quello che aveva di fronte", poi ha anche "inseguito alcuni bambini all'interno della scuola", ha detto il procuratore Michel Valet. Dopo l'agguato è fuggito a bordo di uno scooter. I tre bambini uccisi non erano alunni dell'istituto Ozar Hatora. Questa mattina si trovavano davanti all'edificio perché è da lì che la mattina gli alunni vengono raggruppati per essere portati nella scuola elementare ebraica di Gan-Rachi, a pochi metri di distanza. "I bambini urlavano e scappavano ha detto un papà, dopo la sparatoria.

La polizia ha riferito che il killer aveva due armi e una delle due è quella utilizzata dal responsabile dei misteriosi agguati dei giorni scorsi ai danni di parà di stanza in città e a Montauban, che hanno provocato tre morti, tutti di origine straniera, e un ferito. Il giornale Le Point riferisce infatti che nel 2008 alcuni parà erano stati espulsi dalla caserma di Montauban perché ritenuti vicini a gruppi neonazisti. Secondo le prime indicazioni, il killer sarebbe un uomo di grossa corporatura, tatuato e vestito di nero. Identikit che corrisponderebbe a quello dei paracadutisti espulsi dallo stesso reggimento dei militari uccisi la settimana scorsa. In serata il presidente Nicolas Sarkozy ha detto esplicitamente che l'omicida è lo stesso degli attacchi ai militari dell'11 e del 15 marzo. "La motivazione antisemita sembra chiara", ha aggiunto il capo dello Stato. Dopo la strage la strada dove si trova la scuola, rue Dalou, è stata chiusa. Gli allievi sono stati portati al sicuro all'interno della palazzina. Per le famiglie, in attesa fuori dai cancelli, sono state ore di ansia e preoccupazione per i tanti genitori e parenti che aspettavano notizie dei figli. "Si tratta di antisemitismo brutale e ignobile", ha detto Charles Bensemhoun, un medico arrivato sul posto. "Ora se la prendono anche con i bambini", ha detto una mamma, in attesa di notizie. Il presidente Nicolas Sarkozy, arrivato a Tolosa, ha definito la strage "una tragedia nazionale". Ha annunciato che domani sarà osservato un minuto di silenzio in tutte le scuole e ha promesso il pieno impegno dello Stato nelle indagini. Intanto il ministro degli Interni, Claude Guéant, ha disposto un rafforzamento della sorveglianza davanti a tutte le scuole ebraiche del Paese. "Con tutta probabilità si tratta di un pazzo, di qualcuno pronto a tutto, è follia", ha dichiarato stamattina il ministro della Difesa Gérard Longuet.

"Sono inorridito da quello che è successo stamani a Tolosa davanti alla scuola ebraica - ha detto Gilles Bernheim, Gran Rabbino di Francia. Poco dopo l'agguato è arrivato il commento del portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Yigal Palmor: "Siamo inorriditi da questo attacco e siamo fiduciosi nel fatto che le autorità francesi faranno luce su questo dramma e porteranno i responsabili di queste morti di fronte alla giustizia". Ferma condanna anche da parte dell'unione europea: "A nome della Commissione europea esprimo ferma condanna per il crimine odioso", ha detto il presidente dell'esecutivo comunitario Josè Manuel Barroso. E da New York anche il segretario generale dell'onu Ban Ki moon condanna la strage. In un comunicato delle Nazioni Unit si legge che il segretario generale "condanna nella maniera più decisa questo atto di violenza e presenta le su sincere condoglianze ai familiari delle vittime e alla comunità ebraica, oltre che al governo e al popolo francesi" I carri funebri hanno portato nella scuola di Tolosa, in Francia, le bare con i corpi delle vittime della sparatoria di oggi per la veglia funebre che si terrà nella notte.

La Giunta della Comunità ebraica romana ha convocato oggi una riunione straordinaria per discutere ciò che è successo a Tolosa. Lo ha annunciato il presidente della Comunità, Riccardo Pacifici. "Siamo sconvolti, questa è l'unica espressione che riusciamo a tirare fuori", ha detto Pacifici. "Siamo preoccupati perché si sta sviluppando ogni giorno di più una saldatura tra i gruppi di estrema destra xenofoba in tutta Europa con il fondamentalismo islamico". È vergognoso dover assistere ancora oggi a questi atti di insensata violenza e di odio, verso uomini di culture e religioni diverse. Vivendo in una società caratterizzata dal multiculturalismo, è inaccettabile che accada tutto questo e dunque a fronte soprattutto di quello che abbiamo vissuto, ci sentiamo di dover condannare ogni forma di razzismo, di qualunque matrice esso sia e di impegnarci a condannare questi atti criminosi.